1
INTRODUZIONE
Che cos’è la wearable technology? La domanda è opportuna, ma rispondere si rivela più complesso
del previsto. E’ necessario cominciare con una premessa: il termine appare all’interno del contesto
italiano solo recentemente e per una ragione pratica, ovvero definire univocamente una serie di
prodotti inediti e tecnologici che negli ultimi anni hanno raggiunto un enorme successo
commerciale, invadendo il mercato in modo repentino e dirompente. Questi strumenti necessitavano
dunque di essere etichettati da un titolo comune e dall’effetto hi-tech per non sembrare l’ennesimo,
inutile aggeggio elettronico da aggiungere alla nostra già vasta collezione.
Il vero concetto di tecnologia indossabile, però, è molto più di questo: viene rubato dalla lingua
inglese tralasciando una storia di invenzioni e concetti particolare ed intricata, i cui protagonisti
sono dispositivi ancora oggi poco conosciuti, spesso intraducibili in altri idiomi (un esempio è
head-mounted display) e, a differenza di quanto possa sembrare, tutti estremamente diversi tra loro.
Questa complessità, come si potrà in parte leggere nella breve storia che segue l’introduzione, è
dovuta ad una sovrapposizione verticale ed orizzontale di contesti lontani tra loro, ma che in questo
caso hanno contribuito congiuntamente, chi più chi meno, all’evoluzione dei wearable, i quali
hanno fatto di questa multidisciplinarietà uno dei loro punti di forza.
La domanda è perciò rimasta aperta: che cos’è la wearable technology? Appurato quanto appena
premesso, è possibile darne una definizione tratta da un saggio del 1996 di Steve Mann, che come
vedremo è un personaggio fondamentale in merito a ciò di cui stiamo parlando:
Wearable computing è lo studio o la pratica di inventare, progettare, costruire o utilizzare
apparecchi e sensori miniaturizzati da indossare sul corpo. I wearable computer possono essere
indossati al di sotto o al di sopra degli abiti, o essere loro stessi parte del vestiario.
Sempre Mann elenca le caratteristiche che definiscono un dispositivo computerizzato indossabile e
che lo differenziano dalle altre tecnologie. Non ha restrizioni: l’utente deve poter camminare,
muoversi, fare più cose contemporaneamente all’uso del device (in più, nei modelli di ultima
generazione le interfacce hands-free amplificano questa condizione). Non è monopolizzante: è stato
progettato per essere un’azione secondaria e non per un coinvolgimento straniante dalla realtà. È
osservabile: costantemente utilizzabile ed attivo, raccoglie dati anche senza che vi si presti
attenzione. È controllabile: reagisce immediatamente alle azioni dell’utente. È attento: il suo
carattere multisensoriale gli permette di essere consapevole e vigile dell’ambiente circostante. È
comunicativo: funziona come medium di comunicazione con gli altri utenti, con gli altri dispositivi
2
ed è sempre connesso ad internet. È personale: il suo carattere sempre online lega individuo e
macchina in un’interazione di reciproca È protesico: diventa un’estensione artificiale del corpo e
della mente di chi lo utilizza.
Perché usarli? I pro e i contro del loro uso sono moltissimi e si è cercato di esplicarne alcuni nel
corso della tesi, in modo quanto più oggettivo per lasciare il giudizio finale al lettore. Allo stesso
modo, anche i campi di applicazione che hanno già o che adotteranno le tecnologie wearable al loro
interno sono sconfinati, potenzialmente potrebbero non escluderne nessuno: tra quelli affrontati in
questa ricerca troviamo lo sport ed il fitness, la salute e la medicina, la moda, la comunicazione,
l’intrattenimento ed il lavoro, ma sono soltanto alcune macro categorie di una lista decisamente più
ampia, che potrebbe ad esempio continuare con l’estetica, il banking, l’automotive, la didattica...
Prima smartphone, poi smart tv, smartband, smartwatch, smartglass, smart baby monitor: stiamo
assistendo ad una vera smart invasione. Smart in inglese significa intelligente, furbo; nel campo
della tecnologia viene applicato come prefisso ad un numero crescente di prodotti e servizi ma non
si riferisce ad un’intelligenza artificiale, bensì a dispositivi o sistemi elettronici che possono
connettersi ad internet e a reti wireless, essere usati interattivamente e dalle molteplici funzioni
multimediali. Analogamente al caso di wearable technology, il mercato ha abusato dell’etichetta
smart per rendere appetibili i propri prodotti agli occhi dei consumatori.
I capitoli che seguono vorrebbero fare un minimo di ordine in questo confuso panorama di
tecnologie indossabili ed esaminare il contesto sociale e commerciale a loro legato. A causa della
specificità di ogni termine proprio della lingua straniera e che spesso nelle traduzioni perde parte di
significato, si noterà un abuso di termini inglesi: purtroppo, è stata una scelta obbligata per non
creare malintesi comunicativi, e non piuttosto una dimostrazione della predominanza di una
sull’altra lingua.
Ad ogni campo di applicazione che ho descritto di seguito, ho voluto dedicare alcune righe
scrivendo di uno dei miliardi di futuri possibili nei quali i wearable potrebbero, o meno, palesarsi.
L’ultimo capitolo è invece dedicato, in modo totalmente filosofico ed ironico, al rendere note le
varie analogie che legano gli altrettanto virtuali mondi di cinema, televisione, cartoni animati e
videogiochi all’ecosistema tecnologico in cui viviamo oggi e dove vivremo, forse, in un domani non
troppo lontano. Ovviamente prevedere il futuro è impossibile ed immaturo, per quanto si tratti di un
3
domani adiacente al presente, ma può essere un esercizio speculativo ricco di spunti e tematiche
interessanti. Comprendere tali tecnologie potrà renderci partecipi, o se non altro osservatori
consapevoli, degli scenari che ci aspettano.
Figura 1. Oculus Rift. Da https://www3.oculus.com/en-us/blog/oculus-rift-pre-orders-now-open-first-shipments-march-28/
4
BREVE STORIA DEI WEARABLE
A causa dell’illimitato universo tecnologico che coinvolge i wearable, il loro esordio può coincidere
con diverse invenzioni nel tempo a seconda della definizione che si sceglie di darvi. Se prendessimo
in considerazione, ad esempio, qualunque apparecchiatura portatile e con funzione specifica,
addirittura essi affonderebbero le loro radici nel XVII secolo con lo Zhusuan, un anello
“calcolatore”, creato dalla dinastia cinese Qing e dotato di un abaco di 1,2 per 0,7 centrimetri. Le
tecnologie indossabili seguono oggi l’evoluzione delle nanotecnologie, dell’information technology
e della miniaturizzazione degli elementi, ma in passato hanno tratto vantaggio anche dal passaggio
al digitale, dal design, dai nuovi materiali scoperti, dalla crescente potenza di elaborazione delle
macchine, dalla diffusione di sistemi senza fili ed infine dalla diminuizione dei costi di ricerca.
E’ comunque a partire dal 1960 che i tempi per cominciare a realizzare tali tecnologie sembrarono
maturi, e non a caso è sempre in questo periodo che Manfred Clynes e Nathan Kline coniarono la
parola cyborg, a rafforzare l’idea di una prima spinta generazionale volta a considerare i wearable.
Nel campo militare, Ivan Sutherland mise a punto per la Bell Helicopter un HDM (head mounted
display), un caschetto con visore che visualizzava in tempo reale ciò che una telecamera ad
infrarossi montata sul velivolo riprendeva, e permetteva quindi di pilotare ed atterrare anche durante
la notte. Un esperimento con lo stesso visore fece spaventare a morte un uomo quando la telecamera
gli mostrò immagini riprese dall’alto di un grattacielo: l’invenzione del HDM fu uno dei primi passi
verso la realtà virtuale e dimostrò quanto immersiva e psicologicamente potente fosse già allora
questa tecnologia (senza dimenticare che la prima proiezione cinematografica, L'arrivo di un treno
alla stazione dei fratelli Lumière, fece scappare gli spettatori a gambe levate). Poco dopo anche la
Heilig brevettò un simulatore di realtà virtuale chiamato Sensorama, una macchina a dimensione
d’uomo volta a simulare un’esperienza sinestetica totale: equipaggiata con un display binoculare per
la visione tridimensionale, speaker stereofonici, sedile vibratile, generatori di odori e di vento. Non
è catalogatible tra le tecnologie indossabili, ma anch’essa sarà di grande influenza per lo sviluppo di
realtà virtuale.
Nello stesso decennio prese corpo l’intuizione di due professori dell’MIT, Edward Thorp e Claude
Shannon; gli studi sulle probabilità nei giochi d’azzardo del primo e le conoscenze informatiche del
secondo conversero in un macchinario portatile che poteva “battere il croupier”, con ben il 44% di
possibilità di prevedere correttamente l’esito del gioco. Si trattava di un primitivo scatolotto con
cavi e circuiti, ma il concetto era sulla giusta strada: il corpo principale del congegno si nascondeva
attorno alla vita, mentre un auricolare ed un proto-sensore fungevano da input e output nel