1.Le radici della disciplina contabile
Prima di arrivare all'invenzione della scrittura che ha evidentemente rivoluzionato le
tecniche di memorizzazione delle scritture contabili, le ricerche archeologiche pervenute
mettono i mostra che le prime forme di annotazione contabile erano fatte attraverso
oggetti come nodi, corde, bastoni, tra cui, la prima forma rudimentale di conto
individuata dagli studiosi attraverso “la lamina di corno di renna”.
Dopo questo con la suddetta invenzione della scrittura, popoli come i Sumeri, gli
Accadi-Assiri, gli Egiziani e Fenici-Ebrei iniziavano ad avere i loro sistemi contabili,
più o meno avanzati.
Con i Greci ma soprattutto i Romani l'arte contabile raggiunse un notevole sviluppo in
quanto già vennero rinvenuti i primi libri giornale, mastro e prima nota chiamata
“adversaria”.
La progressiva crescita non si registrò nello stesso modo con gli anni del medioevo,
l'arte contabile anziché progredire, regrediva portando ad una vera e propria involuzione
della contabilità. Nello stesso medioevo, però, in particolare nel 1202, Leonardo
Fibonacci con il suo “Liber abaci” introdusse la numerazione arabo-idiana dando
indiretto impulso alla classe mercantile dalla quale si attribuisce la nascita della partita
doppia.
In ordine temporale Benedetto Cotrugli fu il primo a scrivere di scritture doppie, ma
per una serie di circostanze ad egli sfavorevole, dobbiamo aspettare l'opera di Luca
Paciolo, “La Summa”, la quale risultando essere la prima opera a mezzo stampa che
tratta di contabilità, diede un'enorme spinta all'evoluzione della disciplina diffondendo
la partita doppia ed estendendo il metodo. Con lui prende forma il “dare e avere”, il
bilancio, l'inventario, il cosiddetto metodo veneziano.
Dopo il Paciolo, l'opera di sviluppo della disciplina fu lasciata nelle mani di autori
come il Pietra, il Flori e il Venturi, che rispettivamente con i loro lavori hanno
caratterizzato il Cinquecento e il Seicento della ragioneria italiana.
2. Il contesto storico-politico italiano del 700.
“Lo studio dell'evoluzione della Ragioneria, intesa nei suoi quattro complementari
nuclei di ricerca, va sempre inquadrata nello studio dell'evoluzione del mondo nei suoi
aspetti sociali, politici e macroeconomici”.
3
Il Settecento italiano è caratterizzato da radicali cambiamenti e trasformazioni della
disciplina contabile derivante da un mutato contesto storico-politico-economico, che
necessariamente andava influenzando l'evoluzione della ragioneria in Italia e in Europa.
Gli stati che sino ad allora risultavano essere egemoni in Italia, erano caduti in una
forte crisi data dalle continue lotte che erano costrette ad affrontare per combattere
l'invasione prepotente delle potenze europee, in particolare Austria e Spagna, che
andavano colonizzando a macchia di leopardo e in modo repentino i territori Italiani.
Tale contesto, secondo alcuni, portava necessariamente a riflessi non positivi anche
nell'ambito della disciplina contabile,
4
che stentava a replicare gli enormi passi avanti
fatti nei secoli immediatamente precedenti, registratisi grazie la vasta produzione
letteraria di autori come Bartolomeo Paciolo,
5
Angelo Pietra e Lodovico Flori che con le
3) ANTONIO AMADUZZI “Percorsi di ricerca tra Storia della ragioneria, aziende e contabilità,
dottrine e professioni” op. cit. pag. 11
4) A riguardo il Masi “Dopo i fasti del Rinascimento nel Cinquecento, e il sorgere delle scienze
positive nel Seicento, due grandi secoli nei quali la ragioneria italiana palesò, nel primo, la sua
grande fioritura e nel secondo anche l'apporto riflessivo e la rielaborazione in campi più estesi
delle precedenti elaborazioni dottrinali, mentre sin dalla seconda metà dell'età di mezzo aveva
gettato le fondamenta come una delle prime, se non la prima delle scienze dell'esperienza, nel XVIII
secolo si manifesta un decadimento delle ricerche di ragioneria in Italia, mentre si ha un risveglio in
altri paesi europei.” VINCENZO MASI “La ragioneria nell'età moderna e contemporanea” testo
riveduto e completato da Carlo Antinori, Milano, Giuffrè, 1997 op. cit. pag., 233
5) E' opportuno tracciare, per lo sviluppo del nostro studio, gli aspetti fondamentali della vita di
LUCA BARTOLOMEO DE PACIOLIO o conosciuto anche come PACIOLO (Borgo Sansepolcro,
1445 circa- Roma 19 giugno 1517) è stato un religioso, presbitero e matematico italiano. Studiò e
avviò la sua formazione a Sansepolcro, città natale, completandola poi a Venezia. Entrò nell'Ordine
francescano nel 1470, probabilmente nel convento di Sansepolcro. Fu un insegnante di matematica
a Perugia, Firenze, Venezia, Milano, Pisa, Bologna e Roma e viaggiò molto. Nel 1497 accettò
loro opero portarono alla diffusione prima, e all'affermazione poi, del metodo italiano in
tutta Europa.
6
A sostenere tale tesi però, non si trovavano di comune accordo tutti gli autori
dell'epoca, tanto che, in particolare il Luchini, nella sua opera affermava che la
dominazione degli stati Europei, in particolare quella Austriaca, non costituiva un freno
per lo sviluppo della disciplina contabile Italiana, ma al contrario poteva essere solo
fonte di alimentazione dell'ingegno e dello sviluppo di opere per gli autori protagonisti
di quel contesto.
7
l'invito di Ludovico il Moro a lavorare a Milano, dove collaborò con Leonardo da Vinci. Sullo
scorcio del 1499 con Leonardo abbandonò Milano minacciata dall'arrivo delle truppe francesi di
Luigi XII per recarsi prima a Mantova alla corte di Isabella d'Este, sorella di Beatrice d'Este moglie
di Ludovico il Moro, e quindi a Venezia. Per Isabella scrisse il trattato ''De ludo scachorum',
prezioso manoscritto sul gioco degli scacchi, introvabile per cinquecento anni e riconosciuto dal
bibliofilo Duilio Contin tra i libri della Fondazione Coronini Cronberg di Gorizia, ospitati dalla
Biblioteca Statale Isontina, nel dicembre del 2006. Nel 1494 pubblicò a Venezia una vera e propria
enciclopedia matematica, dal titolo ''Summa de arithmetica, geometria, proportioni e
proportionalità'' (stampata e pubblicata con Paganino Paganini), scritta in volgare, come egli
stesso dichiara (in realtà utilizza un miscuglio di termini lingua latina latini, lingua italiana italiani
e lingua greca greci), contenente un trattato generale di aritmetica e di algebra, elementi di
aritmetica utilizzata dai mercanti (con riferimento alle moneta/monete, peso/pesi e unità di
misura/misure utilizzate nei diversi stati italiani). Uno dei capitoli della ''Summa'' è intitolato
''Tractatus de computis et scripturis''; in esso viene presentato per la prima volta il concetto di
partita doppia (e quindi: "Dare" e "Avere", Bilancio d'esercizio, inventario) che poi si diffuse per
tutta Europa col nome di "metodo veneziano", perché usato dai mercanti di Venezia. Con il Paciolo
si apre la cosiddetta età moderna della ragioneria, con la sua “Summa”, tra le tante cose, segna il
passaggio della disciplina contabile da arte a tecnica. (Citato da
http://it.wikipedia.org/wiki/Luca_Pacioli)
6) FEDERIGO MELIS, “Storia della ragioneria: Contributo alla conoscenza e interpretazione
delle fonti più significative della storia economica”, Bologna, Zuffi, 1950, op. cit., pag. 714
7) Il Luchini in specie nella sua opera scriveva: “Il diciottesimo secolo, col quale l'organizzazione
sociale andava man mano prendendo nuova e più regolare forma per la cresciuta civiltà, cui non
poco contribuirono le teorie divulgative della nuova Scuola degli Enciclopedisti di Francia, che
trovò proseliti pure in Italia, fra cui nel Beccaria, nei Verri, nei Filangieri, nei Romagnoli, nei
Gioja, e per la quasi cessata agitazione delle continue guerre, fu fecondo di progressi anche per la
3. La disciplina contabile italiana ed europea del XVIII secolo.
Nonostante le diverse opinioni e le tesi contrastanti riportate da diversi autori
riguardo lo sviluppo o meno della disciplina contabile in tale periodo, risultava non
possibile riscontrare un reale avanzamento della materia ragionieristica italiana,
soprattutto dal punto di vista teorico, in quanto si limitava a ripercorrere le orme
tracciate dai giganti dei secoli precedenti o, quanto meno, comunque a non
caratterizzarsi per nessuno apporto rilevante in materia.
8
A testimonianza di ciò, se si
espande l'analisi ad un raggio più ampio, l'arretratezza e il buio per la ragioneria italiana
in quest'epoca è evidente, portato alla luce dal rapporto del numero di opere prodotte in
questi anni e quelle che poi saranno riprodotte nell'ottocento ed in particolare nella
Ragioneria. (…) Sebbene sia da rimpiangere che l'Italia in tutti questi rimpasti, non abbia fatto che
passare da una dominazione straniera all'altra, (...) è d'uopo riconoscere che i primi tempi della
signoria Austriaca, retti da sovrani saggi ed intelligenti furono apportatori di ordine e di benessere
nelle funzioni della cosa pubblica e privata, mercè il concorso delle virtù dell'ingegno e
dell'operosità dei più eletti cittadini (...)”. LUCHINI ERNESTO, “Storia della ragioneria italiana”,
Milano, Amministratore del periodico <<Il Ragioniere>>, 1898. op. cit., pag. 71-73
8) Il Melis affermava nella sua opera di ricostruzione: “...nella seconda metà del Seicento e
nell'intero Settecento, essa -la ragioneria- è minata nella sostanza, e si isterilisce, abbandonandosi e
trastullandosi nella puerilità dello studio dell'azienda più modesta, l'azienda domestica e famigliare,
senza il minimo apporto di novità anche in quella” FEDERIGO MELIS “Storia della ragioneria”
op. cit., pag. 714
seconda metà di esso.
Dal momento che non si riusciva ad identificare la reale importanza del conto
all'interno del metodo della partita doppia si mancava di dare una spiegazione
scientifica al funzionamento di essa.
La disciplina contabile, quindi, anziché progredire, si impoveriva, tanto da
registrare un quasi arresto, le regole partiduplistiche venivano applicate ad aziende di
modeste dimensioni che testimoniavano la regressione dell'economia italiana
9
caratterizzata da un brusco arresto ed un volume di operazioni aziendali che andava
riducendosi drasticamente. L'Italia quindi regrediva e iniziava a distaccarsi dai più
avanzati paesi europei, contrassegnati da un grande sviluppo manifatturiero.
10
In questo scenario, diametralmente opposta era la situazione delle più grandi
potenze europee, in particolare degli autori Francesi, Germanici, ed Inglesi, che al
contrario degli autori Italiani, che continuavano a rielaborare concetti già in precedenza
9) Così il Masi “ Nondimeno, è ben noto, che la decadenza delle ricerche ragionieristiche in Italia
si ricollega alla decadenza economica dell'Italia dopo i fasti del Rinascimento, e per le invasioni
straniere e per le lotte sostenute anche dagli Stati Italiani, massime della repubblica di Venezia.”
VINCENZO MASI “La ragioneria nell'età moderna e contemporanea” op. cit., pag. 233
10) A testimonianza di ciò è importante citare anche il pensiero del Bariola riportato nel libro del
Serra “Il Bariola che è abbastanza critico, dice sostanzialmente le stesse cose quando afferma che,
mentre in questo periodo <<vediamo sorgere Compagnie potenti di assicurazione come quella delle
Indie Occidentali in Olanda, in Inghilterra , in Francia, e Banche poderose... come la Banca
Generale... di Francia, troviamo invece gli scrittori di Ragioneria, esplicare tutte le loro regole
pratiche e teoriche con esemplificazioni, estese fin che si vuole, ma riferibili tutte ad aziende
normalissime, nel ristretto campo della mercatura comune. Infatti le grandi compagnie, che
porgono problemi nuovi alla ragioneria, sorsero all'estero e non in Italia.” PLINIO BARIOLA,
“Storia della ragioneria italiana”, Milano Tip Ambrosiana 1897. (Citato da LUIGI SERRA,
“Storia della ragioneria Italiana” op. cit., pag. 222)
sviluppati, si affacciavano prepotentemente alla ribalta della disciplina contabile.
Essi approfittando della situazione controversa che si trovava ad affrontare lo stato
Italiano dal punto di vista politico-economico seppero introdurre nuovi concetti, nuove
teoriche, che andavano a minare l'incontestabilità del metodo italiano fino ad arrivare, di
fatto, a sostituirlo in tutto e per tutto, criticandolo ed attaccandolo in ogni sua parte,
tanto che esso venne accantonato e addirittura dimenticato, quasi come se non fosse mai
esistito.
La situazione era paradossale, un metodo che sino a pochi anni prima era altamente
apprezzato, lodato e fedelmente utilizzato dappertutto, veniva abbandonato senza
riconoscergli merito alcuno.
La gravità di tale situazione in cui si dibatteva il Paese era illustrata efficacemente
da Giuseppe Brambilla, il quale nella sua opera scriveva: “Epoca delle influenze
straniere in Italia: non vi sono parole che valgano a meglio spiegare lo stato della
ragioneria italiana nei primi sessant'anni del secolo XIX. Francia e Austria portarono
da noi l'amore delle cose oltremontane, e tutto quanto veniva dall'estero trovava buona
accoglienza, traduzioni e imitazioni”.
11
11) GIUSEPPE BRAMBILLA, Storia della ragioneria italiana, Milano, Boriglione, 1901. op. cit.,
pag. 718. (citato da Francesco Poddighe “Dai cinquecontisti a Francesco Marchi” pag. 64)
4. Le scuole di pensiero.
L'influenza esercitata dalle potenze europee di quel tempo, portò alla formazione di
diverse scuole di pensiero.
Di particolare rilevanza tra tutte, furono due scuole: quella Austriaca, i cui riflessi
furono lampanti nel regno Lombardo-Veneto, dalla quale nacque il cosiddetto metodo
camerale; e quella Francese, dalla quale nacque la famosissima “teorica dei cinque conti
generali”.
L'influenza derivante dalla scuola Austriaca fu notevole, tanto che, attraverso
l'opera di Szarka, che fu il primo studioso che chiarì in maniera efficiente i principi su
cui si basavano le scritture camerali, condizionò la formazione culturale di due
importantissimi esponenti italiani, quali il Tonzig e il Villa, come è possibile notare
nelle loro principali opere.
12
Le scritture camerali, che nascono, come detto, da questa scuola, essendo nate in
ambito pubblico, avevano come caratterista principale il perseguire lo scopo del
controllo del movimento del denaro pubblico. Al denaro, ovvero le entrate e le uscite, è
quindi rivolta un'attenzione particolare. La cassa diveniva il focus. Il Besta nel miglior
12) Il Poddighe tiene a precisare che soprattutto il pensiero del Tonzig, rispecchiò in modo marcato
l'impostazione dottrinale dello scritto dello Szarka. PODDIGHE FRANCESCO “Dai cinquecontisti
a Francesco Marchi contributo alla conoscenza del processo formativo della logismologia.”,
Colombo Cursi editore, Via Vespucci, Pisa, 1974. op. cit., pag. 69.
modo possibile, forniva una definizione di codeste scritture camerali, individuandone le
principali caratteristiche. Egli così spiegava nella sua opera: “Nell'evo medio si disse
camera del principe e del comune l'ufficio che presiedeva alla gestione del pubblico
danaro. Onde chiamaronsi camerari o camerlinghi quelli che presiedevano a così fatta
gestione. (...) Questo ho voluto dire perchè appaia chiaro il significato della
espressione tedesca Kameral-Rechnungswesen (metodo di scrittura camerale).” e
riferendosi alle caratteristiche delle scritture camerali aggiungeva: “E proprio la
condizione caratteristica essenziale di tali scritture è questa, di considerare i fatti della
gestione quali introiti e pagamenti e di classificarli, avuto riguardo a questa prima
distinzione, in registri e in conti o rubriche di entrata e uscita.”
13
Seppur peculiare, e seppur rilevanti gli effetti ottenuti da tale metodo, è comunque
da considerare una metodologia di scrittura sicuramente associata alla partita semplice
in quanto mancante di alcuni aspetti caratterizzanti che la classifichino come partita
doppia.
14
La scuola Francese, cosiddetta “Cinquecontista”, fu quella di rilevanza maggiore in
13) FABIO BESTA, “La ragioneria generale” voll. I, II, III, Milano, Vallardi, 1932 op. cit., pagg.
476-477.
14) Secondo il Besta è infondato affermare che tale metodo si rifaccia alle regole della partita
doppia, attribuendo a tale metodo il “merito” sostanziale di riprodurre in maniera più evoluta le
scritture cronologiche degli incassi e dei pagamenti: “Il metodo camerale non è la scrittura doppia
perchè gli mancano i riscontri, i collegamenti e le forme che sono proprie di questa; certo entra
nella famiglia delle scritture semplici, ma ha fisionomia proprio e può e può prestarsi alla
registrazione integra dei fatti amministrativi di tutte sorta” FABIO BESTA, “La Ragioneria Volume
II”, op. cit. pag. 478