1
Introduzione.
«La cittadinanza è un confine in movimento, l’esito di un processo attraverso cui
gruppi, diritti, equilibri di una società continuamente si ridefiniscono
1
».
La cittadinanza, provando a formulare una frase ad effetto, è passato, presente
e futuro dell’uomo. La concezione dei diritti di cittadinanza, dopo i tragici fatti
dell’11 settembre, è cambiata, in particolar modo verso chi cittadino (in senso di
appartenente ad uno Stato non è).
Lo scopo di questo lavoro è quello di descrivere le varie tappe del processo di
cittadinanza, esaminando i processi della comunità politica e istituzionale sia a
livello internazionale, europeo e nazionale con un accento particolare alla questione
di chi non è appartenente ad una comunità politica, ovvero quelle persone definite
come “stranieri”.
Con appartenenza a una comunità politica intendo, secondo la definizione
proposta dalla filosofa politica Seyla Benhabib, «i principi e le pratiche volte a
integrare stranieri e forestieri, immigrati e nuovi arrivati, rifugiati e richiedenti
asilo, nei sistemi politici esistenti»
2
.
I moderni Stati-nazione attualmente hanno nella propria agenda sia il
problema di selezionare chi può entrare nei i confini territoriali statali, sia quello di
come integrare, con la popolazione autoctona, chi già è all’interno dello Stato.
Per questo a proposito di integrazione, prendendo esempio da Stati di vecchia
immigrazione come U.S.A. e Canada, molti Stati di nuova immigrazione tra cui
l’Italia, studiano nuove politiche pubbliche di gestione della società multiculturale.
Va comunque rilevato che nel disporre la questione dell’appartenenza e
quindi nello stabilire le politiche della cittadinanza formale, lo Stato-nazione è
ancora l’unico decisore.
D’altra parte, anche se lo Stato-nazione decide attraverso la legge
l’appartenenza dei propri cittadini ma anche le modalità di ingresso e di uscita,
1
Cit. lett., George Fredrickson, Il mito americano dell’integrazione, articolo apparso sulla
Repubblica, martedì 15 agosto 2006, pag. 39.
2
Cit. lett., Seyla Benhabib, I diritti degli altri. Stranieri, residenti, cittadini, Raffaello Cortina
Editore, Milano, 2004, Introduzione pag. 1.
2
nello scenario globale “sono emerse nuove modalità di appartenenza, con il
risultato che i confini della comunità politica, per come erano definiti all’interno
dello Stato-nazione, non sono più in grado di dar forma all’appartenenza”
3
.
Questo lavoro ha caratteri multidisciplinari, in quanto tocca diverse discipline
dalla filosofia politica alla sociologia del diritto al diritto pubblico.
Vengono quindi esaminate (Capitolo I), le teorie di alcuni filosofi e giuristi
come Jean Bodin il quale concepì la prima definizione di Stato moderno, Ugo
Grozio, Hobbes e Locke principali esponenti del contrattualismo. Viene inoltre dato
risalto alla storia americana in particolare con la sua “Rivoluzione”, dove viene
concepito il documento che fonda la cittadinanza americana: la Dichiarazione
d’Indipendenza del 1776. Quindici anni dopo la “Rivoluzione Americana”, anche
l’Europa si appresta a porre le basi di una nuova cittadinanza attraverso il passaggio
da suddito a cittadino nel periodo della Rivoluzione francese.
Nel II Capitolo viene ripreso il discorso della cittadinanza e della sua
evoluzione nel periodo che va dalla metà dell’ 800 sino ai giorni nostri. Il passaggio
da suddito a cittadino comporta, soprattutto nel periodo della rivoluzione
industriale fino alla prima guerra mondiale, l’avvento dei diritti sociali, i quali sono
molto importanti perché assieme ai diritti civili e politici costituiscono, secondo il
sociologo T.H. Marshall, lo status di cittadinanza. Questa teoria sociologica dei
diritti è stata concepita negli anni ’50 del 1900, ma prima si è avuto un arresto della
cittadinanza e più in particolare dei diritti umani.
Mi riferisco al periodo delle due guerre mondiali, dove H. Arendt ha
elaborato, nel suo Le origini del totalitarismo, un discorso filosofico che vede al
centro la perdita dei diritti di cittadinanza e il concetto del “diritto ad avere diritti”.
Dopo la Seconda guerra mondiale il mondo si appresta a cambiare ancora
faccia in quanto vi è un secondo passaggio. Non più da sudditi a cittadini, ma la
cittadinanza si eleva a livello internazionale attraverso la Dichiarazione ONU del
1945 e in seguito altri patti internazionali come quello sui diritti economici, sociali
e culturali e quello internazionale sui diritti politici entrati in vigore nel 1976.
La cittadinanza non è solamente trattata nei documento giuridici; la presenza
di stranieri e di loro discendenti ha dato nuovi contenuti ad antiche questioni di
3
Ibidem.
3
teoria politica e giuridica: dalla cittadinanza alle forme di partecipazione politica,
dalla titolarità e garanzia di diritti fondamentali al rapporto tra minoranze e
maggioranza, tra comunità e individui, tra universalismo e relativismo, tra diritti
positivi e norme tradizionali o religiose. Si parla quindi di politiche rivolte al
multiculturalismo. Sempre nel capitolo II verranno affrontati i principali problemi
di cittadinanza nell’Unione Europea ormai allargata a 27 Stati.
Il terzo e quarto capitolo trattano in modo particolare la legislazione italiana
in tema di immigrazione (III Capitolo) e auto-organizzazione (IV Capitolo) degli
stranieri nel nostro paese. Il tema da qualche anno è all’interno dell’agenda politica
dei vari governi che si susseguono nel nostro Paese, qualcosa è stato fatto e molto ci
sarà da fare. In particolar modo il tema generale dello “straniero” viene sentito nel
nostro paese per diversi motivi e, nel 2007 la realtà migratoria è stata oggetto di una
crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica.
I fatti principali in oggetto hanno riguardato per esempio la prima rivolta
etnica da parte della comunità cinese di via Paolo Sarpi a Milano, l’ingresso di
Romania e Bulgaria nell’Unione Europea, gli scontri nei campi nomadi e la
questione dei rom, la disputa tra il Comune di Milano e il Ministro della Pubblica
istruzione riguardante la presenza dei figli di immigrati irregolari negli asili di
Milano, la sfida sul diritto di residenza lanciata da alcuni sindaci, in particolare dei
comuni del nord-est. Quest’ultimo fatto ha visto l’opinione pubblica dibattere su
questioni inerenti i diritti di cittadinanza verso gli stranieri in particolar modo nel
contesto locale..
Di conseguenza il nostro Paese deve fronteggiare un problema che, lasciando
stare le varie provocazioni di politici, presenta aspetti che bisogna analizzare e
conoscere, per il futuro. Secondo stime ufficiali curate dell’istituto ISMU, il
numero annuo di nascite dei figli di immigrati secondo differenti ipotesi di flusso
migratorio netto annuo dall’estero, nel 2020 presenta le seguenti diverse possibilità
in base al numero di flussi in entrata. Si stima in base a simulazioni statistiche che
se nel 2008 entrassero 150 mila immigrati, avremmo nel 2020 – 455 mila nascite,
se 250 mila ingressi 485 mila nascite e se 350 mila ingressi – 540 mila nascite.
4
Seppur viene rappresentata come una simulazione, è chiaro che nel 2020 ci
saranno molti più stranieri ed in particolare figli di stranieri e, l’Italia deve
rispondere in termine di politiche: da quelle del lavoro, al welfare, all’integrazione
delle varie culture, alla cittadinanza
4
.
Il terzo capitolo si propone quindi di dare un’ampia panoramica su cosa ha
fatto lo Stato italiano in termini di legislazione riguardante le politiche migratorie:
divise in politiche di controllo e in politiche d’integrazione e di cittadinanza.
Infine il quarto capitolo sottopone il problema dell’auto-organizzazione e
della partecipazione politica dei migranti in Italia.
Va subito precisato che la concessione del diritto di voto agli immigrati,
diritto riconosciuto in molti paesi europei, resta una questione apparentemente
lontana da una positiva definizione. Il dibattito politico e giuridico sull’estensione
del voto allo straniero si trascina irrisolto ormai da diversi anni. La legge dal punto
di vista formale ha dato il suo contributo; punto di partenza è la Turco-Napolitano
in quanto ha posto l’attenzione al problema
5
.
Tuttavia, il cittadino straniero seppur residente in Italia, ad oggi non può
votare alle elezioni locali in quanto il nostro paese ha ratificato attraverso la legge 8
marzo 1994, n. 206 la Convenzione di Strasburgo del 1992 inerente la
partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, ma non il capitolo
C relativo ai diritti di elettorato posti in essere nella Convenzione.
A fronte del problema per cui al cittadino straniero regolarmente residente nel
nostro paese manca il diritto politico, vengono esaminati nel quarto capitolo i vari
istituti a livello nazionale, regionale e locale che permettono la partecipazione
politica o meglio l’auto-organizzazione dei cittadini stranieri.
Il quarto capitolo si conclude con una breve indagine sulle politiche locali in
tema di partecipazione dei migranti e di servizi che i comuni mettono a
disposizione dei cittadini stranieri legalmente residenti in Italia.
4
Simulazioni di stime su dati ISMU, Cfr. A.A.V.V. (a cura di), Tredicesimo rapporto ISMU sulle
migrazioni 2007, Franco Angeli, Milano, 2007, pag. 58.
5
L’articolo 38, come appariva nell’originaria stesura del D.lgs. n. 286/1998, prevedeva, infatti, che
lo straniero, titolare della carta di soggiorno, potesse esercitare l’elettorato attivo e passivo nel
comune di residenza.
5
Verranno presi in esame due comuni della provincia di Milano, con
differenti esperienze e percorsi riguardo alcune politiche di partecipazione ed
inclusione, i comuni di: Pioltello e Desio.
6
1. Le origini dell’idea di cittadinanza.
Lo studio dei diritti di cittadinanza richiede molte conoscenze dal lato storico,
giuridico e sociologico.
Questo primo capitolo verterà esclusivamente sulla visione storico – giuridica
relativa al concetto di cittadinanza. A causa delle numerosissime vicende,
descrivere in un solo capitolo duemila anni di storia è estremamente complesso,
quindi mi limiterò a raccontare in maniera diacronica le tappe fondamentali dei
pensatori politici e i fatti storici che più hanno influenzato l’argomento medesimo.
1.1 I Greci e i Romani.
Con il termine cittadinanza si descrive la situazione giuridica in cui un individuo
viene dichiarato appartenente ad una comunità statale
6
. La definizione appare
lineare e semplice, ma, anche da quanto specificato nella nota enciclopedica, il
concetto mal si presta a una definizione sintetica, poiché il suo contenuto varia sia
in relazione ai singoli ordinamenti, sia ai diversi momenti storici.
Se si considera la storia dell’Impero Romano dove vi è stata una
colonizzazione culturale e giuridica non si può dimenticare l’Editto di Caracalla
dove l’Imperatore Costantino ordinò che tutti i residenti entro i confini dell’Impero
erano diventati cittadini romani. L’editto fu istituito in quanto l’Impero Romano
incominciò a entrare in crisi e, Costantino che era il tutore dell’ordinamento
centrale e centralizzato sentì il bisogno di dare importanza al centro e non alla
periferia in quanto si stavano espandendo con l’avvento delle popolazioni
barbariche diritti particolari. Ma con l’editto di Caracalla, Costantino non è riuscito
a mantenere il più possibile gli usi, i costumi, le religioni dell’impero: il piano di
Costantino di avanzare una omologazione giuridica non ha funzionato, infatti, nel
476 d.c. l’Impero Romano si considerò caduto.
6
AA.VV. Enciclopedia Europea Garzanti, Aldo Garzanti editore, Milano, 1979, Vol. 3°, pag. 467.
7
Questo mio breve riferimento, vuol far intendere che a distanza di duemila
anni seppur ci siano stati molti cambiamenti, il problema della cittadinanza è ancora
discusso e sentito, e probabilmente si sentirà maggiormente in un’era in cui si parla
di globalizzazione dei mercati, delle persone e del lavoro.
Dopo aver passato in rassegna un particolare fatto storico inerente
all’Impero Romano, è utile parlare della civiltà greca. Infatti, ai primordi della
“polis”, l’immagine umana era associata a un’idea della dignità che trovava piena
realizzazione solo nella personalità del cittadino appartenente a una data comunità,
grazie anche alla separazione dell’economia dalla politica. Il cittadino di Atene era
una persona libera in quanto poteva partecipare al governo della comunità dove
erano fusi in uno gli ordinamenti religioso, giuridico e divino. Bisogna però
precisare che il diritto degli uomini di essere liberi non valeva per gli schiavi, infatti
per Aristotele: «gli uomini sono, per natura, in parte liberi e in parte schiavi»…. Per
contro i liberi hanno tutto ciò che occorre alla vita pubblica. Dunque, la schiavitù
per il filosofo appare non solo utile, ma persino giusta (Politica, I, 5). Il fine della
comunità politica consiste, per Aristotele, nel tutelare la vita e i beni dei cittadini,
come anche nel promuovere lo sviluppo d’ogni loro inclinazione naturale.
La storia della cittadinanza si allaccia a quella dei diritti umani fondamentali
anche perché è proprio il soggetto inteso come uomo a cui bisogna fare riferimento;
i diritti e soprattutto l’appartenenza all’impero romano o alla polis costituiscono le
strutture portanti della cittadinanza. La religione e soprattutto le guerre di religione
sono state un tentativo di unire le varie popolazioni ma non ha funzionato.
Nel periodo delle civiltà greca e romana, non si può parlare di diritti umani
in quanto come detto prima vigeva la schiavitù ma si può già fare accenno
all’appartenenza.
Se i diritti di cittadinanza li possiamo collocare nei confini dello Stato, nel
Medio Evo, come sostiene lo storico Ruggero D’Alessandro
7
, la parola Stato non
era presente nel linguaggio politico ma vi erano tre importanti concetti:
• Civitas: lo stato cittadino, fiorente in varie regioni dell’Italia.
• Regnum: è la parola usata per indicare le monarchie territoriali.
7
R. D’Alessandro, Breve storia della cittadinanza, Manifestolibri, Roma, 2006, pag. 15.
8
• Respublica: riservata a designare la nozione di una comunità più ampia
espressione dell’universalismo romano e cristiano.
Il Medio Evo si caratterizzava per la presenza di due poteri: quello spirituale e
quello temporale. In questo periodo si avvicendano differenti sistemi di autonomie
e, proprio dall’insuccesso e dalla conseguente frammentazione del feudalesimo
monolitico dell’Alto Medioevo sorge la moderna compagine statale. Un elemento
che va considerato è il formarsi delle città, le quali simboleggiano un fattore di
aggregazione collettiva di singoli individui di per sé privi di potere rispetto alla
rigida scala gerarchica feudale.
Un esempio di limitazione dei poteri del sovrano nello scenario politico
dell’Europa Medioevale si ha con la Magna Charta del 1.215, dove si arrivò al
riconoscimento dei diritti di libertà (gli jura et libertates), divenuti più tardi una
delle radici storico-politiche dei diritti dell’uomo. Ovviamente nel caso inglese non
si può parlare di diritti dell’uomo come li intendiamo oggi ma piuttosto di diritti
corporativi. Gerhard Oestreich definisce la Magna Charta come un atto
costituzionale, con cui il monarca rinunciò a diritti nuovi (da lui pretesi) per
confermare gli antichi diritti dei baroni, assicurando uno spazio di libertà ai
rappresentanti della comunità britannica: spazio che, più tardi, pur fra brevi
intervalli d’assolutismo, sarebbe andato via via estendendosi
8
.
Nel primo atto costituzionale inglese, all’art. 39 viene stabilito che nessun
uomo libero può essere arrestato, imprigionato, privato dei beni, bandito, esiliato o
rovinato in alcun modo, se non a norma di diritto territoriale o in seguito a una
sentenza legale emessa dai suoi pari. Anche se viene rappresentato un forte
concetto di non ingerenza dello Stato verso il privato cittadino, questa garanzia
valeva solamente per una stretta cerchia di persone.
8
Gerhard Oestreich, Storia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, Editori Laterza, Roma –
Bari, 2001, pag. 24.
9
1.2. L’epoca dell’assolutismo monarchico.
La seconda fase del processo di acquisizione dei diritti di cittadinanza, avviene con
l’affermarsi e il consolidarsi del sistema assolutistico negli anni compresi tra il
1.500 e il 1.700.
I fattori principali che danno motivo di esistere allo Stato assoluto sono
principalmente i seguenti:
• Problemi di sicurezza interna ( criminalità, banditismo, povertà);
• Le minacce espansionistiche degli altri paesi;
• I conflitti religiosi affermatisi soprattutto con la Riforma protestante.
• L’estendersi e il consolidarsi dei domini coloniali d’oltremare, conseguenza
delle ondate di scoperte geografiche tra la fine del XV e gli inizi del XVII
secolo.
Questi sono i principali motivi di cambiamento nel passaggio dal Medio Evo al
periodo dell’assolutismo e alla definizione attuale di Stato moderno.
Ma come si è arrivati alla definizione di Stato moderno? Quali sono le
origini?
È utile ai fini di questo lavoro descrivere brevemente la formazione dello
Stato in quanto i diritti di cittadinanza iniziano ad apparire proprio nel contesto
dello Stato assoluto.
Gran parte della letteratura in materia di immigrazione, stabilisce che ancora adesso
vi è un modo ormai vecchio di concepire lo Stato nazione e le sue frontiere
9
. Per
superare il vecchio concetto di Stato è quindi utile scoprire come questo nasce.
Il termine – concetto «assolutismo» è sorto forse nel Settecento, ma diffuso
nella prima metà dell’Ottocento, ad indicare nei circoli liberali gli aspetti negativi
dell’illimitatezza e della pienezza del potere monarchico.
9
Cfr. Seyla Benhabib, I diritti degli altri. Stranieri, residenti, cittadini, Raffaello Cortina Editore,
Milano, 2004, Introduzione pag. 2. Saskia Sassen, Migranti, coloni, rifugiati. Dall’immigrazione di
massa alla fortezza Europea, Gianfranco Feltrinelli Editore, Milano, 1996, Introduzione pag. 17.
10
Agli occhi di uno storico quindi il termine «assolutismo» sta ad indicare lo
studio parallelo del termine «potere»; infatti con la formula legibus solutus riferita
al principe ciò implica autonomia da qualsiasi limite legale esterno, tranne che dalle
norme poste dalla legge di natura o divina. Dato che il principe è sciolto dalla legge
terrena ma non quella divina si può sostenere che l’assolutismo non è tirannide ma
come sostiene lo storico delle istituzioni P. Schiera
10
«si tratta allora di un regime
politico costituzionale (nel senso che il suo funzionamento è comunque sottoposto a
limiti e regole prestabilite), non arbitrario (in quanto il volere del monarca non è
illimitato), e soprattutto di matrice secolare».
Se si comparano i due periodi visti ( Medio Evo e periodo assolutistico), in
rapporto al tema della cittadinanza, si denota la diversa funzione svolta dal diritto.
Mentre nel Medio Evo il diritto è una sorta di cornice del potere politico attraverso
l’insieme dei tradizionali privilegi e doveri del principe e dei vari ceti, nello Stato
assolutista invece la possibilità che il sovrano possa porre nuovo diritto e farlo
rispettare tramite gli apparati a lui preposti come il sistema giudiziario costituisce
una novità, nel senso che equivale a trasformare il diritto da elemento di sfondo a
riferimento di primo piano del potere politico: possiamo definire questa come
dottrina della ragion di Stato.
La cittadinanza come storia e come termine va in parallelo con le
migrazioni, soprattutto nei secoli XVI e XVII, le persone (si stima intorno a oltre un
milione) fuggirono dai territori europei in cui risiedevano perché perseguitate dalle
Guerre di religione che fanno seguito alla Riforma e alla Controriforma
11
. Le
devastanti conseguenze economiche di queste Guerre provocarono ondate di
individui che scapparono dalla povertà, ma contrariamente a quanto succede nei
nostri giorni, durante l’Ancien Régime gli autoctoni non cercarono di porre delle
barriere ai flussi migratori. Dopo le grandi migrazioni, verso la fine del XVIII
secolo vi fù una inversione di tendenza: molti Stati europei posero limiti
all’emigrazione per evitare un calo della popolazione avendo costantemente
bisogno di risorse umane per la guerra.
10
Cit. lett. Pierangelo Schiera, Lo Stato moderno origini e degenerazioni, Clueb, Bologna, 2004
pag. 61.
11
Per una trattazione sulla storia delle migrazioni si veda: Saskia Sassen, Migranti, coloni, rifugiati.
Dall’immigrazione di massa alla fortezza Europea, Gianfranco Feltrinelli Editore, Milano, 1996.
11
1.3 Jean Bodin e il concetto di Stato.
Nell’opera di Bodin Le six livres de la république (I sei libri dello Stato) pubblicato
nel 1576 vi è una novità, infatti è la famiglia il fondamento dell’ordine politico, il
modello da seguire. Bodin delinea l’ordine della società secondo una linea
ascendente che muove dalla famiglia e raggiunge il vertice della gerarchia.
Rispetto al Medio Evo il discorso della cittadinanza come possiamo notare
continua dunque ad ispirarsi alla logica della “verticalità”, anche se nel ‘500 questa
logica si è ampliata rispetto alla ristretta scala sociale medievale. Bodin scrive:
«ogni Stato, ogni corpo o collegio ed ogni famiglia si governano per via di
comando da una parte, di obbedienza dall’altra… Come la république, lo Stato, è
un droit gouvernement, un governo giusto (o legittimo), così anche la famiglia è un
governo giusto che si esercita su più persone soggette allo stesso capo di
famiglia»
12
. La figura che dà ordine alla famiglia è quella del padre, il “pater
familias”. Dopo la famiglia si passa a formazioni sociali più complesse come i corpi
e i collegi per arrivare infine allo Stato articolato in una comunità di ordinamenti
giuridici che sono sottoposti in ultima istanza al potere sovrano ma questi corpi
costituiscono anche un vero e proprio «diritto di comunità». Questo passaggio e
percorso continuo dal capofamiglia allo Stato o meglio dalla famiglia alla
république viene chiamato modello aristotelico o aristotelico–tomistico e si esprime
nell’idea di una necessaria continuità fra i vari gradi dell’ordine politico (una
continuità non smentita dal fatto che le origini dello Stato vengono attribuite alla
vittoria di alcuni capi famiglia su altri).
Secondo Bodin, quindi, la sovranità esiste solamente grazie all’unità del
corpo politico, con questo chiaro esempio viene raffigurato il pensiero bodiniano:
«così come la nave non è altro che un legno informe se le si tolgono lo schienale
che sostiene i fianchi, la prua, la poppa, il timone, così lo Stato non è più tale senza
quel potere sovrano che tiene unita tutte le membra e le parti di esso, che fa di tutte
le famiglie e di tutti i collegi un solo corpo
13
». Lo Stato non nasce da solo oppure
12
Cit. lett. Jean Bodin, “Six livres de la République”, in P. Costa (a cura di), Civitas storia della
cittadinanza europea, GLF editori Laterza, Roma, 2005, volume n. 1 pag. 69.
13
Ibidem.
12
non viene creato dal nulla ma grazie alle varie forze sociali che si insidiano nel
territorio a partire dalle già citate famiglie, per concludersi nel corpo politico reso
possibile dalla sovranità.
Per Bodin sovrano è colui che, collocato al vertice della gerarchia, non esercita il
potere di un altro, non agisce in nome e per conto di questi, ma dispone di un potere
assolutamente proprio. Come già detto gli unici limiti a cui sono soggetti i sovrani
riguardano le leggi di Dio o leggi naturali, oltre che a diverse leggi umane comuni a
tutti i popoli (legibus solutus).
Per dare dunque un contenuto “positivo” all’idea bodiniana di sovranità
occorre sbarazzarsi dell’idea di un potere “illimitato” e valorizzare il nesso fra
sovranità e attività legislativa. Come sottolinea Costa, «sovranità è sottrazione ad
ogni potere concorrente e insieme manifestazione “positiva” di un potere che si
realizza primariamente come potestà di comando per mezzo di norme. Mentre il
patto, anche quello tra suddito e sovrano, è mutuo e obbligante per entrambe, la
legge è l’espressione della volontà del sovrano e il vero segno distintivo del suo
potere
14
». E’ interessante notare l’accenno alla volontà del patto tra il sovrano e i
sudditi, patto che verrà meglio analizzato successivamente con Hobbes e Locke.
Nello Stato assoluto il fine principale riguarda l’occuparsi dei sudditi, fine
che non sempre è stato rispettato anche perché il potere è tutto in mano al sovrano
(memorabile la frase di Luigi XIV: l’état c’est moi).
1.3.1 La cittadinanza secondo Bodin.
Per Bodin è necessario dividere due concetti: la république, cioè lo Stato, dalla
città.
La città, dunque, non può essere, lo Stato, perché manca di quell’elemento,
la sovranità, che si viene confermando come l’elemento dell’ordine politico: la città
è una realtà politicamente dipendente. Nel dare una definizione di cittadino, Bodin
si contrappone ad Aristotele in quanto per il filosofo greco «è cittadino solo colui
che partecipa alle magistrature del popolo». Inoltre, secondo Bodin, Aristotele non
14
Ivi, pag. 71.
13
tiene conto di un elemento che non può non influire sulla cittadinanza come
partecipazione: la disuguaglianza della popolazione, l’esistenza di condizioni e
dignità diverse. Ancora secondo Bodin: «se per definire la cittadinanza vogliamo
proprio ricorrere all’idea della partecipazione converrà allora riferirsi non ad
Aristotele ma a Plutarco: che almeno definisce la cittadinanza come partecipazione
non alle cariche, ma ai diritti e ai privilegi di una città». Bodin confronta il
paradosso dell’Impero Romano poiché esistevano dei popoli sottomessi a Roma,
esclusi dal privilegio di essere appartenenti all’Impero ai cui non si attribuiva il
nome di cittadini. Il problema per Bodin è appunto questo: «che cosa erano se non
cittadini?». Procedendo per esclusione, se non erano cittadini, erano stranieri; se
erano stranieri, erano alleati o nemici. Di conseguenza se dunque non possono
considerarsi stranieri, quei popoli, soggetti alla sovranità di Roma, dovevano essere
considerati, insieme, sudditi e cittadini
15
.
In definitiva per Bodin, cittadino è dunque il «suddito libero che dipende
dalla sovranità altrui» e ancora Bodin differenzia il citoyen, cittadino in senso
proprio, il quale è suddito del sovrano e ha una sudditanza–cittadinanza, mentre il
membro della città, il bourgeois
16
, il borghese, è «il suddito naturale, cittadino,
abitante in città, che ha diritti di corpo o collegio o altri privilegi del genere che
non condivide con gli abitanti della campagna», al quale spetta una cittadinanza –
inclusione.
Nel commentare il pensiero di Bodin, Costa sostiene che: «si profila dunque
una serie di cerchi concentrici, una molteplicità di appartenenze che però trova un
criterio di semplificazione ed un comune denominatore nel vincolo di soggezione al
sovrano»
17
.
In ultima analisi ecco i punti fondamentali del pensiero di Bodin
18
:
15
Jean Bodin, “Six livres de la République”, in P. Costa, op. cit. pag. 73.
16
Oltre a differenziare tra suddito del regno e borghese di città, Bodin differenzia tra due schemi di
cittadinanza. Nella relazione sudditanza cittadinanza è preminente il regime degli obblighi reciproci
(obbedienza e fedeltà contro protezione e giustizia) per il regno. Mentre nel caso del cittadino
borghese, l’inclusione della cittadinanza perde terreno rispetto all’obbedienza e attraverso il regime
degli obblighi reciproci il soggetto sembra acquistare una più forte e diretta “visibilità”. In realtà le
due cittadinanza si integrano
17
Ibidem, pag. 75.
18
Anche se verrà trattato successivamente, ritengo utile accennare che Kant dopo 200 anni
rielaborerà nel suo saggio Pace perpetua i dilemmi normativi dell’appartenenza politica che Bodin e
altri intellettuali elaborano a fine ‘500.
14
• La cittadinanza contrassegna una relazione dove la soggezione prevale
sull’appartenenza.
• I privilegi non fanno il cittadino. Vi è l’obbligo mutuo intercorrente fra il
sovrano e il suddito, che si sovrappone a una relazione di sudditanza –
cittadinanza includente un regime tendenzialmente uniforme di aspettative
e doveri.
• Bodin nei suoi scritti vuole garantire l’unità della comunità per mezzo di
vincoli che colleghino ciascuna posizione alle altre e tutte al sovrano. Vi è
negli scritti del pensatore politico un rapporto di soggezione tra il sovrano e
i sudditi (cittadinanza), per Bodin tutti dovrebbero avere una cittadinanza,
anche gli schiavi in quanto «anche le membra più umili fanno parte del
corpo e svolgono utili funzioni ».
• La cittadinanza è in relazione diretta con il sovrano e il sovrano è il punto
di riferimento per i sudditi anche se la società di quel tempo era
caratterizzata dalla disuguaglianza dei soggetti e dalla molteplicità delle
appartenenze.
Bodin ha una idea “geometrica” della cittadinanza in quanto il suo pensiero fa leva
sulla prevalenza del simile e si traduce in un governo aristocratico oppure ad una
nozione di giustizia puramente “aritmetica”, che esalta l’eguaglianza assoluta e
favorisce un governo democratico. Scrive Bodin : «mentre con il governo
aristocratico viene a mancare ogni legame fra nobili e borghesi, ogni comunanza
fra i ceti, mentre con il governo democratico si compromette la sicurezza che
deriva solo dal rispetto delle differenze, un governo armonico favorirà
l’emanazione di leggi generali e l’imparzialità dei giudici, tenendo conto però delle
varietà e delle disuguaglianze. Il sovrano può certo scegliere di governare secondo
una logica aritmetica o geometrica: quest’ultima sarà meno nociva della prima, ma
si mostrerà comunque incapace di garantire quella collaborazione fra ceti diversi
che un saggio contemporaneo dei diversi ordini è in grado di assicurare. Quando
ciò avviene ci troviamo di fronte a quel regime perfetto, la monarchia armonica,
capace di realizzare il principio universale dell’ordine e dell’armonia»
19
.
19
Ibidem, pag. 75.
15
1.4 Johannes Althusius e la cittadinanza inclusiva.
Se Bodin viene comunemente definito l’inventore della sovranità moderna, per
trovare un differente pensiero che si ponga sullo stesso piano sistemico e costruttivo
dell’avvocato parigino, bisogna consultare la “Politica methodice digesta”di
Johannes Althusius pubblicata nel 1603 dove vengono trattati temi inerenti la
resistenza contro l’assolutismo e la sovranità popolare. Come per Bodin, Althusius
vuole trovare una teoria che schematizzi l’assetto costituzionale del tempo.
I due autori si muovono sullo stesso terreno concettuale per quanto riguarda
il tema dedicato alla famiglia, la quale si regge con una logica non tanto diversa da
quella che governa l’ordine politico–sociale e continua ad esprimere la sua
tradizionale valenza “costituzionale”. Nella sua opera Althusius lega intimamente la
comunità, la consociatio al potere: la comunità è anche per lui innervata dal
rapporto fra chi comanda e chi obbedisce e l’ordine presuppone necessariamente la
disuguaglianza delle sue parti componenti. Il momento del comando avviene in
ogni snodo dell’ordine sociale, nella famiglia come nella città, nella provincia come
nella comunità di più vasto raggio, la consociatio maxima, dove si realizza
finalmente come sovranità.
Nella sua opera lo stile del giurista calvinista è del tutto simile a quello di
Bodin, ad eccezione del fatto che viene delineato un ordine socio-politico che
conduce (secondo una logica ascendente) dalla famiglia alla più ampia comunità
politica; viene rappresentata la politica come un processo unitario e fortemente
integrato secondo principi di gerarchia e comunità. Inoltre, rispetto a Bodin, il
potere appartiene alla comunità. Per Althusius comunità significa la realizzazione
di “forme di vita” che, pur distinte fra loro per dimensioni e caratteristiche,
implicano l’azione “simbiotica” dei singoli. Le associazioni nascono dalla necessità
degli individui di unire la propria vita a quella dei propri simili, necessità che viene
definita come naturale e determinata dal bisogno e dallo spontaneo impulso alla
socialità, di conseguenza per Bodin è la città il luogo per eccellenza dove gli
individui escono dal cerchio delle loro diverse comunità di appartenenza e
assumono la nuova veste di cittadini. Alla città viene ribadito un importante ruolo
politico–giuridico dove si sviluppano i primi problemi caratteristici della