Capitolo 1
1.1 Origini storiche dell’assistenza sociale La nascita del servizio sociale nel contesto europeo può essere collocata nel 1869 a 
Londra, attraverso la nascita del C.O.S. (Clarity Organization Societies)
1
, evoluzione dei 
friendly reformers (volontariato di tipo religioso) e dei social reformers . Attraverso 
questa organizzazione Ottavia Hill 2
, volontaria nelle C.O.S., porrà le basi  dei 
fondamenti concettuali ed etici del servizio sociale; ciò ebbe una certa influenza nello 
sviluppo del servizio sociale in territorio americano, dove il social work si sviluppò 
nelle C.O.S. locali e già alla fine del XIX sec., grazie all’operato di Mary Richmond 3
, si 
poterono creare i primi corsi di formazione sia in Nord Europa, sia negli Stati Uniti 4
.
Bisognerà attendere il 1928 per la prima conferenza internazionale di servizio sociale, 
svoltasi a Parigi e coordinata da Renè Sand 5
, al quale si deve l’impegno per la diffusione 
internazionale della promozione sociale; con tale conferenza presero vita i primi 
organismi associativi internazionali come il I.C.S.W.
6
 (International Council of Social 
Welfare) o il I.A.S.S.W. (International Association of School Workers)
7
 divenuto nel 
1 La Charity Organization Society fu un organismo fondato a Londra nel 1869 che aveva come obiettivo principale quello di aiutare 
i bisognosi offrendo loro cibo e lavoro. Tra i primi fondatori della COS ricordiamo Octavia Hill e Henry Solly, che fu il primo 
segretario onorario. Pur non essendo tra i primi fondatori, Charles Stewart Loch rimase sempre legato a tale organismo in quanto ne 
fu segretario per circa 38 anni.
2 Ottavia Hill (3 dicembre 1838 - 13 agosto 1912) è stata una riformatrice sociale inglese, la cui principale preoccupazione era il 
benessere degli abitanti delle città, soprattutto a Londra, nella seconda metà del XIX secolo. Nata in una famiglia con un forte 
impegno per alleviare la povertà delle classi lavoratrici, lei stessa è cresciuta in ristrettezze a causa del fallimento finanziario del 
padre. Senza istruzione formale, ha lavorato dall'età di 14 per il benessere dei lavoratori.  
3 Mary Richmond (1861-1928) è stata istruita per essere una "visitatatrice amichevole", che era il termine usato per definire per 
un'assistente sociale. Ha visitato le case delle persone in difficoltà e ha cercato di aiutarli a migliorare la loro situazione di vita. 
Sviluppò nuove metodologie per aiutare chi necessitava di qualsiasi tipo di aiuto. Nel 1909 contribuì alla creazione di reti di 
operatori sociali e di metodi di collaborazione reciproca. Divenne anche direttrice del Dipartimento Organizzativo Carità della 
Russell Sage Foundation di New York. 
4 S. Fargion, Il servizio sociale. Storia, temi e dibattiti, Roma, 2009, pag 78.
5 René Sand (1877-1953) era un esperto di attività medica o sociale, era soprattutto un umanista, attivamente impegnato per la 
società del suo tempo. Come Segretario Generale della Croce Rossa in Belgio, è stato uno dei promotori del lavoro sociale e fu sua 
l'iniziativa di istutuire nel 1948 il Comitato nazionale belga di lavoro sociale.Sand partecipò attivamente alla Conferenza 
Internazionale di Servizio Sociale (ora Consiglio internazionale della previdenza sociale). L'organizzazione più tardi fondò il premio 
René Sand in sua memoria. Il premio viene assegnato ogni due anni a persone o organismi che, nel loro lavoro per lo sviluppo 
sociale, hanno contribuito alla migliore promozione del benessere sociale.
6 Il Consiglio internazionale sugli aiuti sociali (ICSW) è stato fondato a Parigi nel 1928. Si tratta di un'organizzazione non 
governativa che rappresenta le organizzazioni nazionali e locali in oltre 70 paesi in tutto il mondo.  Ne fanno parte anche le 
principali organizzazioni internazionali.
7 L'Associazione Internazionale delle Scuole di Servizio Sociale, IASSW, è l'associazione mondiale delle scuole di servizio sociale 
e di altri programmi di lavoro a livello sociale educativo. Promuove lo sviluppo della formazione sociale in tutto il mondo, sviluppa 
gli standard per migliorare la qualità dell'istruzione riguardo al lavoro sociale, incoraggia lo scambio internazionale, fornisce forum 
per la condivisione dei lavori di ricerca sociale e di borse di studio, e promuove i diritti umani e lo sviluppo sociale attraverso 
5
1956 I.F.S.W. (International Federation of Social Workers). L’operato di Mary 
Richmond porterà all’introduzione di alcuni fondamenti della deontologia professionale, 
elaborati poi attraverso una metodologia operativa centrata sul casework 8
. 
Successivamente con l’avvento della Prima Guerra Mondiale, venne dato un forte 
impulso al community work 9
 che attraverso la crisi del 1929 ebbe una marcata 
evoluzione, tanto da divenire, tra gli anni quaranta e cinquanta, uno dei metodi del 
servizio sociale; nello stesso periodo si svilupparono i metodi dell’organizzazione e 
amministrazione del servizio sociale e della ricerca applicata del servizio sociale, 
mentre nel secondo dopoguerra, l’O.N.U. promosse un vasto scambio internazionale, 
diffondendo i metodi del servizio sociale statunitensi ai paesi europei maggiormente 
colpiti dalla guerra e dalle conseguenze del nazionalsocialismo e del fascismo: questa 
diffusione porterà a una forte omogeneizzazione culturale, fortemente criticata dai 
movimenti contestativi sorti alla fine degli anni sessanta, periodo in cui vi fu una 
profonda revisione critica del servizio sociale e dei suoi metodi.
In dottrina si sostiene che le origini storiche dell’assistenza in Italia siano ascrivibili al 
sorgere del cristianesimo; infatti tramite essa  si concreta il principio evangelico di 
carità verso il prossimo sofferente o in condizioni di difficoltà economica. Inizialmente 
predominava la forma di soccorso resa al domicilio dei bisognosi e gli ecclesiastici si 
presentavano come intermediari tra gli indigenti e i benefattori; la carità domiciliare, 
con il passare del tempo, venne integrata dapprima attraverso il ricovero dei poveri negli 
eremi conventuali e successivamente negli ospedali e negli ospizi, sempre alle dirette 
dipendenze ecclesiastiche. Nacquero infatti i primi ospedali della Chiesa: San Luca in 
Pistoia (1082) e Sant’Antonio in Roma (1312)
10
. 
attività di politica. IASSW possiede lo status di ente consultivo presso le Nazioni Unite e partecipa nelle attività delle Nazioni Unite 
a Ginevra, Vienna e New York. 
8 Concetto sviluppato da Mary Richmond che indica un processo di analisi di situazioni problematiche che comprende 
principalmente 3 fasi: studio dei fatti e della situazione, diagnosi sociale della natura del problema, piano ed esecuzione del 
trattamento in coerenza con la diagnosi.
9 Il modello community work comprende, tutte quelle iniziative che sono rivolte ad una comunità anziché a singoli utenti o a gruppi 
ristretti ( progetti di animazione del tempo libero, avvio di tavoli di lavoro per una programmazione partecipata dei servizi, azioni 
per far crescere un dialogo attivo tra persone di culture diverse) e si sviluppò in seguito ad una revisione del case-work e 
all’evolversi del group-work.
10 N. Onida, Dalla mutua degli operai all’assistenza pubblica. Un secolo e mezzo di storia che ha caratterizzato la vita del paese , 
Orvieto, 2003, pag  36.
6
Dopo l’unificazione, il Governo italiano decise di non farsi carico direttamente 
dell’assistenza e delega questo compito alla Chiesa che, già da molti secoli, si occupava 
non solo di primo intervento e di primo soccorso, ma anche di affrontare problemi di 
maggiore portata, quali la salute, l’assistenza, l’emarginazione e la prevenzione 
attraverso la creazione di apposite strutture come lazzaretti, ospedali, orfanotrofi, ospizi, 
asili infantili e manicomi. La prima legge volta a regolamentare gli enti caritativi fu la 
legge 3 agosto 1862, n. 753 (legge Rattazzi 11
), che definì opere pie tutte le istituzioni 
dedite, esclusivamente o in parte, all’educazione, all’istruzione, all’assistenza e 
all’avviamento professionale degli appartenenti alle classi meno agiate. Tuttavia tale 
legge non chiarì se la natura di tali enti fosse pubblica o privata.
Con la legge 20 marzo 1865, n. 2248, che riguardava l’unificazione amministrativa del 
Regno d’Italia, vennero stabilite alcune spese obbligatorie di carattere assistenziale a 
carico dei Comuni e delle Province; al corposo impegno preso in carico da enti 
comunale e provinciali si contrappose, invece, il disinteresse dello Stato circa il settore 
caritativo-assistenziale, specie dal punto di vista economico. 
A partire dal 1870 la precedente legge n. 753/1862 si rivelò inadeguata poiché vennero 
rilevati abusi e disfunzioni nella gestione degli enti assistenziali; vennero quindi 
promosse alcune inchieste governative che portarono nel 1890 al progetto di riforma 
Crispi 12
 da cui sarebbe nata la legge 17 luglio 1890, n. 6972
13
.  
Lo scopo di quella legge fu di rimediare all’inefficienza gestionale nell’amministrazione 
delle opere pie e insieme migliorare la vigilanza dell’autorità pubblica 14
. 
Vi erano due concetti di beneficenza: quella istituzionale, di origine privata, era 
sottoposta al controllo dello Stato e esercitata dalle istituzioni (IPAB) secondo le regole 
11 Urbano Rattazzi (1808 – 1873) fu deputato nel primo parlamento subalpino (aprile 1848) nelle file della sinistra storica, rimase 
alla camera per 11 legislature. Venne nominato ministro della Pubblica Istruzione nel governo Casati, reggendo per pochi giorni 
anche il dicastero dell'Industria, dell'Agricoltura e del Commercio;  In seguito alla crisi del 1848 e all'avvento al potere nel dicembre 
di Vincenzo Gioberti, diventò sino al febbraio 1849 ministro di Grazia e Giustizia. 
12 Francesco Crispi (1818 – 1901) è stato un politico italiano. Fu presidente del Consiglio dei ministri italiano nei periodi 29 luglio 
1887 - 6 febbraio 1891 e 15 dicembre 1893 - 10 marzo 1896. 
13 Il principale merito di questa legge fu quello di concepire l’attività di beneficenza, fino ad allora volontaria e sostanzialmente 
privata, come finalità pubblica, stabilendo i primi passi verso la pubblicizzazione del settore. In particolare l’art. 1 chiarisce il 
carattere pubblico degli enti caritativi definendoli Istituzioni pubbliche di beneficenza (che prenderanno il nome di IPAB) aventi il 
fine di “assistere i poveri, malati o sani, di provvedere alla loro istruzione ed educazione, di avviarli a qualche professione, arte o 
mestiere, e di procurarne in qualunque altro modo il miglioramento morale ed economico”.
14 Alber.j, Dalla carità allo stato sociale, Bologna,  1986, pag  123.
7
dei propri statuti e consisteva nella prestazione gratuita di beni e servizi, rivolta a 
persone in condizioni economicamente disagiate; quella legale, invece, era costituita da 
un sistema pubblico di enti titolari di alcune competenze in materia assistenziale e 
caratterizzata dal perseguimento di una vera e propria politica di sostegno a soggetti in 
grave stato di bisogno sanitario o economico; ovviamente la beneficenza legale avrebbe 
dovuto svolgersi uniformemente su tutto il territorio nazionale ed era disciplinata da 
leggi generali 15
. 
Risulta evidente come, sia prima che dopo l’unificazione, la volontà del Governo fu 
quella di intervenire contro il grande livello di indigenza della popolazione e di ridurre 
l’influenza che la Chiesa e gli organismi ad essa collegati avevano nella società; ne è la 
dimostrazione concreta la legge Siccardi 16
 (1850) creata al fine di ridurre la capacità 
d’acquisto inter vivos 17
 e mortis causa 18
 da parte delle istituzioni pubbliche e, nel 1855, 
la creazione di una legislazione volta alla soppressione degli ordini religiosi non dediti 
alla predicazione, all’educazione o all’assistenza degli infermi.
Successivamente, in epoca giolittiana, venne approvata la legge 18 luglio 1904, n. 390, 
che introdusse ufficialmente il binomio assistenza-beneficenza, istituendo le 
commissioni provinciali di assistenza e beneficenza pubblica con compiti di vigilanza 
finanziaria e patrimoniale sulle istituzioni benefiche e programmando un piano di 
coordinamento degli interventi assistenziali nel territorio provinciale. 
Con la successiva legge 3 giugno 1937, n. 847, le congregazioni di carità furono 
soppresse e sostituite dall’Ente comunale di assistenza (ECA)
19
, situato presso ogni 
Comune. Gli ECA vennero finanziati dallo Stato e furono dediti all’assistenza più 
15 Balandi. G, Diritti sociali e riforma dello stato sociale, Bologna, 1999, pag 189.
16 Giuseppe Siccardi (1802 – 1857) è stato un giurista e politico italiano. Si laureò in giurisprudenza e intraprese la carriera di 
magistrato. Sono note come leggi Siccardi le leggi n. 1013 del 9 aprile 1850 e n. 1037 del 5 giugno 1850 dell'allora Regno di 
Sardegna, che abolirono i privilegi goduti fino ad allora dal clero cattolico. 
17 Il termine inter vivos (tra vivi) riguarda tutti gli atti destinati ad avere effetto durante la vita del soggetto che li ha posti in essere. 
Si contrappongono agli atti mortis causa.
18 La successione a causa di morte (mortis causa) è un procedimento del diritto successorio, che si verifica quando un patrimonio o 
comunque un insieme di beni e/o diritti sia rimasto privo di titolare per effetto della sua morte.
19 L’Ente Comunale di Assistenza (E.C.A.) fu la nuova denominazione che la legge 3 giugno 1937, n° 847, dava alle preesistenti 
Congregazioni di carità, che venivano soppresse. Tali nuovi enti acquisirono anche l'intero patrimonio delle Congregazioni di carità. 
Nell'ambito del trasferimento in mani pubbliche dei compiti di assistenza, l’Ente si dotava di un proprio statuto e si poneva lo scopo 
di assistere coloro che si trovassero in condizioni di particolare necessità e di promuovere il coordinamento delle varie attività 
assistenziali esistenti nel comune.
8
elementare a tutti gli individui e alle famiglie in condizione di particolare necessità; 
quindi non venne più richiesto lo stato di povertà, come nelle leggi ottocentesche, ma lo 
stato di bisogno, inteso come impossibilità temporanea di procurarsi il necessario per la 
sussistenza secondo la propria condizione sociale o nel senso di situazione di particolare 
necessità in una circostanza transitoria 20
.  
Con la caduta del fascismo e l’avvento della Costituzione nacque una nuova concezione 
di assistenza sociale, intesa come diritto di tipo universalistico; il fatto di concepire 
l’assistenza come un diritto implicò che gli enti erogatori non ebbero più facoltà di 
scelta circa i loro utenti. I servizi sociali, come intesi nella Costituzione, sono uno 
strumento di promozione e realizzazione dei diritti della personalità, ovvero di quei 
diritti imprescrittibili che conferiscono dignità alla persona. Il nostro ordinamento passò 
quindi da un’impostazione caritativa, fondata sull’assoluta discrezionalità delle 
prestazioni da parte delle strutture pubbliche preposte, a un vero e proprio sistema di 
sicurezza sociale caratterizzato dall’obbligatorietà degli interventi e al riconoscimento 
in capo al cittadino-utente di un vero e proprio diritto soggettivo all’assistenza sociale. 
Questa nuova concezione si trova espressa in particolare nel testo costituzionale all’art. 
2 che esalta il ruolo dell’uomo “sia come singolo sia nelle formazioni sociali” e nell’art. 
3 che sancisce “la pari dignità sociale e l’uguaglianza davanti alla legge”.
1.2 Dall’assetto tradizionale al S.S.N
Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati, da una disgregazione del progetto di 
integrazione socio-sanitaria e invece, negli ultimi anni, da tentativi ed iniziative per la 
ricostruzione di forme di integrazione fra sanità ed assistenza. Gli interventi di carattere 
sia sanitario che sociale, secondo l’assetto tradizionale (legge n. 6972/1890) rientravano 
nella sfera della beneficenza pubblica. Tali interventi venivano realizzati, talvolta, con 
oneri a carico degli stessi assistiti, oppure dei congiunti obbligati agli alimenti e, infine, 
dei Comuni, competenti secondo il criterio del domicilio di soccorso. 
20 Bobbio G, Morello D, Morino M, Diritto dei servizi sociali ,  Roma, 2006, pag  45.
9
In questo tipo di assetto tutte le attività di servizio alla persona (sia di carattere sanitario 
che di natura socio-assistenziale) erano riferite agli unici enti responsabili,  cioè ai 
Comuni, mentre la posizione del cittadino si riduceva ad un’aspettativa rispetto ad 
un’attività svolta dalle IPAB e dai Comuni a titolo di beneficenza pubblica, con 
conseguente discrezionalità nella concessione delle prestazioni e nella ripartizione degli 
oneri fra utenza e sistema pubblico 21
. 
L’assetto tradizionale muta decisamente con l’avvento del sistema mutualistico e con 
l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria contro la malattia, affidata ad enti di 
carattere nazionale (INAM
22
, INADEL
23
, ENPAS
24
). 
Mentre i servizi socio-assistenziali continuarono ad essere affidati ai Comuni a titolo di 
beneficenza pubblica, le competenze ad assicurare le prestazioni di carattere sanitario 
vennero attribuite ad appositi Enti assicurativi, cui i lavoratori dovettero essere 
obbligatoriamente iscritti. 
Successivamente si pervenne a definizioni rigorose sulla distinzione tra previdenza e 
assicurazioni obbligatorie da un lato ed assistenza e beneficenza dall’altro. 
La sfera della previdenza sociale venne circoscritta al complesso delle norme e degli 
istituti che attribuivano ai lavoratori e ai loro famigliari il diritto soggettivo a fruire di 
determinate prestazioni economiche e sanitarie in presenza di determinati eventi lesivi 
(rischi sociali). 
L’assistenza e la beneficenza, invece, venivano circoscritte alle azioni che 
l’Amministrazione Pubblica poteva porre in essere per sovvenire alle condizioni di 
bisogno di soggetti versanti in stato di povertà. 
Nel primo caso il cittadino viene considerato titolare di un diritto soggettivo a fruire 
automaticamente delle prestazioni, all’atto dell’insorgenza dell’evento lesivo. 
21 E.Balboni, Baroni, A. Mattioni, G. Pastori, Il sistema integrato dei servizi sociali: commento alla legge n. 328 del 2000 e ai 
provvedimenti attuativi dopo la riforma del Titolo 5 della Costituzione , Milano, 2003, pag  223.
22 L'INAM era l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie gestiva l'assicurazione obbligatoria per provvedere, in caso 
di malattia dei lavoratori dipendenti privati e dei loro familiari, alle cure mediche e ospedaliere. Nel 1977 l'ente è stato sciolto a 
seguito della nascita del Servizio Sanitario Nazionale e i contributi obbligatori, pagati dai lavoratori e dai datori di lavoro, vengono 
gestiti dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). 
23 L'INADEL era l'Istituto Nazionale Assistenza Dipendenti Enti Locali. Ente pubblico nato nel 1925 col compito di assicurare 
l'assistenza sanitaria e svolgere un'attività previdenziale nei confronti del personale dipendente degli Enti pubblici. La legge 29 
giugno 1977, n. 349, pose tale istituto in liquidazione e le sue funzioni sono state assorbite dal 1º gennaio 1980 dall'INPS .
24 L' E.N.P.A.S. era l'Ente nazionale previdenza e assistenza ai dipendenti statali. L'assistenza sanitaria dei dipendenti statali, di 
ruolo, non di ruolo, salariati, pensionati, civili e militari, era affidata all'ENPAS, istituito con L. 19 gen. 1942, n. 22.
10
Nel secondo caso, invece, nessuna posizione di particolare rilevo viene attribuita al 
cittadino, poiché non viene considerato titolare di un diritto soggettivo ma di un 
interesse legittimo ad ottenere prestazioni la cui determinazione è fondamentalmente 
rimessa alla valutazione discrezionale della Pubblica Amministrazione. Gli effetti pratici 
delle distinzioni fra sanità ed assistenza risultarono particolarmente negativi. L’aspetto 
particolarmente difficoltoso si rivelò quello di stabilire che un certo tipo di servizio 
dovesse qualificarsi come sanitario piuttosto che assistenziale, basandosi sul carattere 
prevalente (sanitario o sociale) delle competenze che concorrevano a costituire una certa 
prestazione e che, in caso di attribuzione ad un determinato comparto sanitario o 
assistenziale, dovessero valere esclusivamente le regole (assetti organizzativi e 
copertura dei costi) proprie del comparto di appartenenza. 
Questa distinzione creò diverse problematiche dato che parte rilevante dei servizi sociali 
ed assistenziali contiene componenti propri della sanità e dell’assistenza.
La Legge n. 833/78
25
 fu il primo provvedimento messo in atto per risolvere parte delle 
problematiche individuate nell’assetto tradizionale ovvero quello mutualistico e 
descrive i principi fondamentali del SSN:
 Principio dell’eguaglianza:  ogni cittadino, indipendentemente dal tipo di attività 
svolta, dalla categoria sociale di appartenenza e dal luogo di residenza, può usufruire di 
livelli standard di prestazioni fornite dal SSN "..senza distinzione di condizioni 
individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei 
confronti del servizio.." (art.1 L.833/78)
 Principio della globalità: nell’ambito della nuova organizzazione va protetto tutto ciò 
che riguarda la salute fisica e psichica del cittadino, non limitandosi al solo aspetto 
curativo delle malattie eventualmente già insorte, ma con estensione anche alla 
prevenzione e riabilitazione. "..Il SSN è costituito dal complesso delle funzioni, delle 
strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al 
recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione .." (art.1 L.833/78)
25 La legge n. 833 (detta anche Riforma Sanitaria) del 23 dicembre 1978, è una legge della Repubblica Italiana che ha istituito il 
Servizio Sanitario Nazionale, sopprimendo il sistema mutualistico.
11
 Principio della territorialità: la nazione viene suddivisa in un numero elevato di zone, 
in ognuna delle quali può operare una sola istituzione, la USL, cui compete in via 
esclusiva la gestione dell’assistenza sanitaria in ogni suo aspetto. (art. 1 L.833/78)
 Principio della dignità e libertà della persona: "La tutela della salute fisica e psichica 
deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana". (art.1 
L.833/78)
Gli obiettivi della riforma erano articolati in diversi punti:
- superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni sociosanitarie del paese 
(mediante programmazione sanitaria e coerente distribuzione delle risorse disponibili);
- educazione sanitaria del cittadino e delle comunità;
- prevenzione delle malattie e degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro;
- sicurezza del lavoro (con la partecipazione dei lavoratori e delle organizzazioni 
sindacali);
- diagnosi e cura degli eventi morbosi e riabilitazione dagli stati di invalidità e di 
inabilità;
- tutela della salute mentale;
- procreazione responsabile e tutela della maternità e dell’infanzia;
- disciplina della sperimentazione, produzione e distribuzione dei farmaci;
L’organizzazione sanitaria prevista dalla legge n. 833/78, era caratterizzata da 
competenze diversificate ai diversi livelli del sistema amministrativo:
1) Livello centrale (Stato)
Programmazione generale.
Governo e Parlamento, Ministero della Sanità, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio dei 
Sanitari, Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali dal 1993 (funzioni di 
programmazione, direzione, allocazione delle risorse, controllo della qualità).
12
2) Livello regionale (Regioni)
Legislazione e programmazione nell’ambito territoriale.
Assessorati alla Sanità (Regioni e Province autonome) con funzioni di programmazione 
e direzione per le strutture e i territori di propria competenza.
3) Livello operativo  (Comuni, singoli o associati)
Gestione tramite le Unità Sanitarie Locali (U.S.L
26
).
Il finanziamento necessario all’operatività del SSN era assicurato attraverso la 
tassazione generale e da contributi versati dai lavoratori e datori di lavoro.
È a partire dal Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229 che si inizia a dare forza al 
tema dell’integrazione sociosanitaria e si dà avvio ad una prima definizione delle 
prestazioni e dei principali attori coinvolti nell’organizzazione e nella gestione di tale 
riforma assistenziale.
Tuttavia, il riferimento normativo fondamentale in merito all’integrazione sociosanitaria 
è costituito dall’“Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni 
sociosanitarie” (DPCM del 14 febbraio 2001).
Come rilevato in dottrina l’approvazione della legge n. 833/78, che ha introdotto nel 
nostro Paese il Servizio sanitario nazionale basato sulla concezione universalistica del 
diritto alla salute per tutti i cittadini, resta ancora oggi il risultato più importante 
dell’elaborazione politica e culturale che si sviluppò negli anni Settanta. Mancò invece 
una parallela riforma del sistema dei servizi sociali. La legge di riforma sanitaria fu 
approvata dal Parlamento dopo molte sperimentazioni avviate in diverse zone del Paese 
ed un processo di maturazione culturale intorno ad alcune idee-guida, le stesse su cui si 
fondavano anche le proposte di riforma socio-assistenziale 27
.
26 Le USL vengono definite come il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei Comuni, singoli o associati, e delle 
Comunità montane che, in un ambito territoriale determinato, assolvono a compiti del SSN provvedendo ad erogare prestazioni di 
prevenzione, cura e riabilitazione e medicina legale.
27 F. Franzoni, Le politiche di welfare , Bologna, 1996, pag 190.
13
Una prima idea-guida fu sicuramente quella della prevenzione , nel più ampio significato 
di prevenzione sia delle malattie che del disagio sociale: i servizi avrebbero dovuto 
intervenire non soltanto a curare i danni indotti da patologie sanitarie e sociali già 
conclamate, ma avrebbero dovuto mirare anche al mantenimento della salute fisica e 
psichica e del benessere sociale dei cittadini, intervenendo per eliminare le cause stesse 
delle patologie (prevenzione primaria). 
Una seconda idea-guida fu quella della lotta all’emarginazione , che comportava 
innanzitutto il superamento di interventi che sradicavano le persone dal proprio 
ambiente di vita e dal proprio contesto sociale: la proposta fu quella di istituzionalizzare 
malati di mente, handicappati, anziani, ma soprattutto di creare servizi alternativi che 
consentissero a ciascuno di rimanere nella propria casa. 
Una terza linea-guida fu l’integrazione tra servizi sociali e sanitari , necessaria per 
garantire risposte concrete, che rispettassero la globalità e l’unitarietà dei bisogni delle 
persone. Ovviamente per superare la frammentazione e le sovrapposizioni degli 
interventi verificatesi in passato, ma anche per ancorare gli interventi ai nuovi obiettivi 
della complessiva politica dei servizi, fu ritenuto necessario seguire una quarta linea-
guida, ovvero quella della programmazione , intesa come metodo ordinario di governo, a 
qualsiasi livello, ma anche come metodo di lavoro in ciascun servizio.
Perché gli obiettivi proposti e i singoli interventi rispondessero effettivamente ai 
bisogni, occorreva che cittadini e utenti, avessero voce nel proporli e valutarli. La 
domanda di partecipazione fu certamente uno degli elementi caratterizzanti tutti i 
movimenti culturali e politici di quegli anni. In generale il coinvolgimento partecipativo 
era ritenuto requisito necessario per garantire efficienza ed efficacia dei servizi alla 
persona 28
. 
La partecipazione, nelle sue varie forme, doveva essere sostenuta da una capillare 
diffusione dell’ informazione sui bisogni della popolazione, sui servizi e sui processi 
decisionali ad essi relativi.
28 A. Maccacaro, Riforma sanitaria e partecipazione. L’unità sanitaria locale come sistema , in “L’educazione sanitaria”, 1973, pag 
35.
14
Tuttavia, la traduzione in esperienze concrete di questi nuovi orientamenti necessitava 
di un diverso assetto istituzionale e organizzativo che avrebbe dovuto portare vicino ai 
cittadini sia la lettura dei bisogni che la programmazione dei servizi e il continuo 
monitoraggio sulla loro efficacia; quindi è l’idea di decentramento che costituisce la 
quinta linea-guida di tutto il processo di trasformazione. 
L’attivazione del  D.P.R 24 luglio 1977, n. 616
29
, è stata condizione necessaria per 
l’introduzione, nella legge n. 833/78, dell’Unità sanitaria locale, come complesso dei 
presidi, degli uffici e dei servizi gestiti da Comuni singoli e associati.
E’ interessante ricordare come anche l’istituzione dell’Unità sanitaria locale (U.s.l) sia 
stata preceduta, in alcune regioni, da sperimentazioni di Consorzi socio-sanitari. 
  
1.3 L’articolo 38 della Costituzione “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto 
al mantenimento e all'assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro 
esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione 
involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o 
integrati dallo Stato. 
L'assistenza privata è libera.” 
L’articolo 38 della Costituzione, va analizzato sotto diversi aspetti 30
:
1) Sicurezza sociale : essa mira a rendere concreto il nucleo forte dell’idea di Stato 
sociale voluta dai costituenti che, progettando una complessa rete di sicurezza sociale 
attraverso la previsione dei diritti all’assistenza, alla previdenza, oltre che alla salute e 
all’istruzione, vollero garantire condizioni di vita adeguate di vita ai cittadini nelle 
29 Il d.p.r n. 616/77 riguardava il trasferimento delle competenze in materia sociale e sanitaria alle autonomie locali.
30 Sul punto si veda G. Branca, Commentario della Costituzione, Roma, 2005, pag 56.
15