Introduzione
Il presente lavoro ha come oggetto lo studio riguardo al genere, all’identità e
alla violenza, elaborando l’analisi in riferimento a due autori post-strutturalisti:
Pierre Bourdieu e Judith Butler, personalità che mi hanno regalato, attraverso le
loro opere, un’ampiezza di sguardo necessaria per affrontare contenuti tanto
delicati. Il genere è affiancato al concetto di identità; all’importanza che riveste a
livello soggettivo e nella relazione con l’Altro. Il tema della violenza si inserisce
in maniera trasversale, nell’analisi del genere e dell’identità, come elemento
fondante visioni binarie del mondo e per questo generatore di schemi mentali
che da una parte agevolano la comprensione della realtà ma dall’altro
provocano forme di emarginazione e di disuguaglianza sociale.
La scelta di affrontare temi quali l’identità, il genere e la violenza è dovuto in
gran parte all’importanza che questi argomenti rivestono all’interno del mio
Corso di Laurea e ai quali mi sono subito legata per la capacità di destabilizzare
le mie visioni dominanti. L’essere cosciente che le disuguaglianze, con tutte le
loro sfumature e categorie, possano essere affrontate a livello teorico e pratico
e tramite una spinta – non solo etica – risolte in vista di un miglioramento delle
condizioni sociali, rappresentano le basi e gli obiettivi della mia riflessione.
Porre sotto esame i meccanismi che sottostanno al potere egemonico del
dominio, i loro prodotti e le loro forme di legittimazione, rappresentano un passo
per realizzare tali scopi. Cos’è il genere? Cos’è l’identità? Che cosa hanno a
che fare con la violenza, nelle sue infinite sfaccettature, di volta in volta difficili
da individuare? A queste domande si proverà a dare risposta nel presente
lavoro, frutto della consapevolezza che nessuno è del tutto esente sia da uno
sguardo introspettivo e relazionale – in virtù dei quali ci domandiamo: Chi
siamo? Chi è l’Altro? Chi siamo in relazione agli altri? - sia da forme di violenza
“mascherate” nel mondo occidentale ma che hanno la loro diretta controparte
nel mondo degli sfruttati, dei marchiati, dei dimenticati. Si renderà conto di
queste soggettività relegate nel luogo dell’abietto dall’eterosessualità normativa
e dal potere dominante. L’intenzione non è solo quella di demistificare
concezioni comuni sui temi di identità, genere e violenza ma è soprattutto quella
di fare luce su questi fenomeni, spiegando la natura delle disuguaglianze
profondamente radicate nelle credenze e suscitare nei lettori un cambiamento
di prospettiva - se non responsabile, almeno consapevole - nei confronti
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dell’alterità e delle diversità. Attraverso un’analisi assieme sociologica,
antropologica e filosofica, il lavoro è articolato come segue:
Il primo capitolo si concentra sul «dominio maschile» analizzato da Bourdieu,
diviso in tre sottoparagrafi. Partendo dall’analisi della dicotomia tra soggetto e
oggetto in ambito sociologico, segue, in secondo luogo, la spiegazione dei
concetti di habitus e corpo, terminando con la genealogia del tema della
violenza simbolica.
Il secondo capitolo dal titolo “I «corpi che contano» di Judith Butler”, articolato
anch’esso in tre parti, propone in prima istanza il superamento della dicotomia
maschile/femminile. Superando tale dicotomia si potrà riflettere sugli atti
sovversivi del corpo, esponendo il fenomeno drag e la queer theory. In terzo
luogo è affrontato il concetto di violenza etica elaborato recentemente dalla
filosofa.
Il terzo capitolo, “Femminismo intersezionale”, diviso in due paragrafi, è
introdotto da una breve storia del femminismo partendo dalla Rivoluzione
francese per arrivare alla storia contemporanea; di seguito il tema
dell’intersezionalità si prospetta come approccio teorico e metodologico
emergente e alternativo per i nuovi femminismi inclusivi. Infine si analizzerà la
forma della violenza strutturale teorizzata dall’antropologo e medico Farmer.
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1. Il «dominio maschile» di Bourdieu
Nel seguente capitolo saranno trattate alcune delle tematiche più salienti
dell’opera bourdieusiana, relazionandole, in maniera trasversale, con i concetti
di identità, genere e violenza, come proposto dalla tesi. Bourdieu (Denguin, 1º
agosto 1930 – Parigi, 23 gennaio 2002) è conosciuto non solo per l’ampia
gamma di studi e di discipline di cui si è servito abilmente per fornire un’analisi
della società - non unicamente contemporanea - ma anche per essere stato un
intellettuale scomodo: ancora oggi i lavori del sociologo, antropologo e filosofo
francese del secolo scorso sono soggetti a critiche e a rivalutazioni in campo
accademico e non solo (ciò è dovuto anche alla vastità e l’eterogeneità dei temi
trattati). Grazie alla sintesi tra studi etnografici, dunque empirici, che
caratterizzano i primi lavori di Bourdieu in Cabilia e la teorizzazione di una
“scienza della pratica umana”, l’intellettuale unisce la pratica e la teoria,
l’antropologia e la sociologia, in un progetto scientifico fondato sulla dialettica
filosofica tra i diversi ambiti. Grazie alla sua abilità di analisi ci fornisce così
ancora oggi, attraverso un capovolgimento di prospettiva (tema che sarà
trattato nel paragrafo 1.1 Le dicotomie) una fotografia molto dettagliata della
società in relazione al comportamento umano (argomento affrontato in 1.2
L’habitus e il corpo), comprendendo la genealogia del concetto di violenza
simbolica (paragrafo 2.3), ovvero del modo e delle forme di potere implicite, o
appunto, simboliche, di cui il dominio si serve per perpetuarsi nel tempo.
“Il dominio maschile” ci fornisce dunque un’immagine dell’ordine delle cose: una
sintesi e una denuncia del dominio che il rapporto tra i generi alimenta e la
comprensione di come, attraverso l’azione di istanze superiori (le istituzioni),
una società fondata sull’ingiustizia sociale possa continuare a esistere,
legittimata dalla sua presunta naturalezza, servendosi della violenza simbolica.
1.1 Le dicotomie
«Di tutte le opposizioni che dividono artificialmente la scienza sociale, la più fondamentale, e la
più rovinosa, è quella che si instaura tra il soggettivismo e l’oggettivismo. ».
1
Secondo Bourdieu, comprendere la realtà sociale significa andare oltre la
dicotomia soggettivismo-oggettivismo, antagonismo che mina la vera scienza
della società, la sociologia, che attribuisce o all’uno o all’altro metodo di
1
P. BOURDIEU, Il senso pratico, Roma, Ed. Armando, 2005, pp. 37
5
conoscenza il merito di avvicinarsi maggiormente alla realtà. Ma i modi della
conoscenza che incarnano questi due termini – oggettivismo e soggettivismo -
non sono riducibili unicamente all’uno o all’altro approccio teorico, scissi tra una
fenomenologia sociale e una fisica sociale. Per superare la dicotomia, Bourdieu
propone di sottoporre «ad un’oggettivazione critica le condizioni epistemologiche e sociali
che rendono possibile tanto il ritorno riflessivo sull’esperienza soggettiva del mondo sociale
quanto l’oggettivazione delle condizioni oggettive di tale esperienza.».
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Egli, dunque, opera una sintesi dialettica tra i due metodi di conoscenza,
considerandoli entrambi indispensabili.
L’approccio oggettivista ha il progetto di spiegare la vita sociale come
determinata da regolarità oggettive che sono indipendenti dalla volontà dei
singoli attori sociali. Tale approccio ha la capacità di rivelare la realtà oggettiva
dei rapporti sociali che gli individui instaurano, ma allo stesso tempo ignora «ciò
che è inscritto nella distanza e nell’esteriorità rispetto all’esperienza primaria, distanza che è
insieme condizione e prodotto delle operazioni di oggettivazione»
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ovvero non considera
che le esperienze e le rappresentazioni individuali della realtà sociale sono
parte integrante e fondante della realtà stessa. L’oggettivismo può portare a
reificare le strutture che egli stesso ha identificato, supponendone un’autonomia
intrinseca, «dimenticando ciò che l’analisi fenomenologica dell’esperienza del mondo
familiare ricorda, cioè l’apparenza di immediatezza con cui il senso di questo mondo si
mostra».
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Dall’altra parte, il soggettivismo (o costruttivismo) vede la realtà sociale
come frutto dell’agire, delle credenze e delle rappresentazioni dei singoli
individui, cioè come la sommatoria delle azioni individuali. Secondo questo
approccio gli individui agiscono indipendentemente dalle condizioni sociali
esistenti e dunque dalle strutture oggettive. Nonostante Bourdieu riconosca
l’importanza che il sapere comune e la pragmatica quotidiana rivestano nella
costituzione della società, egli sostiene (prendendo in esame l’esistenzialismo
di Sartre) che «il soggettivismo universalizza l’esperienza che il soggetto del discorso colto si
fa di se stesso in quanto soggetto. Professionista della coscienza condannato all’illusione della
“coscienza senza inerzia”, senza passato e senza esteriorità, egli attribuisce a tutti i soggetti
con cui accetta di identificarsi – cioè quasi esclusivamente il popolo proiettivo che nasce da
questa identificazione “generosa” – la propria esperienza vissuta di soggetto puro, senza legami
2
Ibidem
3
Ivi, pp. 39
4
Ibidem
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