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in grado di tenere conto di queste differenze. Lo studio dell’impatto non è
solo importante ai fini della misurazione della povertà e dei progressi
ottenuti, ma deve servire anche a fornire indicazioni per un miglioramento
dell’intervento, attraverso l’identificazione dei problemi sorti nel
programma, e/o attraverso una maggiore consapevolezza dei bisogni dei
clienti.
Per questo, diventa importante che l’impatto sia valutato da tutte le
istituzioni di microfinanza. Non tutte, però, riescono ad effettuare questo
genere di analisi, a causa della limitatezza delle risorse. C’è dunque
bisogno di strumenti che siano contemporaneamente credibili, utili ed
economici. Organizzazioni non governative, comitati, esperti di
microfinanza e di progetti per lo sviluppo sono consapevoli di questa
necessità e stanno lavorando in questa direzione.
Nel capitolo 2 sono individuati i principali indici internazionali per la
definizione del livello della povertà. Inoltre, è presentata una breve analisi
sulle conseguenze del debito estero (come “macrocredito”) sui paesi
poveri.
Nel capitolo 3 si spiega il funzionamento del microcredito
considerando le modalità di erogazione del servizio, la scelta dei clienti, le
tipologie di istituzioni, le risorse necessarie. Inoltre sono forniti alcuni dati
sulla dimensione del microcredito nel mondo, e sulle iniziative a livello
internazionale.
Nel capitolo 4 si analizzano i principali problemi relativi alla
misurazione della povertà e alla stima dell’impatto. A titolo esemplificativo
sono esposti alcuni strumenti che indicano diversi tipi di approccio alla
valutazione.
7
Nel capitolo 5 è presentata una stima dell’impatto del programma
Credit with Education attuato in Mali dall’istituzione di microfinanza Kafo
Jiginew, in collaborazione con l’organizzazione Freedom from Hunger.
Nel capitolo 6 sono presentate le conclusioni.
8
2 MICROCREDITO E POVERTÁ
2.1 IL MICROCREDITO: UNA BREVE DEFINIZIONE
Il microcredito si è sviluppato negli ultimi trent'anni come alternativa
al sistema tradizionale di credito, ed è diventato uno dei principali
strumenti per la lotta alla povertà.
Il microcredito consiste nella fornitura di capitale a coloro che sono
normalmente esclusi dai circuiti di finanziamento. Si tratta per lo più di
gente povera, senza proprietà, o con proprietà di scarso valore,
generalmente esclusa dalla vita sociale ed economica del paese. Tali
persone non sono in grado di fornire garanzie reali e spesso non hanno
competenze lavorative specifiche tali da giustificare un finanziamento.
L'idea alla base è che ogni persona è dotata di capacità innate che
vengono sfruttate per la sopravvivenza. Al posto di erogare grandi prestiti
per grandi progetti infrastrutturali, vengono erogati piccoli crediti alle
singole persone in modo che possano mettere in pratica e sviluppare le
capacità che già possiedono; il denaro che guadagnano diventa uno
strumento che sblocca una quantità di altri problemi (Yunus, 2000).
2.2 LA POVERTÀ: UN'ANALISI TEORICA
Per capire pienamente la portata di questo strumento nella lotta contro
la povertà, è utile chiarire, a livello teorico, cosa si intende per povertà.
Tra differenti autori vi è una forte discordanza sul significato da
attribuire al termine povertà. Le differenze sono dovute al fatto che ognuno
di essi concentra l’attenzione su uno solo degli elementi che la
compongono: fabbisogno di cibo, reddito, libertà, deprivazioni, ecc. Non
c’è dunque consenso né sul punto di partenza, né sulle conclusioni.
9
Le diverse posizioni portano però a due concetti principali:
• Povertà assoluta basata sul fabbisogno di una persona per la
sopravvivenza. Identifica uno standard assoluto valido per tutti i paesi
o, perlomeno per un gruppo di paesi; la misura più frequentemente
utilizzata è il reddito
• Povertà relativa basata su una valutazione della posizione della
persona in relazione alla propria comunità o comunque agli standard
considerati necessari alla vita in quella specifica società
Da tempo si è sviluppata l'idea dell'insufficienza della tradizionale
definizione di povertà (assoluta) basata unicamente sulla scarsità di reddito.
La povertà è in realtà costituita da un insieme di dimensioni che
ricomprendono anche gli aspetti di partecipazione socioeconomica
dell'individuo. Tali aspetti possono essere l'analfabetismo, la difficoltà di
accesso al sistema sanitario, la difficoltà di accesso al sistema creditizio, la
possibilità di partecipazione politica e così via.
In tal senso la povertà si manifesta non tanto come uno stato di
impoverimento materiale in cui un individuo viene a trovarsi, ma anche
nella perdita di opportunità concrete che conferiscono valore e importanza
alle singole esistenze.
Il concetto di titolo valido chiarisce queste considerazioni: esso è
definito come la generale capacità di un individuo di possedere,
appropriarsi e acquisire mezzi e beni necessari all'interno del reticolo di
relazioni sociali ed economiche regolate da leggi, regolamenti e
consuetudini (Sen, 1982).
L’analisi di Sen, ripresa e ampliata da Riccottilli (1995), è stata
sviluppata per l’analisi di casi di povertà estrema, in particolare di carestie
(Sen, 1981) ed è emerso come, spesso, all’interno di una nazione non ci sia
10
un’effettiva carenza di cibo tale da giustificare la morte di migliaia di
persone, ma ciò che viene a mancare è la ridistribuzione dei beni necessari
al sostentamento e la perdita del titolo valido al loro acquisto da parte di
interi gruppi sociali ed economici (sia per carenza di reddito che, ad es., per
problemi di trasporto). La capacità economica dell’individuo va quindi
analizzata prendendo in considerazione le variabili determinate
dall’appartenenza a un gruppo sociale; solo in tal modo possono essere
chiarite le discordanze tra disponibilità di risorse e qualità della vita (un
esempio può venire dall’India in cui la gente muore di fame ma non ci si
può nutrire di carne bovina in quante le vacche sono considerate sacre).
L'analisi sulla povertà deve, quindi, mirare ad individuare le funzioni
che i membri della società sono in grado di svolgere; tali funzioni devono
poi essere valutate a seconda della diversa realtà socioeconomica in cui
l'individuo vive e della posizione sociale che egli ha al suo interno.
In tal senso, l'individuazione di una linea di povertà diventa un
concetto politico in quanto l'insieme delle funzioni e la loro valutazione
dipendono dal consenso sociale.
2.2.1 La povertà di reddito
Nella comunità internazionale, nonostante le considerazioni sopra
fatte, l’indice più utilizzato per l’individuazione di una linea di povertà è
quello proposto dalla Banca Mondiale; le linee di povertà sono attualmente
stabilite in: 1$ di reddito pro capite al giorno (dollaro USA, prezzi
internazionali 1993, a parità di potere d'acquisto (PPA)), per la maggior
parte dei paesi in via di sviluppo; 2$ per i paesi caraibici e dell'America
Latina (prezzi internazionali del 1993); 4$ per i paesi dell'Europa dell'Est e
della CSI (prezzi internazionali del 1990); 14,50$ per i paesi
industrializzati (prezzi internazionali del 1985) (cfr. UNDP, 2000, pag.
11
304). La Banca Mondiale stima che circa 1,2 miliardi di persone vivano
con meno di 1$ al giorno.(UNDP, 2000)
2.2.2 L’Indice dello Sviluppo Umano
Nello sforzo di individuare un indice più appropriato, l’ONU e in
particolare il Programma per lo sviluppo (United Nation Development
Program; UNDP) ha iniziato a pubblicare nel 1990 i Rapporti sullo
Sviluppo Umano, con l’intento di scegliere una serie di indicatori,
aggiustati nel corso degli anni, per valutare la situazione nei diversi paesi.
È stato così introdotto l’Indice di Sviluppo Umano (ISU). Esso misura i
risultati medi nello sviluppo umano di base con un unico indice composito
e determina una graduatoria di paesi. L’ISU è basato su tre indicatori:
longevità, misurata dalla speranza di vita alla nascita; risultati scolastici,
misurati combinando l’alfabetizzazione adulta con le iscrizioni nei livelli di
corsi primario, secondario e terziario; standard di vita, misurato dal
Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite (in dollari USA PPA). Il valore
dell’ISU di un paese mostra la distanza che esso deve compiere per
raggiungere il massimo valore possibile, 1, e permette di fare paragoni fra
paesi.
2.2.3 L’Indice di Povertà Umana
Il Rapporto (1998) analizza più dettagliatamente il concetto di
povertà, individuandone tre diverse prospettive:
• Prospettiva reddito: una persona è povera se il suo reddito scende al di
sotto di una determinata soglia di povertà stabilita. Oltre alla
classificazione della Banca Mondiale, molti paesi hanno adottato proprie
stime per determinare una linea di povertà. Tale linea è spesso definita in
termini di disponibilità di reddito sufficiente per uno specifico ammontare
di cibo. Bisogna sottolineare, però, che tale metodo è adottato nei paesi in
12
via di sviluppo, mentre nei paesi industrializzati si utilizza come
riferimento il 50% del reddito medio.
• Prospettiva bisogni umani: la povertà è intesa come deprivazione del
necessario materiale per un soddisfacimento appena accettabile dei bisogni
umani, incluso il cibo; oltre a sanità e alloggio si intendono anche i bisogni
di partecipazione e occupazione.
• Prospettiva capacità: la povertà rappresenta l'assenza di qualche
basilare capacità, ossia la perdita da parte di una persona dell'opportunità
di acquisire livelli minimi di funzioni rilevanti personalmente e
socialmente.
Quest'ultima analisi è la più completa in quanto va a comprendere
qualsiasi privazione che impedisca alla persona di ottenere un titolo valido
all'acquisizione di un insieme di beni e servizi che gli permettono di vivere
dignitosamente all'interno della società.
Il Rapporto 1998, si concentra sulla parte più povera della
popolazione in una “prospettiva delle privazioni secondo la quale lo
sviluppo è giudicato a partire dall’ottica dei poveri e della parte deprivata
di ciascuna comunità, da cui la conclusione che la perdita di progresso
conseguente agli svantaggi degli emarginati non può essere ‘lavata via’
dagli estesi avanzamenti, non importa quanto ampi, compiuti dalla
popolazione più ricca”(UNDP, 1998, pag. 27).
A partire da queste considerazioni nel rapporto è stato introdotto
l’Indice di Povertà Umana (IPU); esso è una misura multidimensionale
della povertà, e riunisce in un unico indice la privazione in quattro
dimensioni fondamentali: longevità, conoscenza, disponibilità economica e
inclusione sociale, con alcune differenze tra paesi in via di sviluppo, per i
quali si utilizza il cd. IPU-1, e paesi industrializzati (IPU-2). Per i primi la
13
privazione di una vita lunga e sana è misurata dalla percentuale di
popolazione con una speranza di vita inferiore ai 40 anni; la privazione
relativa alla conoscenza nel tasso di analfabetismo; la privazione di
disponibilità economica dalla percentuale di persone prive di accesso ai
servizi sanitari e all’acqua potabile, nonché dalla percentuale di bambini di
età inferiore ai 5 anni leggermente o gravemente sottopeso.
Per i secondi la privazione di una vita lunga e sana è misurata dalla
percentuale di popolazione con una speranza di vita inferiore ai 60 anni; la
privazione relativa alla conoscenza, dal tasso di analfabetismo funzionale
(tasso di adulti tra i 22 e 65 anni con punteggio 1 nella scala di valutazione
funzionale dell’alfabetizzazione dell’International Adult Literacy Survey);
la privazione di disponibilità economica, dalla disponibilità di reddito
(meno del 50% del reddito medio); la privazione relativa all’inclusione
sociale, dalla disoccupazione di lungo periodo.
Un confronto tra IPU e povertà di reddito fa capire le enormi
differenze tra le due prospettive. Prendendo come esempio la Zambia la
povertà di reddito coinvolge il 2,6% della popolazione, mentre l’IPU
calcola il 37,9%. Se consideriamo poi la linea nazionale di povertà, la
percentuale sale addirittura all’86%. (cfr. UNDP, 2000 per altri esempi). E’
facile capire come la povertà riguardi ben più di 1,2 miliardi di persone.
2.2.4 Le disparità di genere
Accanto a IPU e ISU nel Rapporto 2000 si trovano anche l’Indice
dello Sviluppo di Genere (ISG, introdotto nel 1995) e la Misura
dell’Empowerment1 di Genere (MEG). L’ISG utilizza le stesse variabili
1
Con il termine Empowerment si indica il potere sociale di una persona all’interno dell’ambiente
in cui vive.
14
del IPU tenendo conto delle differenze tra donne e uomini. Il MEG utilizza
variabili costruite esplicitamente per misurare l’empowerment relativo di
uomini e donne nelle sfere di attività politiche ed economiche; le variabili
utilizzate saranno pertanto relative alle proporzioni tra maschi e femmine in
campo amministrativo-manageriale, negli impieghi professionali e tecnici e
nella partecipazione alla vita politica.
L’analisi di questi due indici è utile per verificare la condizione
sociale della donna in ogni paese ed individuare soluzioni ad hoc per
eliminare eventuali discriminazioni.
2.2.5 Alcune considerazioni
Gli indici sviluppati a livello internazionale si rilevano utili per
individuare immediatamente quali paesi si trovano nelle peggiori
condizioni. Il microcredito preferisce considerare i livelli stabiliti da ogni
paese; infatti, il Microcredit Summit (cfr. par. 3.3) ha posto come obiettivo
per il microcredito il raggiungimento di 100 milioni di famiglie tra le più
povere del mondo, e specialmente le donne di queste famiglie, entro il
2005. Il microcredito vuole proprio sottolineare la differenza tra “poor” e
“poorest” dove i primi sono definiti come quelle persone che vivono sotto
la linea di povertà, in qualsiasi modo stabilita da ogni paese, e i secondi
come quelle persone che fanno parte della metà inferiore di questo gruppo
(secondo la definizione adottata dal Consultative Group to Assist the
Poorest, CGAP).
Qualsiasi progetto di sviluppo deve però andare a “scavare” più in
profondità per comprendere problemi ed esigenze di ogni differente
regione, città, villaggio, comunità o gruppo di persone che vengono
coinvolte.
15
Come riportano Hulme & Mosley (1996): “…le molte forme di
deprivazione che i poveri identificano attraverso la loro stessa
esperienza…non sono catturate dalla misurazione della povertà di reddito.
Queste deprivazioni includono vulnerabilità ad improvvisi e forti
decrementi dei livelli di consumo, malattie, debolezza fisica, inferiorità
sociale, mancanza di potere, umiliazione e isolamento. Queste dimensioni
della povertà sono significative per virtù propria e sono anche componenti
essenziali dell’analisi per capire la povertà di reddito”.
Nasce da ciò l’esigenza di individuare sistemi di misurazione più
particolareggiati per analizzare in modo più efficace i risultati delle azioni
messe in atto e fornire adeguate soluzioni per aiutare i “poorest of the
poor”.
2.3 POVERTÀ, SVILUPPO E ISTITUZIONI MULTILATERALI: UNO SGUARDO
AL PASSATO
Il microcredito sta diventando una strategia sempre più accettata e
sostenuta anche dalle grandi istituzioni finanziarie internazionali: si fa
riferimento alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale. Il
riconoscimento del microcredito va in contro tendenza con le politiche di
queste due istituzioni che sono state protagoniste, per lo più in negativo,
delle politiche per lo sviluppo nel Terzo Mondo. Prima di analizzare quali
sono le recenti evoluzioni è interessante capire quali sono stati gli errori
fatti nella gestione dei prestiti ai paesi in via di sviluppo.
Banca Mondiale e FMI, sono oggi oggetto di numerose critiche per le
loro passate politiche nei paesi del Terzo Mondo. Eppure sono stati istituiti
per stabilizzare i mercati e per favorire lo sviluppo nel mondo.
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2.3.1 Banca Mondiale e Fondo Monetario: le origini
Entrambi nascono nel 1944 durante la Conferenza di Bretton Woods;
il FMI aveva lo scopo di controllare che i paesi seguissero un insieme di
regole di condotta concordate riguardo al commercio e alla finanza
internazionale e, nel caso ci fossero squilibri temporanei nella bilancia dei
pagamenti, doveva fornire strumenti finanziari. Si ricorda che tale esigenza
di stabilità era determinata dal tipo di sistema monetario stabilito, il gold
exchange standard, in cui gli Stati Uniti si impegnavano a mantenere fisso
il prezzo dell'oro e a cambiare dollari in oro a qualunque richiedente;
dall'altra parte ogni paese si impegnava a fissare il cambio della propria
moneta e a mantenerlo costante ricorrendo alle proprie riserve o chiedendo
prestiti. L'assistenza del FMI era, quindi, a breve termine visto che
riguardava fenomeni a carattere temporaneo. Con il passaggio ad un regime
di cambi fluttuanti ad amministrazione controllata, il FMI cominciò ad
essere visto come una specie di assicurazione che permetteva a certi paesi
di sopravvivere ai rischi e alle sofferenze dovute ai rapidi cambiamenti dei
mercati senza doversi assoggettare a modifiche improvvise, non
desiderabili per i governi, della politica monetaria (tassi di interesse) e del
tasso di cambio (Walters, 1994).
Per i prestiti di lungo periodo venne invece istituita la Banca
Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo con lo scopo di finanziare
la ricostruzione dell'Europa postbellica anche se, ben presto iniziò a
prestare denaro anche a nazioni del Sud a scopo di sviluppo. Proprio per
fornire prestiti alle nazioni più povere che non erano in grado di soddisfare
le condizioni imposte dalla BIRS, venne istituita, nel 1960, l'IDA
(International Development Association). Insieme, BIRS e IDA formano la
Banca Mondiale e con questo termine verrà indicata l'azione dell'uno o
dell'altro.
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Nei primi decenni di attività la Banca non fu molto influente: si
occupava di sviluppo nel senso di garantire che gi stati avessero a
disposizione energia elettrica, trasporti, comunicazioni ecc., in modo che
potessero diventare più moderni e avvicinarsi ai paesi industrializzati. La
povertà cominciò ad essere considerata un problema nel 1973 durante la
presidenza di Robert S. McNamara che definì il concetto di "povertà
assoluta": una vita in condizioni così degradate da malattie, analfabetismo,
malnutrizione e squallore da negare alle sue vittime le necessità basilari
per un esser umano; condizioni di tale ristrettezza economica da impedire
la realizzazione del potenziale genetico di cui si dispone alla nascita;
condizioni così degradanti da costituire un insulto alla dignità umana,
eppure così diffuse da rappresentare la norma per circa il 40% dei paesi in
via di sviluppo (McNamara, 1973). L'obiettivo di McNamara e della Banca
Mondiale divenne quello di aiutare il maggior numero di persone possibile.
Forse ci sarebbe anche riuscito ma negli anni '70 il mondo si trovò a dover
affrontare ben altri problemi che portarono, un decennio dopo, alla crisi del
debito.
2.3.2 La crisi del debito
Nel 1973 il primo shock dei prezzi del petrolio portò una grande
massa di dollari (cd. petrodollari) nelle tasche dei grandi magnati del
petrolio, soprattutto arabi. Tale massa venne riversata nelle banche europee
ed americane. Le banche esercitarono il loro mestiere e investirono il
denaro prestandolo a chi ne aveva bisogno. La grande quantità di denaro
aveva fatto abbassare il suo prezzo, cioè il tasso di interesse, per cui i
prestiti erano molto convenienti e molti paesi ne approfittarono; molti
erano paesi del Sud del mondo che, avendo bisogno di infrastrutture
contrassero prestiti a tasso variabile. La situazione cambiò ben presto visto
che nel 1979 avvenne il secondo grande shock petrolifero che causò una
18
grande ondata inflazionistica in tutto il mondo. Per rispondere all'inflazione
si utilizzarono strumenti di stampo monetarista: maggiore è la quantità di
moneta in circolazione, più alti sono i prezzi, pertanto se c'è inflazione è
necessario ridurre la quantità di moneta in modo da raffreddare la
domanda. Con una minor quantità di moneta a disposizione la gente
acquisterà di meno, e per mantenere l'equilibrio con l'offerta i prezzi
dovranno abbassarsi. Per variare la quantità di moneta in circolazione, si
alzano i tassi di interesse in modo che le persone siano spinte ad acquistare
titoli di stato, piuttosto che ad acquistare prodotti. Purtroppo l'innalzamento
del tasso di interesse ufficiale spinge ad un innalzamento del tasso bancario
in quanto le banche stesse devono rendere appetibili i propri prodotti,
altrimenti nessuno li acquista; ma alzando i tassi passivi, vengono alzati
anche i tassi attivi, cioè quelli sui prestiti. Essendo stati contrattati a tasso
variabile, il tasso di interesse sui debiti contratti dai paesi in via di sviluppo
schizzò verso l'alto, passando da un 4-5% al 20-30%.
Conseguenze devastanti ebbe anche l'apprezzamento del dollaro che il
governo statunitense volle per ridurre i costi delle importazioni.
L'apprezzamento portò, però, ad un incremento del valore dei debiti
internazionali in valuta locale accrescendo le difficoltà nel rimborso.
Nel 1982 si ebbe lo scoppio della crisi del debito internazionale con la
dichiarazione di insolvenza del Messico che non riusciva più a pagare il
debito contratto. Nacque una forte preoccupazione nella comunità
internazionale per la situazione delle banche internazionali che avrebbero
potuto vedere ridotto l'afflusso di denaro derivante dai pagamenti del
servizio del debito e creare, di conseguenza, problemi nei prelievi dei
privati. Per ovviare a ciò si assistette alla conversione dei debiti privati: da
una parte grandi quantità dei debiti di società e banche commerciali nei
paesi industrializzati vennero sostanzialmente acquisiti dal governo e
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trasformati in debito pubblico; dall'altra si concedevano prestiti
multilaterali e bilaterali ai paesi in via di sviluppo per metterli in
condizione di rifondere le banche commerciali riducendone così
l'esposizione (Chossudosvky, 1998).
A questo punto una grossa quota del debito si trasferì alle istituzioni
pubbliche nazionali e internazionali e i debiti vecchi furono finanziati con
debiti nuovi.
2.3.3 I programmi di aggiustamento strutturale
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La Banca Mondiale, in collaborazione con il Fondo Monetario,
comincia, però, a partire dal 1981-1982, a sottoporre i prestiti a determinate
condizioni con la considerazione che, se i paesi non sono in grado di pagare
i debiti, la colpa è della cattiva gestione a livello nazionale. Vengono così
introdotte le politiche di aggiustamento strutturale a cui si affiancano
strumenti finanziari quali il servizio di credito per gli aggiustamenti
strutturali istituito nel 1986 dal FMI, il servizio integrativo del credito per
gli aggiustamenti strutturali istituito nel 1988 dal FMI per integrare il
servizio precedente e prestiti di aggiustamento strutturale istituiti dalla
Banca Mondiale che hanno lo scopo di alleviare la crisi finanziaria, di
convertire le risorse economiche di una nazione alla produzione per
l'esportazione e di incentivare la penetrazione delle società multinazionali
nelle economie dei paesi in via di sviluppo.
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Per un'analisi sul tema cfr George 1989 e Chossudovsky 1998