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CAPITOLO 1
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INTRODUZIONE
1.1 Concetto di parenting: definizione. Mentalizzazione genitoriale
Il parenting è quell’insieme di comportamenti che gli adulti mettono in atto
nei confronti dei bambini per promuoverne e sostenerne lo sviluppo fisico,
emotivo, sociale e intellettuale, nel periodo che va dall'infanzia all'età adulta
(Davies e Martin, 2000). Il termine parenting si riferisce quindi agli aspet-
ti del crescere un figlio al di là della relazione biologica (Davies e Martin,
2000).
Dai risultati del National Center for Health Statistic (2010), emerge che o-
gni giorno più di un milione di persone sperimenta le gioie e i dolori, le pau-
re e le gratificazioni del divenire mamma o papà. Gli adulti strutturano le
prime esperienze dei bambini e il tipo di ambiente in cui saranno allevati; le
caratteristiche che gli esseri umani sviluppano e acquisiscono durante questo
stadio possono risultare fondamentali, per lo sviluppo futuro (Bornstein,
2002).
Come Shai e Belsky riportano (2011), la “mentalizzazione genitoriale”, ov-
vero la capacità dei genitori di riconoscere, anche in modo non consapevole,
lo stato mentale del bambino, dando una spiegazione al suo comportamento,
è correlata alla sicurezza del legame di attaccamento (Shai e Belsky, 2011) e
allo sviluppo di altre capacità cognitive e sociali (come il saper riconoscere i
propri e gli altrui stati mentali ed emozionali, saperli fronteggiare e regolare,
impegnarsi in relazioni intime e produttive, pur mantenendo un buon grado
di separatezza dall’altro individuo, Fonagy, Gergely, Giurista e Target,
2002). La teoria della mentalizzazione, un approccio relazionale al primo
sviluppo, assume che la capacità genitoriale di considerare il bambino come
un soggetto psicologico che svolge azioni motivate da stati mentali, come
pensieri, credenze, intenzioni, sensazioni e desideri, influenza in modo criti-
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co lo sviluppo del piccolo (Fonagy et al., 2002). Diverse ricerche hanno
concettualizzato e misurato la mentalizzazione genitoriale tramite le dichia-
razioni dei genitori (Meins, 1999; Oppenheim, Koren-Karie e Sagi, 2001;
Slade, 2002), ma questo metodo di valutazione, secondo Shai e Belsky
(2011), potrebbe non considerare la totalità dei processi di mentalizzazione
genitoriale, tralasciando aspetti non verbalizzati, come ad esempio i movi-
menti corporei, utilizzati durante l’interazione con il bambino (kinesthetics),
i quali possono avere un peso ugualmente rilevante (molte attività umane ri-
chiedono una regolazione comportamentale più veloce di quella cosciente,
che è possibile solo a un livello di coordinazione intuitiva, Papousek e Pa-
pousek, 2001). Per questo motivo, nel loro studio (Shai e Belsky, 2011) gli
autori si sono concentrati sul PEM (parental embodied mentalizing), ovvero
sulla capacità genitoriale di concepire, comprendere ed estrapolare gli stati
mentali infantili (come desideri, bisogni o preferenze) dalle espressioni ci-
nestesiche corporee del bambino, modulando i propri pattern cinestesici in
risposta ad esse. Questo modello considera, inoltre, i movimenti corporei
genitoriali in relazione ai pattern cinestesici infantili, invece che in modo
isolato. Alcune delle dinamiche cinestesiche considerate dal paradigma
PEM sono la “direzionalità” (che si riferisce alla direzione del movimento in
relazione al centro del corpo di un individuo; un movimento diretto verso
uno stimolo è associato con desiderio, interesse o attrazione; un movimento
che allontana dallo stimolo può suggerire repulsione o evitamento dello
stesso [Kestenberg-Amighi, Loman, Lewis e Sossin, 1999]) e il “tempo”
(che si riferisce alla velocità del movimento all'interno di una unità di tem-
po. Shai e Belsky (2011) suppongono, inoltre, che sarebbe l’ambiente inter-
personale, in particolar modo, a promuovere lo sviluppo del sé corporeo
(Orbach, 2004; White, 2004; Winnicott, 1949, 1970); ciò sarebbe dimostrato
dal fatto che una profonda mancanza di esperienze sensoriali e corporee in-
terpersonali sembrerebbe danneggiare la capacità di sviluppare un senso del
sé coerente e di stabilire relazioni significative (Dowling, 1977; Dubovsky e
Groban, 1975). L’interazione con un genitore con un’alta capacità di PEM
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infonderebbe nel bambino la sensazione che le proprie azioni sono motivate
da stati mentali, sia positivi che negativi, e che altre persone possono comu-
nicare con lui a livello non-verbale. Al contrario, un bambino che ripetuta-
mente fronteggia una bassa capacità di PEM genitoriale, sperimenterebbe la
frustrazione conseguente al fatto che i suoi stati mentali vengono ignorati o
interpretati male; ciò comporterebbe nel bambino un accesso limitato ai suoi
contenuti mentali e lo sviluppo di un senso del sé corporeo insicuro (Shai e
Belsky, 2011).
1.2 Controllo e sostegno. Stili parentali
Lo “stile di parenting” è un costrutto che descrive le variazioni normali rin-
tracciabili nei tentativi dei genitori di socializzazione e controllo del bambi-
no escludendo le condotte sociali patologiche (abuso, neglect) (Baumrind,
1991). Bornstein (2002) afferma che, data la dipendenza assoluta del bam-
bino dalle cure dell’adulto, egli è particolarmente influenzabile e sensibile
agli eventi esterni. Sebbene l’ambiente esterno alla famiglia e la classe so-
ciale possano influenzare indirettamente lo sviluppo del bambino (Bradley,
2002; Hoff, Laursen e Tardif, 2002; Bornstein e Bradley, 2003), nella ma-
gior parte dei casi sono i genitori che tracciano il percorso della prima in-
fanzia mediante il controllo, la cura e lo sviluppo psicologico e fisico.
Come riportano Buonanno, Capo, Romano, Di Giunta e Isola (2010), il con-
trollo è quella dimensione definita come “il comportamento mosso
dall’intenzione di dirigere il comportamento del bambino in una direzione
desiderabile per il genitore”. Esso include le istanze finalizzate
all’integrazione del bambino nella famiglia, esplicitate attraverso richieste
conformi alla maturità del bambino, supervisione e regolazione improntata
alla disciplina (Baumrind, 1991).
Baumrind (1991) ha identificato due caratteristiche del controllo: il control-
lo comportamentale e il controllo psicologico (Bugental e Grusec, 2006). Il
controllo comportamentale è considerato l’aspetto positivo del controllo e si
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riferisce ai ruoli, alle regole e alle restrizioni che i genitori impongono ai lo-
ro figli. È focalizzato sul controllo delle attività quotidiane e include il mo-
nitoraggio da parte dei genitori dei luoghi e della gente frequentata dai loro
figli. Differentemente, il controllo psicologico è stato descritto da Barber
(1996) come il tentativo di intromettersi e imporsi nello sviluppo psicologi-
co ed emotivo del bambino, attraverso il ricorso a pratiche educative incen-
trate sull’induzione di colpa, vergogna o riduzione dell’affetto.
Bornstein (2002) identifica una tassonomia del parenting, costituita da sei
categorie sovraordinate di caregiving parentale relative all’approccio genito-
riale nei primi anni di vita del bambino:
- la modalità “nurturant” soddisfa le richieste biologiche e fisiche del
bambino nonché quelle connesse alla sua salute;
- la modalità “fisica” promuove lo sviluppo grosso e fino-motorio;
- la modalità “sociale” include la varietà di comportamenti visivi, verbali
e affettivi che i genitori mettono in atto quando coinvolgono il bambino
in affettuosi scambi interpersonali;
- la modalità “didattica” consiste in una varietà di strategie che i genitori
utilizzano per stimolare i loro figli ad esplorare e comprendere
l’ambiente al di fuori della diade e ad agire su di esso;
- la modalità “materiale” comprende i modi in cui i genitori organizzano
il mondo fisico del bambino, specialmente in riferimento alla casa e
all’ambiente che lo circonda;
- la modalità “linguistica” del parenting è fondamentale per lo sviluppo
del bambino e per lo stesso legame genitore-bambino: essa attraversa
trasversalmente gli altri cinque domini, dal momento che è ampiamente
riconosciuto come il linguaggio giochi un ruolo di supporto in tutte le
aree dello sviluppo infantile.
Bornstein (2002) riferisce che dal punto di vista dell’evoluzione e
dell’accudimento, le modalità nurturant e fisica sono necessarie, le altre so-
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no discrezionali. In generale, nessuna di queste categorie è prevalente sulle
altre, anche se ognuna di esse può esserlo in un dato momento.
In uno studio sull’interazione madre-bambino, che valutava i comportamenti
materni in relazione all’esplorazione e alla vocalizzazione dei loro bambini
tra i due e i cinque mesi d’età (Bornstein e Tamis-LeMonda, 1990), gli auto-
ri misero in evidenza che le diverse attività connesse al parenting possono
essere classificate in funzione della stabilità e della continuità. La stabilità
indica come nel tempo si mantengano costanti le differenze tra gli individui
all’interno di un gruppo, mentre la continuità indica come nel tempo si man-
tenga costante il livello medio di performance in un gruppo; queste due ca-
ratteristiche sono indipendenti (Bornstein, Slater, Brown, Roberts e Barrett,
1997, Bornstein, 1998). In particolare, alcune attività di parenting sono sta-
bili e continue al crescere del bambino (ad esempio il parlare della madre al
bambino); altre attività sono stabili ma discontinue, mostrando o un generale
aumento (ad esempio la funzione didattica) o una diminuzione (ad esempio
il linguaggio “child-directed” o motherese, ovvero il rivolgersi al bambino
modulando la voce con aspetti prosodici caratteristici, come il tono acuto e i
contorni intonazionali “esagerati” [Blount e Padgug, 1977]); altre attività
sono instabili e continue, mentre altre ancora sono instabili e discontinue,
mostrando o un generale aumento (ad esempio il linguaggio “adult-
directed”) o una riduzione (ad esempio il parenting sociale).
Come riportato da Buonanno et al. (2010), in letteratura, lo stile di paren-
ting è stato descritto lungo due dimensioni: il supporto (inteso come il com-
portamento che induce nel bambino la sensazione di sentirsi a proprio agio
nell’interazione con i genitori e che promuove la rappresentazione interna di
essere accettato, MacCoby e Martin, 1983; Rollins e Thomas, 1979) e il
controllo (inteso come il comportamento mosso dall’intenzione di dirigere
l’attività del bambino in una direzione desiderabile per il genitore, Rollins e
Thomas, 1979). Queste dimensioni si combinano in modi diversi per dare
vita a particolari stili educativi (Baumrind, 1967).