“NOTE DI CARTA”
sulla comunicazione della musica colta in Italia
d’improvvisazione un criterio ancora più selettivo che tenga conto della loro pro-
pensione a una trasmissione per via orale più che testuale. In fondo il disco, la
registrazione è solo un immagine catturata in quel preciso momento e la crea-
zione jazzistica, come anche di blues, swing, ecc., è per il musicista un divenire
continuo rispetto al quale la registrazione costituisce soltanto un momento.
R. Murray Schafer (1977) si preoccupa addirittura di indagare la correttezza del-
la definizione di musica, e lo fa partendo dal presupposto che è nella ricerca del
potere la chiave per capire i processi di attribuzione dell’aggettivazione musicale
ai fenomeni sonori: «È così che la Chiesa ha tentato di spingere la musica pro-
fana verso l’estinzione, rifiutando di autorizzarne la scrittura per dieci secoli. È
così che le dissonanze di ogni genere sono state accusate di essere strumenti il-
legittimi di espressione musicale e congedate col nome di fastidiosi rumori. È
così che la cultura bianca ha respinto il jazz, giudicandolo un’attività perversa
prodotta dalla razza sbagliata nei luoghi più spregevoli (le taverne). È così che la
musica locale di qualsiasi paese è presentata come anteriore e inferiore al si-
stema diatonico sanzionato dalla scienza europea. Il capitalismo definisce la mu-
sica in termini di redditività economica, rifiutandosi di riconoscere ogni forma
che non produca denaro». Teniamo poi ben presente che molte lingue non
comprendono nemmeno la parola musica (non ce l’hanno ad esempio moltissi-
me tribù africane, né gli eschimesi Inuit, né la maggior parte dei dialetti indiani
del Nordamerica. Gran parte della produzione sonora in queste culture sarebbe
meglio descritta da espressioni simili a “magia dei suoni”). Ricordiamo che in
Giappone il vocabolo che indica la musica è ongaku, che significa semplicemente
“la gioia dei suoni”, comprendendo così sia il mondo naturale che quello
dell’invenzione umana. E che anche la lingua greca, cui possiamo far risalire le
radici etimologiche della maggior parte dei lemmi usati dalle lingue occidentali,
usava la parola mousikê per definire un’ampia gamma di attività spirituali e in-
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Tesi di Laurea di Davide Toschi, matr. 670500576
iscritto alla Facoltà di Lettere, Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Siena
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tellettuali, prima che questa assumesse il significato ristretto che abbiamo eredi-
tato.
Nella condivisione di molto di quanto detto da Schafer, resta però la necessità di
ritornare all’ambito più ristretto del nostro campo di indagine: come e quando si
può individuare la musica colta all’interno della complessità dell’intero panorama
musicale?
Riflettiamo ancora un attimo sull’evidenza dell’affermazione di Leydi. La musica
colta corrisponde a quella scritta e quindi, per dirla con Georg
Knepler
2
, potrebbe avere origine con la composizione. Sei se-
coli e mezzo fa Johannes de Grocheo scriveva che «la musica
si può suddividere in tre parti. Una parte è rappresentata dal-
la musica semplice, autoctona, popolare (simplex, civis, vulga-
ris). Una seconda parte dalla musica composta, regolare o isti-
tuzionalizzata, musica misurata o secondo misura. La terza è
una summa delle due prime e compone la musica ecclesiasti-
ca»
3
.
Georg Knepler (Vienna
1906 – Berlino 2003)
è uno dei massimi mu-
sicologi del nostro
tempo.
Le due prime suddivisioni indicate da de Grocheo confermano, comunque non
certo smentiscono, Roberto Leydi. La terza sembra essere una semplice attribu-
zione di valore universale alla musica sacra. Ma è proprio in questa terza divisio-
ne che uno dei massimi musicologi di oggi, Georg Knepler, pone le basi per lo
sviluppo di un’originale e interessantissima querelle dai numerosi e inaspettati
aspetti sociologici, psicologici e musicali. Proseguendo nell’ipotesi che sia la
composizione a segnare un punto di partenza per la musica colta, Knepler per-
corre a ritroso un cammino cronologico, su cui si sostengono le ipotesi più con-
vincenti per individuare, con sufficiente esattezza, un’origine temporale e una
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2
Knepler, G., (1977,1982) pagg. 40-54.
3
Qui ho utilizzato la frase così come riportata da Stockmann, D. (1982), in una traduzione dal tedesco un po’ approssimati-
va ma confermata dal senso ribadito anche da Knepler nel libro citato sopra.
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coerenza logica capaci di sostenere il processo che portò dalle diverse forme
dell’improvvisazione fino alla composizione. Ecco definirsi meglio, attraverso un
complicato excursus illustrato da grafici e da esempi squisitamente musicali
4
, le
interrelazioni tra la musica dei contadini e degli strati plebei – tendenzial-
mente trasmessa attraverso la tradizione orale e l’esecuzione ripetuta e rigida-
mente autarchica, perché nell’impossibilità di cogliere stimoli esterni alla comu-
nità dove si forma -, la musica delle corti – caratterizzata da una forte ricetti-
vità nei confronti dell’esterno: consideriamo che anche dalla musica ecclesiastica
si potevano assimilare numerose influenze contadine provenienti dai chierici, che
da quella classe sociale provenivano - e la musica liturgica – fortemente con-
notata dai fatti che doveva descrivere: diverse certo le musiche per le ricorrenze
festose da quelle di un oratorio funebre. Da questi presupposti ecco farsi strada,
con determinatezza e convinzione, l’esistenza di un elemento da considerare
centrale e che si riferisce non a questioni cronologiche o evoluzionistiche ma a
componenti di natura socio-economiche identificabili attraverso la griglia inter-
pretativa della divisione in classi propria del materialismo dialettico: ecco gli «at-
ti di appropriazione intersociale da cui, diventati inevitabili, ci si può attendere
la nascita della composizione»
5
. Ecco uno dei momenti più significativi
dell’analisi del musicologo dell’est tedesco (cresciuto e formatosi nella Berlino
della Repubblica democratica) Georg Knepler, che aggiunge così ai tre criteri del
concetto di composizione: concezione ideale, trascrizione, esecuzioni ripetibili,
un quarto e decisivo criterio riconducibile alla formula dell’appropriazione inter-
sociale. Per quanto riguarda la questione della datazione, Knepler indica nel pe-
riodo dell’urbanizzazione europea quello cui corrisponde, in senso compiuto
e completamente sviluppato, il fenomeno dell’inizio della composizione mu-
- 4 -
4
Si vedano, nel volume citato, Knepler, G., (1977,1982) le pagg. 28-32.
5
«Con il termine di appropriazione intrasociale intendiamo dunque processi spirituali per cui i membri delle classi (ceti,
gruppi) sociali vengono a conoscenza di prodotti del pensiero e dell’attività artistica che sono stati o che vengono creati in
altri gruppi sociali, e se ne fanno influenzare». Ibidem.
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sicale vera e propria, pur senza dimenticare di ribadire che: «non è possibile at-
tribuire a cause puramente musicali il fatto che la composizione sia sorta e si sia
sviluppata proprio in questo lasso di tempo (tra l’XI e il XIII secolo, nda). Se tut-
tavia si considera la composizione come un evento parziale di un grande proces-
so storico, la si vede – come diceva Isaiah Berlin – come un filo nella trama di
una “fitta storia”»
6
, avvalorando ulteriormente la tesi che legare la storia della
musica all’intera Storia del genere umano sia, attraverso una ridefinizione della
metodologia storica di comprensione della musica, un processo da cui non si
può prescindere per avvicinarsi nel miglior modo possibile alla comprensione del
problema.
Incapaci comunque, a questo punto, di adottare in maniera convinta e, suppon-
go, convincente, una definizione per la musica colta, ci accontenteremo di qui
in avanti di riferirci ad essa considerando l’insieme di tutta la musica classi-
ca (dalla medievale alla contemporanea) e operistica (dal Jeu de Robin et Ma-
rion
7
fino agli ultimi lavori dei compositori viventi) prodotta finora.
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6
Ibidem, pag. 48
7
Composizione di Adam de la Halle del 1283 per la corte di Carlo d’Angiò a Napoli. «Precoce e isolato esempio di opera
comica», secondo la definizione contenuta in De Angelis, M., (2002)
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