6
“Negativa” è la prima teoria oggetto di analisi
4
.
Essa mutua il proprio nome dal mancato riconoscimento del
rimedio risarcitorio in caso di spoglio o molestia
5
, poiché in
questi ultimi non sarebbe possibile riscontrare i caratteri tipici
della tutela aquiliana. In altre parole, la lesione del possesso,
inteso come mera situazione di fatto, non avrebbe la capacità di
dar luogo al “danno ingiusto” (ex art. 2043 c.c.), considerato
esistente solo in caso di violazione di un diritto soggettivo
perfetto.
Questo orientamento, sostenuto anche da una parte della
giurisprudenza
6
, non è accoglibile, poiché, come sarà
ampiamente dimostrato, da una parte, il possesso non può essere
considerato una semplice situazione fattuale
7
e, dall’altra, il
“danno ingiusto” contempla una vasta serie di lesioni di
situazioni soggettive che va ben al di là del diritto soggettivo
8
.
Un’altra teoria che costituirà oggetto d’indagine
9
è quella
“possessoria”
10
.
4
V. il cap. II, prg. 2.
5
Spoglio e molestia sono le due forme lesive del possesso. V. il cap. I, prg. 4.
6
V. il cap. II, prg. 2, in particolare la nota 6.
7
V. il cap. I, prg. 3.
8
V. il cap. II, prg. 3.2.3.1.
9
Tra quelle “positive”, cioè che riconoscono la rifusione dei danni in caso di lesione
possessoria. V. il cap. II, prg. 3.
10
V. il cap. II, prg. 3.1.
7
Essa considera la tutela del possesso in senso ampio, tale cioè
annoverare non solo il diritto alla reintegrazione nel bene oggetto
di spoglio o la cessazione della turbativa e l’inibitoria di
successive molestie, ma anche il diritto al ristoro dei danni
conseguenti alla lesione subita.
Essa non risulta convincente sia per ragioni sostanziali che
processuali
11
.
Tra le teorie “positive” si annovera anche quella
“aquiliana”
12
.
Essa ritiene che il fondamento su cui basare la domanda di
risarcimento danni, conseguenti ad una lesione possessoria, è
riscontrabile nell’art. 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito).
Non si presenta omogenea, ma articolata in due orientamenti,
quello unitario
13
e quello che distingue azione possessoria ed
azione risarcitoria
14
, entrambi, però, riuniti dalla convinzione che
il possesso, pur essendo una situazione di fatto, è da annoverare
tra le situazioni soggettive sostanziali tutelate dall’art. 2043 c.c.,
in quanto si presenta quale interesse giuridicamente rilevante per
11
V. il cap. II, prg. 3.1.
12
V. il cap. II, prg. 3.2.
13
Sia le azioni possessorie (ex artt. 1168 e 1170 c.c.), sia l’azione di risarcimento del danno
(ex art. 2043 c.c.) sarebbero fondate sull’illecito aquiliano. V. il cap. II, prg. 3.2.1.
14
Soltanto l’azione di risarcimento sarebbe fondata sull’illecito aquiliano. V. il cap. II, prg.
3.2.2.
8
l’ordinamento, in altre parole, la lesione possessoria integra un
“danno ingiusto”.
15
La teoria “aquiliana” è stata oggetto di critiche, sia di natura
sostanziale
16
, sia concernenti l’elemento soggettivo
17
.
Entrambe queste obiezioni sono state superate, dimostrando,
da un lato, come la nozione “estensiva” ed attuale di “danno
ingiusto” comprende non solo la lesione di un diritto soggettivo
perfetto (assoluto o relativo), ma anche la violazione di un
“interesse giuridicamente rilevante” ed il possesso è senz’altro
annoverabile tra questi ultimi
18
, dall’altro, evidenziando come
l’elemento soggettivo della lesione possessoria (animus
spoliandi o turbandi) risulta coerente con quello presupposto
dall’art. 2043 c.c. (dolo o colpa)
19
.
Infine saranno analizzati altri due orientamenti: quello che
ritiene il risarcimento del danno in questione quale “restituzione”
15
Per la nozione risalente ed evoluta di “danno ingiusto”, ai sensi dell’art. 2043 c.c., v. il
cap. II, prg. 3.2.3.1.
16
La nozione tradizionale di “danno ingiusto” (ex art. 2043 c.c.) contempla la lesione dei
soli diritti soggettivi perfetti, pertanto il possesso, posto che è una mera situazione di fatto,
sempre secondo le asserzioni di una parte della dottrina e della giurisprudenza, non sarebbe
in grado di attivare la tutela aquiliana.
17
Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza, l’animus spoliandi o turbandi,
caratterizzante il possesso, non coinciderebbe con il dolo o la colpa, invece richiesto
dall’art. 2043 c.c.
18
Per i ragionamenti logico – giuridici che gradualmente e progressivamente conducono
dalla nozione tradizionale a quella evoluta di “ danno ingiusto “ (ex art. 2043 c.c.), v. il cap.
II, prg. 3.2.3.1.
19
V. il cap. II, prg. 3.2.3.2.
9
della situazione lesa
20
e quello che si estrinseca nella c.d. teoria
“mista”
21
.
Il primo ritiene che il risarcimento del danno in esame trova
la propria giustificazione negli artt. 1168 e 1170 c.c. (azioni
possessorie), ma non per le ragioni sostenute (e non condivisibili)
dai sostenitori della teoria “possessoria”, bensì perché l’obbligo
di reintegrazione o manutenzione sarebbe volto all’integrale
riduzione in pristino, comprensivo del profilo risarcitorio,
esattamente come il restituere degli interdetti possessori del
diritto romano. Questa teoria non ha riscontro nel diritto positivo.
Il secondo sostiene che in caso di lesione del possesso in
senso proprio (ius possessionis), il risarcimento del danno
conseguente avrebbe natura possessoria, quindi troverebbe
fondamento negli artt. 1168 e 1170 c.c., in caso di pregiudizio
non del possesso in senso proprio, ma di altri diritti dello
spogliato (ius possidendi), la rifusione dei danni individuerebbe
la propria giustificazione nell’art. 2043 c.c., quindi nell’ambito di
un ordinario giudizio di cognizione nel quale far valere il titolo
da cui discende il diritto al possesso.
20
V. il cap. II, prg. 4.1.
21
V. il cap. II, prg. 4.2.
10
Questo orientamento, nella sua prima ipotesi, sostiene i
principi della teoria “possessoria”, pertanto non è sostenibile,
nella sua seconda ipotesi, invece, contempla la tutela non del
possesso in senso proprio, ma del diritto al possesso, quindi si
pone come rimedio non specifico alla lesione possessoria.
Dopo aver descritto le posizioni “tradizionali” di
interpretazione e soluzione del problema in esame, la trattazione
proseguirà indicando una prospettiva “alternativa” di
osservazione
22
.
Quest’ultima svela come la complessità sociale viene recepita
e tradotta dal sistema giuridico secondo tre funzioni
fondamentali: attributiva, traslativa
23
e conservativa
24
.
La prima è finalizzata a delimitare l’ambito delle
risorse/utilità suscettibili di attribuzione/appropriazione in favore
dei consociati; la seconda è volta a stabilire le condizioni ed a
regolare le modalità della circolazione dei beni assegnati; la terza
è destinata a preservare ciò che è stato assegnato (funzione
attributiva) e ciò che è stato acquisito (funzione traslativa) dalle
interferenze degli altri soggetti.
22
V. il cap. III.
23
V. il cap. III, prg. 2.
24
V. il cap. III, prg. 5.
11
Questa diversa, alternativa interpretazione giuridica del reale,
sostanzialmente concentra l’attenzione su due profili essenziali,
quello attributivo e quello conservativo.
L’attribuzione può avvenire o mediante la forma del diritto
soggettivo assoluto che opera un’assegnazione esclusiva e
permanente (riguarda le res corporales), ovvero attraverso il
riconoscimento, da parte dell’ordinamento giuridico, di un
“permesso” che realizza, invece, un regime appropriativo
concorrenziale
25
.
In quest’ultimo caso è ugualmente esercitata dal sistema
giuridico una funzione attributiva, infatti si assiste
contestualmente al conferimento di poteri appropriativi volti
all’acquisizione di risorse ed alla legittimazione
all’appropriazione di risorse, costituite da chances acquisitive
(possibilità di appropriazione), acquisite mediante l’esercizio
dell’attività permessa.
Il possesso costituisce oggetto di attribuzione attraverso un
“permesso” giuridico, infatti l’ordinamento consente, a chi non è
25
In questo caso i comportamenti appropriativi del singolo soggetto saranno esposti alla
concorrenza dei comportamenti appropriativi degli altri. V. il cap. III, prg. 3.
12
titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale, di utilizzare
e far proprie le risorse ottenute dal bene assegnato.
Come sarà ulteriormente chiarito
26
, il profilo attributivo
possessorio si specifica in tre componenti: i frutti – interessi, le
chances acquisitive del diritto reale ed il “valore di
organizzazione”.
Innanzi ad un comportamento “distruttivo” di uno dei
suddetti fattori, quindi in presenza di un problema di coesistenza
di sfere giuridiche distinte che sollevano un conflitto
interferenziale tra due o più sogg\etti, l’ordinamento risponde con
l’attivazione della sua funzione conservativa e,
conseguentemente, vengono offerte le garanzie tipiche della
tutela aquiliana (ex art. 2043 c.c.)
27
.
La visione “alternativa”, considerando il possesso quale
fattispecie doppiamente acquisitiva, immediatamente dei frutti,
degli interessi sui frutti e del “valore di organizzazione”, e nel
tempo della chance acquisitiva del diritto reale (mediante
usucapione), consente di apprezzare il problema del risarcimento
26
V. il cap. III, prg. 6.1.
27
Per le ragioni che saranno elucidate compiutamente nel prg. 6.1., in caso di lesione del
componente “frutti – interessi”, costituente il profilo attributivo del possesso, si attiva il
rimedio specifico possessorio costituito dalle azioni di reintegrazione e di manutenzione (ex
artt. 1168 e 1170 c.c.) e non il rimedio generico aquiliano (ex art. 2043 c.c.).
13
del danno da lesione possessoria da un angolo visuale diverso:
esso, sotto questa nuova luce, può essere visto come un problema
di risarcimento da perdita di chances acquisitive.
Le chances consistono nella possibilità di acquisire il diritto
di proprietà od altro diritto reale con il decorso del termine per
l’usucapione (ex art. 1158 ss. c.c.); esse vengono “distrutte” dalla
lesione possessoria che interrompe il rapporto di fatto con il
bene
28
.
In conclusione, questa trattazione, dopo aver riferito i tipici e
tradizionali orientamenti sul tema in parola, cercherà di
evidenziare i coraggiosi tentativi della più accorta e lungimirante
dottrina, volti ad interpretare e risolvere uno dei problemi più
complessi che gravano sull’istituto possessorio.
Un ultimo accenno merita d’essere dedicato alla
giurisprudenza.
Sulla questione in esame, essa ha sostenuto posizioni diverse,
talvolta contraddittorie ed incoerenti
29
.
Bisogna anche prendere atto che ancora oggi non si rilevano
sentenze ispirate dalla visione “alternativa”, pertanto i giudici
28
Per la questione connessa con il disposto dell’art. 1167 c.c. (interruzione dell’usucapione
per perdita di possesso), v. il cap. III, prg. 6.1.
29
V. il cap. III, prg. 7.
14
ancora non considerano il problema del risarcimento del danno
da lesione del possesso in termini di perdita di chances
acquisitive.
Al fine di una più completa e giusta rifusione dei danni, è
auspicabile un aggiornamento in tal senso.
15
Capitolo primo
IL POSSESSO
1. Nozione e struttura. Detenzione.
La nozione legislativa del possesso è fornita dalla norma
contenuta nell’art. 1140, I c., c.c.: “Il possesso è il potere sulla
cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio
della proprietà o di altro diritto reale”.
La definizione si compone di una nota generica (il potere
sulla cosa) ed una nota specifica (l’attività che corrisponde
all’esercizio di un diritto reale come forma di esercizio del
potere); il potere di fatto risulta essere l’elemento più evidente e,
quindi, centrale del possesso, merita un’analisi puntuale.
Esso indica la soggezione della cosa alla persona e la
corrispondente signoria della persona sulla cosa; questa
soggezione consta di un elemento costituente materiale, il c.d.
corpus ed un elemento costituente immateriale, il c.d. animus,
16
che è individuabile nell’atteggiamento psicologico di chiunque
eserciti una signoria su una cosa
30
.
I momenti essenziali di questo potere sono due: l’ingerenza
del soggetto del bene e l’omissione dei terzi (i quali si astengono
da ogni interferenza).
L’astensione dei terzi, attuale ed associata alla probabilità che
essa continui, è requisito del possesso in ogni sua fase (iniziale o
successiva), inoltre essa consiste in un fatto omissivo materiale,
ma dotato di significato, infatti il terzo si astiene coscientemente
per rispetto di un potere altrui: l’astensione è costituita, quindi,
da un elemento materiale e da un elemento spirituale.
L’ingerenza, invece, deve essere attuale nel momento iniziale
e può essere semplicemente potenziale nella fase ulteriore. Dal
punto di vista della misura dell’ingerenza, la legge è silente, in
ogni caso non si richiede che essa implichi l’utilizzo della cosa
conformemente alla sua ordinaria destinazione economica.
L’atto di ingerenza consiste in un comportamento materiale,
che però si accompagna ad una volontà, all’animo di dominare la
cosa.
30
Animus: lo stesso nome che dovrà darsi ad un altro elemento costituente il possesso,
precisamente all’intenzione di esercitare sulla cosa la proprietà od altro diritto reale. Si
tratta dell’animus domini ( v. infra ).
17
Nella fase successiva a quella dell’acquisto, si mantiene il
possesso, purchè si conservi la mera possibilità di ingerirsi nel
bene
31
.
Il soggetto non perde il potere di fatto finchè persista la
eventualità del recupero della disponibilità fisica della cosa,
tranne che non sia avvenuto l’acquisto della disponibilità da parte
di un altro soggetto.
Le ingerenze dell’agente sono volontarie, l’esercizio del
potere di fatto è volontario, quindi è un atto; la volontà è chiara
nelle ingerenze vere e proprie, può, invece, essere presente o
assente nei periodi di non ingerenza. Quando si afferma che il
soggetto che esercita il potere di fatto vuole il proprio potere, in
realtà si dicono due cose:
a) egli vuole i propri possibili comportamenti di ingerenza;
b) nei periodi in cui non compie atti d’ingerenza, egli non
intende manifestare la contraria volontà di porre fine al
proprio potere.
Un’altra norma rilevante, ai fini della disciplina del possesso,
è quella contenuta nel II comma dell’art. 1140 c.c.: “Si può
31
I Romani affermavano che la possessio si acquista con il corpus e con l’animus, e si
conserva con il solo animus. Per ulteriori particolari, cfr. Sacco – Caterina, Il possesso, II
ed., Milano, 2000, p. 81 ss.
18
possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la
detenzione della cosa”.
Il legislatore ha così introdotto la figura del possesso
mediato, in pratica, non ci può essere possesso senza potere di
fatto, ma non sempre il soggetto del possesso ed il soggetto del
potere di fatto coincidono. Alla base del possesso indiretto si
riscontra l’ingerenza di una persona diversa dal possessore:
dipendente, mandatario, custode, conduttore, comodatario. La
situazione del soggetto del fatto è caratterizzata da una
condizione psicologica corrispondente, la c.d. laudatio
possessoris (riconoscimento del possessore). La contrapposizione
concettuale tra possesso mediato ed immediato conduce alla
dicotomia possesso – detenzione: il possessore mediato non
esercita ingerenza sulla cosa posseduta e questa ingerenza viene
esercitata da un secondo soggetto, il detentore.
Dalla lettura degli artt. 1140 e 1141 c.c. si evince che il
possesso comporta sia un potere di fatto, sia un’attività
corrispondente all’esercizio di un diritto reale (art.1140), mentre
il solo potere di fatto è sufficiente per costituire la detenzione
(art. 1141): l’attività corrispondente all’esercizio di un diritto
19
reale è, in conclusione, l’elemento che differenzia il possesso
dalla detenzione.
In definitiva, la detenzione “consiste nell’avere la cosa nella
propria immediata disponibilità materiale, vuoi per usarla
direttamente, vuoi per rendere un servizio al possessore”
32
.
E’ ora opportuno approfondire l’analisi della nota specifica
della norma ex art. 1140 c.c., cioè proprio dell’attività
corrispondente all’esercizio del diritto reale.
Prima di tutto bisogna individuare la differenza tra l’attività
in parola e il generico potere di fatto: l’attività richiesta dall’art.
1140 c.c. non è contraddistinta da un’attività maggiore rispetto a
quella associata all’ingerenza, che è alla base del potere di fatto.
Successivamente è necessario capire in che modo l’esercizio
dei diversi diritti reali qualifichi le varie ipotesi di potere di fatto:
la norma di cui all’art. 1140, I c., c.c. impone un parallelismo tra
possesso e diritto, nel senso che il potere di fatto dovrà
estrinsecarsi in circostanze che non contraddicano al rapporto
giuridico reale corrispondente (es.: non sarà concepibile un
possesso a titolo di proprietà su una cosa non suscettibile di
proprietà separata, come sarebbe il frutto o il ramo di un albero).
32
Trimarchi P., Istituzioni di diritto privato, XV ed., Milano, 2003, p. 495.