4
Nelle tre appendici che seguono alla breve conclusione e alla bibliografia, sono riportati i 
due questionari utilizzati, alcune statistiche descrittive delle variabili rilevate nonché maggiori 
particolari sulle analisi dei dati presentate nel terzo capitolo. 
In questa sede si desidera inoltre particolarmente ringraziare i 14 studenti che, insieme 
all’Autore della presente tesi, hanno dato vita al progetto di ricerca “Leipziger Abfallstudie” 
(LAS), i cui risultati, teorici ed empirici, sono alla base della presente tesi.  
 
 
 
 5
1. ASPETTI TEORICI GENERALI 
 
 
1. Il concetto di azione 
 
 
Il presente paragrafo intende chiarire il concetto di azione, quale è posto alla base della 
nostra ricerca
2
. Un’azione è un sottoinsieme della classe dei comportamenti umani
3
. E’ azione, 
attenendoci alle osservazioni di Franz von Kutschera
4
, un comportamento umano che può 
essere tralasciato: “Diciamo che qualcuno è libero di fare qualcosa se egli la fa, ma può anche 
tralasciarla; se il suo comportamento non viene determinato né da costrizione esterna né da 
impulsi interni che si sottraggono al suo controllo”
5
 Nel caso di azioni l’agente si trova quindi 
sempre davanti almeno due possibilità: compiere F
6
 o tralasciarla
7
, quindi si trova in una 
situazione di decisione.  
                                          
2
 Il fatto che studiamo così specificatamente una azione non significa che consideriamo l’azione sociale l’unico 
fondamento della società o che ci interessiamo solo ad essa. Vogliamo solamente definire con chiarezza maggiore 
possibile l’oggetto dei nostri sforzi esplicativi allo stesso livello in cui sono stati raccolti i dati. 
3
 Definiamo con il massimo grado di genericità, non essendo utile ai nostri fini, comportamento umano la 
trasformazione di una situazione in un’altra per tramite di un individuo, senza ulteriori specificazioni. 
4
 Cfr. F. v. Kutschera, 1981 e 1982. Le citazioni tratte da F. v. Kutschera, 1973, 1981, 1993 sono tradotte in italiano 
dall’Autore della presente tesi; da questo momento mancheremo dal ricordarlo esplicitamente. F. v. Kutschera discute 
anche altri criteri, di uso comune, quali intenzionalità e coscienza, che tuttavia non riescono a separare i due insiemi di 
atti con la stessa chiarezza. “La consapevolezza, e di conseguenza l’intenzionalità, non è un criterio necessario delle 
azioni. Una grande parte dei verbi con i quali descriviamo le azioni sono verbi causativi. Del risultato di una azione 
l’agente non è però sempre consapevole. Così io posso offendere qualcuno con una osservazione senza saperlo. Se si 
affermasse che l’azione consiste solo nel fare l’osservazione e non nell’offesa, si intenderebbe la parola “azione” in un 
senso molto più circoscritto del linguaggio usuale. L’intenzionalità, e di conseguenza la consapevolezza, non è 
nemmeno criterio sufficiente, perché un movimento non controllabile può rientrare nelle mie intenzioni senza che si 
possa parlare di azione. Se per esempio non mi riesce di aprire la porta di un treno e mentre il treno percorre una curva 
vengo scaraventato contro la porta e in questo modo la apro, ciò rientra nelle mie intenzioni, ma non è una azione.” F. v. 
Kutschera 1991, p. 299. 
5
 F. v. Kutschera, 1991, p. 298. Un concetto di libertà di azione simile viene utilizzato da J. Coleman, 1995, p. 88-90 
ispirato nell’occasione a Georg Simmel. Coleman definisce azioni libere tutte quelle che sono condotte in assenza di 
costrizione fisica o psichica (ipnosi) immediata. Se firmo un contratto sotto minaccia di una pistola, compio ancora un 
atto libero perché avrei potuto scegliere altrimenti, pur addossandomi rilevanti costi personali; mentre se qualcuno 
muove la mia mano facendomi apportare una firma ad un contratto, questo non è più libero atto. Pur trattandosi della 
stessa definizione Coleman amplia l’insieme delle azioni assumendo che in tutte le situazioni, esclusi gli estremi della 
pura coercizione, vi sia almeno un grado minimo di scelta libera. Una accezione così stretta di costrizione esterna o 
interna ben si inserisce in una teoria razionale dell’azione, o in senso più generale, dello scambio, in cui forte è la 
tendenza a quantificare ogni bene, persino la vita stessa, per cui anche l’atto meno libero viene interpretato come la 
scelta libera tra alternative con diverso valore. In linea di principio ciò appare operazione del tutto lecita, tanto che nella 
riflessione etica che non rinuncia ad una posizione teleologica, si sente l’esigenza di una gerarchizzazione dei beni, 
introducendo relazioni di incommensurabilità, per evitare conclusioni etiche assurde ed antiumane. Cfr. A. Corradini, 
1989. 
6
 Più precisamente F è una modalità di azione e l’azione è il compimento, da parte di un soggetto determinato in un 
momento preciso della modalità di azione F.  
7
 Non è sufficiente che esistano altre possibili azioni, se di esse non può disporre l’agente. E’ sempre possibile non fare 
un incidente in auto ma non sempre questa alternativa è a disposizione dell’agente. 
 6
La questione principale che questa definizione solleva è quella se esistano azioni in tal 
senso, ovvero se l’agente abbia libertà di azione.
8
 Questo problema può essere affrontato in 
due modi diversi, tra loro compatibili: in via ipotetica, non potendosi teoricamente decidere 
della validità del principio di causalità,
9
 si può affermare che questi comportamenti umani, detti 
azioni, esistono. Oppure lo si può risolvere introducendo la libertà dell’io quale evidenza del 
senso comune, di cui Antonio Livi scrive: “Anche l’io, pertanto, causa
10
; essendo per natura più 
dotato di altri esseri inferiori (gli esseri non personali: i viventi non-razionali e i non-viventi), 
egli causa di più e meglio. Subisce, come ogni altro essere, la causalità dell’universo; ma, allo 
stesso tempo, si sottrae a un‘esistenza meramente passiva ed è capace di attività non-riflessa, 
non-meccanica, non-obbligata, non-necessaria. Questa è l’esperienza della libertà: non è 
un’esperienza secondaria o dubbia, bensì un’esperienza primaria ed indubitabile. L’io si 
esperisce come causa di livello superiore, come causa che non è a sua volta del tutto causata, 
ma ha qualcosa di creativo.”
11
 E di seguito, a sottolineare la portata esistenziale e morale di 
questa esperienza: “L’io non avrebbe senso se non fosse inteso come soggetto autonomo, sia 
pure in grado minimo, di azione libera e di personale responsabilità. Gli altri, il “tu” cui l’io si 
rivolge in ogni momento, sono parimenti visti come soggetti liberi e responsabili: questo 
spiega la dialettica di tutti i rapporti umani, dall’amicizia all’ostilità, dalla gratitudine al 
risentimento, che costituiscono la fenomenologia della morale”
12
 Vi è quindi, o per ipotesi o 
come evidenza, una libertà di azione del soggetto agente,
13
 ed essa è necessaria all’esistenza 
stessa dell’agente in quanto tale.  
Serve però precisare ulteriormente il concetto di libertà. “Con il termine libertà ci si può 
riferire anche alla possibilità di decidersi a favore di fini e preferenze. Questa libertà viene 
definita libertà del volere”
14
 Mentre da un lato sembra necessario assumere, oltre a libertà di 
azione anche libertà di volere, riducendosi la prima altrimenti a scelta obbligata, senza alcuna 
partecipazione delle nostre capacità razionali nel valutare le informazioni presenti e passate a 
nostra disposizione, né della nostra volontà nel far propri determinati fini, dall’altro tuttavia 
“l’assunzione di libertà di volere appare insostenibile: ogni decisione sensata richiede che noi 
disponiamo di preferenze, in base alle quali noi scegliamo la migliore alternativa per noi. Senza 
queste preferenze ogni alternativa sarebbe per noi indifferente e la decisione per una di queste 
                                          
8
 A questa segue il problema del qualificare una azione come libera o meno, che dipende da fattori esterni: nel caso 
specifico della separazione dei rifiuti domestici assumiamo che l’azione sia libera. 
9
 Tale principio può essere formulato come segue “Il mondo è un sistema causalmente determinato”. Cfr. F. v. 
Kutschera 1981, cap. 6.4. 
10
 Il termine “causare” sia qui inteso ampiamente ed in riferimento al linguaggio naturale escludendo cioè la stretta 
interpretazione che di esso danno le scienze fisico-naturali, come in seguito chiariremo. 
11
 A. Livi, 1990, p. 49. 
12
 A. Livi, 1990, p. 50. Come vedremo nei prossimi paragrafi proprio in questo riconoscimento dell’altro l’azione 
diventa sociale.  
13
 La prima conseguenza di ciò, come vedremo nel paragrafo dedicato alla spiegazione dell’azione e come emerge con 
evidenza dalle citazioni di A. Livi, è che tali azioni non possono essere spiegate causalmente (in senso stretto). Per 
questa ragione abbiamo ritenuto necessario sottolineare questa caratteristica dell’agire umano. 
14
 F. v. Kutschera, 1991, p. 305. 
 7
sarebbe frutto di puro arbitrio”
15
 Per cui “ogni decisione sensata presuppone delle preferenze 
ma allo stesso modo anche ogni processo di apprendimento dall’esperienza presuppone ipotesi 
ed aspettative antecedenti, senza che si possa affermare che le esperienze possano sempre e 
solo confermare i nostri pre-giudizi e mai rappresentare uno stimolo a modificarli”
16
. Accade 
con le nostre preferenze e fini ciò che accade per le teorie scientifiche: le esperienze, 
particolarmente se anomale in base alle ipotesi comunemente accettate, possono essere 
occasione per decidere di cambiare teoria come per decidere di mantenerla spiegando 
l’anomalia con l’aggiunta di nuove proposizioni oppure addebitandola ad errori di misurazione o 
osservazione. E’ pertanto abbastanza riduttivo pensare esistano esperimenti cruciali e, allo 
stesso modo, esperienze assiologiche che obblighino l’agente razionale a scegliere una 
determinata alternativa, annullando di fatto la sua libertà di volere. Vi è invece un continuo 
confronto razionale tra ipotesi, sia scientifiche che assiologiche
17
, considerate valide, per 
eredità biologica, culturale, sociale o per decisione, ed esperienze che hanno un significato di 
per se stesse ed in relazione alle condizioni già date
18
. “Non c’è dunque una libertà del volere 
illimitata, c’è però la possibilità, nel quadro di certe alternative pre-date, di scegliere propri fini 
e di sviluppare proprie idee assiologiche. Le nostre preferenze non dipendono né solamente da 
inclinazioni innate e da idee assiologiche apprese, né dalla nostra esperienza assiologica, bensì 
sono anche prodotto di una serie di decisioni, ognuna delle quali presuppone già preferenze, 
ma le può anche modificare.”
19
  
Solitamente quando si parla di azioni si intendono azioni intenzionali, cioè quelle nelle quali 
l’attore persegue un determinato fine. Azioni intenzionali sono tutte le azioni razionali, anche 
se non sempre si può ad esse riferire un fine specifico se non quello di ottenere con la scelta 
dell’alternativa ottimale il risultato migliore per se stessi. Ogni azione ha i presupposti minimi 
per poter essere compresa razionalmente, nel senso soggettivo in cui definiamo questo 
concetto, che comprende, con difficoltà crescenti per quanto riguarda i motivi tradizionale ed 
                                          
15
 L’arbitrarietà della decisione implica l’impossibilità si spiegare l’azione in termini razionali riducendo ogni 
comprensione alla ricerca di modelli stocastici di rappresentazione idonei o, come più di frequente accade, con 
discutibile guadagno, all’adattare il comportamento umano a modelli matematici tramite assunzioni al di fuori del reale 
e del plausibile. Uno sviluppo di questo genere si osserva in J. S. Coleman, 1964. Esso è certamente vaniloquio nella 
misura in cui vuole spiegare l’azione, molto utile invece fintanto si limita alla previsione di azioni possibili. Ciò non 
implica tuttavia arbitrarietà nelle decisioni come nel prossimo paragrafo spiegheremo meglio. 
16
 F. v. Kutschera, 1991, p. 302 ss.. 
17
 Assiologico perché riguardano le preferenze e le probabilità soggettive sulle quali basiamo le nostre scelte di azione. 
18
 Non vale quindi la distinzione tradizionale tra empirismo - razionalismo che si basa sull’alternativa a-priori e a-
posteriori, estremamente imprecisa. Cfr. F. v. Kutschera, 1981 cap. 9 Lo stesso (pseudo) conflitto si ripropone 
parallelamente in ambito di teoria dell’azione e riflessione etica. 
19
 F. v. Kutschera 1991, p. 302-308 Questa interpretazione della nascita e mutamento delle preferenze ha, nonostante le 
imprecisioni che formulazioni del genere implicano, due vantaggi da non sottovalutare. Essa pone in pieno valore il 
ruolo delle libere decisioni degli agenti, senza le quali sarebbe giustificata l’accusa di sostenere una antropologia 
meccanicistica rivolta di sovente ai teorici dell’azione razionale, distinguendola al contempo da approcci di 
determinismo psicologico (cfr. G. Wiswede, 1987) e non indugia nel presupposto troppo rigido della stabilità delle 
preferenze (cfr. G. J. Stigler e G. S. Becker, 1977), mutato dall’economia neoclassica, senza cadere in spiegazioni ad 
hoc con l’introduzione arbitraria di mutamenti nelle preferenze dei soggetti studiati. In sede di operazionalizzazione si 
dovranno certamente specificare queste semplici affermazioni sul mutamento nelle preferenze. 
 8
affettivo
20
, tutti e quattro i tipi di azione di Max Weber.
21
 L’agente si trova infatti, per 
definizione, in una situazione di decisione con almeno due modalità di azione alternative: 
compiere F o tralasciarlo. Se conosciamo le sue struttura delle preferenze e le caratteristiche 
della situazione, è possibile spiegare razionalmente la sua scelta. Questo concetto di razionalità 
non è comunque identico a quello weberiano di senso: quest’ultimo invece comprende come 
caso particolare il primo.
22
 
Alcuni cenni di teoria delle decisioni serviranno ora a chiarire la struttura di una azione 
razionale, differenziandola al contempo dalla generica azione dotata di senso. “Nella teoria 
delle decisioni si considerano situazioni S, nelle quali una persona può scegliere tra molte 
modalità di azione F
1
,...F
n
, che si escludono a vicenda”
23
. (Per semplificare assumiamo che le 
modalità di azione siano finite e che venga sempre scelta una modalità, sia anche quella di non 
compiere l’azione. Trascuriamo la questione che riguarda quali e quante modalità di azione 
vengano scelte.
24
) “Assumiamo in primo luogo, che ogni modalità di azione F
i
 porti ad un 
determinato risultato p
i
 (i=1, ...n).
25
 In un caso del genere si parla di una decisione in 
situazione di certezza. I risultati p
i
 hanno un determinato valore solo per A, colui che decide la 
modalità di azione.”
26
 Ora assumiamo, che i valori di utilità dei risultati p
i
 possano essere 
espressi persino in numeri ua(pi).
27
 Una azione Fi è allora una azione razionale di A in S, 
quando il risultato pi , confrontato con tutti i possibili risultati, è ottimale per A. “Per giudicare 
la razionalità della azione di A non ha rilievo il fatto che le convinzioni dell’attore siano giuste o 
                                          
20
 Nel secondo capitolo studieremo il rapporto tra razionalità ed agire tradizionale. Per quanto riguarda la razionalità 
dell’agire affettivo cfr. H. Esser, 1991a, p.73. 
21
 Cfr. M. Weber, 1980a, pp. 12-13. 
22
 Un’azione razionale è dotata di senso ma non ogni azione concreta dotata di senso lo è in modo che possa essere 
compresa secondo lo schema di spiegazione razionale, benché teoricamente nulla osti. 
23
 F. v. Kutschera, 1981, p. 122 
24
 A proposito della percezione delle modalità di azione B. P. Priddat, 1995, pag. 127-146 solleva critiche molto 
radicali: per l’Autore non si può affermare che le alternative siano date. Egli propone, appoggiandosi ad una distinzione, 
che si trova nell’opera di Bruno Frey, in particolar modo in B. Frey, 1990, pag. 181, di distinguere tra spazio di 
possibilità “obiettivo” e “ipsativo” (Da ipse, cioè creato dallo stesso agente). L’economia, e le scienze sociali in genere, 
dovrebbe cercare nell’ermeneutica i mezzi necessari all’interpretazione della percezione ipsativa dello spazio di 
possibilità. Noi sosteniamo che le alternative sono date soggettivamente in virtù del riconoscimento, pur imperfetto, 
della loro esistenza oggettiva, in accordo con una epistemologia realista. Dubitiamo che l’ermeneutica possa fornire 
strumenti adeguati per la comprensione dell’azione sociale; per questa questione rimandiamo comunque a R. Boudon, 
1980 p. 184. Se si dimostrasse l’esigenza, per comprendere ulteriori azioni, come quelle quotidiane ed abitudinarie, di 
complicare la nostra teoria della scelta e dei fini, sembra migliore la via proposta da H. Esser, 1991a, p. 61-75. A ciò si 
aggiunge che la posizione antirealista di Priddat sembra alquanto debole, come discute ampiamente B. Abel, 1983 In 
conclusione Priddat giunge ad una teoria sistemica dell’attore e afferma: “Questo modo di osservazione è in tal senso 
interessante, in quanto scarica il peso che gli assiomi di razionalità impongono agli attori. Gli individui possono essere 
lasciati nel loro comportamento empirico ed essere osservati senza dover soddisfare alle enormi aspettative normative 
che il concetto di razionalità carica su di essi” Qui la critica alla teoria della scelta razionale è da noi condivisa: proprio 
con la nostra teoria logica della spiegazione razionale crediamo di ridurre questo peso, pur conservando l’impianto 
principale di questo approccio. La richiesta di orientamento normativo delle azioni sociali, comune alle teorie 
sistemiche, non sembra del resto caricare meno peso sugli attori. 
25
 Il risultato può essere pure visto, nei casi più complessi, come la somma di più risultati parziali. 
26
 F. v. Kutschera, 1981, p. 122. 
27
 Questo presupposto: “su R è definito un concetto di valore u metrico” è formalmente discutibile. (Dove R è l’insieme 
di tutti i possibili risultati di una azione). Alcuni spunti di discussione si trovano in A. Corradini, 1989. In aggiunta ciò 
può creare alcuni problemi in fase di operazionalizzazione, di cui ci occuperemo quando presenteremo la nostra ricerca. 
Cfr. J. Friedrichs et al. 1993, pag. 2-15. 
 9
meno;
28
 cioè se veramente l’azione oggettivamente scelta porti oggettivamente al risultato 
previsto (come richiede ad esempio Vilfredo Pareto
29
 perché le azioni possano essere definite 
logiche) o se le preferenze di A sono, in un qualche senso o secondo una qualche gerarchia 
extra individuale, corrette oppure se vi sia corrispondenza ai “veri interessi” a lungo termine 
dell’attore. La razionalità si misura solamente in relazione alle preferenze e alle convinzioni 
dell’agente nel momento della sua decisione
30
 rispetto alle modalità di azione.”
31
  
Un secondo tipo di scelta, detta “sotto condizioni di rischio”, si ha quando i risultati delle 
possibili alternative di azione F
i
 non sono determinabili con certezza dall’attore stesso. Per cui 
per ogni alternativa F
i
 ci sono più possibili risultati p
1m
,...p
im
 e tutti hanno per A una probabilità 
non nulla. Per semplificare si assume che uno solo dei risultati si verifichi, per cui 
necessariamente la somma delle probabilità dei singoli risultati è pari ad uno. Il valore atteso 
di ogni alternativa è di conseguenza la somma del prodotto del valore del risultato e la sua 
probabilità; il criterio di razionalità di una azione risulta immutato: è razionale la scelta che 
massimizza il valore atteso di utilità dell’azione.  
Come terza possibilità si considera spesso la decisione in condizione di incertezza, nella 
quale A non è a conoscenza delle probabilità da assegnare ai possibili risultati di ogni modalità 
di azione F
i
. In una tale situazione si può agire secondo diverse massime, senza poter dire 
quale sia in ogni caso la migliore, come avveniva invece nelle condizioni precedenti. Si può 
tuttavia supporre, come “John C. Harsanyi ed altri hanno a ragione sottolineato, che i casi in 
cui a non riesce ad attribuire ai possibili risultati nemmeno una probabilità imprecisa o 
comparativa, siano ben rari. Una stima imprecisa delle possibilità di successo di un alternativa 
dovrebbe essere sempre possibile.”
32
 
                                          
28
 In questo senso la teoria delle decisioni rimane un semplice modello astratto di agente e non si trasforma in teoria 
etica, benché di questa ne sia una buona base. Punto decisivo è il significato che si attribuisce all’esperienza assiologica 
soggettiva.. Essendo nostro fine spiegare l’azione razionalmente basterà di questa l’interpretazione minimale fornita. 
29
 Cfr. V. Pareto, 1964, p.65 cit. in J. Freund, 1976, pp. 68-74. 
30
 Questa è evidentemente una semplificazione ulteriore. Dopo aver deciso A può, per diversi motivi, agire 
diversamente. Questa possibilità è stata discussa da G. Ainslie, 1986 e R. H. Strotz, 1955, citati in J. Coleman, 1995, p. 
548 attraverso la coppia di concetti forza di volontà-debolezza di volontà e poi ripresa, in modo molto interessante da J. 
Elster, 1990. Questo Autore propone il modello della razionalità imperfetta, sull’esempio di Odisseo, che al momento t 
decise di porre fuori uso la propria razionalità per il momento t+1 per non rischiare un inversione nelle sue preferenze. 
Questo discorso rappresenta un ampliamento necessario della teoria delle decisioni, che considera, almeno a livello 
elementare, solo serie di decisioni indipendenti e non strategicamente connesse. Secondo Elster il comportamento 
strategico è un fenomeno molto diffuso sia tra gli uomini, come individui e come attori sistemici, sia, in maniera meno 
netta, nel mondo animale. Una applicazione in teoria sociale di modelli di comportamento strategico si trova in J. S. 
Coleman, 1995 Un altro problema, per semplicità spesso dimenticato, sono i tentativi di razionalizzazione degli attori 
dopo una decisione, che portano a cambiamenti nelle preferenze, empiricamente dimostrati, detti il “sour grapes 
problem” in relazione ad una nota fiaba di Fedro. Entrambe le questioni verranno tralasciate, volendo noi spiegare una 
azione molto semplice.  
31
 F. v. Kutschera, 1981, p. 123. 
32
Ibidem, p. 125. 
 10
Ragione per la quale possiamo formuliamo un criterio di razionalità unitario per i primi due 
casi, che dovrebbero rappresentare la stragrande maggioranza delle situazioni:
33
 
 
R) Una azione è razionale quando il valore atteso del suo utile è 
massimo.
34
 
                                          
33
 Nell’ambito delle teorie razionali dell’azione si parla, riferendosi a questi due casi, di teorie SEU (subjective expected 
utility). Queste sono quelle più frequentemente utilizzate all’interno dell’approccio di scelta razionale. 
34
 F. v. Kutschera, 1981, p. 125. C. G. Hempel, 1977 conclude, in base all’osservazione che nella situazione di decisione 
in condizioni di incertezza ci sono molti criteri di razionalità, che non esiste in assoluto alcun criterio di razionalità. 
Ammesso che così fosse, e così non è totalmente, come abbiamo osservato, ciò non comporta particolari conseguenze: 
si potrebbe allora parlare di spiegazioni razionali di diverso tipo, riferendosi a diversi tipi di situazioni di decisione. 
Questo principio R rappresenta l’assunto più generale ed importante dell’approccio di scelta razionale. Esso pone un 
criterio di razionalità della scelta, non un criterio di razionalità del sapere e solo secondariamente, e non 
necessariamente, un criterio di razionalità dell’agire. In questo senso è compatibile con altri approcci sociologici, come 
quello, che di Alfred Schütz, che utilizzeremo nello studio del rapporto tra habiti e razionalità. 
 
 11
2. La spiegazione dell’azione 
 
Scrive James Coleman: “L’azione razionale degli individui ha una sola attrattiva come 
fondamento per la teoria sociale. Se un’istituzione o un processo sociale possono essere 
considerati in termini di azioni razionali degli individui, allora e solo allora, possiamo dire che 
essi sono stati spiegati. Il vero significato dell’azione razionale è che quell’azione diventa 
comprensibile, una azione su cui non dobbiamo più porci domande.”
35
 Questa pretesa della 
teoria della azione razionale, che si può facilmente ritrovare anche in altri suoi 
rappresentanti,
36
 deve essere sicuramente posta in discussione, soprattutto alla luce delle 
osservazioni sul concetto di azione razionale riportate nel precedente paragrafo. A questo fine 
giova fare chiarezza su concetti basilari come sapere, conoscere, comprendere, spiegare e 
motivare: essi serviranno da base definitoria sicura per ulteriori riflessioni sul significato della 
spiegazione razionale delle azioni umane.
37
  
Il primo concetto da definire è quello di sapere. Dopo lunga discussione Kutschera giunge 
al seguente enunciato: ”Solo il concetto di convinzione vera può essere accettato come 
concetto generale di sapere.”
38
 “Sapere viene diviso in due componenti: in quella soggettiva 
della convinzione ed in quella oggettiva della verità”
39
 Entrambe le componenti rappresentano 
in sé il grado massimo: non si può essere più che convinti ed un enunciato non può essere più 
che vero.
40
  
Il secondo passo è la definizione di conoscenza: “conoscere è il passo dal non sapere al 
sapere”.
41
 Esistono diverse forme di conoscenza: “accanto al conoscere che uno stato di cose 
esiste
42
, si può conoscere il perché ed il fine per cui qualche cosa è quello che è oppure come 
qualche cosa è sorto ed altro ancora.”
43
 Tutto ciò può essere detto un comprendere dei fatti.  
                                          
35
 J. Coleman, 1986, p. 1. 
36
 Per ricordarne solo due cfr. G. S. Becker, 1983 e L. V. Mises, 1949.  
37
 Essendo tale il nostro scopo non ci attarderemo eccessivamente sulle molteplici questioni che ogni nostra 
affermazione potrebbe legittimamente sollevare. Per la stessa ragione faremo riferimento quasi esclusivo per queste 
riflessioni alle opere di F. v. Kutschera.  
38
 F. v. Kutschera, 1981, pag. 76. 
39
 F. v. Kutschera, 1981 pag. 16 
40
 Nella definizione di sapere non compare il criterio di fondatezza e di conseguenza non si pone il problema della 
falsificazione o verificazione di ipotesi teoriche, solitamente troppo semplicisticamente affrontato. Per due principali 
ragioni. 1) Ogni motivazione è di per sé solo relativa, il fondamento epistemico assoluto non si dà. Ciò non implica però 
una analoga negazione della possibilità di un fondamento ultimo sul piano aletico. Cfr. S. Galvan, 1989, p. 13, 2) La 
scienza (sapere fondato) ha significato e significa sicuramente un grosso progresso nel sapere, ma non tutto il sapere, 
che in un certo momento viene giudicato come non scientifico, è non sapere. Le evidenze per esempio, sono ugualmente 
sapere, anche se non sono fondate scientificamente. Teorie radicalmente nuove vengono solitamente respinte come non 
scientifiche, pur rivelandosi molte volte sapere. Cfr. F. v. Kutschera, 1993. Questa definizione non esclude una 
posizione fallibilista, sicuramente però una relativista o radicalmente scettica. 
41
 F. v. Kutschera, 1981, p. 9 
42
 Semplificando parleremo a volte di stati di cose e fatti, a volte di enunciati ed enunciati veri, senza ogni volta 
ricordare la relazione che tra esse intercorre (Si spiegano enunciati che rappresentano stati di cose). 
43
 F. v. Kutschera, 1981, p. 79  
 12
Il terzo passo è ora l’impegnativa definizione parallela di comprendere e spiegare e delle 
loro diverse forme. “Compito di una analisi del comprendere è di distinguere le varie forme di 
comprendere e di dare i criteri secondo i quali un comprendere è di un tipo o dell’altro.”
44
 In 
questo contesto ci interessiamo solo al comprendere teorico, non pratico;
45
 il primo si 
differenzia in diverse forme,
46
 delle quali ci limitiamo a trattare solo le cinque principali.  
In sociologia (a partire da Wilhelm Dilthey, Wilhelm Windelband e poi Weber) si è 
lungamente discusso sulla differenza tra spiegare e comprendere: tra i due concetti non vi è 
però contrapposizione:
47
 il contrasto può essere infatti eliminato evidenziandone la reciproca e 
necessaria dipendenza. “Il criterio generale perché qualcuno ha compreso qualche cosa, è che 
lo sappia spiegare.”
48
 Per cui alle forme del comprendere corrispondo le rispettive forme di 
spiegare: parliamo di spiegazione e comprendere causale, razionale, intenzionale, genetica, 
funzionale. 
Comprendere (spiegare) causale. “Noi comprendiamo perché un evento si è verificato, 
quando riconosciamo le sue cause
49
”. 
Comprendere (spiegare) razionale. “Noi comprendiamo poiché qualcuno fa qualche cosa, 
quando riconosciamo che ciò è razionale nel senso delle sue convinzioni e preferenze oppure 
quando veniamo a conoscenza dei motivi
50
 della sua azione”
51
. 
Comprendere (spiegare) intenzionale. “Noi comprendiamo le intenzioni o i fini, che 
qualcuno con una azione persegue, quando conosciamo, che cose egli con ciò vuole 
raggiungere”
52
. 
                                          
44
 F. v. Kutschera, 1981, p. 86 
45
 Se io comprendo come funziona il mio apriscatole, allora ho raggiunto una comprensione pratica, di cui però qui non 
ci interessiamo. 
46
 Cfr. ad esempio Wolfgan Stegmueller, 1969, pp. 72-90. 
47
 Più precisamente non vi è contrapposizione tra lo spiegare ed il comprendere scientifico. Il comprendere empatico ed 
esperienziale, di cui parla Dilthey non si lascia tradurre in precise affermazioni scientifiche, né è dominio esclusivo 
delle scienze umane, non contribuendo con ciò a fondare una distinzione scienze della natura - dello spirito molto 
dubbia. 
48
 F. v. Kutschera, 1981, p. 86. Lo stesso concetto è espresso nella citazione di Coleman in inizio di capitolo. Cfr. anche 
H. Esser, 1991a. 
49
 F. v. Kutschera, 1981, p. 81. Il concetto di causa è molto controverso ed è probabilmente illusorio pensare di 
contenere tutte le possibili accezioni che ne diamo in un unica definizione. Sembra comunque corretto porlo in 
relazione a quello di leggi naturali. Queste sono enunciati veri sotto forma di leggi. Le scienze naturali hanno il compito 
autonomo di definire quali di queste leggi siano vere e quali false. La ricerca logica invece quella di definire che cosa 
siano enunciati in forma di leggi. Una proposizione della forma “Ogni F è G ha solo allora forma di legge, quando per 
oggetti a, che non sono F, vale la proposizione ipotetica irreale Fosse a un F, allora anche un G” [F. v. Kutschera, 
1981, p. 98] Leggi causali sono un tipo particolare di leggi naturali. Per cui un evento p è causa di un evento q, e q è 
l’effetto di p, quando esiste una spiegazione causale di p grazie a q. Questa definizione di causa esclude cause modali, 
pur frequenti nel linguaggio naturale, e non è per niente probabilistica. Per una teoria modale della causalità cfr. F. v. 
Kutschera, 1993, p. 40 ss.. 
50
 Come motivi di una azione si indica di solito ciò che ha mosso l’agente, cioè ciò che nelle sue riflessioni ha dato il 
colpo decisivo. Preferenze e ipotesi di un attore si possono definire in modo generale solo possibili motivi di una 
azione. Esse sono motivi reali solo in quanto effettivamente sono state prese in considerazione dall’attore. Informazioni 
che conducono alla decisione dell’azione, possono essere allo stesso modo qualificate come motivi. 
51
 F. v. Kutschera, 1981, p. 81. 
52
 F. v. Kutschera, 1981, p. 81. 
 13
Comprendere (spiegare) funzionale. “Noi comprendiamo a che cosa serve qualche cosa, 
quando conosciamo (...) la sua funzione. E noi comprendiamo come funziona qualche cosa, 
quando conosciamo l’insieme di effetti e controeffetti delle parti”
53
. Se si concepisce l’uomo, o 
la società, come una macchina
54
, questa tipo di comprensione acquista una notevole rilevanza 
anche nelle scienze sociali.
55
 Anche nelle spiegazione di effetti emergenti questa forma di 
comprendere, assieme a quella genetica, può essere d’aiuto se si presuppone che solo sotto 
certe condizioni, in una situazione data, possa mostrarsi un certo fenomeno. Si suppone cioè 
che un meccanismo, deterministico o probabilistico,
56
 possa essere messo in moto solo da un 
determinato input. La spiegazione del fatto che il socialismo negli Stati Uniti per lungo tempo 
non abbia preso piede, come in Werner Sombart, o che il capitalismo non sia nato in Italia 
settentrionale, come in Weber, sono spiegazioni di questo genere. 
Comprendere (spiegare) genetico. “Noi comprendiamo come qualche cosa è sorto quando 
conosciamo quali eventi e situazioni portarono ad esso”
57
. Si può dire che sia 
nell’individualismo metodologico che nelle teorie dell’azione razionale è implicita una 
spiegazione genetica: i fenomeni sociali nascono infatti come conseguenza voluta o inattesa 
del comportamento umano e pochi sono in realtà interessati a negare questa ingenua 
constatazione. I processi di emersione sono tuttavia spesso sì complessi da sembrare inutile 
esercizio, soprattutto per la comprensione dei sistemi sociali, preoccuparsi di ricostruirli a 
partire dalla loro naturale origine.
58
  
Le brevi osservazioni sulle diverse forme di comprensione di cui sopra ci inducono ad 
inserire una breve digressione. Esse vogliono infatti indicare una semplice, quanto dimenticata, 
modalità di rapporto tra tradizione sistemica e tradizione individualista nelle scienze sociali.
59
 
Ad ognuna di esse competono particolari forme di spiegazione (principalmente funzionale per 
l’una, razionale per l’altra) e ognuna si basa su specifici presupposti, più o meno accettabili. La 
proficuità dell’approccio nello spiegare il sistema sociale si può misurare solo tenendo conto 
                                          
53
 F. v. Kutschera, 1981, p. 82. 
54
 Al di là della sua rappresentazione e congegnatura fisica, la macchina si caratterizza per una piano macchina, nel 
quale sono riportati tutti i possibili inputs, outputs e stati della macchina e specificato, da quali stati (con quali inputs) 
essa (con quali probabilità) passa ad altri stati (con quali outputs). Cfr. F. v. Kutschera, 1981, p. 271-73. Considerando 
l’uomo una macchina si potranno quindi spiegare solo comportamenti. 
55
 La tradizione durkheimiana, poi sistemica-funzionale, parte da questa astrazione. Per questa ragione da essa ci si 
possono aspettare spiegazione funzionali. 
56
 Più esattamente, come vedremo, nel caso di una macchina a funzionamento probabilistico, non si spiega 
funzionalmente lo stato di cose ma una proposizione del tipo: “lo stato di cose a è probabile”. 
57
 F. v. Kutschera, 1981, p. 82. 
58
Coleman dedica due corposi capitoli dell’opera “Foundations of Social Theory” per dare una spiegazione genetica 
delle norme sociali, riuscendo a ricavarne un interessante abbozzo, comunque sicuramente non completo. Si comprende 
perciò come, se ci ponessimo il fine di spiegare il sistema sociale, sia molto più conveniente partire da norme sociali 
come date.  
59
 Pur consapevoli della rozzezza di tale classificazione la adottiamo per esigenze di brevità. La ricaviamo da V. 
Vanberg, 1975 e A. Bohnen, 1975; essa è poi ripresa in termini epistemologici da B. Abel 1983. G. Kirchgaessner, 
1991, combinando la dimensione di “oggetto di ricerca economico e non economico” e di “metodo individualistico e 
non individualistico” raffina la stessa distinzione. 
 14
dello spazio di possibilità che esso logicamente consente ed ha veramente poco a che fare con 
scelte di tipo normativo,
60
 che piuttosto si configurano come derivazioni in senso paretiano.  
Ultimo concetto da definire, prima di discutere le forme di spiegazione che 
specificatamente riguardano questa ricerca, è quello di motivazione. “Una motivazione è la 
risposta ad una domanda sul perché. Questa domanda può essere in primo luogo una 
domanda sulle cause, cioè i motivi reali od ontici dell’evento che si spiega, per cui le 
motivazioni che rispondono a tali domande sono dette motivazioni causali.”
61
 “La domanda sul 
perché può vertere in secondo luogo su motivi in un senso più ampio, nel senso che tutti i fatti, 
dai quali si dà che uno stato di cose p sussista, sono considerati motivi del sussistere di p. 
Siccome da questi motivi si può conoscere che lo stato di cose p sussiste, si dicono motivi di 
riconoscimento o di ragione.”
62
 Motivazioni che si basano su questo tipo di motivi verranno 
dette epistemiche. Il cambiamento della pressione atmosferica è il motivo in senso stretto del 
movimento della lancetta del barometro; da questo movimento si può riconoscere che la 
pressione atmosferica è mutata. Dalle affermazioni di una persona si può riconoscere in quale 
stato psicologico essa sia, queste affermazioni non sono però le cause dello stato psicologico. 
Nelle scienze sociali si scoprono motivi epistemici probabilistici
63
 e talvolta anche sicuri, più 
raramente motivi reali od ontici. “In una motivazione
64
 la proposizione che deve essere 
motivata, detta E, viene presentata come la conseguenza di una o più proposizioni motivanti 
A
1
  A
n
”
65
.  
Disponiamo ora di tutti le nozioni necessarie per discutere lo statuto epistemologico da 
concedere alle spiegazioni razionali e per rispondere alle pretese dei teorici dell’azione 
razionale, come quella implicata nella citazione di Coleman in apertura di capitolo.  
                                          
60
 Se per esempio l’uno sottenda una antropologia umanista, cfr. J. Coleman, 1995 p.15 o meno o se gli uni siano 
sostenitori di atteggiamenti individualisti ed altre amenità. 
61
 F. v. Kutschera, 1981, p. 91. 
62
 F. v. Kutschera, 1981, p. 91 
63
 Motivi epistemici probabilistici sono, più correttamente, motivi epistemici di enunciati del tipo: “La presenza di q 
rende probabile p, senza che q sia la causa di p”. 
64
 Si distinguono altri due tipi di motivazioni a seconda della modalità con cui l’explicandum E è derivato dall’explicans 
A. Se E è conseguenza analitica di A la motivazione sarà detta deduttiva, se invece vale la proposizione “E poiché 
sussiste A” la motivazione è detta modale. “Mi sono rotto le gambe perché sono caduto in bicicletta” contiene una 
motivazione modale non essendo il rompersi le gambe conseguenza analitica del cadere in bicicletta, pur potendo 
diventarlo aggiungendo altre proposizioni esplicative. 
65
 F. v. Kutschera, 1981, p. 87. Una motivazione (deduttiva o modale) di E con A
1
  A
N
 è formalmente corretta quando: 
1)le proposizioni A
1
  A
N
 sono vere; 2)tra le proposizioni non si trovano espressioni sinonime di E; 3)E segue (in modo 
analitico o modale) da A
1
  A
N
. La prima condizione è molto criticata: economisti come M. Friedman, 1953, p. 15-19, 
argomentano che una motivazione, o una teoria che contiene motivazioni, deve essere giudicata non in base alla verità 
dei suoi presupposti ma dei suoi risultati. Ciò potrebbe anche essere accettato, se per esempio i presupposti fossero 
irreali nel terzo senso, (tipi ideali) secondo la tipologia di E. Nagel, 1963, p.211-219.  Continua inoltre a valere la 
massima tomistica a noesse ad esse non valet illatio per cui se i presupposti sono falsi non diverse saranno le 
conclusioni. La seconda condizione si pone per evitare circoli logici: concludere da E ad E è formalmente corretto ma 
non molto significativo Correttezza formale non è però sufficiente perché una motivazione sia utilizzabile: la verità 
delle proposizioni A
1
  A si deve poter riconoscere senza appoggiarsi alla validità di E, che si vuole dimostrare. La 
struttura delle dimostrazioni logiche è un esempio di motivazione non circolare corretta che mostra l’utilità di una 
motivazione, solo quando si dichiara assieme a quali proposizioni vere ci si appoggia. 
 15
In accordo con quanto detto precedentemente è utile ora specificare i presupposti di 
questo approccio, o per seguire due termini abusati, di questo programma di ricerca
66
 ovvero 
programmi di conoscenza
67
. Quale è quindi il nocciolo nomologico di questa tradizione di 
ricerca?  
Scrive Gary Stanley Becker: “I presupposti del comportamento volto alla massimizzazione 
degli utili,
68
 dell’equilibrio di mercato
69
 e della stabilità delle preferenze,
70
 assunti in senso 
stretto e senza alcuna limitazione, formano il nocciolo dell’approccio economico alle scienze 
sociali, così come io lo vedo.”
71
  
A titolo di riprova, Johnatan H. Turner
72
 afferma, con maggiore precisione: “Assunzioni 
della teoria della scelta razionale: 1) Gli uomini sono orientati ad intenzioni e fini. 2) Gli uomini 
possiedono insiemi di preferenze o utilità ordinate gerarchicamente. 3) Nella scelta della 
modalità di comportamento, gli uomini compiono calcoli razionali
73
 in relazione a: 3a) l’utilità 
della modalità di azione considerando la propria struttura gerarchica di preferenze; 3b) i costi 
di ogni alternativa secondo l’utilità prevista; 3c) il miglior modo di massimizzare l’utilità totale. 
4) Fenomeni sociali e strutture sociali emergenti, decisioni collettive e comportamento 
collettivo sono in ultima analisi il risultato delle scelte razionali compiute da individui che 
massimizzano l’utile. 5) Fenomeni sociali emergenti che derivano dalle scelte razionali 
costituiscono un insieme di parametri per le scelte razionali successive degli individui nel senso 
che determinano: 5a) la distribuzione delle risorse tra individui; 5b) la distribuzione delle 
                                          
66
 Imre Lakatos, 1974 
67
 Hans Albert, 1976, 1987, et al. (Erkenntnisprogramm)  Preferiamo questa formulazione del concetto in quanto meno 
compromesso con la metodologia dei programmi della ricerca scientifica di Imre Lakatos, ed obiettivamente più 
generale. Questo non significa che condividiamo l’uso che ne fa Albert, che presenta preoccupanti sfumature di 
razionalismo non critico. 
68
 Noi ci siamo limitati, con il principio R del paragrafo precedente, a definire un criterio quasi unico di razionalità della 
scelta, rifiutando l’assunzione generale di comportamento massimizzante. Tra le azioni che possono essere spiegate 
razionalmente certamente vale questo principio, anche se non con necessità in modo consapevole. 
69
 Assunzione tipicamente economica; sociologicamente significa postulare l’esistenza di mercati, con relativa offerta e 
domanda e prezzi-ombra per ogni bene in qualche modo scarso, (oggettivamente o almeno soggettivamente) dai 
bambini alla domanda di servizi odontoiatrici. L’assunto di scarsità, di sapore sociobiologico, è severamente criticato da 
M. Tietzel, 1988. J. Coleman, 1995, p. 80-85, con l’intenzione di dare sostanza ai molti mercati di cui si postula 
l’esistenza, introduce quello sovraordinato dei “diritti di azione”. Gli attori regolano le loro interazioni scambiandosi 
non direttamente i beni ma il diritto ad agire sull’altro in determinati modi.  
70
 Come abbiamo mostrato nel capitolo precedente assumere stabilità di preferenze totale annulla la libertà di volere 
dell’attore oltre ad essere lontano dal vero. Becker utilizza del resto un concetto di preferenza molto generico, arrivando 
ad esempio ad affermare che ne esistono solo due: benessere psicofisico e riconoscimento sociale. Ad un livello tale di 
astrazione può anche valere che le preferenze non mutino ma buona parte della capacità esplicativa dell’approccio è 
persa, dovendosi costruire per ogni azione immaginarie teorie su quali modalità di azione massimizzino il benessere 
psicofisico e il riconoscimento sociale. 
71
 G. S. Becker, 1983, p. 4, traduzione propria. A motivo di questi presupposti, Becker è considerato il più radicale tra i 
sostenitori della teoria della scelta razionale. Per questo si guadagna, da parte di M. Tietzel, 1988, l’espressione: 
“Becker è come il barocco nella storia dell’arte”. I suoi maggiori e controversi risultati riguardano la sociologia della 
famiglia. Cfr. G. S. Becker, 1981, W. Meyer, 1987 e T. Klein, 1996. 
72
 J. H. Turner, 1991, (Tavola 17-1). Turner non è un sostenitore dell’approccio individualistico. Traduzione propria. 
73
 Non è in realtà necessario che gli attori compiano consapevolmente questi calcoli: si può agire razionalmente in modo 
intuitivo; questa condizione può quindi valere in via ipotetica, cioè “come se l’attore compia calcoli razionali.” Non per 
questo la motivazione perde la sua capacità di fornire motivi reali dell’azione: semplicemente la scienza, per soddisfare 
ai criteri di oggettività, presenta analiticamente ciò che in realtà può succedere diversamente, ad esempio 
intuitivamente, non essendo del resto suo fine riprodurre i ragionamenti dell’agente sotto esame. 
 16
opportunità connesse con le varie modalità di azione 5c) la distribuzione e la natura delle 
norme e obbligazioni in una determinata situazione."
74
 Consistendo una spiegazione razionale 
di una azione in una motivazione si possono riportare questi assunti in uno schema sillogistico. 
Possiamo scrivere, avvalendoci della terminologia della teoria delle decisioni: 
 
La persona A ha queste e quelle preferenze e aspettative riguardo alle conseguenze delle 
alternative di azione che, nella situazione S, secondo le proprie convinzioni, si trova di fronte 
L’utile atteso di F per a è in S almeno così grande come quello di ogni altra alternativa 
Nella situazione S per A è razionale agire F
75
 
 
Come si può subito notare viene motivata una proposizione sulla azione F di A, 
precisamente: “In S F è per A razionale”.  “Una spiegazione razionale di una azione non 
consiste infatti in una motivazione che conclude il verificarsi dell’azione, ma in una motivazione 
del fatto che questa azione era razionale.”
76
 Se noi diciamo: “L’azione X è per A in S razionale”, 
non affermiamo che A in S ha agito X, cosa che si potrebbe affermare al massimo in maniera 
probabilistica, al contrario noi motiviamo l’enunciato “X è razionale”. Noi possiamo dire che 
persona A vuole che lo stato p si verifichi, esattamente allora quando p per A in ogni caso è 
almeno tanto buono quanto lo è non p. Dalle premesse non si evince che a compia 
effettivamente p, come spesso è stato notato, ma ciò non è necessario perché vi sia 
spiegazione razionale, e intenzionale, di p. Molti studiosi, specialmente scienziati sociali che 
parlano con molta leggerezza della spiegazione causale, farebbero molta fatica a considerare 
un tale comprendere valido e per di più utile. Di frequente si utilizzano perciò altri schemi di 
motivazione sussumibili i due principali versioni; entrambe concludono che A in S agisce F  
 
A si trovava in una situazione di decisione del tipo C
77
 
A era un attore razionale 
In una situazione del tipo C ogni attore razionale agisce F     (Schema R) 
Per cui A agì x  
 
 
 
 
 
                                          
74
 Le premesse sulla emergenza di fenomeni sociali e sull’influsso che esse esercitano sugli individui, non sono 
esplicitamente nominate in Becker; esse non sono tuttavia in contrasto con il suo approccio e la lettura delle sue analisi 
dimostra come invece vengano ampiamente utilizzate. I presupposti di una spiegazione razionale dell’azione sociale 
non sono quindi strettamente solo i tre nominati da Becker. 
75
 F. v. Kutschera, 1993, p. 63 
76
 F. v. Kutschera, 1981, p. 121. 
77
 Può essere una decisione in condizioni di certezza o rischio, per le quali abbiamo già definito un criterio di 
razionalità, oppure in condizioni di incertezza, se si definisce e motiva previamente un determinato criterio di tal 
genere. 
 17
La persona A ha nella situazione S solo lo scopo di raggiungere M 
A è convinto, che egli in S può raggiungere questo fine solo se agisce F 
Ogni agente con caratteristiche i, come A effettivamente possiede, in S agisce sempre F 
Persona A agisce F 
 
Entrambi gli schemi di motivazione aggiungono una premessa per poter spiegare 
razionalmente l’azione F piuttosto che una proposizione su di essa. Nel primo caso si aggiunge 
ciò che si definisce lo schema R,
78
 nel secondo una legge psicologica o fisica. Altri, come 
Charles Taylor,
79
 ritengono invece di fare a meno di tale premessa aggiuntiva restringendo la 
validità dello schema di motivazione ad azioni per le quali tra il momento della decisione e 
dell’esecuzione non si intromettono ostacoli esterni o ulteriori riflessioni. Come più avanti si 
vedrà, Ajzen nella sua teoria del comportamento pianificato (TOPB) giunge inizialmente a 
conclusioni simili.  
Alla base di molte motivazioni razionali vi sono alcuni aspetti dubbi, che ora 
evidenzieremo. In primo luogo mostriamo che lo schema R o altre leggi psicologiche o fisiche 
sostitutive non sono esplicitamente menzionate tra i presupposti dell’approccio di scelta 
razionale. L’affermazione che gli individui scelgano l’alternativa migliore, o che il loro 
comportamento sia volto alla massimizzazione, non significa strettamente che gli attori 
agiscano effettivamente secondo quanto hanno razionalmente scelto. Vi è quindi un difetto di 
chiarezza per coloro che usano lo schema R senza dichiararlo esplicitamente ed un difetto 
teorico per coloro che assumono leggi psicologiche
80
 o fisiche sostitutive senza specificare 
chiaramente quali esse siano e come si motivino a loro volta. Ma la questione deve essere 
posta in seconda battuta in modo più radicale: allo stato attuale delle conoscenze si possono 
accettare premesse come lo schema R oppure le leggi psicologiche o fisiche sostitutive? Si può 
presupporre che un attore sia sempre e necessariamente razionale nelle proprie azioni? 
Evidentemente no: lo schema R può valere solo probabilisticamente. E’ plausibile che si possa 
individuare la probabilità che degli attori con caratteristiche g in situazione S si comportino 
razionalmente. Ma in questo caso noi non spieghiamo razionalmente l’azione ma solo la 
proposizione “F è probabile”. Questa spiegazione ha senso solo prima che F accada giacché 
ogni evento successo ha probabilità uguale a 1 e rende superflua ogni spiegazione di 
proposizioni di tal genere.
81
  
                                          
78
Cfr. C. G. Hempel, 1977, pag. 201-203. 
79
 Cfr. C. Taylor, 1966. 
80
 Solitamente si fa uso di teorie comportamentiste che trovano un certo fondamento su animali come topi o piccioni.  
81
 Ciò implica che non vi è alcuna concorrenza tra spiegazioni causali e razionali e probabilistiche di una azione: le 
prime spiegano solo azioni avvenute, le seconde solo azioni previste o semplicemente possibili. Chi sostiene teorie 
probabilistiche della causalità e di conseguenza considera la conoscenza di informazioni che rendono maggiormente 
probabile un altra proposizione E una spiegazione di E, ignora questa fondamentale distinzione. Cfr. G. Hempel, 1977, 
p. 55-58.