4 
nazista e i diversi ambiti della società del tempo, che passarono completamente sotto 
il controllo del regime. 
 
Ho selezionato alcuni poster riguardanti il partito nazionalsocialista e li ho divisi in 
due gruppi:  
- il primo gruppo riguardante i manifesti risalenti ad una data precedente a 
quella delle elezioni del 1933 e quindi all’anno della presa del potere di Hitler; 
- il secondo gruppo contiene manifesti riguardanti gli anni in cui Hitler e il suo 
partito erano al potere. 
 
La scelta di dividere i manifesti in due gruppi nasce dalla volontà di identificare le 
differenze che intercorrono tra il gruppo dei manifesti precedenti alle elezioni del 
1933 e quelli prodotti invece successivamente alla presa del potere. 
Ho scelto i poster, a mio avviso più significativi, cercando di delineare il contesto nel 
quale furono prodotti, le persone ai quali erano indirizzati, la macrotematica che 
volevano affrontare con lo scopo di estrapolarne il significato più profondo e i codici 
semiotici che lo veicolavano.  
Per l’analisi dei manifesti ho utilizzato le chiavi di lettura esplicitate negli scritti di 
Hitler, il quale teorizzò numerose tecniche propagandistiche e si attenne 
minuziosamente ad esse. Goebbels, nominato Ministro della Propaganda del Terzo 
Reich, si attenne alle tecniche hitleriane ed iniziò un eccellente lavoro 
propagandistico. 
Per la comprensione delle immagini presenti nei manifesti mi sono avvalsa degli 
studi di Gunther Kress e Theo Leeuwen, i quali forniscono delle possibili chiavi di 
lettura delle immagini, offrendo gli strumenti adatti per dare un significato alla 
struttura dei manifesti.2 
Lo scopo finale è quello di capire quali fattoti determinarono il successo della 
propaganda nazista. E’ vero che la situazione in cui Hitler e il partito 
nazionalsocialista si trovarono ad agire, era una situazione di estrema crisi, ma è vero 
anche che la macchina propagandistica nazista fece un lavoro eccellente.  
                                                 
2
 G.Kress, Theo van Leeuwen, Reading Images. The Grammar of Visual Design. London, Routledge, 
1996, capitolo 6. 
 
 5 
PARTE PRIMA: INTRODUZIONE STORICA 
 
1.1. STORIA DELLA GERMANIA DAL 1918 AL 1945 
 
Per comprendere la Germania nazista è necessario fare un passo indietro, 
ripercorrendo la storia della Germania dagli inizi del Novecento. 
Nel corso del primo decennio del 900 gli equilibri internazionali furono sempre più 
precari a causa delle crescenti rivalità che contrapposero la Germania alla Francia e 
alla Gran Bretagna.  
La regione dei Balcani era uno dei più pericolosi focolai di tensione e l’uccisione 
dell’erede al trono d’Austria, avvenuta a Sarajevo il 28 giugno 1914 per mano dei 
nazionalisti serbi, fece esplodere due schieramenti: Germania e Austria da una parte, 
Gran Bretagna, Francia e Russia dall’altra. La classe dirigente era intenzionata ad 
entrare in guerra per rafforzare il proprio potere e per acquisire un ruolo di primaria 
importanza in Europa. Il conflitto, secondo i generali tedeschi, avrebbe dovuto essere 
una guerra lampo, ma iniziò una guerra di trincea basata sul logoramento e sulla 
forza economica dei belligeranti. Dopo i primi successi tedeschi, rapidi ed esaltanti, 
nel 1917 la situazione bellica era sempre più compromessa. A questo si aggiungeva 
una crescente carenza di generi alimentari, la stanchezza dei soldati al fronte e della 
popolazione civile: tutti elementi che contribuirono ad aumentare le tensioni di 
classe. I generali tedeschi speravano ancora di poter giungere ad una pace con un 
compromesso ma il crescente peso statunitense, il declino dell’Austria e il crollo del 
fronte interno obbligarono la Germania ad una resa incondizionata.  
Il malcontento era alle stelle e, quando la protesta si diffuse in tutto il paese, il Kaiser 
fu costretto a fuggire in Olanda.  
Dopo l’abdicazione del Kaiser, il cancelliere von Baden convinse Friedrich Ebert, 
capo del partito socialdemocratico tedesco (SPD), a formare un governo.  
La SPD non aveva nessun progetto politico di lungo periodo e si trovò impreparata di 
fronte agli eventi. La repubblica proclamata a Berlino il 9 novembre 1918 fu un gesto 
al quale essa fu spinta dalla folla. Questa rottura istituzionale segnò il punto d’arrivo 
del lungo processo di dissoluzione dell’impero tedesco, a cui la grande guerra aveva 
inflitto un colpo decisivo.  
 6 
La SPD cercò di limitare le tendenze più radicali, maggiormente diffuse a Berlino e 
in Baviera, ricorrendo all’appoggio dello stato maggiore monarchico e reazionario e 
ai “corpi franchi” formati da nazionalisti, i quali poterono agire liberamente contro la 
sinistra rivoluzionaria.  
In gennaio, un tentativo insurrezionale del Partito comunista fu soffocato con una 
sanguinosa repressione. La socialdemocrazia fu incapace di cogliere le istanze 
rivoluzionarie dell’ala radicale del movimento operaio tedesco, il quale era animato 
dall’ottobre russo e dal biennio rosso diffuso in tutta Europa.  
Le prime elezioni a suffragio universale per l’Assemblea costituente (gennaio 1919) 
premiarono la coalizione repubblicana (socialdemocratici, democratici e cattolici), 
segnando una netta sconfitta dei conservatori e dell’estrema sinistra. 
Le dure clausole imposte con il trattato di pace dalle potenze dell’Intesa resero ancor 
più difficile il compito degli stessi partiti tedeschi, che si riconobbero nella cosiddetta 
“coalizione Weimar”.  
Nel giugno del 1920, in occasione delle prime elezioni, vi fu una netta inversione di 
tendenza: la coalizione scese dal 76% al 43,6% e crebbero i partiti più radicali sia di 
destra che di sinistra. Ebbe così inizio un lungo periodo in cui il paese fu retto da 
governi minoritari e costretti di volta in volta a contare sul sostegno o dei 
socialdemocratici o dei conservatori.  
La conferenza di pace si aprì a Parigi nel maggio del 1919. I rappresentanti delle 
potenze vincitrici credevano che la Germania fosse la sola responsabile della Prima 
Guerra mondiale e volevano neutralizzarla indebolendola sul piano economico, 
politico e militare. Il trattato di Versailles, con cui i vincitori imposero al Reich 
sconfitto le proprie condizioni, fu firmato il 28 giugno 1919 e si trattò di una vera e 
propria imposizione subita sotto la minaccia dell’occupazione militare e del blocco 
economico.3  
Il Diktat, come allora fu definito da un termine tedesco, dal punto di vista territoriale 
prevedeva: la restituzione dell’Alsazia-Lorena alla Francia e il passaggio alla Polonia 
dell’alta Slesia, Posnania e una striscia di Pomerania inoltre la Germania perdeva 
tutte le colonie, che venivano divise tra le potenze vincitrici.  
                                                 
3
 A. Minerbi, F. Fiorani, Storia illustrata del nazismo, Firenze, Giunti, 2006, pp. 10-12. 
 7 
Ma la parte più pesante del Diktat era costituita dalle clausole economiche e militari: 
la Germania doveva ripagare ai vincitori i danni subiti a causa del conflitto, sotto 
forma di riparazioni.  
L’entità delle riparazioni avrebbe dovuto essere tale da impedire la ripresa 
economica tedesca.  
Per finire era costretta ad abolire il servizio di leva, a rinunciare alla marina da guerra 
e a ridurre il proprio esercito lasciando “smilitarizzata” la zona del Reno, che 
rimaneva sotto il controllo militare delle potenze vincitrici. Erano condizioni 
umilianti che ferivano profondamente gli interessi della Germania e il suo orgoglio 
nazionale.4  
Il nuovo governo democratico era considerato responsabile della situazione, causa di 
tutti i mali determinati dalla sconfitta.  
L’effetto inevitabile fu una nazione umiliata, che aveva affidato la propria identità, 
prima e durante la guerra, alla forza militare e si diffuse la leggenda di una 
“pugnalata alle spalle”, sferrata dagli stessi nuovi governi accusati di una politica 
rinunciataria e di non aver saputo difendere l’onore della Germania in seguito alla 
guerra.5  
Nel gennaio del 1923, la Francia e il Belgio, usando come pretesto il fatto che la 
Germania non aveva corrisposto alcune riparazioni, inviarono truppe nel bacino della 
Ruhr, la zona più ricca e industrializzata della Germania. Il governo tedesco, 
impossibilitato ad intervenire militarmente, invitò la popolazione tedesca alla 
resistenza passiva: imprenditori e operai lasciarono le fabbriche rifiutandosi di 
collaborare con gli occupanti. L’occupazione della Ruhr rappresentò il definitivo 
collasso delle finanze tedesche: il marco precipitò notevolmente e il suo potere 
d’acquisto fu praticamente annullato. 
 
                                                 
4
 G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia contemporanea. Il Novecento, Roma-Bari, Laterza, 2002, p. 28. 
5
 A. Minerbi, F. Fiorani, Storia illustrata del nazismo, Firenze, Giunti, 2006, p. 13. 
 8 
 
 
 
Nel momento più drammatico della crisi, la classe dirigente trovò però la forza di 
reagire: nell’agosto del 1923 si formò un governo di “grande coalizione” 
comprendente tutti i gruppi “costituzionali” e presieduta da Gustav Stresemann, 
leader del Partito tedesco-popolare. 
Stresemann era convinto che, per risollevare le sorti del paese, fosse necessario 
riallacciare i rapporti con le potenze vincitrici: in settembre il governo ordinò la fine 
della resistenza passiva nella Ruhr e riallacciò i rapporti con la Francia.  
A Monaco, nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1923, alcune migliaia di aderenti al 
partito nazionalsocialista ed altre formazioni paramilitari cercarono di organizzare 
un’insurrezione contro il governo centrale. Ma il complotto, capeggiato da Hitler, fu 
rapidamente represso e Hitler fu condannato a cinque anni di carcere.  
La Germania iniziò la sua vera stabilizzazione economica grazie ad un accordo con i 
vincitori sulle riparazioni. L’accordo fu trovato, all’inizio del 1924, grazie al piano 
Dawes, secondo il quale lo stato tedesco avrebbe iniziato a pagare le riparazioni, 
quando la sua macchina produttiva avrebbe ricominciato a funzionare, grazie al 
supporto degli Stati Uniti. 
La crisi della Ruhr e la grande inflazione del 1923 avevano però lasciato segni 
profondi nella società tedesca e aggravato i mali cronici di cui soffriva la repubblica 
di Weimar: la conseguenza fu la rottura della grande coalizione guidata da 
Stresemann.  
 
Fig. 1.1. IPERINFLAZIONE. Biglietto di banca da 100 miliardi di marchi  
(FONTE: A. Minerbi, F. Fiorani, Storia illustrata del nazismo, Firenze, Giunti,2006, p. 18) 
 9 
 
 
 
 
Le elezioni del 1924 videro un calo dei partiti democratici e una parallela avanzata 
delle due ali estreme (comunisti e tedesco-nazionali) che avevano impostato la loro 
campagna sul rifiuto del piano Dawes. 
Un anno dopo (marzo 1925) nelle elezioni presidenziali, convocate per eleggere il 
successore di Ebert, vinse il maresciallo Hindenburg, già capo dell’esercito e simbolo 
vivente del passato imperiale. Negli anni successivi si andarono stabilizzando la 
situazione economica e politica. I partiti di centro e di centro-destra mantennero il 
potere fino al 1928, quando i socialdemocratici ottennero una buona affermazione 
elettorale e ripresero la guida del governo.  
Stresemann conservò la carica di ministro degli Esteri fino alla sua morte (1929), 
assicurando una continuità nella collaborazione con le potenze vincitrici.6 
Gli anni che vanno dalla fine del periodo dell’iperinflazione (1923) alla grande crisi 
(1929) furono anni caratterizzati da una relativa stabilità politica, furono anni di 
ripresa economica, di ritorno della grande Germania sulla scena politica 
internazionale. In questo periodo però emersero le contraddizioni e i limiti sui quali 
era fondata l’esperienza della repubblica di Weimar e che sarebbero esplosi nel 
decennio successivo.7  
                                                 
6
 G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia contemporanea, Il Novecento, Roma-Bari, Edizioni Laterza, 2002,  
pp. 63-65. 
7
 A. Minerbi, F. Fiorani, Storia illustrata del nazismo, Firenze, Giunti, 2006, p. 19. 
Fig. 1.2. INFLAZIONE IN GERMANIA DAL 1920 AL 1930 
A. Minerbi, F. Fiorani, Storia illustrata del nazismo, Firenze, Giunti, 2006, p. 19 
 10 
Fino al 1929 il Partito nazionalsocialista, o nazista, rimase un gruppo minoritario e 
marginale, che si collocava al di fuori della legalità repubblicana: faceva un uso 
sistematico della violenza contro gli avversari politici e si basava su una robusta 
organizzazione armata, le SA (sigla di Sturm-Abteilung, cioè reparti d’assalto) 
comandate dal capitano dell’esercito Ernest Röhm. Dopo il fallimento del colpo di 
stato a Monaco, Hitler cercò di dare un volto più “rispettabile” al partito. Un 
programma estremista e guerrafondaio, come quello delineato da Hitler nel Mein 
Kampf, trovò scarsi consensi nella Germania dell’età di Stresemann. La situazione 
cambiò notevolmente con lo scoppio della grande crisi (1929): la maggioranza dei 
tedeschi impoveriti dalla situazione di emergenza, perse la fiducia che aveva riposto 
nella Repubblica e nei partiti che ne facevano parte.  
I sostenitori della destra, quali l’esercito, gli agrari, la grande industria e l’alta 
burocrazia, si sentirono definitivamente sciolti da ogni vincolo di lealtà verso le 
istituzioni repubblicane e si proposero come appoggio per le forze eversive quali i 
nazisti. Ai cittadini, provati dalla crisi, Hitler offriva la prospettiva di riconquista di 
un primato da parte della nazione tedesca, indicava loro una serie di capri espiatori 
cui addossare la responsabilità della situazione di crisi e dava loro l’immagine 
tangibile di una forza politica in grado di riportare l’ordine in Germania. L’adesione 
al nazismo permetteva inoltre di entrare a far parte di una cerchia di “eletti”, che 
offriva ai suoi membri, protezione e sicurezza materiale in cambio di una dedizione 
assoluta. A sinistra, ampi settori della classe operaia si staccarono dalla 
socialdemocrazia per avvicinarsi ai comunisti, che attaccavano la classe dirigente 
democratica. In questa situazione i nazisti poterono uscire dal loro isolamento e far 
leva sulla paura della grande borghesia, sulla frustrazione dei ceti medi e sulla rabbia 
dei disoccupati. 
L’agonia della Repubblica di Weimar cominciò nel settembre del 1930, quando il 
cancelliere Brüning, convocò nuove elezioni sperando di far uscire dalle urne una 
maggioranza favorevole alla sua politica di austerità. Accadde invece che i nazisti 
ebbero uno spettacolare incremento (dal 2,5 al 18,3% dei voti) a spese della destra 
tradizionale. I comunisti guadagnarono posizioni ai danni dei socialdemocratici, che 
rimasero comunque il partito più forte.  
 11 
Il ministero Brüning rimase in carica ancora due anni grazie all’appoggio della Spd e 
del presidente Hindenburg, che si valse dei poteri straordinari previsti dalla 
costituzione nei casi di emergenza. Ma in quei due anni le istituzioni parlamentari si 
indebolirono ulteriormente, mentre la situazione economica andò continuamente 
precipitando.  
Nel 1932 la crisi raggiunse il suo apice. La produzione industriale calò del 50% 
rispetto al ’28 e i disoccupati raggiunsero i 6 milioni. 
 
 
 
Intanto i nazisti aumentarono notevolmente i propri sostenitori e riempivano le 
piazze con comizi e cortei. In questa situazione di crisi, crescevano inevitabilmente 
le forze eversive rendendo impossibile la formazione di una qualsiasi maggioranza 
“costituzionale”.  
Si cominciò, nel marzo 1932, con le elezioni per la presidenza della Repubblica che 
videro la rielezione dell’ottantacinquenne maresciallo Hindenburg, il quale, una volta 
confermato nella carica, congedò il cancelliere Brüning e cercò una via d’uscita dalla 
crisi prendendo atto dello spostamento dell’asse politico a destra.  
Dopo due governi con due uomini della destra conservatrice entrambi falliti, i gruppi 
conservatori, l’esercito e lo stesso Hindenburg si convinsero del fatto che senza 
l’appoggio dei nazisti non era possibile governare. Il 30 gennaio 1933, Hitler fu 
convocato dal presidente della Repubblica e accettò di capeggiare un governo in cui i 
Fig. 1.3 I disoccupati in Germania (1928-1936) 
(Fonte: A. Minerbi, F. Fiorani, Storia illustrata del nazismo, Firenze, Giunti, 2006, p. 27) 
 12 
nazisti avevano solo tre ministeri su undici e in cui erano rappresentate tutte le più 
importanti componenti della destra.  
Gli esponenti conservatori, credettero di avere Hitler sotto controllo e di poter 
utilizzare il nazismo per stabilizzare la situazione nel paese. Hitler ebbe l’occasione, 
per una prima stretta repressiva in seguito ad un episodio drammatico quanto oscuro: 
l’incendio appiccato al Reichstag, il Parlamento nazionale, nella notte del 27 febbraio 
1933. L’incendio avvenne per mano di un comunista olandese, condannato a morte, e 
fu ampliamente sfruttato dal nuovo governo e da Hitler, che fece firmare a 
Hindenburg un “decreto per la protezione del popolo e dello stato”. Questo decreto 
segnò la fine di alcuni  principi fondamentali quali la libertà di opinione, di stampa e 
di associazione, sospendeva il segreto epistolare, l’inviolabilità del domicilio e 
rafforzava le pene per specifici capi di accusa, ripristinando in alcuni casi anche la 
pena di morte. Come misura preventiva, venne legalizzato l’arresto effettuato per 
motivi di sicurezza, usato come mezzo per allontanare i nemici politici e i comunisti. 
Le elezioni del 5 marzo 1933 si svolsero in un clima di violenza terroristica: i nazisti 
mancarono l’obiettivo della maggioranza assoluta ottenendo però il 44% dei voti. 
Hitler mirava ormai all’abolizione del Parlamento e il Reichstag appena eletto, lo 
assecondò approvando una legge suicida, che conferiva al governo pieni poteri, 
compreso quello di legiferare e quello di modificare la costituzione.8 
Il 23 marzo si riunì il nuovo parlamento da cui erano esclusi solo i comunisti, fu 
votata una legge che attribuiva pieni poteri a Hitler, con l’opposizione dei soli 
socialdemocratici.  
I rappresentanti di tutti gli altri partiti votarono a favore, convinti che fosse 
necessario avere un esecutivo forte per riportare l’ordine nel paese. Da questo 
momento sparisce ogni residuo di collegialità politica.  
Nel giugno 1933, la Spd, accusata di alto tradimento,  fu sciolta e su pressione dei 
nazisti a fine mese si autosciolsero anche il Partito tedesco nazionale e il Centro 
cattolico.  
In luglio Hitler poteva varare una legge in cui si proclamava che il Partito 
nazionalsocialista era l’unico consentito in Germania. Infine, in novembre, una 
                                                 
8
 G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia contemporanea. Il Novecento, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 110-
114.