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0 politica, attraverso valutazioni di efficacia mirate alla scelta della migliore 
alternativa (Stame, 1998). 
Per quanto riguarda la situazione italiana dei nostri giorni è possibile 
ravvisare una condizione simile a quella americana degli inizi della 
valutazione, con la differenza che, per noi, è ovviamente possibile 
sfruttare la notevole esperienza generata sul campo dall‟evoluzione della 
materia, nonostante un punto di negatività sia rappresentato 
dall‟impossibilità di ripercorrere le tappe che hanno condotto tale 
evoluzione allo sviluppo sincronico di tutte le strutture interessate dal 
processo. 
Le motivazioni da cui la valutazione è stata generata negli USA degli anni 
‟60  sono tuttavia in parte riconducibili a quelle che hanno spinto le 
amministrazioni europee,  italiana nella fattispecie, soprattutto negli ultimi 
anni, ad accostarsi ad un simile strumento e più in generale, ad un tale 
sistema di pensiero: la valutazione in un‟accezione pragmatica oltreché 
ingegneristica, parte dall‟analisi di un programma sociale, nell‟intento di 
chiarirne utilità ed economicità, ed è finalizzata alla creazione di un 
“algoritmo” che, integrando ed analizzando fattori totalmente dinamici, 
riesca nell‟impresa di spiegarne il funzionamento, permettendo la 
comparazione fra sistemi simili, orientando la scelta fra politiche e 
programmi diversi. 
In Europa si può affermare che la valutazione appaia negli anni 80‟, in 
concomitanza con il primo Programma Integrato Mediterraneo (PIM); in 
quell‟occasione la Comunità Europea richiese che fosse effettuata una 
rendicontazione dettagliata riguardante l‟impiego dei fondi erogati. 
In particolar modo agli inizi, l‟applicazione di rigide procedure per la 
rendicontazione fu percepito come un ostacolo nell‟accesso ai fondi, 
tuttavia, da quell‟esperienza scaturì una spinta verso il mondo della 
valutazione che coinvolse i settori più disparati, dai servizi sanitari, 
all‟urbanistica, alla pubblica amministrazione. 
Come si è detto nell‟introduzione, l‟applicazione  di strumenti propri della 
pratica della gestione della formazione, su un terreno non 
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1
1 preventivamente preparato, non ha portato ai risultati sperati, d‟altronde 
sarebbe stato poco realistico attendere un esito differente. 
E‟ necessario che gli operatori vengano aggiornati nell‟ottica di un quadro 
generale che non parta dal freddo utilizzo degli „attrezzi‟ ma da una 
preventiva ed accurata comprensione del contesto all‟interno del quale si 
trovano ad operare, contesto che, per essere compreso, deve essere ogni 
volta destrutturato e conosciuto in ogni sua parte, mantenendo ben 
presente il fatto che, in ogni operazione di questo tipo, il “tutto” nel suo 
complesso è qualcosa che sempre supera la somma dei singoli elementi 
che lo compongono. 
Solo attraverso un simile continuo processo di ricerca ed analisi la 
valutazione può essere messa in grado di rivelare tutto il suo potenziale. 
 
 
Realismo e costruttivismo 
E‟ possibile individuare , all‟interno del contesto valutativo contemporaneo, 
differenti paradigmi su un piano compreso fra una dimensione 
costruttivista ed una realista. 
Per costruttivismo-realismo s‟intende ciò che è comunemente definito, in 
ambito valutativo, “positivismo-interpretativismo”. 
La visione positivista parte dal presupposto che osservatore ed osservato 
siano ben separati e distinti e che sia sempre possibile un‟analisi di un 
mondo che è “altro” rispetto allo studioso. Per contro, nella concezione 
interpretativista l‟osservatore fa parte del mondo che tenta di osservare, 
pertanto, nell‟atto stesso di osservare, egli perturba l‟oggetto di studio.  
All‟interno di una tale visione una misurazione scientifica non sarà mai 
possibile, si potrà soltanto avvicinarsi ad un dato oggettivo, sempre 
passando attraverso un processo interpretativo che, per definizione, mai 
potrà divenire legge universale. 
Tutto questo rispecchia la storica contrapposizione fra metodi quantitativi 
(realismo) e qualitativi (costruttivismo), il famoso “scontro fra paradigmi”, 
di cui parla Stame (1998), riportando comunque il dibattito sul piano di 
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2 una scelta metodologica che da sempre oscilla fra la ricerca del rigore 
dell‟analisi, in una tensione spasmodica, (e a volte un po‟ “sterile”), verso 
l‟assolutezza del dato e la ricerca di quei fattori, all‟apparenza secondari, 
che possono arricchire, a volte in modo inaspettato, il processo di 
valutazione. “Con l‟osservazione qualitativa si può focalizzare l‟attenzione 
su quello che possiamo definire “la vita reale” di un programma e 
comprendere quali dati quantitativi possono essere rilevanti. Dalla 
combinazione delle due tipologie dei dati emerge, secondo questo 
approccio, un quadro completo e significativo di ciò che è effettivamente 
avvenuto in un corso o evento formativo” (Alessandrini, 2005). 
Bezzi (2003) in accordo con Schütz (1962), uno dei padri del 
costruttivismo, propone una visione della realtà come costruzione sociale,  
in cui ciò che viene osservato viene contemporaneamente “perturbato” 
dall‟osservatore, che è da considerarsi parte integrante della realtà stessa; 
la realtà ha natura “significativa”, ha a che fare con i segni, la cui 
interpretazione è un problema di natura semantica: “il significato è una 
categoria del soggetto” (Muzzetto, 1999; cit. in Bezzi, 2003)1.  
Con questo ragionamento è necessario accingersi all‟analisi delle situazioni 
generate dalla normale amministrazione dei programmi per la formazione, 
ai vari livelli gerarchici, al fine di individuare i punti nevralgici con funzione 
di fulcro della rete di comunicazione, allo scopo di intervenire, laddove 
possibile, onde evitare eventuali errori, dovuti a problemi di natura 
semantica, che potrebbero compromettere la funzionalità dell‟intero 
sistema. 
In relazione all‟argomento, Bezzi delinea il problema delle diverse province 
di significato dei diversi attori sociali coinvolti nell‟evaluando e del processo 
di costruzione, quindi, di una “logica valutativa come processo di 
significazione”2. 
                                                 
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  La realtà non è quindi “un dato” ma qualcosa di costruito, interpretato attraverso la decodifica 
dei diversi segni con cui si esprime ogni diverso interlocutore che partecipi, in un certo luogo, in 
una data porzione di tempo, alla costruzione/significazione di una data porzione di realtà.  
2
  Alla luce di quanto detto emerge chiaro il ruolo centrale del processo di significazione realizzato 
in sede di programmazione con l’esplorazione del campo semantico, tuttavia  appare auspicabile, 
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3 
In questo senso, si schiera in favore di una visione decisamente 
interpretativista, nel senso che ogni contesto, ogni situazione o fenomeno 
sociale deve essere dapprima realmente compreso perché sia possibile 
avvicinarsi ad una reale conoscenza. 
Bezzi tratteggia infatti lo “atteggiamento costruttivista”, puntualizzando il 
rifiuto di ogni “arroganza esplicativa”, a favore di argomentazioni 
comprensive, per la costruzione di modelli di ricerca idonei ed aperti a 
nuove soluzioni, a cambiamenti in corso d‟opera, alla ”immaginazione 
valutativa”3 al fine di riuscire a porsi concretamente dentro l‟evaluando, 
con la partecipazione di tutti gli attori coinvolti nella costruzione del suo 
significato. L‟invito è al rifiuto di inutili e dannose rigidità ideologiche, 
finalizzato alla creazione di uno stato di apertura mentale che permetta 
una reale e piena comprensione dell‟evaluando, utilizzando, quando 
necessario, anche strumenti di impostazione positivista quali, ad esempio, 
l‟approccio sperimentale o l‟analisi costi-benefici, che possono, se utilizzati 
appropriatamente, risultare di grande aiuto per una corretta 
interpretazione della realtà. 
Interpretazione a tutti i costi, dunque, o senso oggettivo della realtà? La 
risposta risiede nell‟integrazione dei due punti di vista e nel rifiuto di 
posizioni aprioristiche: l‟obiettivo è la comprensione di un mondo 
caratterizzato da un numero infinito di situazioni in costante mutamento, 
nessuna uguale ad un‟altra, ognuna caratterizzata da una chiave di lettura 
differente, da un significato oggettivo diverso ed un diverso processo 
interpretativo.  
Storicamente vi sono stati due tipi di reazione alla problematica delle 
modalità e dei contesti di utilizzo della valutazione nel periodo relativo al 
“pessimismo dei programmi”:  la prima incentrata sul problema del confine 
tra politica e scienza e sulla possibilità di portare la valutazione il più 
                                                                                                                                     
più che realistico, immaginare l’adozione sistematica di un simile modus operandi per realtà locali 
che si trovano certamente a dover raccordare un numero esiguo di province di significato ma non 
per questo dovrebbero agire, come avviene, al di fuori di quelle procedure fortemente strutturate 
che regolano lo sviluppo dei grandi programmi nazionali. 
3
  Bezzi cita Mills L. Wright, (1973). 
  14 
1
4 possibile vicino al cuore della programmazione, la seconda originata da un 
approccio ispirato all‟ermeneutica e che utilizza metodologie qualitative di 
ricerca (Stame, 1998).  
In altre parole, nel secondo caso, il problema è focalizzato proprio sulla 
scelta del metodo e sull‟analisi del processo d‟implementazione come atto 
che trasforma un programma rispetto alla sua forma iniziale, 
condizionando fortemente la scelta del metodo stesso di valutazione, che 
deve essere necessariamente tratto dal contesto specifico locale in cui 
l‟azione si sviluppa. 
Ancora una volta si parla di una lettura in chiave costruttivista di situazioni 
operative relative al settore della formazione e del rifiuto di teorie e 
strumenti preparati al di fuori dei contesti di applicazione, procedura che 
purtroppo si verifica anche troppo spesso con, ad esempio, l‟imposizione di 
criteri precostituiti per la misurazione o il controllo/gestione degli 
interventi. 
A questo proposito Stame cita Rossi e Freeman (1989) e la loro 
“valutazione cucita su misura ai programmi”, nel senso della “applicazione 
sistematica di procedimenti della ricerca sociale per giudicare e migliorare 
il modo in cui vengono condotti i programmi e le politiche, dai primi stadi 
della progettazione fino allo sviluppo e alla realizzazione”. 
Lo stesso problema di “distanza” fra mondo reale, momento della 
programmazione e valutazione, è avvertito da Guba e Lincoln (1981) che 
condannano l‟atteggiamento valutativo che prescinde da preoccupazioni e 
problematiche reali, finendo con il produrre “informazioni che, per quanto 
statisticamente significative, non generano conoscenze che abbiano un 
qualche merito”.  
Lo stesso Stake pone l‟accento sull‟importanza delle specificità rilevabili 
soltanto esaminando le singole situazioni locali, procedimento impossibile 
in tutti quei casi in cui il disegno della valutazione è imposto a priori su 
standard già fissati.  
L‟approccio “sensibile” (responsive) di Stake (1983) permette al valutatore 
di inserirsi nel contesto da analizzare, mettendo a fuoco quelli che sono i 
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reali obiettivi del programma, per come questi sono visti dai vari 
stakeholders, identificando quelle che sono le questioni veramente 
significative per ogni specifico contesto. In pratica l‟approccio responsive 
di Stake permette al valutatore di mettere a fuoco le questioni su cui 
indagare prima di formulare un disegno della valutazione e di approntare 
così uno specifico piano di ricerca empirica (Stame, 1998).  
 
 
Valutazione come azione sistemica 
Durante il percorso che porta un ente/attore a mettere in atto un 
programma/progetto, ciò che non è mai garantito è la linearità del 
percorso stesso. 
Il processo tende naturalmente a stabilizzarsi in una situazione di 
equilibrio, ma questo equilibrio può essere modificato da molteplici fattori, 
che possono condurre il procedimento in uno stato di turbolenza, per 
superare la quale sarà necessario porre in atto ulteriori misure correttive, 
al fine di riacquistare l‟equilibrio perduto. 
Ad ognuna di queste fasi sottostà un momento valutativo che consente un 
controllo di gestione continuo, (in questo il carattere di “sistemicità”), 
permettendo di effettuare, in qualsiasi momento, cambiamenti o correzioni 
atti a mantenere costante, il più possibile, l‟equilibrio del processo, con 
azioni che vanno ad incidere sul presente/futuro e su quanto si deve 
ancora decidere ma anche, retroattivamente, andando a modificare 
quanto era già stato deciso. 
 
 
Ricerca sociale e ricerca valutativa 
Per una precisazione sul termine “sociale”, Bezzi (ibid) chiarisce il 
“fraintendimento che contribuisce a confonderlo con “sociologico”: il 
significato corretto fa naturalmente riferimento alle scienze sociali 
(economia, sociologia, antropologia) e per estensione a tutte le scienze 
umane (quindi anche psicologia e pedagogia), inglobando infine quei 
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1
6 
saperi professionali strettamente correlati (psichiatria, epidemiologia, 
urbanistica, lavoro sociale, ecc.)”. 
Un punto importante riguarda la questione del rigore metodologico 
attribuibile alla ricerca valutativa, relativamente alla scientificità dello 
stesso processo di valutazione, che comunque deriva il proprio metodo da 
quello della ricerca sociale di cui utilizza in gran parte tecniche e 
strumenti; a tal proposito è interessante l‟osservazione di Guba e Lincoln 
(1989) che dichiarano: ”noi non trattiamo la valutazione come un processo 
scientifico, perché è nostra convinzione che approcciare scientificamente la 
valutazione significhi mancare completamente il suo fondamentale 
carattere sociale, politico e valoriale”. 
La differenza, tra un percorso di ricerca sociale inteso nell‟accezione 
metodologica classica e l‟impostazione di uno studio di ricerca valutativa, 
può quindi essere individuato nel fatto che, nel primo caso, spetta al 
ricercatore la definizione di ipotesi ed obiettivi, secondo un disegno suo 
personale che, traendo spunto da determinate basi teoriche, mira alla 
conferma o, viceversa, alla falsificazione dell‟ipotesi stessa; nel secondo 
caso, essendo la valutazione sempre e comunque legata ad un momento 
decisionale, ipotesi, obiettivi, vincoli e risorse sono di norma forniti dal 
committente, che definisce i limiti dell‟azione valutativa, ponendo in questo 
modo un freno alle “interminabili riflessioni teoriche” che potrebbero 
invece scaturire da un percorso di ricerca “libera”. 
Un elemento di grande differenza, fra la ricerca valutativa e la ricerca 
sociale in senso lato consiste nel fatto che, nella prima, il decisore 
concorre a strutturare il campo concettuale all‟interno del quale il 
valutatore opera (Palumbo, 1995). 
Comune ad entrambi i casi il momento, nel disegno della ricerca, riferito al 
livello epistemologico-metodologico, (di conoscibilità dell‟oggetto), da cui 
discendono poi i momenti specifici, (livello metodologico-operativo), che 
determinano la scelta e la messa a punto delle tecniche da impiegare 
(livello delle definizioni operative).