Premessa: motivazioni e riferimenti teorici 
La motivazione più ovvia e palese che mi ha spinta a svolgere una tesi sugli adulti 
è linearmente attribuibile al mio tirocinio, svolto presso un Ambito Territoriale 
Sociale del Comune di Genova, e durante il quale mi sono appunto occupata 
principalmente di adulti.
Da subito, l'occuparmi di quest'utenza, mi ha dato l'impressione di essere 
un po' fuori dagli schemi : è un'area che resta un po' marginale, un terreno non 
ancora del tutto coltivato che dà all'operatore che se ne occupa, per quanto sia 
possibile all'interno di un ente pubblico, un margine di autonomia, a mio parere, 
più ampio rispetto alle "classiche" aree dei Minori e degli Anziani.
Collegato a questo vi è poi quindi la seconda motivazione che mi ha spinto ad 
elaborare una tesi su quest'argomento, ossia il carattere stimolante e forse anche 
innovativo dell'indagare questo ambito: il settore riguardante l'utenza adulti è in 
continua evoluzione, non esistono risorse standard e ormai consolidate come 
accade invece per minori e/o anziani, inventiva ed innovazione sono quindi le due 
parole chiave.
L'area adulti presenta molteplici sfaccettature, come avrò modo di esporre più 
avanti, ma in un contesto come quello della stesura di una tesi di laurea mi sono 
dovuta concentrare solo su una delle problematiche ad essa collegate, in modo da 
restringere il campo d'indagine. Ho quindi focalizzato la mia attenzione sul 
bisogno abitativo anche se in realtà durante il mio tirocinio non mi sono occupata 
direttamente di questa problematica, anche perché l'Ente pubblico si occupa 
principalmente di problematiche legate a bisogni economici e/o lavorativi. Il 
settore del lavoro, però,  per sua natura segue logiche di mercato e i Servizi 
Sociali, soprattutto quelli dell'Ente pubblico, in questo senso non hanno delle vere 
e proprie risorse da poter offrire e sfruttare, al di là del sostegno morale ed 
economico; d'altro canto fare una tesi sull'erogazione di contributi economici non 
mi sembrava così stimolante ed interessante. Il bisogno abitativo, invece, 
racchiude in sé anche problematiche legate al lavoro e alla condizione economica, 
e ho avuto quindi modo di affrontare trasversalmente anche questi due settori. 
La mia indagine essendo legata al mio tirocinio, quindi, parte proprio dal Comune 
5
di Genova; ho poi pensato che confrontarsi con un'altra realtà potesse essere 
interessante e fruttuoso. S ono spesso stata spinta, nell'agire, dalla curiosità e 
talvolta anche dalla proverbiale sensazione che il giardino del vicino è sempre più 
verde, ed anche in questo caso credo che la mia scelta sia stata condizionata anche 
da questo. E' stato proprio durante un convegno cui ho partecipato e nel quale è 
intervenuta un'operatrice di Torino che illustrava dei progetti innovativi portati 
avanti dal Gruppo Sociale Abele Lavoro di Torino, che ho deciso di affrontare una 
tesi comparativa per capire cosa c'è e cosa invece eventualmente manca da una 
parte e dall'altra e magari per creare un'occasione di scambio di buone pratiche.
Nel mio lavoro di ricerca mi sono avvalsa di testi riguardanti il settore d'indagine, 
attraverso i quali ho potuto documentarmi definendo alcuni concetti. La letteratura 
esistente sull'argomento mi ha aiutato soprattutto nella stesura del primo capitolo 
nel quale definisco innanzitutto cosa si intende per adulto in difficoltà , e do una 
definizione delle due parole chiave utilizzate maggiormente nel lavoro con 
quest'utenza, ossia povertà (distinguendo povertà vecchie, nuove ed estreme) ed 
esclusione sociale, delineando anche i passaggi e i fattori che hanno portato 
all'evoluzione trasformazione di tali concetti. Nell'analizzare in particolare il 
concetto di povertà estreme ho dedicato un paragrafo alle persone senza dimora, 
introducendo così la centralità del bisogno abitativo nella mia tesi, e mi sono 
anche soffermata sull'analisi del problema del conteggio dei senza dimora essendo 
uno degli argomenti trattati nelle successive interviste. Nel paragrafo La lotta 
all'esclusione sociale nella normativa di riferimento , introduco invece la parte 
riguardante l'analisi legislativa dell'argomento: sono partita dalle direttive 
contenute nella Legge quadro 328/2000, per poi analizzare nello specifico le due 
normative regionali. La mia analisi e il mio confronto tra la città di Genova e la 
città di Torino partono proprio da lì; analizzerò infatti innanzitutto le disposizioni 
previste dalle due normative regionali di riferimento per poi analizzare gli organi, 
i servizi e gli interventi previsti dall'Ente Locale in risposta ai bisogni di questa 
fascia di popolazione; allargando in fine la visuale verso le altre risorse territoriali 
con cui l'Ente locale collabora, quali le Associazione e Cooperative del Terzo 
settore.
Nella mia indagine mi sono però in realtà avvalsa principalmente dello  strumento 
delle interviste: in particolare ho privilegiato l'utilizzo di interviste semistrutturate, 
caratterizzate dall'ideazione, da parte dell'intervistatore, di uno schema di 
6
domande flessibile e non standardizzato che gli permette di indirizzare il colloquio 
sugli argomenti di suo interesse lasciando comunque ampio spazio alla voce 
dell'intervistato. Ho elaborato diverse tracce di domande a seconda dei soggetti da 
intervistare, seguendo comunque lo stesso schema nell'intervista di 
soggetti/istituzioni simili, in modo da rendere il successivo confronto più 
semplice; le tracce sono inserite in questa diserzione in forma di allegato.
Le interviste sono appunto lo strumento di cui mi sono avvalsa nel reperimento 
delle informazioni contenute nei capitoli due, tre e quattro. Nei primi due le 
interviste erano finalizzate alla conoscenza più o meno approfondita della 
struttura, dell'organizzazione e dei compiti dei servizi scelti, infatti il secondo e il 
terzo capitolo riguardano l'analisi dei servizi dedicati agli adulti in difficoltà delle 
due città; ovviamente non mi è stato possibile conoscere tutta la rete di sevizi 
rivolta a quest'utenza e ho quindi scelto due servizi del Comune e uno del Privato 
sociale, sia per Genova che per Torino,da portare come esempi. Nella stesura dei 
capitoli non ho rispettato l'ordine cronologico con cui ho reperito le informazioni, 
ma ho preferito seguire una logica "dall'alto verso il basso", in particolare per 
quanto riguarda l'Ente pubblico; infatti nel secondo capitolo propongo 
innanzitutto l'analisi della struttura, dell'organizzazione e dei compiti dell'Unità 
Operativa Cittadini Senza Territorio, con particolare riferimento al settore 
dedicato alle persone senza dimora, per poi scendere sul territorio descrivendo 
invece i cd Ambiti Territoriali Sociali, (in particolare l'A.T.S. 46 e l'A.T.S. 42); 
infine riporto l'esperienza dell'Associazione di San Marcellino, in quanto ente del 
privato sociale ed anche in riferimento alla collaborazione tra Comune e privato 
sociale. Nel terzo capitolo invece inizio descrivendo il Servizio Adulti in 
Difficoltà, quale servizio centrale specifico per l'utenza adulta senza dimora, per 
poi passare ad analizzare il lavoro svolto dai Servizi Sociali Territoriali di due 
Circoscrizioni, la numero 2 e la numero 8, mentre l'ultimo paragrafo è dedicato 
alla collaborazione di questi due servizi comunali con una delle Cooperative 
sociale presenti su territorio e attive in questo campo: la Cooperativa Parella.
Nello svolgimento di questi due capitoli mi sono inoltre in parte avvalsa dello 
schema proposto da Rimma Del Vivo nel testo  "L'applicazione del problem 
solving"
1
; Del Vivo sottolinea la necessaria ed indispensabile conoscenza, da parte 
del futuro operatore, dell'impostazione, dell'organizzazione e delle finalità del 
1 R. Del Vivo, L'applicazione del problem solving , Università di Genova, ed. ERSU 2006, Capitolo secondo 7
servizio nel quale poi potrebbe andare a lavorare. Propone quindi uno schema di 
Analisi del Servizio diviso in tre fasi: 
1. Fase Descrittiva, durante la quale è necessario approfondire il quadro 
giuridico-normativo di riferimento (provvedimenti statali, regionali e degli Enti 
Locali), le finalità, le linee programmatiche, l'organizzazione e le risorse del 
servizio (personale, altre risorse presenti sul territorio), ed anche ampiezza 
dell'utenza e condizioni ambientali in cui opera il servizio.
2. Fase Analitica, tramite la quale è possibile addentrarsi maggiormente 
nell'analisi del servizio, e quindi le domande posso riguardare ad esempio il 
funzionamento interno o la qualità dei rapporti sia interni che esterni e con 
l'utenza stessa 3. Fase Valutativa, nella quale appunto si "tirano le somme": sulla base dei 
dati raccolti nelle due fasi precedenti sarà possibile procedere ad una valutazione 
dell'efficacia e dell'efficienza del servizio, individuando gli eventuali nodi 
problematici.
Nel quarto capitolo sono riportati i risultati di interviste svolte con lo scopo di 
rendere quest'indagine il più completa possibile, e attraverso le quali ho 
approfondito alcuni aspetti di mio interesse cercando di chiarirmi così anche 
alcuni dubbi sorti nel primo periodo di ricerca. Ho quindi scelto sei testimoni 
privilegiati, tre per Genova e tre per Torino, cui rivolgere a ciascuno le stesse 
quattro domande inerenti la raccolta dei dati, le problematiche relazionali con 
questo tipo di utenza, la prevalenza o meno di situazioni di emergenza nel lavoro 
quotidiano e la necessità o meno di prevedere una specifica formazione. 
Il quinto ed ultimo è quello delle conclusioni: in cui è contenuta una sintesi dei 
capitoli precedenti ed alcune riflessioni personali sul lavoro svolto.
Tramite questo lavoro è mia intenzione, oltre che fornire una fotografia della rete 
dei servizi presenti nelle città di Genova e di Torino per ciò che concerne l'utenza 
adulta, riflettere sulle scelte che vengono da queste due città effettuate e cercare di 
capire a cosa queste scelte siano legate. 
Inoltre trovo che il confronto sia un'ottima base di crescita e, peccando forse un 
po' di presunzione, spero che questa tesi possa giovare non solo alla mia crescita 
personale ma anche a quella delle due città stesse e che possa essere utilizzata 
come un'ulteriore momento di autovalutazione. 
Nell'affrontare questi argomenti è poi inevitabile fare anche una riflessione in 
8
generale sulla situazione della nostra società, sulle trasformazioni avvenute in 
questi anni, sui disagi e sulle nuove problematiche da esse portate; ho cercato 
quindi di capire come il contrasto alla povertà si colloca oggi dentro le politiche 
pubbliche e come l'umanità in genere risponde e reagisce a realtà che considera 
molto distanti dalla propria, ma che forse poi così tanto distanti non sono.
9
CAPITOLO 1
I Protagonisti e i riferimenti normativi: 1. L'adulto in difficoltà:
Una persona viene considerata adulta nel periodo di vita che va dai 18 ai 64 anni.
2
La figura dell’adulto è presente costantemente nel lavoro degli operatori sociali in 
quanto non va considerato solo l'adulto in quanto tale ma anche in relazione al ruolo 
che sostiene: l'adulto è, o potrebbe essere anche, il figlio o nipote dell’anziano ed è il 
genitore del minore. Nonostante questo la sua importanza e centralità è stata 
riconosciuta solo negli ultimi anni, in particolare con l'emergere e l'aumentare delle 
problematiche di quest'utenza. 
Le richieste che vengono rivolte ai servizi sociali da parte di questa fascia di 
popolazione sono legate genericamente ad un disagio economico, generato ad esempio 
dalla mancanza di un lavoro. Da situazioni come questa, poi, possono generarsi 
ulteriori problematiche legate a difficoltà sociali e relative all'autonomia personale, 
connesse ad esempio alla perdita della casa; il termine tecnico attraverso il quale 
vengono descritte situazioni come questa è multiproblematicità 3
: la presenza di una 
2 Il dato da me riportato si basa più che altro sulla consuetudine poiché cercando sul web e non, non 
sono riuscita trovare una reale definizione dell' "età adulta" e una legittimazione del di questa 
considerazione. Unico riferimento certo è quello giuridico: una persona, al compimento dei 18 anni, 
entra nella maggiore età e acquisisce la capacità di agire, ossia l'idoneità di un soggetto a porre in essere 
atti giuridicamente validi. Anche nel campo del servizio sociale e all'interno delle istituzioni, degli enti e 
delle organizzazioni che se ne occupano, è necessaria una suddivisione in fasce d'età, in modo da 
stabilire dei confini: la cd area adulti rientra appunto nella fascia di età riportata. Nella prassi però 
emergono alcune eccezioni che smentiscono in parte questo dato. La maggior età, in alcuni casi, per 
utenti ad esempio seguiti dal servizio sociale in relazione a un provvedimento del Tribunale per i 
Minorenni, viene fatta "slittare" ai 21 anni; anche i 64 anni sono in realtà solo indicativi poiché tutti i 
servizi da me intervistati affermano di occuparsi di adulti definendo questi ultimi entro il 60esimo anno 
di età, e questo, suppongo, sempre in relazione alla consuetudine che ha portato i servizi a considerare 
una persona come anziana superati i 60 anni di età, ovvero quando iniziano a manifestarsi problematiche 
e bisogni che si avvicinano maggiormente a quelli di un anziano piuttosto che a quelli di un adulto. Altra 
contraddizione è data ad esempio dal fatto che l'erogazione dell'Assistenza domiciliare da parte dei 
Comuni avviene a partire dal 64esimo anno di età, ed anche la stessa Invalidità Civile annovera tra i 
propri requisiti di idoneità, tra gli altri, l'avere 64 anni di età.
3 Il termine nasce e viene usato, nell'ambito delle scienze sociali, in riferimento ai nuclei familiari; la 
famiglia multiproblematica è un nucleo in cui più membri sono portatori di una certa patologia, oppure 
presentano problemi di comportamento e adattamento sociale tali da richiedere l' intervento dei servizi 
sociali e sanitari, il cui intervento è rivolto maggiormente ai minori cresciuti in ambienti a rischio. I 
problemi posso riscontrarsi a livello di coppia genitoriale, a causa ad esempio di un errato svolgimento 
dei ruoli, dovuto spesso alla mancanza di chiari confini generazionali. Si parla di multiproblematicità 
10
problematica ne genera quasi automaticamente delle altre. 
Queste situazioni vengono fatte rientrare nella grande categoria della povertà e 
dell'esclusione sociale; i due termini sono stati coniati in maniera quasi conseguente, 
infatti non sono pensati come fenomeni distinti, ma come realtà convergenti che 
ostacolano la promozione della cittadinanza e quindi della coesione sociale. 
2. Cenni storici sul cambiamento della definizione del 
termine e del fenomeno della  povertà e dell'esclusione 
sociale:
A partire dalla seconda metà degli anni settanta si è sviluppato, nell'ambito delle 
scienze sociali e, più precisamente, della sociologia  intorno alla nozione di povertà un 
acceso dibattito, nel tentativo di ridefinire il quadro in cui tale concetto debba 
iscriversi: le rappresentazioni del fenomeno sono andate via via arricchendosi sempre 
più di nuove suggestioni e rompicapi teorici e i percorsi di ricerca hanno portato ad 
una progressiva erosione della tradizionale unitarietà di questa nozione, attribuendo ad 
esso confini più vasti; si è passati d a una visione statica e solo economica ad una 
dinamica e multidimensionale.
Le situazioni di povertà e miseria, fino agli anni settanta, avevano perso visibilità in 
relazione alla grande fiducia che veniva data alle virtù riparatrici dei sistemi di welfare 
state 4
. L'opinione comune diffusa era quella secondo cui la povertà e la miseria fossero 
condizioni connesse a disuguaglianze e deficit di cittadinanza in termini 
anche nel caso in cui il disagio "forte"(tossicodipendenza , alcolismo , malattia psichiatrica) di un solo 
membro del nucleo, vada a sconvolgere gli schemi della vita familiare nel suo complesso. Le stesse 
condizioni di povertà oppure eventi traumatici, come la perdita del posto di lavoro o di una persona 
cara , potrebbero essere fonte di multiprobematicità. La bibliografia sul tema è molto vasta, in questo 
contesto ho voluto citare il termine in quanto anche nel settore degli adulti in difficoltà la presenza di 
una problematica ne genera quasi automaticamente altre.
4 I sistemi di welfare state nel periodo che va dal secondo dopo guerra alla metà degli anni settanta 
hanno vissuto il loro trentennio glorioso, si parla infatti di fase espansiva. Questi si basavano sul 
presupposto che le spese sociali potessero crescere in modo illimitato e che qualsiasi disfunzione 
(povertà, disoccupazione, vecchiaia...) potesse essere recuperata e riequilibrata in modo automatico dai 
meccanismi di intervento redistributivi della crescente ricchezza. La nozione di povertà era definita 
dagli stessi sistemi di welfare, che la consideravano come uno scarto rispetto allo sviluppo economico 
del paese, e partendo da queste basi il massimo risultato che si aspirava ad ottenere non era tanto il 
miglioramento di singole situazioni individuali, quanto l'uscita dall'area di marginalità dei soggetti e 
l'ampliamento della fascia centrale secondo politiche di redistribuzione della ricchezza.  Veniva quindi 
data una lettura macro del fenomeno, che considerava responsabili dominanti del sorgere di situazioni di 
povertà fenomeni nuovi quali l'industrializzazione, le migrazioni da Sud verso Nord, l'urbanizzazione e 
la conseguente creazione di periferie urbane, lasciando quindi invece da parte aspetti micro-
comportamentali come il tenore di vita dell'individuo e la rete di relazioni in cui esso era inserito .
11
essenzialmente economici, ed i sistemi di welfare state di quel periodo fondavano le 
proprie politiche di "antipovertà" su interventi automatici ed indifferenziati, 
caratterizzati dall'omogeneizzazione dell'accesso ai servizi. Le condizioni 
macroeconomiche a partire dall'inizio degli anni settanta hanno però smentito la 
funzionalità di queste politiche riportando, inoltre, l'attenzione sulle condizioni di 
povertà che ha riacquistato visibilità come social problem 5
, ovvero come fenomeno 
sociale: l'intento è quello di orientare la definizione di questo concetto sulla base di 
approcci maggiormente attenti all'eterogeneità e alla variabilità interna delle situazioni 
di povertà, infatti questo termine non indica più solo una deprivazione nel sottosistema 
delle risorse economiche, ma rinvia genericamente ad un disagio 6
. 
Il termine esclusione sociale nasce proprio come sviluppo ed integrazione al macro-
concetto di povertà; con esclusione sociale si intende la rottura del legame sociale e lo 
scollamento dell'individuo dal suo gruppo di appartenenza. Quindi ancora di più ci si 
discosta dalla mera mancanza di un reddito adeguato, riferendosi invece a situazioni di 
deprivazioni caratterizzate da una dinamicità dei problemi. Sino ad una decina di anni 
fa, il generico rischio d'esclusione sociale veniva circoscritto prevalentemente 
all'interno di fasce di popolazione connotate da deprivazione culturale, da cronica 
dipendenza assistenziale e da manifesta incapacità d'integrazione: aveva infatti preso 
corpo l'idea secondo cui ogni persona è artefice del proprio destino, e che il fenomeno 
fosse quindi riconducibile ad una minoranza in certa misura "meritevole" di trovarsi in 
tale situazione. Oggi l'evoluzione delle situazioni di disagio colpisce la popolazione in 
maniera trasversale, generalizzando e diffondendo la vulnerabilità; attualmente la 
percezione generale è quella di un aggravarsi dell’utenza classica: l'avvento della crisi 
economica e delle sue ricadute su strati sempre più vasti della popolazione ha fatto 
5 M. Bergamaschi, "Contrasto alla povertà e all'esclusione: quale coesione sociale e quale 
cittadinanza?", in G. Costa (a cura di), La solidarietà frammentata. Le leggi regionali sul welfare a 
confronto, Bruno Mondadori, Milano, 2009;  M. Bergamaschi, Ambiente urbano e circuito della 
sopravvivenza, FrancoAngeli, Milano, 1999
Maurizio Bergamaschi, ricercatore presso la Facoltà di Scienze Politiche di Bologna, utilizza questo 
termine in entrambi i testi per rendere l'idea sia degli ampi confini di definizione del termine di povertà, 
utilizzato spesso come unico contenitore di differenti disagi e fragilità, sia per evidenziare che le 
situazioni di povertà non possono essere considerate come qualcosa di marginale, uno scarto, ma sono 
strettamente legate alla struttura delle nostre società: risulta oggi difficile collocare le nuove forme di 
povertà alla periferia della città, poiché esse le attraversano e si collocano al centro dei processi di 
trasformazione sociale. 
6 La dilatazione semantica di questa nozione è legata, secondo Bergamaschi, alla crisi di cittadinanza 
che, tra le altre, a partire dagli anni Ottanta ha modificato la natura delle problematiche e delle richieste 
rivolte ai Servizi Sociali: è la possibilità stessa dell'inclusione dell'individuo nella propria società di 
appartenenza che risulta profondamente compromessa. Tra le diverse situazioni di povertà non vi sono 
differenze di grado e di intensità ma si collocano lungo un continuum di situazioni di deprivazione.
12
riacquisire una certa visibilità al fenomeno.
2.1 Le nuove povertà  e la désaffiliation :
In particolare a partire dagli anni Ottanta, sulla base del fatto che i processi di 
trasformazione in atto sembravano allargare la forbice della disuguaglianza economica, 
ed insieme ad una ormai incrinata fiducia nelle potenzialità di crescita sociale ed 
economica, comincia  a maturare la consapevolezza che la nostra società fosse 
caratterizzata da sempre maggiori limiti allo sviluppo e da situazioni di povertà non 
transitorie ma permanenti: si inizia a parlare di nuove povertà. Queste sono 
caratterizzate da una pluralità di aspetti problematici non identificabili nella sola 
carenza reddituale: alla scarsità di risorse materiali si associano spesso gravi forme di 
emarginazione sociale, problemi di salute fisica e psichica e incapacità di fruire dei 
servizi di welfare. Come nuovi poveri vennero indicati diverse categorie di soggetti 
che incarnavano differenti bisogni ed insoddisfazioni, come anziani soli, 
tossicodipendenti, ex detenuti, immigrati, portatori di handicap, minori a rischio, 
famiglie mono-parentali, giovani in cerca di occupazione, malati di AIDS
7
: ogni forma 
di disagio sociale fu qualificata come nuova povertà, ma se tutto era povertà, niente era 
povertà. Il termine è quindi in continua evoluzione, comprende nel proprio ambito 
svariati tipi di disagi sociali e viene utilizzato per indicare situazioni talvolta del tutto 
eterogenee ma accomunate sotto uno stesso termine.
Maurizio Bergamaschi attribuisce la nascita di questo termine anche al fatto che nelle 
nostre città, oltre ad essere presenti gruppi sociali da sempre marginali ed in situazioni 
di grave deprivazione di beni e risorse con difficoltà di inserimento nel sistema sociale, 
sempre più spesso sono coinvolti in situazione di povertà estrema anche individui che 
si percepivano e venivano considerati interni al sistema. Bergamaschi nell'ambito di 
queste riflessioni, cita il sociologo francese Robert Castel il quale sostiene invece che 
si debba superare il termine di esclusione sociale sostituendolo con quello di 
désaffiliation 8
. 
Durante le mie ricerche bibliografiche sul tema il contributo del sociologo Robert 
Castel mi è parso particolarmente significativo, e ho scelto di dedicare parte di questo 
paragrafo e il successivo alle sue riflessioni.
7 G. Sarpellon, "Povertà, esclusione ed attese di benessere", in P. Guidicini, G. Pieretti, M. Bergamaschi 
(a cura di) L'urbano, le povertà quale Welfare? , FrancoAngeli , Milano, 2000, p.81
8 R. Castel, La metamorfosi della questione sociale. Una cronaca del salariato, Sellino Editore, Avellino, 
2007
13
Egli ha cercato di trovare un filo conduttore e una base comune a quelle situazioni di 
marginalità ed esclusione così diverse le une dalle altre, che vengono comunemente 
riunite sotto il termine di povertà. Castel scrive in merito: "Intendo che un numero 
crescente di individui si staccano dagli ambiti tradizionali di appartenenza, cessando 
di essere ricompresi nelle regole della società primaria. Essi formano così una 
popolazione di fuori status, nel senso che non sono più fissati all'interno dei codici 
riprodotti dalla tradizione e dalla cultura.". Questo neologismo sta ad indicare l'ultima 
tappa di un processo tripartito: integrazione, vulnerabilità e désafilliation sono i tre 
steps che un individuo può percorrere nel corso della propria vita, mutando la propria 
posizione lungo i due assi dell'attività lavorativa e delle relazioni sociali. Il concetto di 
esclusione sociale è sottoposto a dura critica da parte del sociologo francese, proprio 
perché è molto difficile da definire, infatti esso comprende situazioni talmente 
eterogenee da non permettere di analizzarne alcuna. Castel si chiede, ad esempio, quali 
siano le caratteristiche comuni del disoccupato di lunga durata e del senza fissa 
dimora, del tossicodipendente e del giovane che vive in una periferia degradata: 
parlare in termini di esclusione equivale a dare una qualificazione puramente negativa 
del fenomeno dandogli un nome ma senza dire in che cosa consiste e da dove proviene. 
In questa prospettiva il concetto risulta riduttivo poiché contribuisce alla creazione di 
una rappresentazione semplificata delle dinamiche sociali, dove gli individui possono 
collocarsi solo o "dentro" o "fuori", mentre il movimento della destabilizzazione delle 
posizioni acquisite attraversa oggi l'insieme della società e non solo i suoi margini. 
Nella maggior parte dei casi infatti il processo di esclusione coinvolge soggetti che 
hanno conosciuto in precedenza una condizione di equilibrio (integrazione lavorativa 
ed inserimento sociale) e che non erano da nessun punto di vista marginali. Ne "La 
metamorfosi della questione sociale: cronaca del salariato", Castel si dice altresì 
preoccupato dall'emergere e dalla crescita del fenomeno che lui definisce come la 
destabilizzazione degli stabili; attraverso quest'immagine riesce a rendere 
perfettamente l'idea secondo la quale molte delle situazioni che una volta venivano 
catalogate nella marginalità non si trovino più affatto ai margini della società, ma 
abbiano occupato il centro dei dispositivi sociali.
2.1.2 Il rapporto tra insicurezza sociale ed esclusione sociale :
Collegato a questo sentimento di instabilità descritto dal sociologo vi è un altro macro-
concetto da quest'ultimo particolarmente analizzato che è il fenomeno dell' insicurezza 
14
sociale 9
.
"L'insicurezza sociale," scrive Castel "non nutre sola la povertà. Essa agisce proprio 
come un principio di demoralizzazione, di dissociazione sociale, alla stregua di un 
virus che impregna la vita quotidiana, dissolve i legami sociali e mina le strutture 
psichiche degli individui" . Quindi è con i l verificarsi di uno strappo, quale 
semplicemente la perdita del lavoro o un lutto o ancora un divorzio o una malattia, che, 
sommato ad una fragilità e una incapacità di riemergere da una situazione di disagio, si 
genera nella persona un senso di insicurezza. Cruciale all'interno di questo testo è 
anche la mancanza di un sentimento di protezione: "Essere protetto significa essere al 
riparo dalle peripezie che rischiano di degradare lo stato sociale di un individuo. Il 
senso di insicurezza è dunque la consapevolezza di essere alla mercè di questi 
avvenimenti. Per esempio l'incapacità di guadagnarsi da vivere lavorando - che sia 
dovuta alla malattia, ad un infortunio, alla disoccupazione o alla cessazione 
dell'attività lavorativa per limiti di età - rimette in questione il registro 
dell'appartenenza sociale dell'individuo che traeva dal salario i mezzi del suo 
sostentamento, rendendolo incapace di governare la sua esistenza a partire dalle 
proprie risorse. [...] Se non si è assicurati contro questi imprevisti si vive 
nell'insicurezza sociale. Si tratta di un'esperienza secolare che è stata condivisa dalla 
maggior parte di quello che una volta si chiamava popolo" . 
Castel prosegue nel testo portando avanti una serie di riflessioni attraverso le quali 
ripercorre storicamente le varie fasi di espansione e sviluppo e di successiva crisi dello 
Stato sociale, chiamata dal sociologo modernità organizzata . La crisi dei sistemi di 
welfare state avvenuta, all'incirca in tutta Europa a partire dalla seconda metà degli 
anni settanta, ha avuto un ruolo dominante nell'emersione o riemersione 
dell'insicurezza sociale. L'analisi portata avanti da Castel è prettamente economica e 
legata principalmente ai meccanismi che regolano il mercato del lavoro: se in un primo 
momento si era tentato di fronteggiare il problema dell'insicurezza sociale attraverso la 
creazione di gruppi professionali omogenei, dagli anni settanta si assiste ad un 
inversione di rotta con una messa in mobilità generalizzata dei rapporti di lavoro che 
reindirizza verso una decollettivizzazione, reindividualizzazione e aumento 
dell'insicurezza sociale. Si ritorna a parlare quindi anche di esclusione sociale, che 
viene affrontata da Castel in questi termini: "Gli esclusi non sono collettivi, ma 
collezione di individui, i quali non hanno in comune nient'altro che la condivisione di 
9 R.Castel, L'insicurezza sociale. Che cosa significa essere protetti? , Gli Struzzi, Torino 2004
15
una stessa mancanza. [...] identificare ad esempio, all'interno dello stesso paradigma 
dell'esclusione sociale, il disoccupato di lunga durata e il giovane di periferia in cerca 
di un probabile impiego, significa rischiare di non prendere in considerazione il fatto 
che essi non hanno né lo stesso passato, né lo stesso presente, né lo stesso avvenire, e 
che i loro percorsi sono totalmente diversi." ; se oggi si può parlare di un riemergere 
dell'insicurezza sociale, è in larga misura perché esistono frange di popolazione ormai 
convinte di essere state lasciate ai margini del percorso, incapaci di controllare il loro 
futuro in un mondo sempre più segnato dal cambiamento. Infatti se per non correre il 
rischio di una morte sociale è oggi necessario giocare secondo le regole del 
cambiamento, della mobilità, dell'adattamento permanente, del riciclaggio incessante, è 
evidente che certe categorie sociali non sono ben attrezzate per far fronte a questi 
cambiamenti e trasformazioni. 
Questa "minaccia", coinvolge frange di popolazione sempre più ampie, le categorie 
sociali più colpite non sono più quelle della classe contadina, del piccolo commercio o 
del lavoro autonomo alla vecchia maniera, ma sono quelle di gruppi che hanno 
occupato o avrebbero potuto occupare una posizione centrale nella società industriale. 
Vengono quindi alla luce i limiti dei sistemi di welfare state che sono chiamati a fare i 
conti con i mutamenti strutturali dell’organizzazione capitalistica e con le accresciute 
aspettative di protezione verso lo Stato: l’individuo diventa al tempo stesso fragile ed 
esigente, poiché è abituato alla sicurezza ed è roso dalla paura di perderla. Castel 
infatti parla di guasto nei sistemi di protezione, che all'interno della società salariale si 
erano sviluppati sulla base di condizioni lavorative stabili 10 
e secondo lui una maggior 
sicurezza è possibile solo nell’ambito di politiche pubbliche e collettive, pena 
l’accentuazione delle disuguaglianze e della marginalità, che quando investono figure 
sociali già a rischio di esclusione danno luogo al riemergere delle classi pericolose e 
con esse lo slittamento della questione della sicurezza dal piano sociale a quello 
dell’ordine pubblico. 
Diversi sono quindi i fattori che portano l'individuo a trovarsi in una condizione di 
povertà e di esclusione: la difficoltà economica, l'insicurezza sul futuro, il danno che 
questo causa nelle relazioni tra le persone, e come queste tre cose si combinano 
vicendevolmente. L'utenza che si rivolge ai servizi non è quindi più un'utenza definita 
da una mancanza specifica, ma caratterizzata, appunto, da una multidimensionalità; i 
sociologi parlano di zona o fascia "grigia" per indicare quella fascia di popolazione 
10R. Castel, L'insicurezza sociale. Cosa significa essere protetti , pp. 52-53
16
caratterizzata dalla presenza di queste tre dimensioni: disuguaglianza, povertà ed 
esclusione sociale, combinate insieme. Famiglie intere vivono con sempre maggiori 
difficoltà, non solo economiche ma anche relazionali. Le problematiche legate 
all’esclusione sociale investono il ruolo del Welfare State nella ricerca di interventi atti 
a favorire il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini; di fatto però il Welfare 
State non risulta sempre adeguato ad affrontare i cambiamenti che sono in atto nella 
nostra società: le trasformazioni degli ultimi decenni hanno creato problematiche che 
non possono essere risolte con interventi soltanto economici, ma credo siano 
necessarie politiche sociali con obiettivi di ricostruzione dei processi relazionali ed 
incentrate sul recupero del valore di comunità, inteso come risorsa. Sulla base di 
queste premesse l'organizzazione categoriale e settoriale dei moderni sistemi di welfare 
può essere anche di ostacolo: non si può affrontare un problema alla volta, inviando la 
persona da un servizio all'altro. In un periodo come questo, caratterizzato da una forte 
e sentita crisi in quasi tutti gli ambiti, è necessaria una propensione ed adattabilità 
verso risposte/soluzioni sempre più innovative, a maggior ragione in un ambito come 
quello del Servizio Sociale.
2.2 Le povertà estreme:
Tra le diverse situazioni di povertà possono riscontrarsi delle diversità di grado e di 
intensità: non vi è una vera e propria discontinuità tra le diverse situazioni, ma come 
già detto, esse si collocano lungo un continuum di situazioni di deprivazione; per porre 
in risalto la multidimensionalità delle nuove forme di deprivazione urbana, ferma 
restando la centralità della questione economica, sono state rinvenute all'interno 
dell'arcipelago della povertà, situazioni che sono state definite di povertà estrema. La 
Commissione di indagine sulle povertà e l'emarginazione nel suo "Secondo rapporto 
sulle povertà in Italia"
11
 definisce la povertà estrema come: "la condizione umana nella 
quale la grave insufficienza di reddito economico si abbina ad una serie di elementi 
negativi, tra loro correlati, quali la mancanza di salute, di famiglia, di lavoro, di casa, 
di conoscenza, di sicurezza che collocano di fatto la persona ai margini della società e 
11 Commissione d'indagine sulle povertà e l'emarginazione, Secondo rapporto sulle povertà in Italia , 
FrancoAngeli, Milano, 1992
La Commissione di Indagine sull'Esclusione Sociale (CIES) è stata istituita dall'articolo 27 della legge 8 
novembre 2000, n. 328, e ha il compito di effettuare, anche in collegamento con analoghe iniziative 
nell'ambito dell'Unione europea, le ricerche e le rilevazioni occorrenti per indagini sulla povertà e 
sull'emarginazione in Italia, di promuoverne la conoscenza nelle istituzioni e nell'opinione pubblica, di 
formulare proposte per rimuoverne le cause e le conseguenze, di promuovere valutazioni sull'effetto dei 
fenomeni di esclusione sociale.
17