2
 Per tenere conto di queste forme conglomerali è quindi richiesto un 
cambiamento della funzione di vigilanza, in pratica la definizione di una nuova 
filosofia o approccio di vigilanza, che estenda i controlli di adeguatezza patrimoniale 
a tutte le società appartenenti al conglomerato e all’organizzazione nel suo 
complesso. Lo sviluppo di questi operatori e le difficoltà a distinguere e ripartire le 
attività delle imprese nei diversi settori del mercato finanziario hanno accresciuto il 
bisogno di sforzi cooperativi per aumentare l’efficacia delle politiche di vigilanza. 
 Prima di affrontare direttamente il tema dei conglomerati finanziari, ho deciso 
di svolgere una breve analisi a proposito della regolamentazione degli intermediari 
finanziari e delle recenti modificazioni intervenute anche nell’organizzazione delle 
funzioni di supervisione. 
In questo modo, il presente lavoro è stato diviso in due parti. La prima segue 
un’impostazione teorica, in quanto sintetizza alcune implicazioni che derivano 
dall’attività svolta dagli intermediari finanziari e dall’imposizione su di essi di 
opportune forme di regolamentazione. In particolare ho concentrato la mia attenzione 
su tre obiettivi. Anzitutto il primo punto di analisi ha riguardato le giustificazioni 
poste all’imposizione di forme di regolamentazione sugli intermediari finanziari, in 
funzione della attività da questi svolta e delle rispettive caratteristiche operative. 
Come è stato approfondito nel Capitolo 1 alcuni sistemi finanziari nel passato (ad 
esempio la Scozia nel XVII e XVIII secolo) hanno applicato forme di free banking e 
quindi una regolamentazione sugli operatori e i mercati finanziari molto meno 
stringente di quella attuale (anche se non mancante in assoluto). Oggi, tuttavia, per 
diversi motivi un sistema di questo tipo non sarebbe più accettabile. Perciò occorre 
riconoscere ed accettare l’opportunità dell’imposizione di forme di regolamentazione 
sugli operatori finanziari, anche se con politiche e misure differenziate in funzione 
delle rispettive attività. Questo è il secondo obiettivo dell’analisi, cioè comprendere 
se per tutti gli intermediari finanziari possono essere adottate le medesime forme di 
supervisione. A questo proposito nel Capitolo 1 ho confrontato le caratteristiche delle 
banche, da un lato, e degli intermediari finanziari non bancari dall’altro, 
evidenziando che esistono ancora alcuni elementi di distinzione per gli intermediari 
creditizi. 
 3 
Il terzo obiettivo e i Capitoli 2 e 3 spostano invece l’analisi più propriamente 
sull’organizzazione della funzione di vigilanza. In considerazione di alcune 
inefficienze e carenze che hanno caratterizzato i sistemi di vigilanza nel passato, la 
questione fondamentale si è concentrata sulla ripartizione delle funzioni di vigilanza 
tra le Autorità. In particolare il Capitolo 2 presenta tre possibili soluzioni, ognuna 
caratterizzata da vantaggi e elementi di debolezza. Nessuno dei tre modelli, tuttavia, 
può essere considerato assolutamente superiore agli altri, né, a priori, adatto ad ogni 
sistema finanziario. La soluzione proposta congiuntamente da Goodhart e Taylor, il 
modello del mega regulator, mi pare comunque la più adatta per conseguire gli 
obiettivi di efficienza ed efficacia nella regolamentazione del sistema finanziario. 
Infatti l’unificazione delle competenze presso una sola Autorità consente agli 
operatori regolati e al pubblico di comprendere chiaramente quale sia l’istituzione 
responsabile per ogni questione collegata ai business finanziari. Inoltre si evitano 
duplicazioni, sovrapposizioni e ridondanze che potrebbero derivare da una ambigua 
ripartizione delle funzioni tra una pluralità di Autorità. 
Sebbene il modello del mega regulator presenti alcuni chiari vantaggi, esso 
non è ancora applicato diffusamente. Il Regno Unito è stato uno dei più importanti 
sistemi finanziari ad aver realizzato una riforma di questo tipo. All’analisi delle 
trasformazioni intervenute in Gran Bretagna con l’introduzione della Financial 
Services Authority (FSA) è stato dedicato il Capitolo 3, sia per confrontare il nuovo 
sistema con quello precedentemente in vigore, sia per comprendere quali saranno le 
linee prioritarie di intervento della FSA. 
La seconda parte è, come già accennato, dedicata all’analisi dei conglomerati 
finanziari. A questo proposito la mia scelta (Capitolo 4) è stata orientata anzitutto 
alla presentazione di alcune definizioni (di diversa provenienza) e degli elementi 
caratteristici costitutivi di un conglomerato finanziario, prima di sintetizzare i 
principali rischi collegati alle attività svolte da un’organizzazione conglomerale. 
Infine il Capitolo 5 espone i più significativi principi e linee-guida che servono (e 
serviranno in futuro) per la definizione di un’adeguata struttura di supervisione sui 
conglomerati finanziari. In particolare l’adeguatezza del capitale (capital adequacy) 
è uno dei temi più complessi e al centro delle discussioni svolte dalle Autorità di 
 4
cooperazione internazionale
2
. Anche l’impostazione del Capitolo 5 è 
prevalentemente teorica, in quanto non è presente uno studio di uno o più 
conglomerati finanziari che, di fatto, sono già una realtà in alcuni Paesi. I principi 
analizzati sono serviti, infatti, per definire le linee di fondo della regolamentazione, 
nell’attesa che requisiti tecnici vengano definiti e soprattutto applicati a livello 
internazionale, per garantire una sostanziale omogeneità e comparabilità negli 
interventi di supervisione. 
E’ quindi auspicabile che i principi e le proposte formulati abbiano in futuro 
un maggior grado di applicabilità pratica: solo in tal modo la regolamentazione degli 
intermediari finanziari (e in particolare dei conglomerati finanziari) risulterà più 
efficace. 
                                                          
2
 In particolar modo le pubblicazioni del Comitato di Basilea e dell’International Organisation of 
Securities Commission (IOSCO) costituiscono le maggiori fonti bibliografiche di riferimento a 
proposito della supervisione sui conglomerati finanziari. 
 5 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PARTE PRIMA: 
 
 
SPECIALIZZAZIONE DEGLI 
 
INTERMEDIARI FINANZIARI 
 
E DEGLI ORGANI DI VIGILANZA 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 7 
CAPITOLO 1 
LA REGOLAMENTAZIONE DEGLI 
INTERMEDIARI FINANZIARI 
 
 
1.1 Premessa 
L’obiettivo di questo primo capitolo è analizzare alcuni aspetti teorici legati 
alla presenza degli intermediari finanziari e le implicazioni che questi presentano in 
termini di vigilanza. Occorre subito sottolineare che la letteratura ha dedicato 
all’argomento numerosi contributi: tuttavia in questa sede è possibile presentarne 
solo una sintesi. 
In effetti la problematica relativa alle motivazioni per la regolamentazione 
degli intermediari finanziari nonché alla loro presenza e alle funzioni esercitate è 
stata affrontata nella letteratura a partire dagli Anni ’60. L’opportunità di prevedere 
controlli e interventi di regolamentazione in ambito bancario e finanziario è stata una 
questione profondamente discussa, alla quale sono state proposte soluzioni 
alternative. 
A questo proposito, il capitolo presenta una valutazione che pondera elementi 
a favore e aspetti contrari alla regolamentazione sugli intermediari finanziari. 
 
 
1.2 La presenza di diversi tipi di intermediari 
Come sappiamo la teoria economica fornisce diverse giustificazioni alla 
presenza degli intermediari finanziari; la loro presenza è andata costantemente 
rafforzandosi con lo sviluppo dei mercati, per rispondere a situazioni di maggiore 
complessità e far fronte ad esigenze più complesse e diversificate manifestate da 
creditori e debitori. Possiamo perciò affermare che questo, almeno in parte, spiega 
l’ampia gamma di intermediari presenti sui mercati, e quindi perché ci sia bisogno di 
 8
operatori così differenti. In effetti gli intermediari si inseriscono nelle contrattazioni 
tra datori e prenditori di fondi, permettendo un avvicinamento delle rispettive 
preferenze. Si è inoltre sottolineato come l’operatività su larga scala consenta ad essi 
di massimizzare i benefici della diversificazione
1
, valutare con le migliori 
informazioni possibili la qualità e l’opportunità di un affare, e quindi ottenere profitti 
dall’attività di trasformazione delle scadenze e di concessione di servizi alla 
clientela. Potrebbe essere quindi interessante chiedersi perché un intermediario non 
offra tutti i possibili servizi che soddisferebbero i bisogni finanziari della clientela. 
La risposta, almeno in prima approssimazione, è una conseguenza della crescente 
complessità dei mercati dei capitali (almeno nei Paesi più avanzati da un punto di 
vista finanziario); proprio perché la gamma dei servizi richiesti (cioè, espresso in 
un’altra forma, dei bisogni degli operatori e del pubblico) è molto ampia, solo un 
intermediario specializzato può massimizzare i benefici della sua attività (in termini 
di diversificazione e contenimento dei rischi, screening e monitoring). Esiste poi una 
seconda giustificazione che si collega più direttamente ai rischi dell’intermediazione 
finanziaria. Nei suoi diversi segmenti, infatti, occorre valutare molteplici rischi di 
differente natura e per questa attività di analisi sono richieste conoscenze 
specialistiche ed un’elevata professionalità
2
. 
Tuttavia, come è noto, non sono mancate esperienze di fusione tra 
intermediari che operano in segmenti differenti: in passato ha prevalso la costituzione 
di filiali specializzate per sfruttare alcuni servizi comuni centralizzati; più recenti 
sono le esperienze di vera e propria fusione ad esempio tra banche e compagnie 
assicurative. Alcune di queste hanno condotto ad accordi di cooperazione a proposito 
delle politiche distributive e degli aspetti di marketing
3
; altre forme di aggregazione 
hanno portato alla creazione dei conglomerati finanziari: a queste organizzazioni sarà 
dedicata la seconda parte di questo lavoro. 
E’ innegabile che si sono osservati processi di trasformazione tra gli 
intermediari finanziari, tali che i confini tradizionali tra questi (spaziali e funzionali) 
                                                          
1
 Come sappiamo, tuttavia, questa non può mai essere totale, cioè non può portare all’annullamento 
dei rischi, perché esiste sempre una componente non diversificabile, nota come “rischio sistematico”. 
2
 Goodhart C., ”Moneta, informazione e incertezza”, Il Mulino, Bologna, 1994, pag. 167. 
3
 Manghetti G., “La vigilanza sul settore assicurativo e la sua evoluzione alla luce dei cambiamenti dei 
mercati finanziari”, dattiloscritto, 1998, pagg. 9-10. 
 9 
non sono più rispettati, al fine di consentire una gestione complessiva delle diverse 
forme di risparmio. 
 
 
1.3 La specificità delle banche 
1.3.1 Un’osservazione generale 
Nel paragrafo precedente siamo partiti dalla considerazione che esistono 
intermediari finanziari differenti, più o meno specializzati nella gamma di servizi da 
offrire alla clientela. 
A questo punto occorre valutare queste differenze, in particolare tra le banche 
e gli intermediari non bancari. Quest’analisi dovrebbe servire soprattutto a 
comprendere come i diversi rischi affrontati (in particolare la questione della 
stabilità) debbano essere presi in conto dall’attività di regolamentazione. Le banche 
sono probabilmente gli intermediari che riescono ad acquisire le maggiori 
informazioni (dettagliate e anche riservate) sulla clientela. Esse acquistano così un 
elevato potere di mercato, spesso sottoposto ad opportune limitazioni per impedire la 
costituzione di posizioni monopolistiche o l’utilizzo delle informazioni anche contro 
gli interessi della clientela. Sotto un altro aspetto, le banche detengono attività e 
passività con caratteristiche differenti, in particolare per quello che riguarda le 
scadenze. Prevale l’assunzione di passività a vista o a breve termine, mentre da un 
punto di vista dell’attivo l’orizzonte di riferimento è il medio/lungo termine. Questo 
sfasamento (mismatch) delle scadenze è una delle più tradizionali motivazioni ai 
rischi di illiquidità in capo alle banche. La situazione può essere rinforzata da voci 
(spesso non fondate su basi razionali) sulle difficoltà della banca, determinando delle 
condizioni di instabilità e fenomeni di corse agli sportelli (runs), che possono 
realisticamente condurre al fallimento. Inoltre le banche sono gli intermediari più 
impegnati nel sistema dei pagamenti, e la chiusura o il fallimento di un’istituzione 
indeboliscono la fiducia dei risparmiatori verso l’intero sistema, nonché possono 
pregiudicarne il funzionamento. La portata delle conseguenze negative a partire dai 
runs bancari può essere perciò molto ampia, e sicuramente più importante di quanto 
può accadere in seguito a fallimenti di compagnie di assicurazione, fondi comuni di 
 10
investimento o società di intermediazione finanziaria
4
. A proposito delle banche, la 
letteratura di riferimento ha anche sottolineato l’esistenza di costi sociali che possono 
derivare da un loro fallimento, indicando appunto la possibile gravità di situazioni 
derivanti dai runs bancari
5
. Questi costi possono condurre a crisi finanziarie 
generalizzate, soprattutto perché i clienti della banca fallita sono costretti a vendere 
altre attività. 
 
1.3.2 I caratteri distintivi suggeriti dalla letteratura 
Possiamo esaminare in dettaglio quali siano i fattori che differenziano le 
banche dagli altri intermediari finanziari, ricordando che ciò ha soprattutto 
implicazioni per quello che riguarda gli interventi delle Autorità di 
regolamentazione, per raggiungere gli obiettivi prefissati in termini di stabilità del 
sistema, funzionamento del sistema dei pagamenti, garanzia della parità 
concorrenziale e tutela degli investitori. 
 Ogni intermediario finanziario può teoricamente creare proprie passività: ciò 
vale per le banche con i depositi bancari, per le compagnie assicurative con le polizze 
emesse, per un fondo d’investimento immobiliare che crea titoli immobiliari. Questa 
affermazione, posta così, non può essere un elemento distintivo delle banche, ma lo 
diventa se consideriamo che diversi sono i limiti posti a tale creazione da parte delle 
Autorità. Poiché le passività bancarie hanno la caratteristica di moneta legale, le 
Autorità dovranno impedire che i privati sostituiscano interamente ai titoli pubblici i 
depositi bancari, e perciò intervengono con un aggiustamento di tassi
6
. 
Esistono differenti motivazioni legate alla supervisione sulle banche, che 
spiegano anche le differenze in rapporto agli intermediari finanziari non bancari
7
. 
Anzitutto le banche hanno un ruolo cardine nel sistema finanziario ed in particolare 
per il funzionamento del sistema dei pagamenti. Questo ruolo si concretizza con la 
possibilità di offrire depositi a vista e l’esecuzione degli ordini di pagamento. A 
questo proposito si può parlare di specialità delle banche rispetto agli altri 
                                                          
4
 Per questi non si parla di rischio di corse agli sportelli, ma di una mancanza di fiducia da parte dei 
risparmiatori verso il sistema o comunque di indebolimento di posizioni di mercato. 
5
 Goodhart C., “Moneta, informazione, incertezza”, Il Mulino, Bologna, 1994, pag. 169. 
6
 Goodhart C., “Moneta, informazione, incertezza”, Il Mulino, Bologna, 1994, pagg. 170-172. 
7
 Goodhart C. e altri, “Financial Regulation – Why, how and were now?”, Routledge, Londra, 1998, 
pagg. 10-11. 
 11
intermediari finanziari, per la capacità del settore di creare, accettare (e, grazie alla 
sua reputazione, far accettare) e trasferire tali passività
8
. 
La seconda considerazione riguarda i potenziali rischi sistemici che derivano 
dai runs bancari, come già visto in precedenza. Una situazione (anche solo presunta) 
di difficoltà finanziaria di una banca indebolisce l’intero sistema e soprattutto la 
fiducia dei depositanti. 
La terza e collegata giustificazione riguarda la natura dei contratti bancari, 
che può rendere più difficile il mantenimento di posizioni di equilibrio economico e 
finanziario. In effetti prevalgono contratti di deposito liquidi, in cui il valore di 
rimborso è indipendente dalla redditività conseguita dalla banca sui suoi assets; 
inoltre, come già sottolineato, i prestiti sono difficilmente negoziabili sul mercato 
secondario, in quanto incorporano informazioni specifiche e riservate. 
Infine, il quarto punto riguarda le situazioni di adverse selection e moral 
hazard associate con la funzione di creditore di ultima istanza o altre disposizioni che 
possano funzionare come rete di sicurezza (safety net) all’interno del comparto 
bancario. In effetti la previsione di un’istituzione che limiti le conseguenze negative 
dei fallimenti bancari e gli effetti a catena derivanti da essi è tipica di questo settore. 
Questi ultimi possono essere molto importanti date le profonde interconnessioni tra 
le banche e la complessità delle relazioni di credito. Occorre però anche specificare 
che l’istituzione che svolge la funzione di creditore di ultima istanza non può evitare 
il verificarsi di ogni tipo di shock in capo al sistema finanziario, ma almeno le 
ripercussioni secondarie. Questa istituzione non potrà intervenire in salvataggio di un 
particolare intermediario, né la sua presenza dovrà favorire l’assunzione di rischi 
speculativi (confidando che il creditore di ultima istanza possa sempre intervenire 
con un ampio grado di copertura). In sostanza essa dovrà operare in modo tale che il 
pubblico mantenga fiducia verso il sistema
9
. 
                                                          
8
 Sanchez Asiaìn J., “Il sistema bancario spagnolo nel contesto dell’Unione Monetaria Europea”, in 
“Economia & Banca”, Banca di Trento e Bolzano, n° 1/1993, pag. 24. 
9
 Bellone G., “La Banca Centrale Europea”, in “Economia & Banca”, Banca di Trento e Bolzano, 
n°4/1993, pag. 597. 
 12
1.4 Le caratteristiche degli intermediari finanziari non 
bancari 
Se passiamo ad analizzare il comparto degli intermediari finanziari non 
bancari, possiamo notare che le principali caratteristiche operative e quindi le 
rispettive implicazioni per la regolamentazione sono diverse
10
. 
1) Anzitutto sia il rischio sistemico sia i problemi di contagio sono di importanza 
ridotta. Ciò non significa che il fallimento di una compagnia assicurativa o di un 
fondo comune di investimento non abbia alcuna conseguenza sui mercati, ma 
talvolta i costi possono essere limitati a quei sottoscrittori che sono stati poco 
prudenti. Si presume, tuttavia, una certa capacità degli investitori nel selezionare 
la controparte. 
2) Gli intermediari finanziari non bancari non partecipano al sistema dei pagamenti 
(o comunque ciò avviene in misura ridotta rispetto alle banche) e quindi non si 
pongono problemi a tal proposito. Inoltre, poiché non opera un creditore di 
ultima istanza, non esistono rischi di moral hazard. 
3) Un’ulteriore differenza si riferisce alla composizione del portafoglio in termini di 
attività e passività; le prime sono più facilmente liquidabili, dotate di un proprio 
mercato secondario e perciò negoziabili. Inoltre le società di intermediazione 
hanno una composizione più dinamica dei propri assets, con un tasso di rotazione 
significativo, attraverso operazioni di mercato, nuove sottoscrizioni e la normale 
attività di trading. D’altra parte, però, non bisogna pensare che il portafoglio 
delle banche sia immutabile; in effetti, in tempi più recenti, anche le banche, 
diventate maggiormente dipendenti dai mercati dei capitali, hanno modificato 
almeno in parte la gestione dei propri portafogli. 
4) Un’altra importante considerazione riguarda i diversi rischi assunti: per le banche 
si tratta essenzialmente di far fronte al rischio di credito e al rischio legato a 
forme di runs o corse allo sportello che possono danneggiare o comunque 
indebolire l’intero sistema, mentre le società d’intermediazione e gli altri 
intermediari finanziari devono fronteggiare prevalentemente rischi di mercato. 
                                                          
10
 Goodhart C. e altri, “Financial Regulation – Why, how and were now?”, Routledge, Londra, 1998, 
pagg. 11-12. 
 13
5) Un’ultima differenza riguarda i metodi di valutazione utilizzati in sede di 
contabilizzazione degli elementi del bilancio: una società d’intermediazione è 
valutata in un’ottica di liquidazione, mentre per le banche si adotta una 
prospettiva di going concern
11
. Tuttavia, poiché manca un vero mercato 
secondario per i prestiti bancari, il loro valore di mercato è più difficile da 
determinare, con una conseguente maggiore imprecisione nella valutazione. 
In generale, tenendo conto dell’analisi qui esposta, il fallimento di un 
intermediario finanziario non bancario non sembra presentare il rischio di una crisi 
così vasta tale da danneggiare la stabilità dell’intero sistema. La situazione però 
diventa più complessa qualora si debbano studiare rapporti di gruppo tra differenti 
intermediari: in questo caso l’esposizione o il fallimento di un’istituzione può minare 
la solvibilità e la stabilità dell’intero complesso finanziario, sebbene l’incidenza 
possa essere limitata da un punto di vista legislativo dalla definizione di adeguate 
barriere di “indipendenza giuridica”
12
. Ciò significa che la regolamentazione sulle 
società d’intermediazione finanziaria, fondi comuni d’investimento e compagnie 
assicurative può essere, sotto certi aspetti, meno stringente rispetto a quella sulle 
banche (ad esempio, in tema di adeguatezza del capitale). Tuttavia essa è comunque 
necessaria almeno per far fronte alle questioni di protezione dei consumatori, 
presenza di asimmetrie informative e costi di agenzia, che sono più rilevanti. 
 In questo senso non si discute dell’opportunità dei controlli sul sistema 
finanziario, che sono sicuramente accettati, ma piuttosto della definizione di un 
adeguato assetto organizzativo e operativo della regolamentazione, nel rispetto di 
condizioni di equità competitiva tra gli intermediari e in funzione dei loro 
comportamenti
13
. 
 
 
                                                          
11
 Questo concetto deriva essenzialmente dalla ragioneria e si utilizza per indicare una valutazione 
dell’impresa assumendo l’ipotesi di continuazione dell’attività in prospettiva futura. 
12
 Goodhart C. e altri, “Financial Regulation – Why, how and were now?”, Routledge, Londra, 1998, 
pag. 13. 
13
 Carretta A. (a cura di), “Gli intermediari finanziari non bancari”, EGEA, Milano, 1995, pagg. 151-
152. Si riconosce, quindi, implicitamente, che i comportamenti degli intermediari possono essere 
anche notevolmente difformi, in funzione delle specifiche caratteristiche aziendali. 
 14
1.5 Free banking e regolamentazione 
Un dibattito che è andato di pari passo con lo sviluppo dei mercati e dei 
sistemi finanziari ha riguardato la contrapposizione tra la necessità di imporre forme 
di controllo e regolamentazione su di essi e, al contrario, l’opportunità di permettere 
ai mercati un libero funzionamento, nella convinzione che questi possano 
raggiungere autonomamente posizioni di efficienza ed equilibrio. 
La monetary view aveva sottolineato che la presenza di una forma, seppur 
minima, di regolamentazione conduceva a situazioni sub-ottimali. Tale teoria era 
convinta della stabilità assoluta del sistema economico generale
14
; in questa scuola si 
trova, tra gli altri, Bagehot, il quale ha anche sostenuto che la banca centrale era stata 
realizzata con l’unico scopo di permettere un incremento delle entrate pubbliche
15
. 
 Coloro che sostengono che la regolamentazione sia superflua
16
, pur non 
riferendosi solamente ai mercati finanziari, ritengono che il problema principale sia 
la discrepanza tra i veri obiettivi delle Autorità di regolamentazione e quelli da 
queste dichiarati. La conseguenza immediata è il manifestarsi di situazioni di 
inefficienza e mancato raggiungimento degli obiettivi. Si sono quindi sviluppate 
esperienze di free banking, che hanno caratterizzato soprattutto situazioni ed epoche 
di minore sviluppo dei mercati. Anzitutto non bisogna confondere il free banking con 
una totale assenza di regolamentazione e di assoluta libertà di movimento degli 
operatori sui mercati, ma piuttosto esso si identifica con una situazione (e in parte 
anche con un periodo storico) in cui l’incidenza dei poteri delle Autorità era molto 
più contenuta. 
 
1.5.1 Le esperienze di free banking 
Prima di analizzare se un sistema finanziario sufficientemente sviluppato 
possa attualmente fare affidamento sul free banking, occorre ricordare che la Scozia 
del XVII e XVIII secolo, gli USA e la Svezia nel XIX secolo sono stati gli esempi 
più significativi a tal proposito. In particolare il modello scozzese è quello più adatto 
                                                          
14
 Per un approfondimento sulla monetary view e la sua contrapposizione con la credit view 
(sviluppatasi a partire dagli Anni ’80), è possibile consultare Tarantola Ronchi A.M. – Parente F. – 
Rossi P., “La vigilanza sulle banche e sui gruppi bancari”, Il Mulino, Bologna, 1996, pagg. 9-10. 
15
 Goodhart C., “Moneta, informazione, incertezza”, Il Mulino, Bologna, 1994, pagg. 227-228. 
16
 Si tratta di una posizione diffusa soprattutto negli USA, con i contributi di Stigler e Peltzman. 
 15
per comprendere le caratteristiche essenziali del free banking, dove questo si è 
meglio realizzato, con le minori interferenze possibili da parte delle Autorità di 
regolamentazione (nonostante la vicina Bank of England abbia esercitato un ruolo di 
primo piano nello sviluppo dell’economia e della finanza di quel periodo)
 17
. 
 Il sistema scozzese, fondamentalmente, ha operato in maniera efficiente, con 
alcune caratteristiche distintive che potrebbero anche essere trasportate sui mercati 
attuali. Anzitutto la Scozia del XVII e XVIII secolo ha conosciuto importanti 
cambiamenti legislativi ed innovazioni finanziarie, sebbene in una situazione di 
minima sofisticazione dei mercati e delle esigenze del pubblico. L’era del free 
banking si è affermata tra il 1716 e il 1844/45, con libertà di accesso al mercato e 
all’emissione privata di banconote. C’erano tre istituti di emissione, che godevano 
della limitazione delle responsabilità e avevano imposto una forte concorrenza per 
dimostrare la propria solidità e affidabilità. Questa molteplicità negli istituti di 
emissione è stata uno dei punti più forti del free banking, che però non si ritrova in 
epoca attuale, caratterizzata da un unico istituto (centrale) di emissione. 
Un primario obiettivo che doveva essere conseguito dal sistema finanziario 
era il raggiungimento di una situazione di affidabilità e responsabilità a tutela della 
clientela che domanda servizi finanziari, in particolare in termini di capacità di far 
fronte ai pagamenti ed evitare runs contagiosi. A tal proposito le banche scozzesi 
crearono un nuovo tipo di contratto, la cosiddetta option clause, che permetteva la 
riscossione di una somma di denaro su domanda oppure al termine di un periodo di 
differimento di sei mesi. Tale contratto riuscì a dare una maggiore stabilità al sistema 
bancario e finanziario, perché riduceva la probabilità di situazioni di illiquidità. Il 
pubblico manifestò un elevato grado di fiducia verso il funzionamento dell’intero 
sistema, e ciò ha consentito a questo di raggiungere condizioni di stabilità e capacità 
di fronteggiare anche le situazioni di shock. 
 Un altro tratto del sistema scozzese ha riguardato la realizzazione di 
numerose succursali che hanno permesso, tramite una profonda diversificazione 
geografica e nelle attività, tanto alle banche più grandi quanto a quelle più piccole 
                                                          
17
 I caratteri del sistema di free banking scozzese sono tratti essenzialmente da Caprio D. Jr. – Vittas 
D. (a cura di), “Reforming Financial Systems – historical implications for policy”, Cambridge Univ. 
Press, 1998, pagg. 41-64. In tale opera gli Autori si interrogano sulla possibilità di realizzare oggi, in 
alcuni Paesi e mercati emergenti da un punto di vista finanziario, un sistema di free banking. 
 16
(seppur a un livello più contenuto), di realizzare un sistema stabile e di sostituire 
l’assicurazione sui depositi. 
In conclusione, possiamo dire che sono essenzialmente tre gli insegnamenti 
da ricavare dal sistema scozzese
18
. Anzitutto le banche si sono impegnate a realizzare 
un efficiente sistema di stanze di compensazione e di coefficienti legati al capitale e 
alle condizioni di liquidità. Tale meccanismo riuscì a funzionare in modo efficiente e 
a consentire forme di prudente gestione. 
Il secondo punto riguarda le alternative al sistema di assicurazione sui 
depositi e alla funzione di creditore di ultima istanza svolta dalla Banca Centrale, con 
lo sviluppo dei contratti di option clause. Infine il terzo insegnamento riguarda il 
ruolo della concorrenza nell’assicurare la promozione di innovazioni e la diffusione 
di informazioni. L’epoca del free banking era stata caratterizzata anche da una 
sostanziale libertà d’accesso ai mercati (free entry) proprio per consentire il 
raggiungimento di questi obiettivi. 
 
1.5.2 Una valutazione sulla realizzabilità attuale del free 
banking 
A partire dalle considerazioni precedenti e, in particolare, dagli elementi 
distintivi delle esperienze di free banking del XVII-XIX secolo, è possibile effettuare 
una valutazione sulla realizzabilità attuale del free banking. La questione 
fondamentale è, perciò, se l’assenza (anche se non totale) di regolamentazione possa 
funzionare anche nei sistemi moderni, caratterizzati da un grado di sviluppo 
notevolmente maggiore di quello raggiunto, ad esempio, dalla Scozia nel XVII e 
XVIII secolo. 
Se tentiamo un confronto con la situazione attuale, occorre rilevare anzitutto 
le maggiori conseguenze che possono derivare da situazioni di crisi, di illiquidità o 
profonda insolvenza. Sebbene la dimensione dell’economia scozzese nel XVII e 
XVIII secolo non fosse solo domestica, è chiaro che la gravità di shock esterni o 
endogeni sarebbe maggiore oggi, anche per un’economia emergente.
                                                          
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 Caprio D. Jr. – Vittas D. (a cura di), “Reforming Financial Systems – historical implications for 
policy”, Cambridge Univ. Press, 1998, pagg. 55-56.