2
Infine, determinante per lo sviluppo del tumore, è il rapporto tra la cellula 
trasformata dal virus e l’organismo ospite. Osservazioni cliniche e ricerche di 
laboratorio hanno chiaramente dimostrato che lo stato immunitario 
dell’ospite, inteso sia come capacità di riconoscimento di antigeni virali o 
indotti dal virus sia come reazione anticorpale e cellulare verso il bersaglio 
tumorale, ha un ruolo critico nel controllo della crescita tumorale (3). 
Da ultimo bisogna ricordare che il sistema virus-cellula-organismo ospite è 
continuamente soggetto a fattori esterni che possono modificare (rallentando 
o facilitando) le varie fasi di sviluppo e di progressione del tumore (4).
  
 
PARTE PRIMA 
 
Regolazione della stabilità e/o della traduzione 
dell’mRNA di HPV16 E7 mediante l’esapeptide 
SEQIKA condiviso dalla globina α 1 di coniglio e 
dalla citocheratina 7 umana (5) 
 4
INTRODUZIONE 
 
I papillomavirus umani 
 
Dati epidemiologici mostrano un’alta incidenza e un’alta mortalità per il 
cancro cervicale particolarmente nei paesi sviluppati (6). 
Tra i virus oncogeni, i Papillomavirus Umani (HPV) sono di particolare 
interesse in quanto rappresentano il fattore di rischio per lo sviluppo di questa 
patologia (7, 8). 
Gli HPV sono difficilmente coltivabili in vitro per cui non è stato possibile 
definirne i sierotipi. Invece, è stato possibile tipizzarli mediante ibridazione 
molecolare del loro genoma. 
Gli HPV sono piccoli virus a DNA con un diametro di circa 55 nm, 
sprovvisti di mantello pericapsidico; presentano simmetria cubica con capside 
icoesaedrico e possiedono un genoma a doppio filamento chiuso di circa 7.9 
Kb. Le regioni del DNA di HPV che codificano per le proteine virali sono 
chiamate Open Reading Frames (ORFs), presenti solo su un filamento. Le 
sequenze ORF sono divise in tre regioni: una regione non codificante 
chiamata Long Control Region (LCR) che contiene l’origine di replicazione 
del DNA e importanti elementi di controllo della replicazione e della 
trascrizione virale; una regione Early (E) che contiene sei geni designati da 
E1 a E7, il cui prodotto interviene nella replicazione del DNA, nella 
regolazione della trascrizione e nella trasformazione cellulare; una regione 
Late (L) che codifica per le proteine del capside: L1 e L2 (figura 1). 
Sono stati isolati e sequenziati circa 100 genotipi di HPV (9) ognuno dei 
quali condivide circa il 90% dei nucleotidi nelle sequenze dei geni L1, E6 e 
E7 (10). 
La regione LCR è molto importante perché regola l’espressione delle 
proteine E6 ed E7, la cui sovraespressione è associata con la trasformazione 
 5
maligna. Contiene inoltre molti siti per fattori di regolazione; tra i fattori 
attivanti sono inclusi varie proteine cellulari dell’ospite tra cui: AP-1 (fattore 
enhancer cheratinocita-dipendente) e AP-2, NF-1, glucocorticoid response 
elements, transcriptional enhancer factor 1, YY1, octamer-binding 
transcription factor 1, etc. La regolazione dell’espressione virale è tuttavia 
complessa, in quanto questi fattori possono agire in alcune circostanze da 
attivatori e in altre da repressori. Per esempio la stessa proteina virale E2 può 
comportarsi da stimolatore, mentre la sua forma tronca da repressore. La 
maggiore espressione delle proteine virali E6 ed E7 potrebbe essere dovuta ad 
una maggior espressione delle proteine trans-attivatori o ad una minore 
espressione delle proteine repressori (11). 
Gli HPV sono strettamente ospite- e tessuto-specifici; questo tropismo può 
essere suddiviso, inoltre, in specificità cutanea o mucosale a seconda del sito 
anatomico suscettibile all’infezione. In particolare, mostrano un tropismo 
ristretto alle cellule del tessuto epiteliale stimolandone la proliferazione: le 
regioni anatomiche coinvolte sono le mucose cutanee (pelle) e le mucose 
epiteliali della cavità orale e del tratto anogenitale.  
Il tropismo che gli HPV mostrano per le cellule epiteliali squamose riveste 
grande interesse in oncologia. 
E’ noto che gli HPV sono strettamente implicati nella eziopatogenesi delle 
neoplasie squamose, incluse la displasia e il cancro cervicale (12); inoltre 
numerosi studi suggeriscono che gli HPV possono avere anche un ruolo 
importante nel cancro della pelle, del tratto respiratorio superiore e del tratto 
digestivo, nel carcinoma anogenitale e probabilmente anche nel carcinoma 
bronchiale (13). 
La pelle è formata da vari strati; di questi lo strato più esterno, ossia 
l’epidermide (o epitelio stratificato squamoso) è composto primariamente da 
cheratinociti, che formano 4 strati distinti morfologicamente: germinativo, 
spinoso, granulare e corneo (figura 2). Ogni strato o compartimento 
rappresenta una fase differente del programma di differenziazione terminale 
 6
del cheratinocita. Questo programma comincia quando il cheratinocita basale 
diventa post-mitotico e inizia la sua migrazione verso lo strato spinoso e 
granulare fino ad avere una forma non vitale nello strato corneo. La 
differenziazione squamosa è un processo dinamico altamente coordinato di 
espressione genica che include l’induzione di alcuni geni delle cheratine e la 
repressione di altri (14). 
Questi virus per potersi replicare hanno sviluppato strategie per sovvertire 
il normale pathway della regolazione del ciclo cellulare e inoltre sono 
abbastanza abili nel disaccoppiare la proliferazione dalla differenziazione 
cellulare. 
A causa dell’associazione intricata tra l’arresto della divisione cellulare e 
l’inizio della differenziazione terminale, l’abilità a reiniziare o mantenere la 
replicazione cellulare mostrata dagli HPV implica una capacità basale di 
questi virus ad alterare il programma di differenziazione cellulare. Inoltre per 
le dimensioni ridotte del loro genoma, questi virus non possono codificare 
molti enzimi necessari per la replicazione del loro DNA e di conseguenza si 
appropriano delle strutture e dei componenti cellulari dell’ospite. Questo 
costituisce una sfida particolare per gli HPV, il cui ciclo vitale è intimamente 
connesso allo stato di differenziazione della cellula ospite.  
Il ciclo biologico virale e il programma di differenziazione del 
cheratinocita dell’ospite appaiono strettamente correlati: mentre il genoma di 
HPV si può replicare in varie linee cellulari non differenziate, la trascrizione 
delle proteine virale è specificatamente ristretta ai cheratinociti (15). 
Affinchè si stabilisca con successo un’infezione persistente, il virus 
attraverso piccole ferite o abrasioni superficiali della mucosa dell’ospite deve 
raggiungere le cellule dello strato epiteliale basale, caratterizzate da una 
spiccata attività proliferativa nell’area dell’epitelio transizionale della 
giunzione squamo-colonnare (figura 3). Più del 90% delle lesioni benigne e 
maligne sono state ritrovate proprio in questa zona di trasformazione della 
cervice (16).  
 7
L’HPV riconosce come ricettore di membrana l’integrina α−6  e attraverso 
questa penetra all’interno della cellula ospite (17) dove permane in fase 
latente o può subire replicazione attiva portando alla sintesi di virus infettivi 
(18). Il periodo di incubazione (ossia il periodo che intercorre dall’infezione 
alla manifestazione delle lesioni cliniche) varia da pochi mesi ad oltre 2 anni; 
tuttavia, molti individui possono rimanere per tutta la vita portatori sani del 
virus e non produrranno mai lesioni cliniche apparenti. 
La presenza del DNA di HPV nello strato basale sta ad indicare l’avvenuta 
infezione che però, in questo stadio, non è patologicamente manifesta ovvero 
non provoca lesioni clinicamente apprezzabili. 
La transizione dall’infezione latente alla fase vegetativa appare invece 
correlata al processo di differenziazione che le cellule epiteliali subiscono 
durante la migrazione verso gli strati cellulari più superficiali. E’ stato 
ipotizzato che la stessa attivazione di geni che codificano per le citocheratine 
e l’acquisizione delle caratteristiche fenotipiche di cheratinociti maturi, che 
costituiranno gli strati spinoso e granulare, favoriscono la replicazione e la 
trascrizione del genoma virale (14). 
Conseguente all’infezione, il genoma virale si replica come episoma nelle 
cellule basali in coincidenza con la replicazione cellulare, mantenendo il 
numero di 50 copie circa per cellula. Dopo la divisione cellulare, le cellule 
figlie lasciano lo strato basale e cominciano a differenziarsi. Non appena le 
cellule raggiungono lo strato soprabasale, è indotta l’entrata nella fase S, 
probabilmente attraverso l’azione della proteina virale E7, che porta 
all’amplificazione del genoma virale, all’espressione delle proteine virali e 
all’assemblaggio della progenie virale nello strato differenziato più esterno 
del tessuto infetto. L’espressione delle oncoproteine virali E6 ed E7, infine, si 
osserva solo nelle cellule epiteliali squamose pienamente differenziate (19) 
mentre, i loro trascritti sono presenti in tutti gli strati cellulari incluso quello 
basale. Il livello dell’mRNA di queste proteine è veramente basso nello strato 
 8
di cellule basali non differenziate ed aumenta fortemente nelle cellule 
differenziate. 
La delucidazione dei principi trasformanti di queste proteine virali offre 
importanti spunti per la comprensione delle strategie di replicazione degli 
HPV ad alto rischio e viceversa.  
Numerosi studi hanno confermato un ruolo delle oncoproteine E6 ed E7 
nella trasformazione, nell’immortalizzazione e nell’induzione dell’instabilità 
genomica dei cheratinociti maturi (20), benché non inducono direttamente il 
fenotipo tumorale. Tuttavia la proteina HPV16 E7 è risultata più abile rispetto 
a E6 nel disaccoppiare la differenziazione dalla proliferazione dei 
cheratinociti. Per la progressione maligna però sono richieste cambi 
genetici/epigenetici cellulari addizionali indotti da vari fattori di rischio 
ambientali. L’epitelio cervico-vaginale, così come quello orale, infatti è 
esposto a vari prodotti chimici e/o a microrganismi sul quale possono 
svolgere azione oncogena (21). Dal momento che l’infezione da HPV è 
ubiquitaria, fattori geografici, etnici ed individuali influiscono in modo 
differente sulla manifestazione del virus e sullo sviluppo del cancro ano-
cervicale (22). 
La progressione dell’infezione è quindi funzione del programma di 
differenziazione delle cellule epiteliali squamose. Anche, il lungo periodo di 
latenza (decadi) per lo sviluppo del cancro cervicale dopo l’infezione virale 
primaria e l’assenza di modificazioni tumore-specifiche degli oncogeni virali 
lasciano supporre l’azione di fattori addizionali per lo sviluppo del cancro 
cervicale. 
 9
HPV ad alto e basso rischio 
 
Le infezioni di HPV sono comuni e possono risultare abbastanza 
asintomatiche in varie lesioni benigne e maligne. Dati biologici ed 
epidemiologici hanno indotto a suddividere gli HPV in tre categorie: ad alto, 
intermedio e a basso rischio basandocisi sul fatto che le lesioni a cui sono 
associati hanno un rischio più o meno significativo per la trasformazione 
neoplastica. HPV16 e -18 sono rappresentativi del tipo ad alto rischio, che 
sicuramente portano allo sviluppo di cancro; HPV31, -33, -35, -51, -52 e -58 
sono associati con il rischio intermedio per lo sviluppo del cancro cervicale e 
delle  Lesioni  Squamose  Intraepiteliali ad Alto Grado (HSIL) mentre HPV1,  
-6 e -11 sono classificati come a basso rischio, che raramente progrediscono 
in cancro (23). Gli HPV a basso rischio sono stati trovati principalmente nelle 
lesioni iperplastiche benigne delle mucose epiteliali orali o ano-genitali note 
anche come condilomi acuminati o papillomi o verruche, e nelle Lesioni 
Squamose Intraepiteliali a Basso Grado (LSIL) che frequentemente 
regrediscono mentre, gli HPV ad alto rischio sono stati identificati in delle 
formazioni piatte e rappresentano una delle principali cause dell’insorgenza di 
tumori della cervice uterina, di altri cancri anogenitali, di alcuni cancri della 
pelle, della cavità orale e della cavità nasale (7). Inoltre è stato dimostrato che 
il tipo di HPV ad alto rischio presente nel carcinoma cervicale può influenzare 
il comportamento clinico della malattia (24). 
Gli HPV ad alto rischio sono stati trovati anche nelle cellule della cervice 
uterina istologicamente normale (25). In genere l’infezione da HPV ad alto 
rischio non porta all’immediato sviluppo di neoplasie invasive in quanto nella 
maggior parte dei casi il virus rimane latente per un periodo compreso tra i 5 e 
i 20-50 anni. Ciò suggerisce che l’infezione di HPV può essere un cofattore 
della cancerogenesi cervicale e che la mucosa cervicale può portare 
l’infezione latente di HPV (26). 
 10 
La causa del differente esito dell’infezione da parte degli HPV a basso 
rischio rispetto a quelli ad alto rischio è associata al comportamento del 
genoma virale subito dopo l’infezione. HPV può esistere in due stati fisici 
differenti: episoma o integrato nel cromosoma dell’ospite. La forma 
episomica del virus, associata con la fase di latenza (caratterizzata da 1-2 
copie del genoma virale per cellula) o con la fase vegetativa (caratterizzata 
invece da 100-300 copie), è stata osservata nelle lesioni a basso grado o nelle 
lesioni della neoplasia intraepiteliale premaligna (CIN). Il mantenimento del 
genoma in forma episomica è un componente critico del ciclo vitale di HPV e 
dell’infezione persistente. La forma integrata in singola copia o in strutture 
multicopie ripetute in tandem, invece è osservata nelle lesioni ad alto grado e 
nel carcinoma cervicale invasivo e comporta la fine del ciclo di crescita del 
virus. L’integrazione implica la distruzione del genoma dell’ospite e parte di 
quello virale con conseguenti alterazioni geniche: nel virus si ha la perdita 
della regione genica compresa tra i geni E1 ed E2 con successiva mancata 
trascrizione dei geni tardivi (codificanti per le proteine strutturali) e nella 
trascrizione incontrollata dei geni precoci E6 ed E7 (18, 27) (figura 4). 
Benché il virus si integra casualmente nel cromosoma dell’ospite, in alcuni 
casi è stato osservato in vicinanza di oncogeni conosciuti e/o in siti fragili del 
cromosoma. Inoltre è stato notato che l’espressione aumentata degli oncogeni 
virali nelle cellule infette dei tipi ad alto rischio con tropismo mucosale ha 
come risultato un’instabilità cromosomica e un accumulo di eventi 
mutazionali che favoriscono lo sviluppo della neoplasia maligna. Ulteriori 
evidenze del ruolo di HPV nella cancerogenesi deriva dalla sua capacità 
trasformante. In vitro cheratinociti umani immortalizzati da HPV possono 
diventare cellule tumorali se esposti alle Nitrosamine (agenti genotossici con 
azione alchilante il DNA) mentre i cheratinociti normali non subiscono 
trasformazione con una esposizione simile (28). Il diverso comportamento è 
dovuto sicuramente alla differente stabilità genetica delle cellule normali e 
trasformate determinata dalla perdita del controllo del ciclo cellulare e 
 11 
dall’azione inefficace di riparo del DNA cellulare. Le cellule immortalizzate 
da HPV infatti presentano: (i) impossibilità ad accumulare intracellularmente 
p53 non mutata in quantità tali da attivare la trascrizione del gene 
WAF1/CIP1 (codificante p21
WAF1/CIP1 
che inibisce sia l’attività delle proteine 
chinasi ciclina dipendente, enzimi necessari per la progressione del ciclo 
cellulare, sia la replicazione del DNA mediante l’interazione con la proteina 
PCNA) e del gene gadd45 (stimolatore del riparo per excisione in vitro del 
DNA inibendo così l’entrata della cellula nella fase S); (ii) riparo inefficiente 
del danno al DNA causato da agenti genotossici (29). L’impossibilità delle 
cellule immortalizzate da HPV ad accumulare p53 nel nucleo è dovuta alla 
bassa emivita di questa proteina a causa della presenza di HPV16 E6; la 
proteina  p53 infatti è inattivata dopo interazione con la proteina virale e 
degradata mediante un meccanismo ubiquitina-dipendente (30). 
 12 
HPV e cancro: importanza dell’espressione 
dell’oncoproteina E7 
 
Il cancro della cervice uterina rappresenta la seconda causa di morte per 
tumore nelle donne. In numerosi studi clinici, epidemiologici e molecolari 
alcuni tipi di HPV sono stati associato al cancro cervicale (7, 8). E’ stato 
notato che l’HPV è un fattore essenziale ma non sufficiente  per la 
trasformazione tumorale in quanto fattori addizionali sia genetici che 
microambientali, inclusi i cancerogeni chimici susseguenti all’infezione di 
HPV, sono necessari per l’inizio e la progressione della neoplasia (31). 
Questi includono vari aspetti del comportamento sessuale (inizio precoce 
dell'attività sessuale, frequentazione di partners multipli, promiscuità, 
multiparità in quanto la gravidanza è una condizione in cui il livello di 
estrogeni è elevato e inoltre si osserva immunosoppressione) e la 
predisposizione genetica, lo stato immunologico dell’ospite, lo stato 
nutrizionale, l’uso di tabacco e il livello socioeconomico (32, 33, 34).  
Come altre malattie a trasmissione sessuale, l’incidenza dell’infezione di 
HPV è alta tra le giovani donne con un'età < 25 anni. HPV genitali sono 
evidenziabili in ≈  10-40% di queste donne. La maggioranza di queste 
infezioni appaiono essere limitate e non associate con cambi citologici 
evidenziabili mediante Pap test. 
E’ stato inoltre riportato un’associazione tra il tipo di alcuni antigeni 
associati ai linfociti umani (HLA), in particolare gli antigeni HLA DQ3, la 
displasia e il cancro cervicale (35). Inoltre l’immunosoppressione favorisce 
lo sviluppo della neoplasia (36) così come le infiammazioni croniche e le 
infezioni con Chlamidia trachomatis e Herpes simplex virus-2 (37). 
Anche il fumo è stato associato al tumore maligno della cervice uterina 
poiché derivati della nicotina sono stati ritrovati nella mucosa cervicale di 
fumatrici (38). Ulteriori fattori di rischio sembrano essere l’esposizione a 
radiazioni e a sostanze chimiche cancerogene, le scarse condizioni igieniche 
 13 
nonché l’uso a lungo termine di contraccettivi orali (39, 40). La regione LCR 
del genoma di HPV16 infatti contiene elementi di risposta ai 
progesterone/glucocorticoidi (41). Questo è in accordo con la tessuto-
specificità dell’HPV16 poiché i tessuti cervicali contengono i recettori per il 
progesterone e per gli estrogeni. Gli estrogeni incrementano l’espressione 
delle proteine virali mentre HPV16 incrementa la conversione dell’estradiolo 
a 16 α -idrossiestrone, capacità mostrata  proprio dalle cellule della zona di 
trasformazione (42). Comunque per la relazione cancro cervicale-HPV16, 
sono in corso studi per definire i fattori in grado di influenzare l’esito 
dell’interazione virus-ospite. 
Altre conseguenze significative dell’integrazione di HPV sono 
l’inattivazione delle proteine oncosoppressori (p53, pRB e proteine ad essa 
correlate) da parte delle oncoproteine virali E6 ed E7 rispettivamente (43, 44), 
il blocco della trascrizione dei geni soppressori dei tumori, la stimolazione 
della trascrizione degli oncogeni cellulari in seguito ad integrazione a monte 
di sequenze di HPV attivanti la trascrizione (per es. i prodotti della famiglia 
del gene ras). E’ stato dimostrato inoltre che l’integrazione del DNA di HPV 
nel genoma dell’ospite può determinare alterazioni genetiche nelle bande 
cromosomiali 11q22 e 18q21 (45) con successiva deattivazione della 
trascrizione di uno o più geni soppressori dei tumori (per es. la proteina 
p21
CIP
). In cellule normali la p21 lega e deattiva la proteina PCNA 
(l’antigene nucleare della proliferazione cellulare) la quale permette il 
legame dell’unità catalitica della DNA polimerasi al DNA stampo 
favorendone la replicazione. Il legame della p21 alla PCNA inibisce proprio 
questa interazione, bloccando di conseguenza la replicazione del DNA. Se 
p21 non è presente, a causa dell’integrazione di HPV nel genoma cellulare, è 
persa l’attività di inibizione sulla PCNA che determina un aumento di 
replicazione del DNA e della divisione cellulare (45). 
Alternativamente, l’integrazione di HPV nel DNA cellulare può stimolare 
la trascrizione di alcuni protoncogeni, come risulta dall’inserzione a monte di 
 14 
sequenze attivanti la trascrizione derivate da HPV (44). Recenti studi hanno 
suggerito che proprio la quantità di PCNA risulta aumentata per attivazione 
della sua trascrizione (47).  
Tutti questi possibili meccanismi su menzionati sono in accordo con il 
modello a multistep della cancerogenesi (48) (figura 5). 
Comunque sembra accertato che nella relazione HPV e cancro, le 
oncoproteine E6 ed E7 hanno un ruolo fondamentale (49, 50). L’oncoproteina 
E7 è a questo proposito di particolare interesse. 
 
L’HPV16 E7 è una piccola fosfoproteina acida multifunzionale di 98 
amminoacidi e peso molecolare di 21 kDa, con nessuna attività enzimatica 
nota (51). La sua precisa localizzazione cellulare rimane ancora da essere 
definita. Diversi studi suggeriscono che E7 possa essere localizzata nel nucleo 
e precisamente nel nucleolo (52), dove esercita la sua principale attività 
biologica, e/o nel citoplasma (53). 
Le interazioni E7-proteine cellulari sono necessarie per la trasformazione 
mediata da E7; nel nucleo interagisce con le proteine RB1, p107 e p130 e 
l’interazione risulta altamente specifica, mentre nel citoplasma interagisce con 
la forma dimerica dell’isoenzima tipo M2 della piruvato kinasi (M2-Pk), 
stabilizzandola (54). E7 interagisce con la M2-Pk modificandone la struttura 
quaternaria e alterando l’equilibrio tra la forma tetramerica e la forma 
dimerica in favore di quest’ultima. In questo modo viene inibita l’attività 
enzimatica della M2-Pk, contribuendo alla trasformazione tumorale. Si 
osserva infatti un aumento della glicolisi e della conversione di glucosio in 
lattato. Questo implica che l’espressione di E7 incanala gli atomi di carbonio 
del glucosio nei processi biosintetici e nello stesso tempo si riduce la richiesta 
cellulare di O
2
: due importanti proprietà delle cellule tumorali (55, 56). 
E7 interagisce anche con la proteina p27
KIP1
, inibitore della ciclina E/cdk2 
e con la p21
CIP1
 annullando l’inibizione di queste proteine sul complesso 
 15 
della ciclina E/cdk2 e della ciclina A/cdk2 e promuovendone invece l’attività 
(57, 58). 
L’oncoproteina E7 di HPV16 sulla base dell’omologia di sequenza con le 
oncoproteine di altri virus tumorali a DNA, la proteina E1A di adenovirus e 
l’antigene T grande di SV40, presenta due regioni conservate 1 e 2 (CR1 e 
CR2), che sono localizzate nella regione N-terminale; la regione conservata 
CR3, che invece si trova nella porzione C-terminale, non mostra nessuna 
omologia con E1A o l’antigene T grande, ma è altamente conservata nelle 
varie proteine E7 di differenti sierotipi di HPV. Queste regioni corrispondono 
rispettivamente agli amminoacidi 1-15, 16-37 e 38-98.  
La regione CR2 contiene un sottodominio noto come LXCXE (a.a. 22-26) 
che è coinvolto nel legame con la proteina p105RB1, con le proteine ad essa 
correlate p107 e p130 e con le cicline A ed E compromettendone la funzione. 
 
 
 
Dopo il legame, E7 degrada pRB attraverso il proteoma 26S mediante un 
meccanismo ubiquitina-dipendente (59). CR2 contiene anche un sito specifico 
di fosforilazione della casein kinasi II (CKII) comprendente le serine 31 e 32 
ed esistono prove che questo sito possa essere coinvolto nella trasformazione 
cellulare. In molti casi, infatti è stato notato che le interazioni di E7 con varie 
proteine cellulari risulta significativamente aumentata dopo fosforilazione da 
parte della CKII. Inoltre, sostituzioni aminoacidiche di due residui serina con 
alanina inibiscono il potenziale trasformante di E7 (60, 61). 
La regione CR3 di E7 contiene anche due motivi Cys –X –X -Cys (CXXC) 
coinvolti nella formazione di legami con lo zinco (62, 63), entrambi fattori 
importanti in quanto intervengono nella dimerizzazione della proteina E7 in 
vitro e in vivo (64, 65, 66).