1 . L A V I S I O N E C I N E S E D E L L’ O R D I N E
MONDIALE: UNA PROSPETTIVA STORICA
L’architettura dell’attuale sistema internazionale fondata nel 1945, non è
cambiata da quella data, momento in cui la Cina aveva un suo posto nel nuovo
sistema. Dopo il 1949, però, alla Repubblica Popolare Cinese, in seguito alla
vittoria dei Comunisti nella guerra civile contro i Nazionalisti di Chiang Kai-
shek (obbligati a ritirarsi sull’isola di Taiwan)
1
, fu negato un posto in questo
contesto. Fu solo nel 1971, quando fu riammessa nelle Nazioni Unite come unica
rappresentante della Cina, che la situazione cambiò. Fu da quel momento che
iniziò una partecipazione sempre più attiva di figure del Partito comunista cinese
nelle organizzazioni internazionali, anche se solo dopo la fine della Rivoluzione
Culturale, l’atteggiamento nei confronti dell’Onu mutò radicalmente e il corpo
diplomatico cinese si attivò pienamente nelle numerose agenzie ed ai vari livelli
di quella vasta organizzazione. Iniziò, così, una stagione in cui varie figure delle
Nazioni Unite ed esperti della Banca Mondiale aiutarono la Cina nel suo
passaggio da un’economia pianificata ad una più vicina a quella di mercato,
permettendo anche ai politici cinesi di imparare a gestire le relazioni nel contesto
internazionale; così, progressivamente, i quadri del partito guadagnarono fiducia
nel sistema internazionale, vedendolo come un possibile vantaggio al
raggiungimento dei loro propri obiettivi.
Esaminare le dinamiche interne della Cina può aiutare a capire se essa abbia
la forza di influenzare l’ordine mondiale, da una parte, mentre, dall’altra, è
5
1
J.A.G. Roberts, Storia della Cina, 2002.
possibile capire quanto il suo ruolo nelle relazioni globali sia influenzato e
modificato dal nuovo sistema esterno. Secondo Wang Gungwu, contrariamente al
senso comune, Pechino non ha completamente sotto controllo le proprie azioni e
tantomeno sa cosa diventare nel prossimo futuro: “Il rapido sviluppo economico
e l’indebolimento della legittimità ideologica si stanno fondendo facendo
dell’ascesa cinese una sfida molto più grande di quello che si poteva immaginare.
Crescita economica, sviluppo tecnologico modernizzazione dell’esercito sono
tutte importanti elementi da considerare, ma lo sono anche il nazionalismo,
l’aggravarsi delle disparità sociali, la relazione centro-periferia, la riforma della
burocrazia statale, etc. L’equilibrio del potere a livello internazionale, le
organizzazioni internazionali, la globalizzazione e la conseguente
interdipendenza sono altrettanto importanti quando si considerano gli effetti della
crescita cinese, dato, che questi fattori rappresentano incentivi e vincoli al
comportamento internazionale della Cina”
2
. Gungwu ritiene che la tradizione
degli studi del prof. John King Fairbank (tradizione che dà una notevole
importanza al ruolo delle questioni di politica interna della Cina nell’influenzarne
il suo comportamento esterno), sia molto utile oggi per spiegare il
comportamento internazionale della Cina, anche se questo approccio è spesso
poco considerato tra gli studiosi della sua politica internazionale. Questa
tradizione di studi, pur esaminando la visione cinese tradizionale precedente
all’epoca moderna, gioca ancora oggi un ruolo determinante se si voglia capire
l’azione cinese, perché individua alcuni punti fondamentali importanti
storicamente. Questi sono: il rapporto con i vicini asiatici, caratterizzato dal sino-
centrismo e dalla preminenza della Cina rispetto agli altri stati, (l’ordine esterno
era visto in base all’organizzazione interna cinese, un ordine gerarchico e non
egualitario); inoltre, l’ordine esterno era in simbiosi con quello interno, dato che
se i “barbari” all’esterno non venivano sottomessi, era più difficile gestire la
6
2
Nostra traduzione: W. Gungwu, China and the New International Order, 2008, p. 4.
situazione anche internamente; poi, la tradizione delle precedenti esperienze
storiche della Cina non sono conformabili all’esperienza europea delle relazioni
tra stati sovrani, con la logica conseguenza della difficoltà che la Cina ha avuto
ad adattarsi all’ordine globale nel XIX e XX secolo; infine, la visione
tradizionale cinese dell’ordine globale è difficilmente definibile come
internazionale, vista la mancata corrispondenza con i concetti occidentali di
sovranità, nazione o uguaglianza. Tutto ciò non significa che il pensiero politico
della Cina nel XXI secolo sia rimasto immutato, continuando a vedersi essa
come centro del mondo e tesa ad imporre il proprio ordine gerarchico verso
l’esterno, anche se:
∞
i principi dell’ordine interno e di quello esterno della Cina sono
strettamente interdipendenti, in modo che, per comprendere a fondo la
posizione cinese nel mondo è fondamentale capire il suo ordine interno;
∞
l’interpretazione della storia e delle tradizione influiscono notevolmente
sul pensiero politico cinese;
∞
per comprendere le relazioni esterne della Cina, è necessario prima capire
come i cinesi percepiscono l’ordine mondiale.
1.1. Le fasi di adattamento al nuovo ordine internazionale
Secondo Gungwu, ci sono state quattro fasi nella storia contemporanea
della Cina nel suo adattamento all’emergere di un nuovo sistema internazionale
3
.
I quattro stadi prendono inizio dalla seconda metà del XIX secolo, quando il
risultato delle due Guerre dell’Oppio mise in serio pericolo la visione della Cina
riguardo all’ordine esterno; nonostante, comunque, la minaccia fosse reale, non
fu presa seriamente come qualcosa che avrebbe potuto portare a cambiamenti
permanenti nel sistema di relazioni tributarie che durava da più di mille anni.
7
3
W. Gungwu, op. cit., 2008, pp. 25-27.
La Cina sotto la dinastia Qing (1644-1912), non vide la necessità di
cambiare, anche se riconosceva l’esistenza di un nuovo ordine internazionale
dominato da grandi potenze. Agli occhi dei cinesi molti di questi stati potevano
essere considerati imperi o aspiranti tali, ma in realtà, le potenze europee erano
viste principalmente come stati-nazione a volte troppo piccoli per essere degli
imperi. Quello che dava autorità alle nazioni dell’Europa era il sistema basato sul
principio della ‘sovranità’ (concetto sconosciuto in Cina, come vedremo) emerso
dalla pace di Westfalia. La percezione che la dinastia Qing possedeva di se stessa
e che la faceva considerare come un grande potenza che era anche un impero, la
portò a sentirsi non inferiore agli altri stati. In aggiunta, il vecchio sistema
imperiale rimaneva in piedi (l’impero Russo, Ottomano e Austro-Ungarico erano
ancora in vita) nonostante la sfida portata dallo Stato-nazione, emerso come una
forma di governo e di organizzazione della società efficiente e che poteva portare
a risultati sorprendenti (come nei Paesi Bassi, in Inghilterra e in Francia). Per
queste ragioni la Cina dei Qing non era ancora pronta ad apprendere alcuna
lezione.
Fu nella fase che arrivò successivamente alla sconfitta della Cina col
Giappone nel 1894-95 che ci si rese conto della gravità e serietà della minaccia e
l’idea del Tianxia ( letteralmente: “tutto sotto il cielo”) scomparve, facendo
cessare l’illusione che la difficile situazione in cui la Cina versava, fosse solo
temporanea e che ci fosse ancora tempo a disposizione per potersi adattare ai
nuovi equilibri senza perdere potere e prestigio nella regione.
In seguito a questo brusco risveglio e alla presa di coscienza della dura
realtà, iniziò un periodo di grande confusione e instabilità, anche a livello
internazionale, con le potenze europee in lotta tra di loro. Si veniva a delineare
una situazione in cui le regole internazionali e l’ordine internazionale veniva
minacciato da potenze revisioniste, come l’emergente Germania, che rifiutava lo
status quo stabilito dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dalla Russia; e dal
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Giappone in Asia (e che portò inevitabilmente alla Prima Guerra Mondiale). Fu
allora che alla Cina fu ormai chiara la propria debolezza, aggravata dalla
situazione di instabilità seguita dalla fine della dinastia Qing con la rivoluzione
del 1911. La nuova Repubblica del 1912, passò dopo pochi anni in uno stato di
guerra civile, una fase conosciuta come “l’epoca dei signori della guerra”. La
situazione interna era resa ancor più instabile dalla minaccia esterna proveniente
dal Giappone che aveva iniziato una politica aggressiva dovuta ai suoi crescenti
interessi economici nell’Asia del nord-est, in cui non si faceva più mistero delle
sue mire espansioniste, inevitabilmente culminate nell’invasione del 1937 in
Manciuria e continuata con un’estrema debolezza interna fino al 1949.
La Società delle Nazioni creata alla fine della Prima Guerra Mondiale per
far fronte alla grave crisi dell’ordine mondiale era considerata dalla Cina un
meccanismo di gestione e controllo inefficiente e nella quale non riuscì ad avere
piena fiducia, perdendola totalmente a seguito dell’impotenza dimostrata
dall’organizzazione nell’impedire la creazione da parte del Giappone dello stato
fantoccio del Manchukuo, che gli permise di stabilirsi nella Cina del nord e nella
Mongolia Interna. Ciò fu aggravato dal non secondario fatto che il sistema post-
guerra mondiale, non impedì lo scoppio della ben più ampia e devastante
Seconda Guerra Mondiale, portando i cinesi ad assumere un determinato
atteggiamento di scetticismo verso l’ordine internazionale.
La vittoria alleata nel secondo conflitto mondiale portò ad una certa
speranza in Cina; la fondazione delle Nazioni Unite portò molti leaders politici a
credere che un nuovo ordine internazionale fosse possibile e che la Cina avrebbe
potuto giocare un ruolo non secondario in esso. I diplomatici cinesi basandosi sui
principi dell’uguaglianza delle nazioni e portando avanti un’immagine della Cina
di vittima del Giappone, attuarono una diplomazia con l’obiettivo principale di
difendere la propria sovranità e che mirasse a far considerare i confini della
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dinastia Qing come coincidenti al nuovo stato-nazione cinese e aspettandosi un
loro riconoscimento da parte della comunità internazionale.
Quegli anni risultarono alquanto turbolenti sia a livello globale sia nella
politica interna cinese con l’inizio della Guerra Fredda e la fine della Guerra
Civile contro il Kuomintang. L’ordine bipolare uscitone, era, agli occhi dei
cinesi, un ordine ineguale: dove le due superpotenze si trovavano al di sopra di
qualsiasi ordine internazionale ed era nell’interesse della Cina respingerlo,
mirando ad un altro tipo di sistema che potesse rimpiazzarlo. La paura era di
ritornare alla situazione precedente di insicurezza e vulnerabilità, con la
percezione di essere intrappolata tra le due superpotenze. La Cina volse, così, più
attentamente il proprio sguardo al Terzo Mondo, dando inizio ad una politica che
la fece diventare stato-esempio, guida per gli altri paesi in via di sviluppo.
Il risultato di questo lungo periodo, insegnò alla Cina la necessità di non
dipendere dalle altre grandi potenze e di pensare principalmente ai propri
interessi strategici cercando di influenzare il sistema, di qualunque tipo esso sia.
L’ultimo stadio si può indicare con l’inizio dell’era delle riforme e della
“porta aperta”, dove la Cina ha sviluppato un nuovo approccio verso l’ordine
internazionale, grazie alla strategia internazionale di Deng Xiaoping. La Cina
comprese che non era possibile costruire un ordine mondiale sino-centrico,
decidendo così di far parte dell’esistente ordine globale, in quanto solo in questo
modo la Cina avrebbe potuto imparare a trattare con le altre grandi potenze.
Ferma convinzione cinese era il fatto che l’esistente ordine fosse aperto a dei
cambiamenti. Le dichiarazioni dei leaders cinesi andarono proprio in questa
direzione, auspicando un nuovo ordine internazionale più giusto ed equo.
Dagli anni novanta in poi, in contrasto con il periodo della Guerra Fredda,
quando la Cina era incline a cambiare qualsiasi status quo che non le fosse
favorevole, la Cina, si comporta di più come una potenza conservatrice
dell’ordine, che vuole mantenere inalterati i confini, le leggi e le strutture
10
internazionali più o meno come sono attuali. Questo è confermato dall’opinione
di molti paesi dell’Onu che considerano il comportamento cinese come tale. In
contrasto alla posizione cinese c’è quella degli Stati Uniti, specialmente dopo
l’intervento in Iraq del 2003 e per il prosieguo dell’Amministrazione Bush. Gli
Usa ritenevano legittimo intervenire unilateralmente negli affari interni degli altri
stati, provocando forti critiche a livello globale, ma anche all’interno degli stessi
Stati Uniti (oggi, sembra unanime nei commenti della stampa americana il
cambio di rotta intrapreso dall’Amministrazione Obama verso una migliore
immagine statunitense nel mondo, anche se non c’è accordo tra i commentatori
sulla concretezza e positività dei risultati raggiunti dal nuovo presidente in
politica estera
4
. Inoltre il nuovo atteggiamento americano sembra confermato
dalla National Security Strategy rilasciata il maggio scorso).
5
La posizione “bushiana” non era ben vista da Pechino, che si orientava a
sviluppare un sistema internazionale equilibrato e multilaterale, che fosse
efficace nel contenere gli Stati Uniti (la potenza egemone), pur non cercando un
confronto diretto con gli Usa, forti dell’esperienza dell’Unione Sovietica la cui
implosione, secondo i politici cinesi, fu causata proprio dal suo atteggiamento di
competizione per il primato con l’altra superpotenza che ne aveva indebolito la
capacità economica.
Tutto ciò non significa, però, che alla Cina debba essere riconosciuta
un’affidabilità superiore a quella degli Stati Uniti negli affari internazionali.
Infatti ci sono ripensamenti sulla solidità del reale impegno cinese in questa fase
storica: ha spesso visto le Nazioni Unite come incapaci di rispondere
efficacemente alle crisi internazionali causate da violazioni di sovranità a danno
dei paesi più deboli da parte dei vicini più forti (o di risolvere pacificamente il
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4
Z. Brzezinski, “From Hope to Audacity”, Foreign Affairs, vol. 89, no. 1, January/February 2010; W.R.
Mead, “Cosider Lincoln”, The American Interest, January/February 2010; J.T. Mathews, “Solid and
Promising”, The American Interest, January/February 2010; J.S. Nye, “Good Start, Long Road”, The
American Interest, Winter 2010; P. Baker, “Obama Puts His Own Mark on Foreign Policy Issues”, New
York Times, 13/4/ 2010.
5
P. Baker, “Obama Offers Strategy Based in Diplomacy”, New York Times, 22/5/2010.
cambio negli equilibri di potenza). Ne emerge che la Cina ha una scarsa fiducia
nell’efficacia delle leggi e delle norme del sistema internazionale nel risolvere le
crisi di varia natura e, così, a volte, il comportamento cinese può essere visto
come realista, se non cinico, nell’usare il contesto delle strutture internazionali
per perseguire il proprio interesse nazionale, anche se ha, nella scarsa prontezza
nel difenderlo. Comunque, fintanto che il sistema si adatterà agli interessi cinesi,
la Cina lo sosterrà.
1.2. Caratteristiche fondanti di un ordine mondiale più stabile
Un mondo unipolare, nella visione della Cina, non può essere un mondo
che garantisca la stabilità a lungo. La visione dell’ordine internazionale
dell’Amministrazione Bush, descritta molto bene da Joseph Nye in un articolo
apparso su Foreign Affairs nel 2003, vedeva gli Usa come una potenza che
doveva affrontare delle sfide talmente gravi che si rendeva necessario non
rispettare il sistema multilaterale costruito dopo la Seconda Guerra Mondiale
6
. Il
nuovo ordine da costruire era basato sulla superiorità militare (gli Usa hanno la
metà della spesa militare mondiale), in contrasto con la struttura multilaterale
delle Nazioni Unite (incapaci di far rispettare l’ordine nel mondo).
Un tale sistema non può non essere considerato instabile dalla Cina che
considera, al contrario, un sistema stabile quando possiede tre caratteristiche di
base conosciute nell’attuale ordine: un sistema multipolare bilanciato;
un’economia globale regolata da norme di mercato, sempre più interdipendente e
a più livelli; un mondo composto da moderne, razionali, secolarizzate civiltà.
12
6
J. Nye, “US Power and Strategy After Iraq”, Foreign Affairs, vol. 82, no. 4, Jul/Aug 2003.
Il primo elemento è condotto alla preferenza da parte della Cina di un
sistema multilaterale, che sia efficace nel contenimento di stati “egemoni”, dove
quindi nessuna potenza possa prendere il soppravvento sulle altre. Il Consiglio di
Sicurezza dell’Onu è considerato come un esempio di modello che potrebbe far
funzionare un futuro sistema internazionale e che, a quanto sembra, la Cina vuole
rendere più efficace.
Il secondo elemento ha avuto nella pubblicistica una larga trattazione. La
crescita cinese degli ultimi trent’anni ha “liberato” varie opinioni e “creato”
grandi quantità di dati e previsioni. Sicuramente una Cina stabile, considerata la
sua enorme popolazione, avrà sempre di più un ruolo primario nel delineare il
governo dell’economia globale, come si è visto durante la crisi che stiamo tuttora
attraversando. Altrettanto sicuro è il fatto che la Cina, con le altre economia
asiatiche, in particolar modo Taiwan, Singapore e la Corea del Sud, sta offrendo
delle strade alternative per lo sviluppo, che funzionano meglio di quelle offerte
dalle canoniche istituzioni economiche mondiali (FMI e Banca Mondiale). Ciò è
oggi conosciuto come il Beijing Consensus, che, relativamente alla parte
riguardante l’economia, si articola attorno all’intervento dello stato in maniera
costante nella gestione economica.
Infine il terzo elemento, quello meno realistico, è l’idea che il mondo sia
costituito da civiltà/culture moderne e razionali. Questo è ciò che i leaders cinesi
vorrebbero vedere. Per un mondo con queste caratteristiche l’obiettivo di
mantenere in vita gli aspetti culturali e le caratteristiche della civiltà in Cina:
1. Riscoperta dei valori del Confucianesimo
2. Il secolarismo cinese non ha mai sperimentato quella divisione tra stato e
chiesa che si è verificata in occidente, in modo che la fede e le credenze
cinesi tendono a sottolineare la razionalità umana, rendendola non
difforme dalle altre potenze del CdS. In altre parole la Cina vede la
propria civiltà come comparabile se non simile a quella degli altri.
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3. La modernità è conforme al principio dei mutamenti che sta alla base del
pensiero cinese, in quanto il cambiamento è una fonte di forza per le
civiltà nella loro crescita e rafforzamento. Questo è vero in linea di
principio, anche se la Cina nell’ultimo secolo ha sperimentato perdite oltre
ai fattori positivi (e quindi in futuro avrà bisogno di stabili principi
culturali per affrontare i valori provenienti dall’esterno).
In 150 anni di interdipendenza con il mondo esterno, la Cina ha introdotto
elementi e valori provenienti dall’esterno, integrandoli nella propria cultura,
diventando in grado di dare il proprio contributo nella definizione di un futuro
ordine globale.
1.3. Le due linee guida di carattere storico nella politica estera
cinese
È difficile stabilire quale sia il legame che intercorre tra la visione che la
Cina ha di se stessa e quella che, invece, hanno gli altri attori esterni delle sue
azioni. Si può affermare che il punto di partenza dei più importanti uomini
politici cinesi si trova nella millenaria storia e nelle origini della loro civiltà. Si è
fatto ripetutamente riferimento alle esperienze passate della storia cinese per
regolare la propria azione in politica estera. La visione degli attori dall’esterno
invece è molto più variegata e ampia: le tribù tribali dello Xinjiang o della
Mongolia vedono la Cina in modo diverso da chi proviene dalle foreste della
Manciuria o dalle montagne del Tibet. Queste minacce sono diverse dalla sfida
portata alla civiltà cinese dalle aggressive nazioni europee fin dal sedicesimo
14
secolo, e ancor di più lo sono i tentativi del moderno Giappone e della Russia di
smembrare l’impero Qing.
Ciò che ha determinato il comportamento e le azioni cinesi in politica estera
non possono essere spiegati se non partendo da due fattori basilari: uno è la lunga
tradizione del pensiero strategico cinese, l’altro è la fondamentale idea nel
pensiero cinese dell’inevitabilità del cambiamento, che deriva dal “Libro dei
Mutamenti”.
Il pensiero strategico cinese ha origine dal periodo delle Primavere e degli
Autunni e dal periodo degli Stati Combattenti. Fu durante quegli anni, poco più
di 500, tra l’ottavo e in terzo secolo a.C.
7
, che i leaders dei vari stati consultarono
vari filosofi e pensatori riguardo al segreto della vittoria e sulla sconfitta,
verificandosi gli sviluppi chiave nel pensiero politico e filosofico. Primo e
principale tra i maestri e filosofi di questo periodo fu il Maestro Kong,
conosciuto in Occidente come Confucio, vissuto tra il 551 e il 479 a.C.: i suoi
pensieri riguardavano in primo luogo il modo in cui un sovrano doveva
governare. Si rifaceva molto al passato per ricavarne insegnamenti per il presente
per risolverne in modo creativo i problemi. Un altro fondamentale filosofo fu
Mozi, entrambi, a dispetto delle differenze, erano uniti nella loro ricerca dei modi
per rendere il mondo un luogo migliore in cui vivere.
Il periodo di guerre tra i vari sovrani portò alla vittoria e alla fondazione nel
221 a.C. della Dinastia Qin, il cui sovrano fu dichiarato huangdi (sommo
imperatore), implicando che si trattava di un titolo politico e che aveva l’unico
diritto di governare su il Tianxia (Tutto Sotto il Cielo), ovvero qualcosa di simile
alla fondazione di una civilizzazione.
Il cambiamento nel pensiero strategico avvenne sulla base di una diversa
premessa, con la fine degli scontri tra i vari regni e l’unità della Cina sotto un
15
7
“L’epoca degli Zhou Orientali, tradizionalmente divisa nel periodo delle Primavere e degli Autunni,
771-481 a.C. e degli Stati Combattenti 403-221 a.C., in cui la Cina era divisa forse in 15 stati feudali
maggiori, inframmezzati da un gran numero di feudi più piccoli”, J.J.A. Roberts, Storia della Cina, 2002,
p. 44.
unico imperatore: non si trattava più di combattere contro gli altri stati o
inglobare i vicini sconfitti, ma di cercare di mantenere lo stato-tianxia in vita il
più a lungo possibile. L’attenzione fu rivolta a qualcosa che l’élite politica poteva
riconoscere andare al di là del destino di qualsiasi dinastia, dell’imperatore stesso
o della creazione dell’impero, ossia verso quelli che erano i valori emersi da
secoli di interazione tra i vari stati e che avevano dato vita ad un sistema
integrato. Ne derivava che il “Figlio del Cielo” non era semplicemente un re o un
imperatore, ma fondamentale era il sistema di valori che aveva portato la Cina
dov’era. Identificare l’imperatore con il sole, significava considerarlo l’uomo più
potente e simbolo della civiltà, con una enorme concentrazione di potere nelle
sue mani e nella oligarchia che lo sosteneva.
Il secondo fattore, l’inevitabilità del cambiamento, non deve essere inteso
come se il mutamento dovesse avvenire frequentemente e in modo rapido. È
prima di tutto una aspettativa che le cose cambino. Il cambiamento, che non
avviene mai rapidamente, comprende anche quei principi e valori che si ha la
tendenza a considerare come assoluti e immutabili; il principio cinese secondo
cui nessuno può aspettarsi che tutto resti inalterato e al riparo dai cambiamenti,
che sta alla base delle decisioni di politica estera, risiede proprio in questo. I
cinesi non hanno mai visto alcun ordine politico come permanete e
immodificabile, anche se poteva essere un ottimo ordinamento: da cui derivava la
consapevolezza e la necessità di sfruttare al massimo il momento e i vantaggi che
quel dato sistema poteva dare, facendolo durare più a lungo possibile.
Ciò che oggi la Cina vede nell’ordine internazionale, è proprio il non
identificarlo come tale, bensì il prodotto della lotta tra le grandi potenze alla metà
del secolo scorso. Sistema sicuramente più efficiente del precedente costituito
dalla Società delle Nazioni, ma non egualitario, con le grandi potenze in una
posizione dominante. Un sistema, quello del 1945, imperfetto, basato
sull’incompleta decolonizzazione degli imperi coloniali (e seguito dalla Guerra
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Fredda) e il confronto tra due diversi sistemi ideologici per i successivi
quarant’anni. Questo cambiò in un sistema con un’unica superpotenza, situazione
che la Cina non vede come immutabile e che non potrà essere lo stesso per tutto
il ventunesimo secolo. L’aspettativa che la Cina pone nelle riforme è consapevole
che nessuna riforma potrà mai andare bene per tutti i paesi, favorendone alcuni e
svantaggiandone degli altri. L’azione della Cina mirerà a fare in modo che i
cambiamenti non vadano a suo svantaggio, cercando di mantenere e rafforzare la
propria posizione nel mondo.
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