Introduzione
Il 19 marzo è una data importante non solo per la nostra isola ma per tutta l‟Italia. È
il momento del ricordo, della conoscenza e del dolore. La “Giornata della memoria
delle vittime della mafia” serve a non farci mai dimenticare i nomi e le storie di chi,
con coraggio, forza e dedizione, ha combattuto quel cancro che è la mafia. Durante
tale manifestazione vengono infatti letti nomi e cognomi di chi dal 1893 al 2004 è
stato ucciso . Nell‟archivio della memoria si leggono, tra moltissimi altri, i nomi di
Placido Rizzotto, Mauro de Mauro, Giuseppe Impastato, Piersanti Mattarella, Carlo
Alberto Dalla Chiesa, Giangiacomo Ciaccio Montalto, Rocco Chinnici, Antonino
Cassarà, Barbara, Salvatore e Giuseppe Asta ed alla fine dell‟ottava pagina sotto
l‟indicazione temporale 1988 si legge tra gli altri il nome di Mauro Rostagno. Una
storia felice quella del sociologo trapanese, una vicenda fatta di amore, tanto
amore, più per il prossimo che per sé stesso ma anche di cambiamento di rotture e
di esperienze sempre bellissime e nuove. Mauro Rostagno, torinese di origine ma
internazionale di spirito è stato un personaggio importante per l‟Italia e soprattutto,
negli ultimi anni della sua vita, per la Sicilia, nella quale egli stesso scelse di
vivere. La sua vita fu molto intensa: prima operaio alla Fiat Mirafiori, poi studente
meritevole all‟università di Trento, facoltà di Sociologia, proprio durante il ‟68 del
quale fu promotore ed al quale partecipò ed in seguito dirigente di Lotta Continua e
direttore dell‟omonimo giornale fino alla fondazione del Macondo, il primo centro
culturale alternativo a sorgere nella città di Milano. C‟è un momento della sua
esistenza nel quale avviene una trasformazione profonda che lo porta in India, in
mezzo alla cultura, ai colori al fascino della religione di Osho e durante il quale
Rostagno porta abiti color cremisi, gioisce delle piccole cose di ogni giorno,
cambia. Dal paese orientale Rostagno arriva alla più piccola delle provincie
siciliane: Trapani. In un baglio nasce la Saman, comunità per il recupero delle
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tossicodipendenze, e Rostagno rinasce, si veste di bianco, cambia letture. La sua
attività giornalistica è sempre più intensa durante l‟ultimo anno della sua vita ed il
sociologo torinese si impegna ogni giorno a denunciare problemi e difficoltà della
cittadinanza, a dire davanti alle telecamere i nomi di politici e mafiosi colpevoli di
un‟arretratezza culturale abbarbicata nella gretta mentalità dei notabili che
gestiscono la cosa pubblica. Le denuncie di Rostagno, sempre più frequenti,
martellanti, riguardano personaggi legati al mondo oscuro ed intricato delle logge
massoniche collegate alle famiglie mafiose trapanesi che decretano la sua morte.
Il seguente lavoro nasce dall‟esigenza di mettere in evidenza l‟importanza che il
giornalismo d‟inchiesta ebbe per la Sicilia negli anni in cui Cosa Nostra
cominciava a far tacere chi cercava la verità. Ispirato soprattutto dalla conoscenza
di altre esperienze antimafia, che hanno reso onore alla nostra isola, lo scritto che
segue è anche il frutto di una personale passione nella ricerca della verità e di una
propensione nell‟affermare che la bellezza della Sicilia risiede in gran parte nei
suoi eroi. Il percorso seguito per il suo sviluppo e per il suo approfondimento ha
previsto non solo la consultazione di diversi testi ma anche la visita dei luoghi in
cui Rostagno ha operato e la conoscenza di persone a lui vicine.
Il primo capitolo comprende, dunque, un excursus storico del contesto nazionale
nel ventennio che va dagli anni ‟60 agli anni ‟80. Durante quegli anni l‟Italia
cambiò radicalmente a livello sia sociale che economico e politico. Le lotte
studentesche ed operaie che caratterizzarono gli anni ‟60 e parte dei ‟70 portarono
ad un‟affermazione più concreta dei diritti di tutti i cittadini. A livello economico,
dopo un periodo di crescita, cominciò per il paese una crisi destinata a protrarsi per
molti anni e che impedì la nascita di un benessere diffuso. Politicamente, i primi
governi che videro la luce nel secondo dopoguerra dovettero affrontare gravi
divisioni interne dovute a divergenze ideologiche che non furono mai del tutto
appianate. Pur essendo stato un ventennio molto difficile, soprattutto per gli scontri
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di piazza durante la contestazione e l‟autunno caldo e per la nascita del terrorismo
nero e rosso che tenne sotto scacco l‟Italia per oltre un decennio, quello tra i ‟60 e
gli „80 rimane comunque il periodo di grandi esponenti politici tra i quali Aldo
Moro ed Enrico Berlinguer. Le loro teorie non vennero mai concretizzate da una
classe politica molto spesso inerte dinnanzi alle necessità del paese. Con gli anni
‟80 a livello politico, l‟esperienza del pentapartito guidato da Craxi portò ad alcuni
traguardi di breve termine. Negli anni ottanta si aprì inoltre il periodo degli attentati
e delle uccisioni per mano mafiosa e tra i molti morti ammazzati ci fu anche Mauro
Rostagno, giornalista antimafia.
Il secondo capitolo è interamente improntato sulla vita e sulle esperienze del
sociologo torinese, una vita “poliedrica” fatta di esperienze dalle quali nascerà uno
spirito libero, molto critico nei confronti delle ingiustizie e molto coraggioso
nell‟affermare i diritti fondamentali dell‟uomo tra i quali quello alla libertà lato
sensu.
Nel terzo ed ultimo capitolo si pone l‟attenzione sull‟attività giornalistica che
Mauro Rostagno svolse presso l‟emittente trapanese Radio Tele Cine dal 1987.
Dopo una iniziale descrizione della nascita di RTC e dell‟inizio della
collaborazione del sociologo tornese con la rete televisiva, si fa riferimento al
contesto mafioso dell‟epoca presentando gli episodi più eclatanti accaduti nel
territorio. Nel paragrafo seguente si passano in rassegna i redazionali scritti dallo
stesso Rostagno e nei quali si può leggere il suo impegno contro la mafia. Infine,
dopo un paragrafo dedicato alla dinamica del delitto, avvenuto il 26 settembre
1988, si descrivono le diverse indagini portate avanti negli anni dopo l‟omicidio e
si riportano le testimonianze raccolte oggi nell‟ambito del processo Rostagno
riaperto nel 2010.
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Il lavoro è inoltre corredato da una serie di interviste fatte all‟obiettivo di avere una
testimonianza concreta dell‟attività del sociologo trapanese nella provincia siciliana
e della sua importanza a livello sociale e culturale.
L‟obiettivo principale è quello di avvalorare, tramite documentazione, la tesi
secondo la quale il sociologo torinese venne ucciso dalla mafia che poco
sopportava la sua attività giornalistica di denuncia. Quest‟ultima diverrà dunque la
chiave di lettura privilegiata del seguente lavoro che, pur non ponendosi lo scopo
di voler espletare un compito spettante a magistratura e pubblici ministeri, tenta di
dare una spiegazione concreta ad un omicidio che per molti anni è rimasto un
mistero e di attribuire a Mauro Rostagno il titolo di giornalista antimafia.
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CAPITOLO 1
Il contesto: dalla contestazione della “società dei consumi” agli
“anni di piombo”
Dal boom economico alla congiuntura.
Il cosiddetto “boom economico” ebbe inizio subito dopo la fine della Seconda
Guerra mondiale negli Stati Uniti, diffondendosi anche ai paesi dell'Europa
occidentale dall'inizio degli anni '50. L'espansione che ne seguì , fu continua per
almeno un decennio e fece apparire lo sviluppo economico come lo sbocco
naturale delle società industriali. In Italia , il “miracolo economico” avvenne tra
la fine degli anni ‟50 e l‟inizio degli anni ‟60. Il potenziamento del settore
industriale ed il conseguente aumento della produzione di beni di consumo
durevoli dovuto anche all'espansione demografica, furono le caratteristiche che
contribuirono a formare la cosiddetta “società del benessere”. Lo sviluppo
sociale che seguì portò però con sé il fardello delle grandi differenze del paese:
si contrapposero avanzamento culturale ed analfabetismo , “antiche aspirazioni,
elementari esigenze” e consumi e bisogni nuovi. Il benessere , dovuto
all‟aumento della produzione industriale e quindi all‟ampliamento del settore,
era stato creato , in realtà, a scapito della manodopera agricola che , spinta da un
bisogno di emancipazione, emigrò in massa verso le città dove spesso veniva
non solo emarginata ma anche fortemente sfruttata a livello lavorativo.
L‟emigrazione dal Sud, fondamentalmente agricolo, verso il Nord industriale
provocò un importante cambiamento nell‟assetto geografico italiano: crebbe a
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dismisura la popolazione delle città formata perlopiù dalla borghesia urbana e
dalla classe operaia a scapito del ceto dei coltivatori diretti e degli affittuari che
subì una drastica riduzione. Questo massiccio esodo provocò inoltre una
alterazione degli assetti urbani delle città la cui espansione avvenne in modo
disordinato senza alcun intervento dei poteri pubblici. Le trasformazioni sociali
che investirono la società italiana verso la fine degli anni ‟50 portarono dunque
ad un radicale stravolgimento delle abitudini: vennero a disperdersi i valori della
società contadina sostituiti in breve tempo da quelli della società consumistica.
Basti pensare alle abitudini alimentari degli italiani :
“ l‟italiano del 1946 è allo stremo, consuma 4-5 chili di carne bovina pro capite all‟anno e
solo alla metà degli anni cinquanta ritorna ai 9 chili […]”
Lo spopolamento del Mezzogiorno creò non pochi problemi a livello
economico e sociale : con l‟aumento del potere d‟acquisto ed il conseguente
cambiamento delle abitudini alimentari , si diversificò anche la domanda di
derrate ma, le campagne del sud Italia, non riuscirono a soddisfarla a causa della
mancanza di manodopera contadina. Inoltre all‟emigrazione , che mise in
evidenza le differenze sociali tra sud e nord, seguirono processi di
emarginazione ed esclusione dalla vita civile. I nuovi emigrati, provenienti dalla
parte dimenticata d‟Italia, dovettero affrontare le molte difficoltà create da
lavori logoranti e dalla scarsa integrazione, ma grazie alle esperienze lavorative
che accomunavano gli operai delle fabbriche ed ai consumi di massa le due
diverse società trovarono dei punti in comune che furono alla base delle lotte
operaie. Verso la metà degli anni ‟50, inoltre, la Rai cominciò a trasmettere
regolarmente dei programmi che divennero il simbolo della nuova società
italiana e contribuirono all‟affermazione della cultura di massa. La televisione e
l‟automobile furono , infatti, gli strumenti del cambiamento sociale che stava
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investendo il paese. Le diverse spinte all‟avanzamento culturale non ebbero ,
però, una portata uniforme:
“l‟analfabetismo non persiste solo negli sperduti centri rurali. A Milano e provincia mezzo
milione di persone non ha la licenza elementare […] ci sono anche i casi estremi: ad esempio
le condizioni della Sicilia […]”
L‟inettitudine di un Stato ogni giorno più diviso e che non riuscì a dare una
risposta decisa ai problemi sollevati dal boom economico, provocò , ben presto ,
l‟avvento della “congiuntura” negativa , cioè di una crisi economica
temporanea. L'Italia del “miracolo”, della catena di montaggio , del
consumismo all'americana, assistette, dunque, fra il 1963 ed il 1964 ad una
discesa economica non molto rassicurante che portò ad un rapido declino
dell'industria ed al conseguente malcontento operaio causato da licenziamenti e
sfruttamento forzato. Si chiuse in tal modo il periodo di benessere che aveva
investito l‟Italia tra gli anni ‟50 e‟60 e si aprì una nuova stagione i cui
protagonisti furono le masse operaie, il nuovo ceto sociale, simbolo
dell‟espansione industriale.
1.2. Cenni sul sistema politico
I fattori scatenanti non solo della “congiuntura” ma anche e soprattutto delle
proteste operaie che seguirono si devono ricercare nell‟inettitudine politica dei
governi che si succedettero durante gli anni ‟60 e che si dimostrarono incapaci
di elaborare le riforme sociali delle quali il paese aveva necessità.
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All‟inizio degli anni cinquanta, il consolidamento della ripresa economica unito
ad una lenta modernizzazione del paese portò a livello politico alla creazione di
nuovi equilibri. Nel luglio del 1953 , alle dimissioni di De Gasperi seguì la
formazione di un nuovo governo a guida democristiana. La politica centrista
promossa nel primo dopoguerra dalla Democrazia Cristiana subì durante la
seconda legislatura repubblicana (1953-1958) una battuta d‟arresto determinata
non solo dalla sconfitta politica del suo massimo esponente ( De Gasperi) ma
anche e soprattutto dai cambiamenti che stavano avvenendo al suo interno. Le
elezioni del ‟53 provocarono, infatti, all‟interno della Dc l‟isolamento del
gruppo dirigente degasperiano e la discesa in campo di una nuova generazione
politica che si era formata nell‟Azione Cattolica tra gli anni ‟20 e ‟30. I suoi
principali esponenti, che furono Aldo Moro , Amintore Fanfani, Mariano Rumor
e Paolo Emilio Taviani, sostenevano la necessità di un intervento statale
nell‟economia, assumendo di conseguenza un atteggiamento critico nei
confronti del liberismo promosso dai precedenti governi. Perciò, nel 1954 ,
Amintore Fanfani, divenuto segretario della Dc , cercò di avvicinare il partito
all‟industria di Stato, liberandolo dai condizionamenti della Confindustria ed
appoggiando l‟Eni di Enrico Mattei. Sul piano politico, il neo segretario
democristiano, mantenne la linea centrista ma, dopo le elezioni presidenziali del
1955 e l‟ascesa di Giovanni Gronchi alla Presidenza della Repubblica,
manifestò la volontà di un‟apertura del governo verso le forze politiche di
sinistra che stavano subendo delle importanti trasformazioni. Infatti , tra il ‟54-
‟55 il Partito Socialista italiano era in procinto di esplicitare il distacco dall‟area
Comunista allo scopo di aprire un dialogo con i democristiani. Nel 1956 il
distacco tra comunisti e socialisti si concretizzò in seguito alla denuncia dei
crimini di Stalin al XX Congresso del Partito comunista sovietico ed
all‟invasione dell‟Ungheria da parte dell‟Urss. L‟allontanamento del Psi dalla
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sinistra comunista avvenne sotto la guida dello stesso Pietro Nenni che si
dichiarò disposto all‟avviamento di una stagione di riforme. La svolta
autonomista dei socialisti ebbe delle conseguenze positive sull‟elettorato che ,
fortemente condizionato dal clima anticomunista di quegli anni, premiò alle
elezioni del 1958 il partito di Nenni che registrò una crescita del consenso.
L‟apertura a sinistra auspicata da Fanfani venne dunque messa in atto dall‟inizio
degli anni ‟60 con l‟ingresso del Psi al governo. La svolta politica , inizialmente
osteggiata dalla destra economica e dal alcuni esponenti della stessa Dc maturò
in seguito ad alcuni avvenimenti drammatici. Infatti , Fernando Tambroni,
durante il suo unico mandato da Presidente del consiglio ( 25 marzo -26 luglio
1960) , non riuscendo a trovare un accordo con socialdemocratici e
repubblicani, decise di formare un governo democristiano con l‟appoggio del
Movimento sociale italiano. Ciò suscitò l‟opposizione e le proteste sia dei
partiti laici che della Dc e provocò la dimissione di alcuni ministri. La tensione
si acutizzò in giugno, quando il presidente del consiglio si vide costretto a
ricambiare l‟appoggio al governo dei neofascisti consentendo al Msi di tenere il
suo congresso nazionale a Genova. La decisione di Tambroni suscitò l‟ira di
operai ed antifascisti genovesi che per tre giorni (dal 30 giugno al 2 luglio
1960) scesero in piazza scontrandosi duramente con le forze dell‟ordine. Gli
scontri si perpetuarono anche in seguito alla decisione governativa di rinviare il
congresso , diffondendosi anche in altre città. In un clima teso , Tambroni venne
sconfessato dalla Dc e fu costretto a dimettersi. I fatti del luglio 1960
provocarono , dunque , una crisi di governo che i democristiani cercarono di
superare con la formazione di un nuovo esecutivo guidato da Fanfani e nel quale
i socialisti avrebbero avuto un ruolo passivo. Si aprì così la stagione politica del
“centro-sinistra”, sancita anche dal congresso della Dc del gennaio 1962, in cui
Aldo Moro, divenuto segretario del partito, presentò la nuova formazione
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parlamentare nella quale il Psi avrebbe avuto un ruolo attivo. Nel marzo del
1962 venne formato un nuovo governo Fanfani di cui facevano parte oltre alla
Dc anche il Partito Repubblicano e il Partito socialdemocratico italiano e che
presentò un programma concordato con i socialisti che assicurarono il loro
appoggio ai progetti di legge presentati dalla maggioranza parlamentare. In
questa fase il governo di centro-sinistra riuscì a raggiungere degli importanti
risultati: nel novembre del ‟62 fu portata a termine la nazionalizzazione
dell‟industria elettrica con la creazione dell‟Ente nazionale per l‟energia
elettrica (Enel) e a dicembre dello stesso anno fu approvata la legge che istituiva
la scuola media unica. Altre proposte programmatiche come la nominatività dei
titoli azionari e l‟istituzione delle regioni rimasero per il momento solo teoriche.
Il vero obiettivo del centro-sinistra era , inoltre, quello di attuare una
programmazione economica in modo da ridurre , attraverso l‟intervento statale,
gli squilibri sociali presenti in Italia. Tale programmazione , però, non venne
mai attuata concretamente innanzitutto poiché , un progetto legislativo di tale
portata richiedeva consensi più ampi rispetto a quelli parlamentari ed in secondo
luogo per l‟ostruzionismo di alcuni membri del governo che posero la questione
della priorità degli interventi programmatici. I socialisti infatti erano concordi
nell‟attuare una politica di investimenti e spesa sociale, per i repubblicani
invece era prioritario un controllo della dinamica salariale. I contrasti che si
svilupparono all‟interno della coalizione governativa raggiunsero il loro
culmine con le elezioni del 1963 in seguito alle quali Pli e Pci guadagnarono
consensi a scapito della Dc e del Psi all‟interno dei quali si accentuarono le
divisioni. Solo nel dicembre del 1963 venne formato un governo “organico” ,
guidato da Aldo Moro e più moderato rispetto a quello precedente guidato da
Fanfani. Il processo riformatore avviato dal centro-sinistra nel 1962 , conobbe
durante l‟anno seguente una battuta d‟arresto sia per l‟avvento della
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“congiuntura” negativa che investì l‟Italia tra l‟ estate del 1963 e quella del
1964, sia per l‟opposizione di forze ostili alla sinistra, di gerarchie militari e
dello stesso Presidente della Repubblica Antonio Segni. La motivazione più
seria, che contribuì all‟arresto della stagione riformista, riguardava la stessa Dc
all‟interno della quale le istanze di rinnovamento erano in netta minoranza e
molti gruppi non avevano approvato a pieno l‟apertura a sinistra. I contrasti
all‟interno del maggiore partito governativo vennero attenuati dalla forza
carismatica di Aldo Moro che cercò di risolvere i dissidi utilizzando
compromesso e mediazione e riuscì a mantenere unita la Dc. Contraria fu la
sorte del Psi , all‟interno del quale , dopo le elezioni del 1963 , si riacutizzarono
i dissensi e ciò portò nel gennaio del 1964 ad una nuova scissione del partito: la
minoranza di sinistra ancora legata al Pci e contraria al governo formò il Partito
socialista di unità proletaria (Psiup). Anche la maggioranza del partito
socialista era però divisa in due fazioni: l‟una guidata da Riccardo Lombardi
che sosteneva la necessità di riforme di “struttura” che modificassero il sistema
economico-sociale; l‟altra guidata da Pietro Nenni che cercò di mantenere gli
equilibri politici ed auspicava un unione con il Psdi. La scissione della
minoranza socialista unita al rafforzamento del Pci in seguito alla morte di
Togliatti determinò un indebolimento del partito di Nenni. Pur dovendo far
fronte ad una serie di difficoltà iniziali, la coalizione di centro-sinistra non
conobbe durò per oltre un decennio durante il quale si alternarono governi
presieduti da Moro, Rumor , Colombo. La sua fine venne invece determinata
dall‟incapacità di intervento che il governo dimostrò di avere nei confronti delle
necessità sociali che scaturirono all‟indomani del 1968.
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1.3. Il ’68 e l’autunno caldo: studenti e operai
La fine del periodo riformista del centro-sinistra provocò non soltanto il
persistere di pesanti squilibri sociali ma anche la radicalizzazione di proteste
promosse inizialmente dagli studenti e che coinvolsero in seguito anche la
classe operaia. Il preludio di tali proteste si deve ricercare negli anni della
congiuntura negativa. Infatti , già nel 1964 su Rinascitasi leggeva
“ Periodicamente, a grandi ondate la vita dell‟università viene scossa da agitazioni, da
scioperi, da occupazioni, dando continuità a un movimento che ormai ha radici profonde
nella scuola italiana.”
Le occupazioni furono motivo di coinvolgimento per molti studenti che
cercarono già dai primi anni ‟60 di rivendicare il loro ruolo centrale all‟interno
delle istituzioni scolastiche. Le nuove esigenze che spingevano gli studenti a
protestare non furono però carpite dal governo Moro: alla metà del 1965 il
ministro Luigi Gui presentò il disegno di legge 2314 sull‟università che risultò
essere non solo inadeguato ma anche conservatore del baronaggio che
imperversava all‟interno degli atenei. Gli scioperi che seguirono
all‟approvazione del “piano Gui” furono però inefficaci e la stessa Unione
Goliardica Italiana ammise lo squilibrio presente nel movimento studentesco tra
intenzioni ed azioni. All‟inizio del 1966 nuovi fermenti si verificarono nella
facoltà di Sociologia di Trento: gli studenti trentini auspicavano il
riconoscimento della sociologia come materia fondamentale della facoltà, data
la sua capacità di “elevare la ragione ad un posto democraticamente importante
per gli affari umani in una società libera”. Il Movimento Studentesco Trentino
fu uno tra i più attivi nella promozione delle iniziative di protesta divenendo
quasi un esempio per i gruppi studenteschi di tutta Italia. Alla guida di tale
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movimento ci fu, tra gli altri, Mauro Rostagno, strenuo sostenitore dei diritti
fondamentali dell‟uomo, che in quegli anni divenne un punto di riferimento per
i suoi colleghi ed un capo carismatico per l‟Mst. Tra il ‟66 ed il ‟67 occupazioni
e scioperi vennero organizzati in molti atenei italiani ed in seguito alla circolare
che il ministro Taviani inviò ai prefetti delle città universitarie, nella quale
veniva autorizzato l‟immediato intervento delle forze dell‟ordine senza alcuna
richiesta del rettore, le agitazioni si radicalizzarono diffondendosi nelle città più
importanti: Bari, Napoli, Torino, Milano, etc. Durante le assemblee organizzate
in diversi atenei venne ribadita la posizione ostile degli studenti nei confronti
del “piano Gui”. La discussione sulla riforma universitaria, iniziata in
parlamento nell‟autunno del 1967 , non portò ad alcuna modifica positiva a
causa della presenza di “deputati-baroni” che decisero di abolire gli articoli
riguardanti tempo pieno e incompatibilità fra docenza universitaria e mandato
parlamentare. Si creò per ciò una spaccatura tra politica e paese reale che
determinò l‟acutizzarsi delle manifestazioni studentesche durante i primi mesi
del 1968. Il fil rouge della contestazione italiana era rappresentato non solo da
argomentazioni già sostenute da movimenti studenteschi europei ed
extraeuropei ( come la protesta contro la guerra in Vietnam) ma anche e
soprattutto dalla contestazione del sistema capitalistico e del baronaggio. Venne
mossa inoltre una critica alla società borghese in riferimento ai metodi
tradizionali di fare politica ai quali venne contrapposta la necessità di attuare
metodi di governo democratico basati sul momento assemblare. La
contestazione fu anche motivo di modernizzazione dei modelli e degli ideali
arcaici dei quali il paese era intriso: vennero messi in discussione il modello
tradizionale di famiglia, tabù ed ipocrisie nel rapporto tra i sessi. Tali posizioni
vennero , ovviamente, osteggiate dalle forze politiche più conservatrici che più
volte accusarono il movimento studentesco di incoerenza tra affermazioni ed
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azioni concrete. Una delle caratteristiche fondamentali della contestazione
giovanile italiana fu l‟ideologizzazione in senso marxista della protesta.
Quest‟ultimo fattore fu alla base del legame che si instaurò, a partire
dall‟autunno del ‟68, tra lotte studentesche e manifestazioni operaie. Molte
organizzazioni giovanili , infatti, partendo dal presupposto che si potessero
attuare forme alternative a quelle capitalistiche con una rivoluzione che partisse
“dal basso” , decisero di coinvolgere nelle loro iniziative di protesta la classe
operaia. Ciò provocò non poche divisioni all‟interno dell‟organizzazione
studentesca: si scontrarono gruppi che sostenevano la necessità di un
ammodernamento delle posizioni marxiste e gruppi che rimanevano su posizioni
“operaiste”, imperniate dunque sul marxismo più tradizionale. Il collegamento
tra proteste del mondo universitario e operaio venne determinato da:
“spinte e mobilitazioni di differente origine e natura: convergenti solo nel provocare forti
contraccolpi in istituzioni arcaiche e in un sistema politico incapace di offrire prospettive o
mediazioni politico-sociali convincenti.”
Le motivazioni che spinsero gli operai alla mobilitazione devono essere
ricercate nella gestione industriale attuata all‟indomani della congiuntura
negativa degli anni 1963-‟64. Oltre all‟inettitudine politica del governo, che a
causa delle divisioni presenti al suo interno non diede forma a nessun disegno di
legge che regolamentasse i rapporti lavorativi, vi fu, infatti, un atteggiamento
negativo degli industriali propensi ad utilizzare manodopera a basso costo . La
crisi economica temporanea rappresentò per gli imprenditori non solo un modo
per riprendere il controllo della classe operaia, che durante gli anni ‟59-‟63 era
stata protagonista di alcune flebili proteste sindacali, ma anche per acuire le
ingiustizie e le differenze sociali tra classi. Dal 1966, all‟indomani della
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congiuntura negativa, con la ripresa della produzione e l‟aumento delle
esportazioni, avvenne, infatti, una sorta di ristrutturazione aziendale, soprattutto
nelle fabbriche di elettrodomestici e automobili, che determinò il ritorno al
sistema fordista e l‟ulteriore parcellizzazione delle attività. Ciò provocò non
solo un aumento dei ritmi lavorativi ma anche un deterioramento più accentuato
della salute dei dipendenti dell‟industria che dovettero, inoltre ,fare i conti con
incidenti sul lavoro sempre più frequenti e con nuove patologie derivanti dallo
stress (ad esempio l‟esaurimento nervoso provocato dai ritmi ossessivi della
catena di montaggio). La reiterazione, da parte degli industriali, di un
atteggiamento oppressivo nei confronti degli operai e la bassa entità dei salari
determinò il moltiplicarsi di “focolai di conflittualità” e l‟aumento di forme
organizzative sotterranee, formate cioè al di fuori del contesto lavorativo e
spesso all‟insaputa dei sindacati. Ciò che colpisce, infatti, del periodo delle lotte
operaie è l‟iniziale distacco tra sindacati e lavoratori: nel 1969 solo 1600 su
50000 dipendenti della Fiat Mirafiori risultavano iscritti alla Fim-Cisl ed alla
Fiom-Cgil. La distanza tra il mondo operaio e le sue organizzazioni dipese
soprattutto dalla mancanza di esperienze sindacali dei lavoratori industriali,
provenienti per la maggior parte dal sud Italia e spesso molto giovani, ma anche
dalla diversa strategia attuata dalle due fazioni che si trovarono spesso in
disaccordo. Infatti, le principali organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl e Uil)
furono spiazzate dalla radicalizzazione delle proteste e non riuscirono a
sostenere in modo coerente le richieste avanzate dal mondo operaio anche a
causa del permanere al loro interno di ideologie tradizionaliste basate dunque
sulla proporzione tra salario e produttività. Ciò che provocò l‟allontanamento tra
quadri sindacali e classe operaia fu, dunque, inizialmente, l‟incapacità da parte
dei primi di riconoscere la diversificazione avvenuta all‟interno delle fabbriche
verso la fine degli anni „60 : se, infatti, nel secondo dopoguerra le rivendicazioni
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