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prescrizione decennale. (2946 cod. civ.)
Inoltre, l’Art. 1455 subordina la risoluzione al fatto che
l’inadempimento non abbia scarsa importanza, rispetto agli
interessi della controparte, mentre l’Art. 1497 stabilisce che
il contratto può risolversi solo se il difetto di qualità ecceda i
limiti di tolleranza stabiliti dagli usi; ovvio che, laddove non
ci siano usi, il rinvio operato dall’Art. 1497 consente di ap-
plicare, anche in questo caso, il criterio della scarsa impor-
tanza dell’inadempimento previsto dall’Art. 1455
(1)
.
L’onere della denuncia, stabilito a pena di decadenza
dall’azione di risoluzione, e il brevissimo termine di prescri-
zione previsto dall’Art. 1495 cod. civ. costituiscono
senz’altro una pesante compressione della tutela concessa
all’acquirente di un bene privo di qualità, compressione che
può spiegarsi solo in funzione di una tutela della certezza e
della speditezza dei traffici commerciali.
Si vuole evitare, in sostanza, che l’alienante si trovi assogget-
tato, dopo troppo tempo, alla risoluzione del contratto, al fine
di poter contare sul buon esito dell’affare.
Tenendo conto che l’onere della denuncia, nel brevissimo
termine di otto giorni, è stabilito a pena di decadenza dal di-
ritto di chiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento
del danno e tenendo conto altresì del brevissimo termine di
(1)
Bianca, La vendita e la permuta, pag. 950 e Rubino, La compravendita, pag. 366.
3
prescrizione, previsto dall’Art. 1495 cod. civ., diventa pro-
blema di enorme importanza, stabilire se l’Art. 1497 cod. civ.
comprenda in se anche l’ipotesi di “consegna di cosa diver-
sa”, l’ipotesi cioè in cui il venditore consegni “aliud pro a-
lio”.
Il problema è cioè quello di capire se, nell’ipotesi in cui il
venditore consegni un bene “radicalmente diverso” da quello
pattuito, il compratore sia assoggettato ai limiti previsti
dall’Art. 1495 cod. civ., o se possa accedere alla normale tu-
tela prevista dagli Artt. 1453 ss. cod. civ., senza pertanto al-
cun onere di denuncia e usufruendo dell’ordinaria prescrizio-
ne decennale.
La relazione al Re del Guardasigilli (n. 138) depone
senz’altro per la seconda soluzione: “Finora sotto la pressio-
ne delle cose e delle complicate sanzioni, la giurisprudenza
per ragioni pratiche, era stata indotta a deviare dai precisi
concetti di vizio e di difetto di qualità, mentre adesso l’aliud
pro alio, ai fini di evadere dal secondo comma dell’Art. 1497
cod. civ., cioè ai fini di escludere la necessità della denuncia
entro otto giorni e di applicare il termine normale di prescri-
zione si avrà soltanto quando la cosa rientri in un genere di-
verso da quello contrattato”.
Certo, l’autonoma rilevanza dell’“aliud pro alio”, rispetto al-
la mancanza di qualità, non può basarsi su tale relazione: le
4
norme devono essere interpretate oggettivamente, e qualunque
fosse l’intenzione dei codificatori, essa non ha alcuna rile-
vanza per l’interprete.
In ogni caso la dottrina e la giurisprudenza sono pressoché
unanimi nell’attribuire autonoma rilevanza all’“aliud pro a-
lio”, e quindi a sganciare la relativa tutela dai limiti dell’Art.
1495 cod. civ. Le uniche voci in dissenso
(2)
, possono consi-
derarsi datate, e totalmente superate dalla prassi giurispru-
denziale che tende a concedere la tutela relativa all’“aliud
pro alio” in tutte le ipotesi nelle quali l’interesse creditorio
dell’acquirente appaia gravemente leso.
Problematica appare invece, l’individuazione di criteri di di-
stinzione tra le due ipotesi. Da una parte, la dottrina non è
concorde nell’individuazione degli elementi attraverso i quali
sia possibile una sicura distinzione, la giurisprudenza,
dall’altra, sembra muoversi su basi empiriche, concedendo la
tutela relativa all’“aliud pro alio” tutte le volte che i termini,
di cui all’Art. 1495 cod. civ., appaiano troppo angusti rispetto
alla gravità della lesione dell’interesse creditorio, subito dal
compratore.
(2)
Amorth: Mancanza di qualità e consegna di aliud pro alio, limiti di una distinzione
che non esiste in: Temi, 1959, pag. 172.
5
2 - Vizi, mancanza di qualità ed “aliud pro alio”: il perché
della distinzione.
Sotto molti aspetti, la tematica coinvolge anche il pro-
blema della garanzia per vizi: (Artt. 1490-1496 cod. civ.).
Notiamo innanzi tutto che l’Art. 1495 cod. civ., richiamato
dall’Art. 1497 cod. civ., è dettato proprio in relazione a tale
garanzia, ma, soprattutto, il collegamento è reso necessario in
quanto esiste un orientamento in dottrina diretto alla totale
(3)
o parziale
(4)
equiparazione tra vizi e mancanza di qualità, sia
rispetto ai presupposti della tutela, sia rispetto al contenuto
della tutela stessa. Si nota in particolare che la distinzione
ontologica tra vizi e mancanza di qualità sia particolarmente
difficile o, talvolta, impossibile. In astratto in realtà sembra
possibile distinguere le due ipotesi: sono vizi infatti le imper-
fezioni materiali della cosa, che incidono sulla sua utilizzabi-
lità o sul suo valore e che attengono al processo di produzione
di fabbricazione o di formazione; sono invece qualità del be-
ne gli attributi che esprimono la funzionalità, l’utilità o il
pregio del bene stesso, ovvero quei particolari requisiti che
distinguono le varie specie di un determinato genere
(5)
.
Tutto ciò va bene, ma quando attraverso questi criteri occorre
valutare le fattispecie concrete, sorgono non poche difficoltà.
(3)
Bianca, La vendita e la permuta, pag. 888.
(4)
Cabella-Pisu, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, pag. 282.
6
Per esempio il venditore ha consegnato una mucca sterile e
tale sterilità deriva ovviamente da un difetto dell’apparato
genitale, quindi, si tratta di un vizio; tuttavia la capacità di
procreare, è anche una qualità dell’animale, che esprime ap-
punto la sua utilità o il suo pregio. Va comunque notato che
tale distinzione diventa totalmente superflua, laddove si ri-
tenga che, in entrambi i casi, il compratore abbia accesso agli
stessi identici strumenti di tutela. Si vuole dire che laddove si
ritenga che i mezzi di tutela che l’ordinamento predispone a
favore del compratore di un bene viziato siano gli stessi, ai
quali ha accesso l’acquirente di un bene privo di qualità, la
distinzione non avrebbe più alcuna giustificazione.
Occorre precisare però che tale “reductio ad unum” può esse-
re frutto soltanto di un attento ed articolato lavoro interpreta-
tivo sulle norme contenute negli Artt. 1490-1497 cod. civ.,
poiché a prima vista, il codice sembrerebbe invece aver predi-
sposto una tutela differenziata e, più precisamente, una tutela
tripartita a seconda che l’inesattezza della prestazione del
venditore possa essere qualificata come vizio, mancanza di
qualità o “aliud pro alio”. A questa tripartizione ha fatto ri-
ferimento soprattutto la dottrina più datata, ma essa è stata
ribadita anche molto di recente
(6)
.
(5)
Bianca, Op. cit., pag. 885 e 888.
(6)
Gabrielli, La consegna di cosa diversa, pagg. 3 e ss.
7
Esaminiamo più da vicino questa tripartizione:
a) i vizi
Nel caso in cui la cosa venduta sia affetta da vizi che la ren-
dano inidonea all’uso a cui la cosa è destinata o ne diminui-
scano in modo apprezzabile il valore, il compratore può chie-
dere la risoluzione del contratto (che qualcuno chiama ancora
redibitoria) o in alternativa la riduzione del prezzo (Art. 1492
cod. civ.). La dottrina è unanime nel ritenere che entrambe i
rimedi prescindono dalla colpa del venditore
(7)
. In sostanza il
compratore può chiedere la risoluzione del contratto o la ri-
duzione del prezzo (Art. 1492 cod. civ.) anche quando il ven-
ditore dimostri di essersi attivato diligentemente, al fine di
constatare che la cosa fosse esente da vizi, e, nonostante ciò
abbia venduto un bene viziato. Entrambe le azioni comunque
sono assoggettate ai termini di decadenza e prescrizione stabi-
liti dall’Art. 1495 cod. civ.
Ad entrambe le azioni, inoltre, può accompagnarsi una pretesa
risarcitoria (Art. 1494 cod. civ.) che può essere avanzata sol-
tanto, però, quando il venditore sia in colpa. E’ opinione co-
mune che il risarcimento dei danni, a cui fa riferimento l’Art.
1494 1° comma, è relativo all’interesse positivo: tende cioè a
rimettere il compratore in una posizione economica equivalen-
(7)
In senso solo parzialmente difforme Bianca: Dell’inadempimento delle obbligazio-
ni, comm. al cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, Art. 1218 cod. civ., pagg. 50 e
ss.
8
te a quella in cui egli si sarebbe trovato, se avesse ricevuto un
bene non viziato; il 2° comma dell’Art. 1494 farebbe riferi-
mento invece al danno relativo alla responsabilità aquiliana
del venditore, per aver immesso sul mercato un bene difettoso
e quindi potenzialmente pericoloso (per esempio in base al 2°
comma dell’Art. 1494 cod. civ. il compratore potrebbe chiede-
re il risarcimento del danno per le lesioni riportate a causa
dello scoppio di una bombola a gas difettosa).
b) Mancanza di qualità
Nell’ipotesi in cui, invece, la cosa venduta sia priva di qualità
essenziali o pattuite (Art. 1497 cod. civ.), il compratore può
chiedere la risoluzione del contratto “secondo le disposizioni
generali sulla risoluzione per inadempimento”. Laddove si ri-
tenga che la risoluzione del contratto prevista dagli Artt.
1453-1462 cod. civ. (ai quali l’Art. 1497 cod. civ. rinvia) sia
un rimedio sanzionatorio contro l’inadempimento colpevole,
si deve concludere che il compratore, secondo la precisione
dell’Art. 1497 cod. civ., possa chiedere la risoluzione del
contratto soltanto quando il difetto di qualità, in cui si so-
stanzierebbe l’inadempimento, dipenda da colpa del vendito-
re.
Questo sarebbe uno degli elementi che maggiormente diversi-
ficherebbe la garanzia per vizi rispetto alla tutela prevista
dall’Art 1497 cod. civ.: nel primo caso il venditore sarebbe
9
assoggettato alla risoluzione del contratto, indipendentemente
dalla sussistenza o meno di una sua condotta colposa, nel se-
condo invece l’alienante potrebbe subire la risoluzione solo in
caso di inadempimento imputabile. Se invece la risoluzione
prevista dagli Artt. 1453-1462 cod. civ. può considerarsi un
rimedio contro l’oggettiva rottura dell’equilibrio sinallagma-
tico, esperibile pertanto indipendentemente dalla colpa della
parte inadempiente, se ne dovrebbe concludere che nulla di-
scriminerebbe, sotto questo aspetto, le due discipline, poiché
in entrambe le ipotesi (sia in caso di vizi sia in caso di man-
canza di qualità) il compratore potrebbe chiedere la risoluzio-
ne del contratto indipendentemente dal fatto che il venditore
versi in colpa.
Ciò che invece è assolutamente incontrovertibile è il fatto
che, anche in caso di mancanza di qualità, l’azione di risolu-
zione è assoggettata ai termini di decadenza e prescrizione
previsti dall’Art. 1495 cod. civ.: il compratore, a pena di de-
cadenza, ha l’onere di denunciare all’alienante entro otto
giorni dalla scoperta il difetto di qualità. Le parti possono
convenzionalmente stabilire un termine diverso, ma sarebbe
nullo il patto con il quale venisse stabilito un termine di de-
cadenza, che rendesse eccessivamente difficile l’esercizio del
diritto da parte del compratore (Art. 2965 cod. civ.). In ogni
caso, l’azione di risoluzione si prescrive in un anno dalla
10
consegna.
Il rinvio all’Art. 1495 cod. civ., da parte dell’Art. 1497 cod.
civ., è quindi uno degli elementi che accomuna le due disci-
pline. Ritorniamo invece alle possibili distinzioni. L’Art.
1492 cod. civ. concede al compratore di cosa viziata, in alter-
nativa alla risoluzione del contratto, la cosiddetta azione e-
stimatoria o “quanti minoris”, che consiste in una domanda
giudiziale diretta ad ottenere, per il tramite della sentenza,
una riduzione del prezzo (pagato o da pagare) nella misura in
cui il vizio incide sul valore del bene, o sulla idoneità all’uso
a cui la cosa è destinata. L’Art. 1497 cod. civ., invece, non fa
alcun riferimento alla riduzione del prezzo, e in base a tale
silenzio, parte della dottrina
(8)
ha ritenuto che tale rimedio
non sia esperibile dal compratore che abbia acquistato un be-
ne privo di qualità. La dottrina più recente è comunque orien-
tata in senso inverso
(9)
. Inutile dire che, al contrario di ciò
che avviene con la risoluzione, la riduzione del prezzo, tende
a conservare il contratto poiché non lo priva di efficacia, e
pertanto tale azione può farsi rientrare pienamente nel princi-
pio generale, inerente alla “conservazione del contratto”. Se
dunque l’azione estimatoria è espressione di un principio ge-
nerale, la sua applicazione analogica non incontrerebbe i limi-
(8)
Carnelutti, Riv. Dir. Proc. 1953, II, 191 ss. e Greco e Cottino, Della vendita,
comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca Artt. 1470-1547 cod. civ., pag. 230.
(9(
Bianca, La vendita e la permuta, pagg. 953 ss.
11
ti di cui all’Art. 14 preleggi, e pertanto il rimedio sarebbe ap-
plicabile anche all’ipotesi inerente alla mancanza di qualità
(Art. 12 2° comma preleggi). Se dovessimo giungere alla con-
clusione contraria, invece, dovremmo ammettere che
l’acquirente di cosa priva di qualità non potrebbe chiedere la
riduzione del prezzo, e ciò obbligherebbe ancora l’interprete
ad una distinzione, da un punto di vista ontologico, tra
l’ipotesi di cosa viziata e l’ipotesi di cosa priva di qualità.
Nessun dubbio, invece, può essere ragionevolmente avanzato
per quello che riguarda il risarcimento del danno: il rinvio
operato dall’Art. 1497 cod. civ. agli Artt. 1453 ss. consente,
al contraente, che abbia acquistato un bene privo di qualità
essenziali o pattuite, di richiedere il risarcimento del danno
relativo alla lesione dell’interesse positivo; il risarcimento
può accompagnarsi all’azione di risoluzione, ma può anche
essere esercitato in modo del tutto autonomo.
c) Aliud pro alio.
Veniamo ora all’ultimo elemento della tripartizione: si tratta
del così detto “aliud pro alio datum”, che si verifica tutte le
volte in cui il venditore conferisca in proprietà ovvero conse-
gni un bene “radicalmente diverso” da quello pattuito. Secon-
do l’opinione che ormai può dirsi dominante, in questo caso,
il compratore, data la gravità della lesione dell’interesse cre-
ditorio, non può essere assoggettato ai limiti di decadenza e
12
prescrizione stabiliti dall’Art. 1495 cod. civ., e consequen-
zialmente, non ha alcun onere di denuncia nei confronti
dell’alienante, e può inoltre usufruire dell’ordinaria prescri-
zione decennale.
Inoltre sia in caso di vizi, sia in caso di difetto di qualità, sia
infine nell’ipotesi dell’“aliud pro alio” esistono ulteriori
problemi attinenti all’esperibilità o meno dell’azione di esatto
adempimento Art. 1453 cod. civ., e più in generale
dell’applicabilità di ulteriori rimedi previsti contro
l’inadempimento (ad esempio l’eccezione di inadempimento
Art. 1460 cod. civ.).
Tali questioni saranno tutte ampiamente trattate nel capitolo
primo.
La sommaria ricostruzione della disciplina, fin qui operata,
permette di trarre già una evidente conclusione: mentre una
differente, e più incisiva tutela, dell’ipotesi di “aliud pro a-
lio”, rispetto ai vizi e alla mancanza di qualità, appare giusti-
ficata dalla semplice constatazione che nella prima ipotesi il
contraente riceve una maggiore lesione del suo interesse cre-
ditorio, la differente disciplina relativa ai vizi, rispetto alla
mancanza di qualità, non ha alcuna ragion d’essere. A parte la
già segnalata difficoltà di distinguere da un punto di vista on-
tologico le due ipotesi, dobbiamo constatare che in un caso e
nell’altro l’interesse creditorio del compratore viene leso nel-
13
la stessa misura. Questa semplice osservazione era già stata
fatta da Rubino, autore del primo trattato sulla compravendita
dopo l’entrata in vigore del codice vigente.
Dice Rubino: “...questa facilità di confusione, rivelatasi così
impotentemente in pratica, era uno degli indici i quali avreb-
bero dovuto avvertire il legislatore che non sussistono ade-
guate ragioni giuridiche né pratiche per dare ai vizi e alla
mancanza di qualità una disciplina differente, sia pure solo
in parte. Il cammino compiuto a metà avrebbe dovuto esserlo
per intero, unificando completamente il trattamento delle due
categorie.”
(10)
Tuttavia questa possibile (ma come si vedrà, forse infondata)
differente disciplina tra vizi e mancanza di qualità non è
l’unica frattura esistente all’interno della vendita relativa-
mente alla tutela del compratore. Altre differenze sono state
ipotizzate già all’interno della stessa garanzia per vizi: anti-
cipando una problematica che sarà più ampiamente trattata in
seguito, occorre dire che le difficoltà incontrate dalla dottri-
na, al fine di inquadrare la garanzia per vizi all’interno della
responsabilità contrattuale, derivano principalmente dal fatto
che il principio del consenso traslativo (Art. 1376 cod. civ.),
relativo alla vendita di cose specifiche, impedisce di indivi-
duare l’obbligazione rispetto alla quale l’alienante sarebbe
(10)
Rubino, La compravendita, pag. 366.
14
inadempiente; si dice in sostanza che la cosa è così com’è,
cioè viziata o sana e che l’impegno contrattuale dell’alienante
può riguardare una futura prestazione, ma non l’esistenza o
l’inesistenza di modi di essere attuali della cosa. Ora, man-
cando un’obbligazione rispetto alla quale il venditore possa
considerarsi inadempiente, la garanzia per vizi non potrebbe
inquadrarsi logicamente all’interno della responsabilità con-
trattuale. Partendo da questa constatazione (che come si vedrà
è tutt’altro che inconfutabile) parte della dottrina
(11)
ha rite-
nuto di ravvisare nella garanzia per vizi una forma di “assicu-
razione contrattuale”.
In sostanza, l’alienante, stipulando un contratto di compra-
vendita, assumerebbe, per ciò solo, il rischio che il risultato
traslativo non risulti conforme alle previsioni contrattuali.
Ora, però, tale ricostruzione è operabile soltanto relativamen-
te alla vendita di specie: il principio del consenso traslativo,
(Art. 1376 cod. civ.) cioè l’immediatezza dell’effetto reale,
che si verifica quando la cosa venduta è già individuata al
momento del consenso, unitamente alla preesistenza dei vizi
rispetto al consenso stesso, impediscono di individuare
un’obbligazione rispetto alla quale l’alienante possa dirsi i-
nadempiente.
Le cose stanno diversamente nella vendita di cose determinate
(11)
Gorla: Azione redibitoria, enc. dir., vol. IV, 1959, pagg. 875 ss. e, Di Majo-
15
solo nel genere (Art. 1378 cod. civ.), cioè in una delle ipotesi
della cosiddetta vendita obbligatoria. Quando la compravendi-
ta ha ad oggetto cose determinate solo nel genere, l’effetto
reale è differito al momento della individuazione, cioè, per
così dire, l’acquisto del diritto di proprietà è mediato da un
comportamento dell’alienante (individuazione) che ha senza
dubbio la struttura dell’obbligazione. Per convincersi di ciò è
sufficiente ricordare che l’Art. 1476 cod. civ. annovera, tra le
“obbligazioni” principali del venditore, quella di fare acqui-
stare al compratore la proprietà della cosa, quando l’acquisto
non sia effetto immediato del contratto (rectius: del consen-
so). Riassumendo, l’individuazione è una condotta di natura
obbligatoria, attraverso la quale il compratore acquista il di-
ritto di proprietà. Ora però, nel contenuto composito di tale
obbligazione, può farsi rientrare anche il dovere, da parte
dell’alienante, di fare acquistare il diritto su di un bene privo
di vizi, e quindi conforme all’impegno contrattualmente as-
sunto. Quindi, potrebbe concludersi che, nella vendita di cose
generiche, la garanzia per vizi potrebbe tranquillamente in-
quadrarsi all’interno della responsabilità contrattuale, deri-
vante dall’inadempimento di una obbligazione.
Giaquinto, L’esecuzione del contratto, pag. 270.