CAPITOLO PRIMO
1 Slow Food: diffusione di una “way of life”
Un excursus esauriente riguardo la nascita e lo sviluppo negli anni di Slow Food (SF da
qui in avanti ndr.) è necessario per meglio leggere e comprendere Cittaslow International.
Il movimento è stato fondato in nome della difesa del diritto al piacere del buon cibo,
contro l’omologazione dei sapori. Nei primi anni di vita, SF, ha lavorato solo come
organizzazione enogastronomica, ma nel tempo, è diventata portabandiera per la lotta ai
disastri ecologici, alla diffusione di ogm e alle pratiche di biopirateria.
Un gastronomo, consuma e utilizza i prodotti della terra e in quanto tale è sensibile a
tematiche ambientali, economiche e ai cambiamenti che sta subendo il mondo rurale a
livello globale e locale. A questo scopo, SF ha cercato, in linea con la sua tradizione di
pragmatismo, di progettare e attuare iniziative in grado di difendere la biodiversità. La
filosofia ecogastronomica, è diventata così uno dei punti cardine di SF. Filosofia e prassi
che rendono l’Associazione attenta e sensibile ai grandi problemi socio-economico-
ambientali insieme alla rivendicazione del diritto al piacere, prerogativa e diritto di
qualsiasi individuo abitante del Mondo.
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1.1 Slow Food: interpretazione del Territorio e dell’Ambiente
Figura 1 Logo dell'Associazione Slow
Food (www.slowfood.net)
Per spiegare cosa SF intende per territorio, è necessario partire dalla definizione francese
di terroir. Un terroir è un entità territoriale dove, i valori patrimoniali di quel determinato
luogo sono il frutto di relazioni, di reti culturali, di scambi sociali, di realtà ecologiche ed
economiche molto complesse.
I prodotti agricoli di un determinato luogo, sono fortemente segnati da una spiccata identità
territoriale, tanto che in Francia si parla di gout du terroir in relazione alla produzione
enologica. Tuttavia, il gout du terroir, non esiste solamente in relazione al prodotto vino.
Ogni specifica realtà territoriale, è accompagnata dall’insieme di specifiche caratteristiche
culturali, sociali, economiche, ecologiche e geomorfologiche. Tali realtà, correlate
assieme, danno vita ad un lungo e lento processo evolutivo, originando una serie di
manifestazioni concrete riguardo i modi di produzione dei luoghi. Così coltivazioni,
allevamento e produzione del cibo sono strettamente legate a tale fenomeno e quindi si
differenziano da luogo a luogo. La complessità e la specificità di queste relazioni, cambia
anche in termini spaziali molto ridotti creando un corollario mondiale di razze autoctone (
bovine, suine, ovine etc…), modelli agricoli. Questo insieme di razze a culture spesso sono
accompagnati da peculiari “riti”, o per usare un termine economico “modelli di
produzione”. Ecco perché, varietà e mondo contadino sono da considerare nel presente un
patrimonio dell’umanità che da secoli ormai è minacciato dalla logica fordista che con il
passare degli anni si è trasformata in omologazione in tutti i campi produttivi.
Il territorio oggi, assume importanza in quanto luogo naturale di salvaguardia della
biodiversità animale e della differenza etnico- sociale, oltre che il contenitore geografico
che consente di avvicinarsi a nuove esperienze gastronomiche e di stimolare i propri sensi
con degustazioni seguendo percorsi creati ad hoc. In definitiva proteggere il territorio
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diventa importante anche per le papille gustative, ecco SF diventare portavoce e
protagonista per salvaguardia del gusto.
Un altro concetto di rilievo che ha fatto proprio SF riguarda la visione dell’ambiente.
Fino a non molti anni fa, gastronomi e ambientalisti si guardavano in cagnesco animati da
forti pregiudizi. Nel corso degli anni, grazie ad una maggiore consapevolezza ed a una
crescente attenzione a livello globale riguardo le tematiche ambientali, entrambi i
movimenti sono maturati, non solo singolarmente ma anche l’uno nei riguardi dell’altro.
La consapevolezza diffusa che le risorse del pianeta non siano infinite e che, amministrarle
con cautela, in logica intergenerazionale e intragenerazionale, sia necessario, ha fatto
incontrare ed unire i due movimenti.
I miti della crescita illimitata e incontrollata sono da abbandonare per lasciare spazio a
forme di produzione che privilegiano la biodiversità, le tecnologie tradizionali più
ecosostenibili e il consumo locale delle merci.
Un paese densamente popolato e storicamente variegato come l’Italia, il quale non ha più
nulla di naturale, si trova immerso in questo processo di “snaturalizzazione”. Tale processo
è stato innescato migliaia di anni fa con l’avvento dell’agricoltura. Gli elementi che proprio
sono stati la principale causa di rottura di quest’equilibrio, ovvero agricoltura e
allevamento, oggi si presentano come l’opportunità, l’escamotage principale per la
conservazione delle risorse naturali e la tutela della biodiversità. Agricoltura a basso
impatto, allevamento sostenibile e tutela dell’ambiente si presentano elementi compatibili e
complementari, questo sposalizio di intenti ha dato vita alla pubblicazione dell’ Atlante dei
prodotti tipici dei parchi italiani ( consultazione on-line; realizzato da Slow Food in
collaborazione con Legambiente e Federparchi, 2001)
L’insieme degli ambienti naturali, specie viventi animali e vegetali, che popolano il nostro
pianeta si sta progressivamente riducendo. Nel corso di un secolo si sono estinte circa
trecentomila varietà vegetali, non solo, esse continuano ad estinguersi al ritmo costante di
una specie ogni sei ore! Ogni anno scompaiono diciassette milioni di ettari di foreste
(Dizionario di Slow Food, www.slowfood.it). Tutti questi dati, rapportati al mondo
alimentare, mostrano una realtà poco conosciuta, infatti, dall’inizio del novecento abbiamo
perso il settantacinque percento della diversità genetica fra i prodotti agricoli e oggi, meno
di trenta piante nutrono il novantacinque percento della popolazione mondiale (Dizionario
di Slow Food, www.slowfood.it). I paesi più ricchi di biodiversità sono quelli in via di
sviluppo, che procurano al resto del pianeta, la materia prima per sopravvivere. La
situazione non riguarda solamente le specie vegetali, infatti in Europa si è estinta la metà
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delle razze animali esistenti all’inizio del diciannovesimo secolo, e un terzo delle
settecentosettanta esistenti, rischia di scomparire nei prossimi vent’anni (Dizionario di
Slow Food, www.slowfood.it). Ciò che SF si impegna a salvaguardare è la parte che arriva
sulle nostre tavole. Perdere una razza bovina, significa rinunciare ad un patrimonio
nutrizionale e culturale unico e irripetibile, significa rinunciare ai sapori tipici di un
territorio, che oltre al gusto nascondono dei significati storici e sociali. I celebri prosciutti
di San Daniele, erano prodotti con suini di razza Friulana ma questa specie si è
drammaticamente persa. Ora essa è soppiantata da anni dalla Large White proveniente
dall’Europa del Nord, che assieme alla Duroc fornisce, le carni per la maggioranza dei
salumi italiani. L’abbandono delle razze autoctone a favore delle più diffuse e produttive,
significa in primis un cambiamento organolettico e un indebolimento del legame con il
territorio così il prodotto rischia di diventare “banale” diminuendone la sua qualità. Il
fenomeno diventa grave e definitivo per un prodotto alimentare quando, con il subentrare
di una materia prima differente, anche la tecnica di lavorazione diventa inefficace. In tale
modo assieme alle razze animali e vegetali si perdono anche i prodotti. In Italia ne abbiamo
esempi significativi: senza l’allevamento dei suini neri siciliani, allevati a ghiande e
castagne allo stato brado, si è segnata la fine del prosciutto dei Monti Nebrodi; con la capra
dell’Adamello si è quasi estinto il Fatulì, un antico caprino lombardo; la drastica
diminuzione delle vacche podoliche ha ridotto ai minimi termini la produzione di
caciocavallo podolico. La realtà a livello di numeri è la più preoccupante perchè negli
ultimi dieci anni sono scomparse almeno cento varietà di formaggi (come il Granone di
Lodi, il Salandro Trentino, il caprino del Farfa nel Lazio), nel corso di una generazione
tutte le varietà tradizionali potrebbero essere spazzate via dalla concorrenza dei formaggi
industriali, prodotti in grande quantità, disponibili tutto l’anno ma banali, come le
mozzarelle di latte vaccino, riprodotte in tutto il mondo uguali. L’omologazione dei cibi
riguarda tutto l’artigianato agroalimentare italiano e del mondo intero: panetteria,
salumeria, erboristeria, produzione del vino, dell’aceto, dell’olio, dei dolci etc… SF si
impegna da quando è nata a salvaguardare questa biodiversità alimentare, non solo per la
salvaguardia del gusto, ma anche per aiutare, assieme a Terra Madre, certe popolazioni
come la peruviana. Tale cultura agricola, è stata fin dai tempi dalla conquista cancellata,
oltre che alla dittatura politica i peruviani, sono stati sottoposti ad una vera e propria
“dittatura del cibo”. Essi sono stati costretti a mangiare pane e a dipendere da modelli
agricoli imposti, mentre le grandi civiltà Inca e Maia, si nutrivano con centinaia di spezie,
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frutta e cereali diversi, dei prodotti del passato la popolazione peruviana non ne è più a
conoscenza da generazioni (Salone del Gusto, Torino 2008).
1.1.1 Terra Madre: un progetto concepito da Slow Food
Figura 2 Logo ufficiale
dell'Associazione Terra Madre
(www.cittaslow.net)
Terra Madre è un progetto concepito da SF, frutto del suo percorso di crescita. Esso oggi
ha il suo punto cardine nella convinzione che “mangiare è un atto agricolo e produrre è un
atto gastronomico”. Dalle origini SF, come già detto in precedenza, si è schierato per i
piaceri della tavola ed il buon cibo e si è posto per la difesa delle culture locali. SF si è reso
conto di quanto fosse importante proteggere e sostenere i piccoli produttori, ma anche
cambiare il sistema che li danneggia, mettendo assieme gli attori che hanno potere
decisionale: consumatori, istituti di formazione, chef, cuochi, enti di ricerca agricola etc…
Questo processo è stato attuato moltiplicando e cumulando le azioni locali che seguissero
una visione guida globale. In grembo a questa vision è nata Terra Madre, per dare voce e
visibilità ai contadini, pescatori e allevatori che popolano il pianeta, al fine di aumentare in
queste categorie e nell’opinione pubblica la consapevolezza di quanto è prezioso il loro
lavoro. Importante è dare a queste categorie di produttori un’arma in più per continuare a
lavorare in condizioni migliori, per il bene di tutti noi e della conservazione delle
biodiversità gastronomica. Per questa ragione, costruire una rete mondiale, che disponesse
di strumenti, di condivisione delle informazioni, che offrisse la possibilità di imparare da
esperienze altrui e di collaborare con gli altri è sembrato fondamentale. L’obiettivo che si
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pone Terra Madre è di continuare ad avere terre fertili, dove crescono animali adatti a
vivere in quei particolari ambienti e ad adattarsi alle specifiche tecniche di produzione, così
da continuare ad avere persone che custodiscono terre, saperi, pratiche e cibi legati alle
specifiche peculiarità territoriali.
Terra Madre è stata lanciata nella riunione inaugurale del 2004 a Torino. Quel primo
incontro ha radunato cinquemila produttori da 130 paesi del mondo. La seconda edizione
ha avuto luogo nel 2006 e ha visto coinvolti anche mille cuochi; in quell’occasione hanno
partecipato alla riunione generale quattrocento ricercatori e accademici.
Terra Madre ha anche favorito negli ultimi anni partnership con compagnie private e reti
solidali, alcune delle quali formate appositamente per l’evento del 2006 che hanno
continuato la loro mission negli anni successivi.
2 I mercati dei produttori agricoli: occasione per riscoprire le identità
territoriali
L’espressione “filiera corta”, sta ad indicare l’insieme delle attività che prevedono un
rapporto diretto fra produttori e consumatori, accorciando in questo modo il numero degli
intermediari commerciali e diminuendo di conseguenza il prezzo finale. Si ispirano a
questa filosofia i mercati del contadino, spazi per la vendita di prodotti alimentari
direttamente gestiti dai contadini.
Divenuti popolari in California negli anni novanta, i farmers market, costituiscono oggi
una realtà in rapida espansione in numerosi paesi europei e recentemente stanno suscitando
grande interesse e dibattito anche in Italia. Questa nuova modalità di distribuzione,
conosciuta anche sotto il nome di “produzione e vendita a chilometro zero” consente,
infatti, una maggiore qualità e minor costo dei prodotti favorendo anche, nel contempo,
rispetto per l’ambiente rurale. Incentivando le occasioni di diretto contatto tra produttori e
consumatori, si contribuisce a calmierare i prezzi dei della frutta e verdura di stagione e a
garantire la qualità e l’origine dei prodotti acquistati. Tutto questo spinge i consumatori a
usufruire dei prodotti di stagione locali, facendo così conoscere le aziende agricole presenti
sul territorio.
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La formula distributiva del mercato ortofrutticolo in Italia, quale luogo dove acquistare
frutta e verdura fresca, fa parte della tradizione e della storia dei centri urbani italiani. Ne
sono la testimonianza le strutture presenti ancora oggi e utilizzate con scadenza giornaliera
o settimanale. I mercati cittadini, dopo gli anni settanta, sono stati soppiantati dal reparto
frutta verdura dei supermercati e dai grandi frigo pieni di verdura e frutta già lavata e
confezionata. Tuttavia, l’evoluzione delle esigenze, della domanda e i nuovi stili di vita, sta
vivendo una riconversione, verso un ritorno alla ruralità e alla genuinità.
Esiste oggi una domanda crescente, di produzione di qualità ma, ancora più, i consumatori
vogliono conoscere la provenienza dei prodotti ed usare il proprio tempo per entrare in
pieno contatto con i produttori. Sentita è l’esigenza di consumare prodotti validi, freschi e
saporiti, ad un prezzo più contenuto rispetto agli ortaggi di indubbio sapore ma già lavati e
confezionati dei supermercati.
L’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, ha determinato, nel 2007, una flessione
della domanda in volumi di pane in misura pari al 6,2%, di ortaggi freschi del 4,2% e di oli
e grassi vegetali del 2,8% (Dossier sui mercati dei prodotti agricoli locali, giugno 2008).
Così un articolo del Wall Street Journal Europe, nei giorni del Vertice della FAO, segnala
che la crescita dei prezzi sta producendo effetti sulla dieta degli italiani, in particolare delle
famiglie meno abbienti, le quali con difficoltà riescono ad assicurare una dieta ricca di
frutta e verdura. Accanto ai rincari dei prezzi, esercitano un effetto negativo sulla dieta
alimentare anche i mutati stili di vita che hanno condotto ad una riduzione progressiva del
tempo medio dedicato alla preparazione dei cibi e del numero medio dei pasti consumati
all’interno delle mura domestiche.
La ricerca di nuove soluzioni volte a garantire la qualità alimentare, ha avvicinato il
consumatore urbano alla realtà rurale e ha innescato un processo di valorizzazione del
contesto e delle tradizioni contadine. E’ così aumentato negli ultimi anni, il numero delle
aziende che svolge vendita diretta, ed anche di agricoltori che hanno integrato l’ attività dei
campi con i servizi ristorativi, ricettivi e culturali.
Guardando l’Europa è ancora ampio il gap rispetto a paesi come la Francia ed il Regno
1
Unito, ma già nel 2007 sono diventate 57.530, le aziende che vendono direttamente con
un aumento del 48% rispetto il 2001. E’ emerso inoltre che, il controllo sull’origine di
quello che si mangia è un’aspettativa diffusa che non sempre però viene esaudita, a
1
I dati forniti dalla Coldiretti del 2007 segnalano un fatturato di 2,5 miliardi di euro, fra cui i prodotti più
venduti sono: frutta e verdura (28% tot.); vino (37% tot.); olio (20% tot.); formaggi (11% tot.); carni e salumi
(8% tot.) e il miele come fanalino di coda (3% tot.).
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testimonianza di ciò è stata effettuata un’indagine che mostra come l’88% degli italiani
preferisce prodotti territoriali ma meno del 50% è disposto a pagare per assicurarseli
(Coldiretti, 2007, Dossier sui mercati dei prodotti agricoli locali, 2008).
Abbandonando i numeri, sono diverse le esigenze che possono portare a frequentare un
mercato del contadino. In primis troviamo acquirenti che nutrono uno spiccato interesse
culturale ed enogastronomico, seguiti da coloro che vogliono trascorrere in maniera
2
alternativa un pomeriggio oltre al desiderio di acquistare cibi sicuri e di qualità. A questi
target di acquirenti si aggiungono anche i turisti alla ricerca della tipicità del luogo, intese
non solo come prodotto in se e per se, ma come valore aggiunto cultural- organolettico al
loro viaggio.
2.1 Valorizzazione del territorio: mercati Res tipica in Italia
Figura 3 Logo ufficiale della
rete mercati Res Tipica
(www.cittaslow.net)
Oltre cinquanta sono i mercati realizzati in città sulla penisola italiana; la maggior parte di
questi hanno scadenza mensile, altri rinnovano l’appuntamento settimanalmente. Fanno
eccezione i mercati di Taranto e Vignola che offrono giornalmente i prodotti degli
agricoltori locali. Il mercato è stato fatto in maniera molto sentita da quelle città con
fortissima identità alimentare come occasione per valorizzare il territorio. Il mercato, che,
in alcuni casi non è localizzato in un luogo, ma piuttosto distribuito sul territorio, integra
2
Molti milanesi nei week end affollano la collina di Montevecchia per raggiungere le cantine, le aziende che
producono formaggi locali e colgono l’occasione per fare una scampagnata.
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così la vendita diretta con servizi culturali e degustazioni all’interno delle fattorie,
educando l’acquirente ad un uso ricreativo degli alimenti.
Le regioni dove oggi sono più presenti i mercati del contadino, organizzati sotto la rete Res
Tipica, sono: l’Emilia Romagna, la Toscana, il Piemonte, la Lombardia e la Sicilia. Il dato
rilevante è che, in fase di iniziazione ci sono almeno altri cinquanta comuni, molti dei quali
si trovano al sud.
Dal momento in cui il territorio rappresenta il palcoscenico all’interno del quale
ambientare questa esperienza, il mercato dovrebbe costituire un percorso mediante il quale
i visitatori- acquirenti, conoscono il mondo dell’agricoltura e accrescono la loro cultura
alimentare, come già da anni accade per l’enogastronomia. Se tutti i mercati Res Tipica
avessero questo imprinting, acquisirebbero la dimensione di viaggio all’interno delle
tradizioni e dell’identità.
Si possono mettere a fuoco alcune considerazioni a sostegno del fatto che i mercati del
contadino siano uno strumento valido per favorire lo sviluppo sostenibile dei territori. In
primis come già ricordato, essi offrono ai visitatori la possibilità di accedere alla cultura
locale attraverso la gastronomia, ospitando al loro interno prodotti tipici del territorio
naturali e trasformati. La multifunzionalità dei mercati, offre spazi dedicati all’educazione
alimentare per adulti e per bambini. La creazione di una coscienza critica, grazie al
confronto con i visitatori e la rete Res Tipica, offre la possibilità di ampliare la capacità di
attrazione, il raggio azione e il bacino d’utenza.
Il mercato è espressione di un territorio ed è opportuno che attorno ad esso si mobilitino
tutti gli attori che vi operano. L’ente locale è importante in quanto garante
dell’accessibilità, della pulizia e accoglienza dello spazio pubblico; le imprese agricole
fanno la loro parte presentando i prodotti e, laddove possibile, raccontando le tecniche di
produzione; legate alla produzione, i ristoratori è importante che sviluppino nei loro locali,
3
dei percorsi culinari che utilizzino i prodotti locali e piatti della tradizione locale.
Con l’emanazione del decreto del ministero delle Politiche Agricole, in vigore dal primo
Gennaio 2008, i mercati contadini, presto si svilupperanno con facilità in Italia. Tale
decreto, permette lo sviluppo di circa cento mercatini nelle città italiane entro l’anno, con
una previsione stimata per il 2010 di cinquecento mercatini attivi per un totale di circa
3
Usanza già molto sentita in regioni del nord quali: Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Val
Chiavenna e nel Cremasco. Anche nelle regioni del centro: Toscana, Umbria, Marche. Infine nelle regioni
del sud si distinguono: Puglia e Sicilia.
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settemila imprese agricole coinvolte (Dossier sui mercati dei prodotti agricoli locali,
2008).
I mercati contadini sono nati in Alto Adige e sulla traccia di questi si stanno espandendo in
tutta Italia. La Toscana a proposito, ha sviluppato il progetto “Filiera corta”, mettendo
fondi a disposizione per sviluppare i mercati contadini sul territorio, facilitandone la
diffusione grazie agli incentivi messi a disposizione. A suo modo, la Sicilia attraverso le
domeniche d’eccellenza allestite a Palermo, ha registrato circa 1500 rapporti commerciali
tra produttori e consumatori. La Puglia si contraddistingue con il farmers market di
Taranto, attivo dal 1995 (Dossier sui mercati dei prodotti agricoli locali, 2008). La filiera
corta garantisce al consumatore un prezzo conveniente rispetto alla distribuzione canonica,
oltre ad una freschezza e rintracciabilità del prodotto. Le considerazioni fino ad ora
riguardano i vantaggi a favore del consumatore, non meno importanti sono i vantaggi che
riguardano in primo piano il produttore. La multifunzionalità dell’agricoltura consente
maggiori entrate, non solo dalla vendita dei prodotti, ma i produttori hanno la possibilità di
organizzare attività culturali, didattiche e dimostrative, tramite le quali accrescere
ulteriormente i guadagni.
I mercati Res Tipica, stanno diventando una realtà del nostro paese e l’espansione a
macchia d’olio ha fatto si che nascesse un sito internet dove trovare ora e luogo di
svolgimento dei mercati del contadino in Italia (www.mercatotipico.it).
2.1.1 I farmers market nel mondo
I mercati contadini sono attivi già da anni. I primi paesi dove hanno avuto successo sono:
Francia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti. Importanti sono le differenze tra la storia e
le tradizioni di questi paesi con l’Italia, come molto significative sono le differenze sulla
cultura alimentare ed i modelli e modi di consumo. In questi paesi ci sono degli elementi
che accomunano la modalità con la quale vengono eseguiti i mercati e sono:
◊ la cadenza settimanale per la gran parte dei mercati;
◊ la presenza di modelli di controllo volti a verificare la qualità degli alimenti e delle
loro provenienza;
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◊ il contenuto raggio di provenienza dei prodotti;
◊ l’integrazione del mercato con le attività culturali, legate alla tradizione
enogastronomica e non solo;
◊ la presenza di un associazionismo che tutela e valorizza i contenuti dell’economia
rurale, organizzando attività di educazione alimentare e di cucina;
◊ un bacino di utenza fortemente fidelizzata che assicura lunga vita al mercato.
STATI UNITI D’ AMERICA (USA) Negli USA il numero dei mercati contadini, nati nello
4
stato della California negli anni novanta, è cresciuto più del cinquanta per cento nell’arco
di otto anni. La diffusione dei farmers market, non riguarda solo i piccoli centri della
Figura 4 Foto del noto farmers market di Los Angeles
(www.golosangelescard.com)
California dove essi sono nati perchè sono una realtà oggi che coinvolge centri urbani
come New York, San Francisco e Los Angeles. Nel 2002, gli agricoltori che hanno
venduto nei farmers market ammontavano a diciannove mila, a New York, la società
Greenmarket Farmers Market gestisce cinquantaquattro mercati frequentati da centinaia
di migliaia di consumatori localizzati tra Manhattan, Brooklyn e Staten Island, degno di
4
Iniziativa della biochef Alice Waters, titolare del ristorante Chez Panisse di Barkley.
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considerazione è il farmers market istituito da poco nel Bronx, che punta a migliorare la
dieta della gente che vi abita.
A Madison, nel Wisconsin, dove la prima vendita diretta si è registrata nel 1972, si è
arrivati a una formula di concertazione tra farmers market e abitanti del luogo, infatti, il
Comune fornisce alle persone meno abbienti dei buoni spesa da utilizzare nel mercato
contadino, e i ristoranti hanno instaurato un ottimo rapporto con gli stessi mercati,
utilizzando i prodotti degli stessi come elemento di certificazione della buona qualità dei
loro alimenti e piatti. A Madison, i primi clienti sono le cosiddette “giacche bianche”,
ovvero i cuochi dei ristoranti e degli alberghi della città. Essi arrivano nelle prime ore del
mattino per assicurarsi le primizie e avere una maggiore scelta. Il mercato di Madison, è
nato sotto la tutela della città e della contea, ora è gestito da un organizzazione no profit
composta da circa trecento membri; a tale comitato se ne affianca uno di gestione
composto da un direttore e sette collaboratori. Questi vengono scelti tra gli espositori. Il
comitato di gestione, si occupa di verificare le regole e formulare eventuali proposte per
gestire l’offerta. I venditori, per qualificarsi come membri del mercato, devono occuparsi
in primo luogo della gestione e produzione dei prodotti che intendono vendere, il
proprietario- titolare dell’esercizio, deve essere sempre presente al mercato fisicamente.
Questo punto è estremamente importante, la presenza del proprietario serve a rispondere a
domande del tipo: “Come è stato prodotto? Con quali tecniche?” o “Come posso
utilizzarlo?”, esso deve inoltre prendere decisioni in merito a variazioni di prezzi e offerte
speciali. I prodotti trasformati devono provenire da materie prime aziendali, il venditore, si
occupa di firmare un contratto con il quale il direttore del mercato sarà autorizzato a
5
ispezionare l’azienda in qualsiasi momento e per qualsiasi tipo di motivo. Oltre a queste
esperienze, negli Stati Uniti, grazie agli incentivi offerti a favore dei mercati contadini da
parte dello Stato, sono sorte iniziative degne di nota e mirate alla cura dell’alimentazione
di fasce di popolazione ben precise. Il primo Women infants and children farmers market
nutrition program venne istituito nel 1992, tale programma era destinato ad offrire frutta e
verdura di qualità, a donne e bambini a rischio nutrizionale. Sulla scia dell’esperienza del
mercato per donne e bambini, nel 2002, fu avviata l’iniziativa chiamata Senior farmers
market nutrition pilot, per offrire alla popolazione anziana a basso reddito, buoni spendibili
nei mercati.
5
A fianco del direttore, opera il Dipartimento della salute, esso si prende la responsabilità di ispezionare
temperatura delle celle frigorifere, norme di igiene, etichette etc…
20
Il Dipartimento dell’Agricoltura, è impegnato nella promozione dei mercati contadini e
nella gestione di tutte le forme di vendita diretta, nel 2006 ha promosso la prima settimana
nazionale dei mercati contadini. L’istituzione di questi mercati, ha contribuito negli anni di
attività, a risanare e rianimare i centri storici che non erano più frequentati. Queste
esperienze, avviate ormai anche in suolo europeo, hanno nel corso degli anni, elaborato
modelli organizzativi ormai consolidati e forti, da assicurare ai progetti un sicuro successo.
REGNO UNITO
La Gran Bretagna, è uno dei paesi europei con maggior tradizione in materia: i primi
mercati sono apparsi nel 1997 ed il loro numero è raddoppiato negli ultimi anni. I farmers
market, sono riusciti a coinvolgere una decina di milioni di consumatori i quali hanno
raggiunto un buon grado di fidelizzazione. Farma, è una delle associazioni nazionali di
mercati e dei punti di vendita contadini, si occupa di: promuovere e fornire assistenza
tecnica, lavorare per la loro espansione, della certificazione dei mercati, aiutare ad
ottimizzare il contatto con i consumatori e indicare come differenziarsi dai mercati
ambulanti tradizionali. Questa associazione, rappresenta gli interessi dei mercati presso le
istituzioni locali. I farmers market, in suolo britannico, sono disciplinati da una specifica
normativa, che prevede, per le imprese partecipanti, il rispetto di alcuni parametri sulla
compatibilità ambientale, il benessere animale, si occupa inoltre di fornire, uno specifico
schema di controllo e di certificazione dei prodotti. Un’altra associazione, che funziona
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analogamente, è il National farmers Union.
FRANCIA
Le prime esperienze, risalgono a una quindicina di anni fa nel dipartimento di Aveyron,
oggi, in varie formule a seconda dei territori, la vendita rappresenta il 20% del totale
commercio del settore. Il ruolo di coordinamento e promozione viene spesso svolto dalle
Chambres d’Agriculture, questa attraverso l’adozione di una Carta degli Impegni e di un
Regolamento, danno rigide regole ai mercati tramite anche la condivisione di uno stesso
logo e di campagne di promozione. L’evoluzione dei mercati del contadino in Francia, ha
avuto una trasformazione graduale linguistica prima che fisica, da Marché de pays si è
trasformata in Marché de producteurs de pays e infine in Marché paysan. L’evoluzione
linguistica, non è da considerarsi solo come tale, infatti, essa, è una precisa strategia di
6
www.nfu.org.uk
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marketing; nell’ultima formula del termine, possono essere ammessi produttori agricoli che
vendono solo i propri prodotti, negli altri casi, possono essere presenti artigiani e
commercianti con prodotti locali in generale. I mercati contadini, necessitano di
un’autorizzazione alla vendita e all’uso del suolo pubblico. In un secondo tempo, i
produttori, firmano una carta degli impegni, la quale precisa, i requisiti dei partecipanti e il
fatto che sono agricoltori in attività regolarmente iscritti alla Mutualité Sociale Agricole. I
prodotti sono infine sottoposti a rigide norme, primo tra tutti come presupposto
imprescindibile è che non devono aver subito nessun tipo di trattamento industriale, oltre
ad essere conformi alle norme vigenti in materia di tutela dei consumatori e sicurezza
igienico- sanitaria.
GERMANIA
In Germania attualmente, sono attivi più di cinquemila mercati contadini (Bauenmarkt).
Una delle prime realtà è sorta nel 1992 a Coburgo, in Baviera, uno dei Länder con maggior
tradizione rurale. Essa oggi è una delle esperienze tedesche più avanzate. Dopo una prima
esperienza fallimentare, il progetto è stato accuratamente ridefinito tramite uno studio che
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ha analizzato le attese dei consumatori e le potenzialità del mercato. Il risultato finale di
questo studio, fu l’elaborazione di un logo da riportare sulle strutture adibite alla vendita,
sulle borse, sugli acquisti e sui depliants utilizzati per la promozione. Oggi come oggi, il
mercato cittadino di Coburgo, ha riscosso un successo tale che, oltre ai buoni profitti che
continua a generare, gli amministratori e i cittadini, lo possono utilizzare come mezzo per
8
l’animazione del centro storico e strumento di marketing urbano. L’esperienza di Coburgo
ha fatto scuola in Baviera, infatti, sulla scia del primo mercato del contadino, ne sono nati
circa centosessanta. Importante da segnalare che, alcuni dei mercati contadini, aumentano
addirittura del 50% il volume di affari degli esercizi adiacenti alla piazza dove vengono
svolti (Dossier sui mercati dei prodotti agricoli locali, 2008).
Dal 1994, si tiene nei primi giorni dell’anno, la conferenza sul mercato contadini bavarese.
La popolazione di Monaco conta su quaranta mercati contadini settimanali. Il Ministero
dell’ Alimentazione, l’ Agricoltura e l’ Ambiente ha promosso, fina dal 1998, un progetto
pilota per ottimizzare i mercati contadini bavaresi con il compito di elaborare nuove
7
Tale studio si basa sulla considerazione di: domanda commerciale, struttura dell’offerta, analisi dei giorni e
dei luoghi del mercato.
8
www.stadt.coburg.de
22
proposte, curare la formazione delle figure dirigenti dei mercati e l’immagine di
quest’ultimi; è inoltre stato elaborato appositamente per i mercati, un marchio di qualità.
Le esperienze di questi quattro paesi, hanno fatto scuola; in particolare la California in
tema di mercati contadini. La diffusione sempre più grande e l’acquisto di importanza di
queste strutture è un buon auspicio alla rivalutazione dei territori e dei paesaggi in quanto
entità culturali- sociali- ambientali uniche.
3 La filosofia Slow Food si espande alla città intera: nasce Cittaslow
International
Cittaslow è un’associazione fondata ad Orvieto nel 1999 da un gruppo di comuni,
impegnati a promuovere fra i cittadini, una migliore qualità della vita e una particolare
attenzione alla cultura dell’alimentazione e del buon vivere. “Buon vivere” significa
disporre di soluzioni e servizi che permettano ai cittadini di fruire in modo semplice e
godibile della propria città. Le Cittaslow sono piccoli centri sparsi in tutto il mondo, che
hanno formato una rete internazionale e decidono insieme di condividere esperienze, a
partire dalla sottoscrizione di un codice verificabile e di requisiti dai quali non possono
prescindere.
Cittaslow ha allargato l’attenzione al buon cibo a settori oggi, più che mai, di valore
estremamente importante quali: il territorio, l’ambiente, l’energia, i trasporti, il turismo, la
formazione e la buona qualità del tessuto urbano.
Lo scopo dei comuni che aderiscono, o chiedono la certificazione, è di ritrovare una
propria identità, visibile all’esterno, e profondamente vissuta all’interno, conciliando
tradizione del luogo e l’apertura verso il mondo globale, una tale ottica ha introdotto il
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neologismo di glocal.
Ad oggi, le città aderenti alla rete nazionale e Internazionale del movimento risultano
essere 112, comprese due certificate con riserva, e cinque sono in corso di certificazione
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GLOCAL: concetto oggi è molto caro alle discipline geografiche, e in generale a chi si cura dello studio
dei territori
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