12emozioni da vedere
Raccontami,
sono
tutt’occhi
·
emozioni
da vedere
13
1
“Ogni individuo umano ha alcune
caratteristiche in comune con altri individui
per quanto riguarda il modo di percepire
e di sperimentare il proprio mondo fisico.
Di grande importanza è il fatto che la sensazione
proviene da noi e non dall’oggetto che vediamo.
Se riusciamo a intendere la natura di ciò
che vediamo e il modo in cui lo percepiamo,
sapremo di più sull’influenza potenziale
di una composizione creata dall’uomo,
sul sentire e sul pensare umani.”
- Walter Gropius
14emozioni da vedere
figura 1. Caspar David Friedrich, Mönch am Meer, 1809
Berlin Nationalgalerie, Staadliche Museum zu Berlin.
Il procedere delle nuvole.
15capitolo primoRaccontami, sono tutt’occhi
Psicologia della percezione visiva e comunicazione visiva
“Percezione: in questo istante la luce riflessa su questo foglio di carta rag-
giunge i nostri occhi, attivando un processo che ci porta a identificare con-
torni e forme, e quindi riconoscere le lettere e le parole che leggiamo. Allo
stesso tempo, altri stimoli giungono ai nostri occhi e agli altri sensi, per-
mettendoci di percepire l’ambiente in cui siamo, l’illuminazione, i partico-
lari del luogo, i rumori, gli odori, le sensazioni tattili distribuite su tutto il
1
corpo.” La psicologia della percezione visiva si occupa dei meccanismi at-
traverso cui vediamo e del perché le cose ci appaiano in un certo modo, stu-
diando “l’elaborazione dell’informazione che il sistema percettivo compie
2
per costruire la nostra esperienza”. È attraverso la percezione che ha inizio
il processo di conoscenza, grazie a questa “attività” diventiamo consapevo-
li dell’esistenza della realtà e delle sue caratteristiche. Se “praticamente tut-
3
to ciò che i nostri occhi vedono è comunicazione visiva” e il “modo in cui
4
vediamo” è oggetto di studio della percezione visiva, lo studio di questa di-
sciplina è di grande interesse per chi si occupa di progettare comunicazione.
A questo proposito è utile ricordare un’esperienza professionale dell’auto-
re di questa ricerca presso uno studio di comunicazione visiva: i suggeri-
menti forniti da uno dei clienti non riguardavano le finalità e il contenuto
dell’elaborato grafico proposto, ma erano di natura interamente tecnica, si
riferivano cioè alla dimensione e alla posizione degli elementi, senza indi-
care, ad esempio, a chi dovesse essere destinato il messaggio, la decisione
del committente. Esemplificativo il commento di un membro dello studio:
“Per fare i grafici bisogna essere anche un po’ psicologi”. Le indicazioni
tecniche del cliente dovevano cioè essere innanzitutto “tradotte” in inten-
zioni comunicative; quest’ultime dovevano poi essere “veicolate” dalle op-
portune caratteristiche visive: ad esempio, dicendo “più grande”, il cliente
voleva in realtà attribuire ad un’informazione maggiore rilievo rispetto ad
altre, ma non è detto che la soluzione appropriata al problema individua-
to “avere maggiore rilievo” fosse una variazione di dimensione. Lo studio
1 Arielli Emanuele (2009).
2 Massironi Manfredo (1998, p. 8).
3 Munari Bruno (1968, p. 81).
4 Bressan, Paola (2007, p. IX).
16emozioni da vedere
della psicologia della percezione può quindi fornire una serie di strumenti
molto utili nell’ambito della creazione e dell’interpretazione grafica.
Come è connessa oggi la progettazione grafica alle ricerche
di psicologia della percezione visiva? Un dialogo tra le due discipline può
aiutare a comprendere e generare comunicazione visiva? Nell’ambito delle
ricerche di design sulla forma e la configurazione, il Basic Design riveste un
ruolo di primaria importanza. Secondo la definizione della storica dell’ar-
te Isabella Simonini, “il Basic Design è una disciplina che coinvolge due
momenti cardine della propedeutica estetico-formale del design. Il primo
è riferibile al passaggio dall’educazione del gusto del designer basato esclu-
sivamente sull’apprendimento delle tecniche del disegno artistico (copia
dai modelli del passato e dai calchi) di tradizione accademica a quello dello
studio dei principi morfostrutturali dell’ornamento; il secondo, invece, è
legato all’introduzione della Formlehre (insegnamento della forma) e della
Gestaltungslehre (insegnamento della configurazione) sia pratica che teo-
5
rica nell’ambito del corso propedeutico al Bauhaus.”. Il Basic Design è
dunque la disciplina centrale del design, che insegna concretamente a pro-
gettare, a “configurare” e dare “forma” agli oggetti, intrecciando la pratica
dell’insegnamento di un saper fare al pensiero teorico e metodologico che
le sta alla base. Gli aspetti del Basic Design interessanti per questa ricerca
sono i temi disciplinari e le modalità attraverso cui vengono insegnati: le
esercitazioni. Quest’ultime, che costituiscono il corpus disciplinare, sono
paradigmatiche, e consistono nella realizzazione di elaborati che hanno
lo scopo di allenare a risolvere problematiche progettuali. Prendiamo in
considerazione un’esercitazionedel pittore russo Wassily Kandinsky, do-
6
cente del Grundkurs (corso di base) nel 1922 presso il Bauhaus. Compito
di questa esercitazione è assegnare colori primari a forme fondamentali.
Lo studioso di Basic Design Giovanni Anceschi nota come “Kandinsky sia
interessato alla sintesi delle arti, privilegiando lo studio degli effetti psico-
7
fisiologici prodotti dalle varie arti sullo spettatore”: in questa esercitazione
alla forma del triangolo, assegna “il colore giallo, il quale può rimandare a
una serie di effetti sensoriali, l’effetto visivo è eccentrico e avanzante, quel-
lo acustico è acuto”. Come sono valutate queste ipotesi? Nel Basic Design
sono stati fatti studi sull’espressività con l’utilizzo di misurazioni empi-
riche? Anceschi risponde così a questa domanda: “Kandinsky è uno dei
padri del Basic Design ma il suo punto di vista è diverso, quando parla del
triangolo si tratta di riflessioni non tipiche per il Basic Design, che è una
disciplina che non ha il carattere stringente presente in un ambito discipli-
5 Simonini, http://www.newbasicdesign.it/le-anticipazioni-del-basic-design.
6 Il tema del Basic desing non verrà ulteriormente approfondito in questa ricerca. Per
approfondimenti http://www.newbasicdesign.it; http://www.bauhaus.de/; http://www.bau-
haus.de/bauhaus1919/biographien/index.htm.
7 Anceschi, http://www.newbasicdesign.it/il-bauhaus/.
17capitolo primoRaccontami, sono tutt’occhi
nare come quello della psicologia della percezione. È operativa, pedagogi-
ca. Non siamo nel settore delle scienze che si propongono di misurare. Il
Basic Design non si pone assolutamente alcun obiettivo di misura; è una
disciplina di natura diversa”.
Come sono dunque misurati i risultati delle esercitazioni?
La valutazione intersoggettiva può essere considerata una delle modalità
8
utilizzate per scoprire la “condivisione della percezione”. A questo punto
sorge un’altra domanda: come mai gli esercizi di Basic Design non ven-
gono ulteriormente provati facendo riferimento ai principi di psicologia
della percezione per indagare l’origine dei significati del linguaggio visi-
vo? Diverse discipline hanno affrontato questo problema: artisti, storici
9
dell’arte, filosofi e psicologi hanno svolto ricerche su come e cosa può co-
municare il linguaggio visivo. “A Primer of Visual Literacy” della studiosa
di comunicazione visiva Donis A. Dondis è uno dei testi che risponde in
parte alla necessità di considerare il linguaggio visivo in relazione alle ri-
cerche portate avanti da studiosi come gli psicologi della Gestalt e Rudolf
Arnheim, che ne ha applicato i principi nell’interpretazione dell’arte visiva.
“A Primer of Visual Literacy” si propone di “esaminare gli elementi visivi
di base, le strategie e le opinioni riguardo alle tecniche visive, e le impli-
10
cazioni fisiologiche e psicologiche nella composizione creativa”. Come
nota la studiosa “sviluppare il senso della vista è qualcosa come imparare
una lingua, con il proprio alfabeto, lessico e sintassi. Le persone ritengo-
no necessario essere verbalmente colti, che siano esse scrittori oppure no;
dovrebbero trovare ugualmente necessario essere “visivamente letterati”,
11
siano esse artisti oppure no”.
Psicologia della percezione da una parte e comunicazione
visiva dall’altra dunque. La ricerca nasce dalla curiosità di studiare le due
discipline, avvicinandole e intrecciandole, fino alla definizione di un pro-
getto i cui risultati possano essere d’interesse non solo per grafici e psico-
8 L’esempio di un’esercitazione aiuta a chiarire quanto detto. “4x4” è il nome di un eserci-
zio pensato da Silvia Ferraris per far capire che: “con la forma esprimi sempre un significato;
questo è progettabile; il risultato è verificabile”. Ad ogni alunno vengono dati 4 fogli di carta
quadrata bianca e 4 aggettivi scritti su 4 post-it (ad esempio: uniforme-disomigeneo, compo-
sito-unitario). L’alunno deve, lavorando individualmente, comporre forme che esprimano
questi aggettivi. Al termine dell’esercitazione i quadrati non firmati vengono appesi al muro
di fianco agli aggettivi (attaccati alla parete in modo caotico) affinché tutti gli studenti pos-
sano, una volta trovate le corrispondenze corrette tra quadrati e aggettivi, votare il risultato
migliore. Per valutazione intersoggettiva si intende il giudizio dato dai membri della classe.
Silvia Ferraris (2009).
9 Protagonisti del Basic Desing hanno operato indagini molto interessanti. Joesef Albers,
Johannes Itten, Laszlo Moholy-Nagy, Paul Klee, Wassily Kandinsky sono solo alcuni dei
nomi dei Teorici del Basic Design che daranno alla luce opere come “Punto Linea e Superfi-
cie”, “Interaction of colours”, “Teoria della forma e della figurazione”.
10 Dondis (1973, p. x).
11 Dondis (1973, p. x).
18emozioni da vedere
logi. Visualizziamo la psicologia della percezione e la comunicazione visi-
va come due insiemi (figura 2): l’intersezione “visiva” tra i due costituisce
una vasta area di ricerca.
Il termine “visivo” è un aggettivo e si riferisce alla vista o alla
visione. Visiva è la facoltà che dipende dall’organo visivo, l’occhio, la me-
moria visiva ci permette di ricordare ciò che vediamo nello spazio che si
abbraccia con l’occhio immobile: il campo visivo. Visiva è l’arte figurativa
e quella letteratura che costituisce una sorta di sintesi di poesia e disegno e
che forma immagini, attraverso la disposizione delle parole del testo. Vi-
sivo è più in generale tutto ciò che attiene alla facoltà della vista: disegno,
fotografia, cinema, forme astratte, forme geometriche, forme organiche,
forme reali, immagini in movimento, immagini statiche, immagini sempli-
ci, immagini complesse. Visivo è l’uomo che ha potenza di vedere e rappre-
sentare il mondo. Come ricorda Walter Gropius, “ogni individuo umano
ha alcune caratteristiche in comune con altri individui per quanto riguarda
il modo di percepire e di sperimentare il proprio mondo fisico. Di grande
importanza è il fatto che la sensazione proviene da noi e non dall’oggetto
che vediamo. Se riusciamo a intendere la natura di ciò che vediamo e il
modo in cui lo percepiamo, sapremo di più sull’influenza potenziale di una
12
composizione creata dall’uomo, sul sentire e sul pensare umani.”
Cosa vediamo? A questa domanda rispondono le parole di
Bruno Munari: “praticamente tutto ciò che i nostri occhi vedono è comu-
nicazione visiva; una nuvola, un fiore, un disegno tecnico, una scarpa, un
13
manifesto, una libellula, un telegramma, una bandiera”. La comunica-
zione visiva è intorno a noi, ai nostri occhi arrivano continuamente mes-
saggi. Esistono del resto messaggi visivi di diverso tipo; una delle prime di-
stinzioni che vanno fatte riguarda l’intenzionalità della comunicazione. I
testi e le fotografie sul giornale, la figura sulla confezione dei biscotti, i ma-
nifesti e i cartelloni pubblicitari lungo le strade, i volantini nella buca delle
lettere, il libro che stiamo leggendo: si tratta di esempi di “comunicazione
14
visiva intenzionale” in cui il designer attraverso il mezzo visivo trasmette
un messaggio. Un esempio ancora più familiare di comunicazione visiva
intenzionale è, ad esempio, il motivo decorativo di una tovaglia: il disegno
sulla stoffa è progettato perché questa, oltre che a coprire e proteggere
il tavolo, abbia una funzione estetica. Al contrario, comunicazione visiva
non intenzionale è quella esemplificata da una macchia di pomodoro ca-
duta involontariamente sulla tovaglia pulita: anche in questo caso viene
comunicato un messaggio, senza che vi sia però intenzionalità.
12 Gropius (1955).
13 Munari (1968, p. 81).
14 Munari (1968, p. 81).
19capitolo primoRaccontami, sono tutt’occhi
figura 2. La ricerca parte da un’indagine tra gli insiemi
della psicologia della percezione visiva e comunicazione visi-
va, dove “visiva” è il risultato dell’intersezione che
costituisce una vasta area di ricerca.
20emozioni da vedere
Come è possibile poi rendere il messaggio comprensibile
15
all’osservatore? Bruno Munari parla di “immagini oggettive” e afferma
che “ognuno ha un magazzino di immagini che fanno parte del proprio
mondo, magazzino che si è venuto a formare durante tutta la vita dell’indi-
viduo e che l’individuo ha accumulato. È con questo blocco personale che
avviene il contatto, è in questo blocco di immagini e sensazioni soggettive
che occorre cercare quelle oggettive, le immagini comuni a molti. Si saprà
così quali immagini, quali forme, quali colori usare per comunicare date
16
informazioni al pubblico”.
È nel blocco di immagini e sensazioni, che vengono conti-
nuamente aggiornate nella percezione della realtà, che gli psicologi della
percezione visiva scavano per comprendere i meccanismi che guidano il
nostro modo di percepire le cose. Studiare le qualità della visione e com-
prenderne i principi permette di rendere comunicabili le sue componenti.
Come nota lo psicologo William Ittelson, “vivere vuol dire percepire. Se
noi non percepissimo saremmo isolati nel senso veramente profondo del
termine, tanto da credere di non esistere affatto. In poche parole, lo studio
della percezione tocca la vera essenza dell’esistenza umana. Periodi di fer-
mento del pensiero umano spesso corrispondono a periodi di riorganizza-
17
zione delle idee sulla percezione”. Attraverso la vista facciamo esperienza
del mondo, lo conosciamo. Un tema vasto e complesso, da cui, in questo
lavoro viene ritagliata un’area specifica di ricerca: le qualità espressive delle
forme astratte.
L’area di ricerca specifica: le qualità espressive delle forme
La ricerca è animata dal desiderio di indagare il mondo delle qualità
espressive delle forme astratte, a seguito di una quotidiana immersione
nello spettacolo della visione, nella forza e capacità che hanno anche le
immagini non mimetiche di evocare sensazioni, esprimere emozioni.
Che cosa si intende per qualità espressive? Per rispondere a
questo quesito è bene prima fare qualche passo indietro. Iniziamo con il
18
definire i messaggi visivi, distinguendone tre livelli di espressione: rap-
presentativo, simbolico e astratto. Il primo è la raffigurazione di ciò che
vediamo e riconosciamo a diversi livelli di astrattezza che vanno dall’im-
magine fotografica al disegno, il livello simbolico, invece, è l’insieme dei
segni codificati che l’uomo ha inventato arbitrariamente e a cui è stato
associato un contenuto particolare che non riflette le caratteristiche della
15 Il designer distingue la “comunicazione visiva” dalla “confusione visiva”. La prima si
sforza di trasmettere un messaggio attraverso un supporto visivo oggettivo e dunque com-
prensibile a tutti e per tutti nello stesso modo, la seconda invece, utilizza codici non com-
prensibili o leggibili solo da pochi. Per questo argomento si veda Munari (1968, p. 81).
16 Munari (1968, p. 15).
17 Ittelson (1978, pp. 127-145).
18 La suddivisione presentata si riferisce a quella fatta da Dondis (1973) p.68.
21capitolo primoRaccontami, sono tutt’occhi
cosa che rappresentano ad esempio la segnaletica stradale; il livello astrat-
to, infine, è la qualità cinetica degli elementi visivi ridotta alle componen-
ti visive di base, enfatizzando il significato più diretto ed emozionale. La
qualità espressiva formale si basa strettamente su caratteristiche percettive
e quindi si distingue dal livello simbolico - si pensi a come l’immagine di
un cuore rimandi all’affetto in quanto ne è il simbolo - e da quello rappre-
sentativo: l’immagine di un litigio tra due persone, ad esempio, esprime
rabbia.
Una seconda importante distinzione riguarda l’espressività di
un’immagine: essa cioè può esprimere o evocare un’emozione. Una forma
che “esprime angoscia” o “angosciata” è qualcosa di diverso da un’imma-
gine che “mette angoscia”, “angosciosa”. Nel primo caso la forma contie-
ne i “sintomi” dell’emozione che rappresenta e ci informa sul suo stato
d’animo; nel secondo la forma possiede quei segnali che fanno insorgere,
smuovono e scuotono lo stato d’animo della persona che la vede.
Focalizziamo l’attenzione sulle forme astratte; queste possono
essere descritte in modi diversi. Un primo modo si riferisce alle proprietà
fisiche che un oggetto possiede, che gli permettono di essere descritto, mi-
surato, identificato e quantificato in modo preciso e indipendente dall’os-
servatore. Un altro modo deriva dalle qualità non fisicamente misurabili
dell’oggetto, che dipendono dal funzionamento degli organi di senso del
soggetto che le percepisce. Le prime appartengono al mondo della fisica,
le seconde a quelle della fisiologia. Prendiamo ad esempio due forme, una
quadrata e una triangolare con lati di lunghezza diversa. Come abbiamo
visto queste forme possiedono diverse proprietà: fisiche - la lunghezza dei
lati e l’ampiezza degli angoli - ed altre qualità che dipendono dal funziona-
mento degli organi di senso del soggetto che le percepisce. Oltre a queste,
ci sono poi proprietà basate su caratteristiche percettive non direttamente
misurabili attraverso gli strumenti di queste categorie: si tratta delle qua-
19
lità espressive. Il triangolo equilatero ad esempio appare più “stabile” di
quello scaleno, che dà invece un’impressione di maggiore “dinamicità”.
Questa classe di proprietà appartiene agli oggetti fenomenici come vi ap-
partengono forma e colore, ma come afferma la psicologa Giulia Parovel
“sono più “soggettive” poiché legate all’espressione di una presenza ani-
mata, emotiva o psichica, e nonostante ciò appaiono come qualità degli
20
oggetti e delle configurazioni.” Riprendo un esempio particolarmente
21
chiaro descritto nel suo libro: mi affaccio alla finestra, un temporale è
19 A queste bisogna aggiungere l’influenza del passato: la percezione di una forma dipende
anche dalla nostra “storia”. Si vedrà più avanti che la forza simbolica di alcune forme astratte
è tale da renderle inutilizzabili per una ricerca che miri a comprendere la relazione esistente
tra caratteristiche grafiche e qualità espressive.
20 Parovel, (2004, p. 130).
21 Parovel, (2004, p. 131).
22emozioni da vedere
in arrivo e le nuvole (figura 1, pagina 14) procedono in modo lento ed
inquietante. Inquietante. Questa qualità si distingue dalle proprietà fisiche
misurabili della nuvola stessa (notare la qualità espressiva della nuvola è
diverso dal vedere la sua forma) e dall’animo dell’osservatore (in questo
caso io, piuttosto serena in questo pomeriggio).
Arte come espressione, dare forma a concetti
Nella storia dell’arte diversi artisti hanno cercato di conferire forma vi-
siva a concetti che non nascono come “cose visuali”. L’arte si nutre
di questa difficoltà di dare risposta al problema che il tentativo di rap-
presentare e dare forma a concetti pone. Questa questione “espressiva”
nasce nel romanticismo, animato dal concetto di sublime, che si prova,
ricordando le parole del filosofo francese Jean-Francois Lyotard, “quan-
do l’immaginazione non riesce a rappresentare un oggetto che potreb-
22
be, anche solo per principio, giungere a coincidere con un concetto”.
Come renderlo visibile? La risposta apre una questione complessa, ed è
per questo che, come osserva Marco De Michelis, il sublime rappresenta
“uno degli elementi destinati a mettere in crisi lo statuto classicista stesso
dell’opera d’arte, della sua dipendenza da un sistema di regole e canoni
riconoscibili, di modelli da imitare, sostituiti da quel qualcosa di com-
23
prensibile e inesplicabile che i romantici finiranno per chiamare “genio”.
Citando le parole di Lyotard, il desiderio “di rendere visibile che vi è qual-
cosa che può essere concepito e che, al tempo stesso, non può essere visto,
24
né reso visibile” animerà la ricerca delle avanguardie del Novecento: le
opere di artisti come Newman, Rothko, Klein, Fontana, Kandinskij, Ma-
levic ne sono un esempio. L’efficacia espressiva di alcuni artisti ci permette
di sentire l’eco di esperienze, sensazioni ed emozioni anche di fronte a
opere non mimetiche, lo psicologo tedesco Wolfgang Metzger afferma che
gli autori di tali opere che sono “dotati di una sensibilità per le differen-
ze tra strutture quasi altrettanto fine di quella che hanno per le proprietà
espressive, per cui essi sono per esempio in grado d’individuare attraverso
quale particolare modificazione di struttura si può ottenere in un determi-
nato caso la piena pregnanza e quindi anche l’evidenza fenomenica della
25
proprietà espressiva desiderata”.
L’opera di Malevic, in particolare, ci offre un’occasione per
riflettere sulle possibilità espressive delle forme astratte. L’autore ridusse al
massimo le immagini a pure forme geometriche astratte, annullando ogni
forma di rappresentazione mimetica della realtà. L’artista era solito dire
che “solo quando dalla coscienza sarà scomparsa l’abitudine a vedere nei
22 Lyotard, (1994, p. 78).
23 De Michelis, (2008, p. 15).
24 Lyotard, (1994, p. 78).
25 Metzger, (1970da Argenton p.46).
23capitolo primoRaccontami, sono tutt’occhi
quadri la rappresentazione di angolini della natura, di madonne e di ve-
neri impudenti, potremo vedere un’opera di pittura pura”. Le opere non
sono rese povere o incapaci di comunicare dalla riduzione delle immagini
26
a forme astratte: il “residuo geometrico” sopravvive e mette in evidenza
fenomeni visivi, il valore dell’opera in questo senso è l’essere in relazione
dell’uomo con la forma per mezzo della percezione.
Design come espressione, la forma eloquente delle cose
Non solo nell’arte, ma nella vita di tutti i giorni percepiamo l’espressività
delle forme di ciò che ci circonda. Chi si occupa di progettare oggetti, ope-
ra infatti proprio sulle qualità espressive delle forme. L’insieme delle carat-
teristiche fisiche di un oggetto, reali e percepite, che ci suggeriscono a cosa
serve e come usarlo, si chiama affordance. L’affordance è una delle tante
denominazioni utilizzate per definire la classe di proprietà espressive. Mi-
27
gliore è l’affordance, più immediato, automatico e disinvolto sarà l’uti-
lizzo dell’oggetto; al contrario una cosa con peggior affordance sarà meno
immediata e più scomoda da usare. Lo studioso Donald Norman afferma
che “gli oggetti ben progettati sono facili da interpretare e comprendere:
contengono indizi visibili del loro funzionamento. Gli oggetti disegnati
male possono essere difficili e frustranti da usare: non offrono indizi o ne
28
danno di sbagliati”. Nel testo, l’autore sottolinea come la causa di errori
umani ed incidenti sul lavoro non dipenda solamente da disattenzione o
incapacità degli uomini ma sia spesso legata al modo in cui le cose sono
concepite e progettate, alla loro forma sbagliata. La curvatura della mani-
glia ci suggerisce come aprire la porta, la forma di un pulsante ci invita a
premerlo, l’impugnatura di una tazza indica come sollevarla. Circondati
da oggetti, incontriamo quotidianamente esempi di buona e cattiva affor-
dance. Il campo di validità dell’espressione non si limita agli artefatti, ma
a tutti gli elementi naturali: come ci ricorda Arnheim, “una fiamma, una
foglia volteggiante, l’urlo di una sirena, un salice, una rupe scoscesa, una
sedia Luigi XV, le crepe nel muro, il calore di una teiera di porcellana, il
dorso irto di un porcospino, i colori del tramonto, una fontana, il lampo
e il tuono, i movimenti sussultanti di un pezzo di filo ricurvo: tutto ciò
29
trasmette espressione tramite i nostri diversi sensi”.
Le qualità espressive sono alla base del mondo visivo che ci
circonda, sono secondo lo psicologo tedesco “autentiche e obiettive prio-
30
rità di tutti i percetti”: ciò che cogliamo in primo luogo sono le fattezze
26 Marcolli (1983, p. 12).
27 Il paragrafo riprende alcune riflessioni personali fatte durante il corso di Interaction De-
sign, tenuto da Gillian Crampton Smith e Philp Tabor, Facoltà di Design, IUAV, Venezia.
28 Norman (1990, p.10).
29 Pizzo Russo (1983, p. 81).
30 Arnheim, (1992c, p.246-247).
24emozioni da vedere
dell’oggetto percepito (la forma, la dimensione, la posizione nello spazio
rispetto a noi e agli altri oggetti) ed è proprio in queste caratteristiche che è
insito il carattere espressivo. Così “ogni oggetto trasmette a chi lo osserva
delle informazioni di carattere emotivo, così “il nero è lugubre prima di
essere nero” dice Wetheimer, e secondo Koffka, “ogni oggetto rivela la
propria essenza […] un frutto dice ‘mangiami’, l’acqua dice ‘bevimi’, il
31
tuono dice ‘temimi’ e la donna dice ‘amami’.”
Queste considerazioni sulla priorità delle qualità espressive ci
permettono di affrancarci in parte dall’idea che l’espressività sia data solo
32
dalla fisionomia corporea e dal volto (figura 3).
Perché un metodo per studiare le qualità espressive?
“La ricerca di una progettazione fondata sullo studio della percezione svi-
luppa una continua immagine della realtà, attraverso l’osservazione dei
33
fenomeni”. Indagare la distanza tra l’informazione e l’interpretazione,
tra la sensazione e la percezione, significa cercare di capire quali fattori
determinano quella associazione. La domanda posta è la seguente: una
forma astratta può suggerire uno stato emozionale? È possibile tracciare,
attraverso una serie di prove, una mappa delle differenze espressive tra
stati emozionali complessi? Ovvero riuscire a determinare le sottili dif-
ferenze che separano emozioni complesse altrimenti fortemente impa-
rentate? Approfondire lo studio delle forme astratte significa allargare il
vocabolario visivo e approfondire le potenzialità grafiche ed espressive.
L’idea è di inaugurare uno studio di queste attraverso dei test online per
vedere se è possibile isolare alcune caratteristiche grafiche riconducibili a
stati interiori.
Percepire una forma
Un foglio di carta bianca è come uno specchio d’acqua senza onde. “Un
sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano
sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto a distanze diverse, con
34
effetti diversi, la ninfea e la canna…”. “Gettiamo un sasso nel foglio”,
tracciamo ad esempio un segno con un pennarello. La superficie, da li-
scia e indifferenziata, viene “attivata”. Quando viene tracciato un segno
emerge e si definisce un rapporto. I termini di questo binomio visivo sono
la figura e lo sfondo. Una forma “gettata” in un campo visivo vuoto, così
come una parola pronunciata nel silenzio, “produce onde di superfice e di
31 Massironi (1988, 17).
32 La fisionomia corporea e dal volto è la base di molte teorie della percezione e dell’empa-
tia legata a “schemi motori” e corporei.
33 Marcolli (1983, VII).
34 Rodari (2001, p. 7).