6
distanza” come dell’inclinazione del pubblico a sentire di conoscere i personaggi dello 
spettacolo, ricercare informazioni su di essi e percepirli quasi come degli amici. Da 
questa necessità di attaccamento intimo con i personaggi televisivi nasce il bisogno 
d’identificarsi con essi. 
Le celebrità dei media offrono, a questa identificazione, una varietà di possibili 
modi di essere che suscitano nei giovani un desiderio di nuove esperienze tutte da 
sperimentare e presentano modelli che rispecchiano come pensare e sentirsi in varie 
circostanze, ecco perché molto spesso i ragazzi imitano il modo di vestire, di 
presentarsi, di gesticolare e di fare dei personaggi di successo. Le star arrivano a fornire 
materiale culturale importante per lo sviluppo dell’identità di genere e formano valori, 
credenze e copioni sessuali e affettivi che vengono appresi dai ragazzi/e (Giles, Maltby, 
2004). L’attrazione-seduzione per il modello, risulta, perciò, avere una forte risonanza 
emotiva nel processo di crescita dei soggetti e li spinge ad esercitare un controllo sulla 
condotta e sull’immagine di sé.  
In virtù di questo, il lavoro si propone, tramite un diario di bordo e un 
questionario, di valutare quanto e come i modelli televisivi in particolare, possano 
esercitare un’influenza significativa sull’organizzazione del proprio sé in ogni 
preadolescente. Indicatori importanti per lo sviluppo dei giovani e la propria 
presentazione sono stati valutati, nella presente ricerca, tramite uno strumento di misura 
ben preciso, l’MPr, una scala di autopresentazione di D’Alessio, Laghi e Pallini (2004). 
Essa riprende un po’ la tradizione proposta da Snyder (1974) che si occupa della 
capacità di ognuno di controllare e modificare la propria presentazione assumendo un 
comportamento variabile in funzione delle situazioni. A differenza di quest’ultima però, 
l’MPr include soprattutto la valutazione di aspetti non verbali quali postura, 
atteggiamenti corporei, abbigliamento che riflettono l’importanza che essa attribuisce 
all’accettazione e alla modulazione di un’immagine di sé corporea e sociale.  
L’autopresentazione si rivela utile per lo studio dei preadolescenti, perché è 
incentivando nei ragazzi/e una presentazione della propria impressione che si ha la 
possibilità di identificarne immagini guida, proiezioni e sentimenti che caratterizzano il 
loro progetto di vita futuro. Individuando gli standard culturali, molti dei quali sono 
presentati dalla TV nei modelli, è possibile perciò valutare se essi vengono riproposti 
dal giovane nella sua gestione delle impressioni e quanto condizionano la sua 
immagine.  
 7
L’autopresentazione risente del contesto socio-culturale di appartenenza, per 
questo abbiamo utilizzato nella ricerca due campioni di due rispettive zone d’Italia, al 
fine di capire se una condizione culturale diversa e opportunità ambientali varie 
arrechino o meno un’ulteriore influenza sul determinarsi dell’identità, in concomitanza 
con i modelli televisivi. L’importanza del contesto socio-demografico in cui cresce il 
soggetto, quindi, incide o meno sull’identificazione con il modello? E’ uno dei quesiti 
che considereremo nel nostro lavoro. 
La televisione e l’importanza che essa attribuisce alle celebrità arricchisce di 
tanto la vita dei preadolescenti e il susseguirsi d’immagini e movimento che fornisce, 
dà, in qualche modo, ai giovani l’illusione di soddisfare le proprie esigenze e i propri 
bisogni; gli stimoli e i modelli che essa presenta portano i preadolescenti a prenderne 
spunto per colmare il senso d’incertezza che avvertono nel loro processo di crescita e 
diventano parte importante del loro mondo per il processo di costruzione dell’identità. 
 8
CAPITOLO 1 
 
 
PREADOLESCENZA E COSTRUZIONE DELL’IDENTITA’ 
 
 
                                                                                    “Non sono quello che dovrei essere 
                                                                     e neanche quello che ho intenzione di essere 
                                                                            però non sono più quello che ero prima” 
                                                                                                           H. W. Maier, 1980 
  
  
L’identità è un processo in continuo divenire che si costruisce nell’arco del 
ciclo di vita. Essa costituisce il criterio mediante il quale il soggetto può fare scelte 
responsabili e coerenti in riferimento al proprio impegno nel mondo sociale (Palmonari, 
2001). L’individuo è portato a sperimentare continuità, integrità e unitarietà di sé anche 
di fronte ai cambiamenti posti dalle condizioni storico-culturali-sociali come risultato di 
un lento e progressivo processo di crescita personale e sociale e di scoperta delle proprie 
caratteristiche, attitudini e capacità. 
Per arrivare ad una stabilità nella definizione di un concetto di sé l’individuo è 
portato ad affrontare e superare diversi compiti evolutivi, molti dei quali fanno parte del 
processo di formazione adolescenziale (Confalonieri, 2005). Nel presente lavoro si 
prenderà in considerazione esattamente la fase iniziale dell’adolescenza, quale la 
preadolescenza, segnalata come l’età più ricca di cambiamenti sia fisici sia psicologici, 
necessari per il passaggio dal periodo infantile a quello adulto e fondamentali nel 
processo di costruzione dell’identità. Durante questo periodo l’individuo vive una fase 
particolarmente favorevole nell’avviarsi ad una presa di coscienza di sé e nell’assumere 
posizioni più definite nell’ambiente. I giovani sono responsabili del produrre una vera e 
propria cultura, condividendo un certo linguaggio, un modo particolare di vestirsi e 
gestire il proprio corpo, preferenze queste che derivano molto spesso dall’influenza dei 
 9
mass media (Confalonieri, 2005); l’ambiente esterno infatti offre fin dall’infanzia un 
grande accrescimento di stimoli e proprio i mass media scaricano “un’offerta 
comunicativa” di grande rilevanza sia a livello quantitativo che qualitativo per i 
preadolescenti: si tratta di una massa di messaggi e informazioni di gran lunga superiori 
a quelle fornite dalla famiglia o dal sistema scolastico e spesso dissonante, nel senso di 
diversa, rispetto al sistema valoriale entro cui agisce (De Pieri, Tonolo, 1990) . I mass-
media  forniscono inoltre modelli identificativi che i preadolescenti in particolare,  
utilizzano nel determinare una ridefinizione della propria identità, come esigenza di 
riconoscersi in sé stessi sul doppio versante non solo dell’immagine propria ma anche 
sociale. 
  
 
1.1 Preadolescenza: origini e definizioni 
 
La fase del ciclo di vita compresa fra gli 11 e i 18 anni  in cui l’individuo 
acquisisce le competenze necessarie per assumere le responsabilità di adulto, è definita 
adolescenza. Nel nostro tipo di cultura esiste una duplice fase nell’arco di questo 
periodo cronologico. A precedere l’adolescenza vera e propria c’è pertanto una 
preadolescenza, considerata come transizione e periodo a sé che si estende all’incirca 
dai 10 ai 14 anni. 
La preadolescenza è esattamente una fase dai confini indeterminati 
caratterizzata da un succedersi rapido di cambiamenti in ogni campo; è in questo 
periodo infatti che si realizzano modifiche di caratteristiche corporee, competenze, 
rappresentazioni, percezioni di sé nel soggetto, che troveranno poi il loro acuirsi nella 
fase adolescenziale, per giungere a maturare un insieme intenso di processi psicosociali 
e una formazione dell’identità. Tutte le trasformazioni che si verificano in tale periodo 
non sono definite come cambiamento quantitativo bensì qualitativo: crescere per 
trasformarsi in adulto significa, infatti, lasciare dietro di sé parte di ciò che ha costituito 
il bambino e diventare per molti aspetti qualcun altro (Maggiolini, Charmet, 2004).  
La vita del preadolescente viene paragonata ad un guscio che si rompe: se negli 
anni dell’infanzia il fanciullo vive nell’involucro protettivo dell’obbedienza ai genitori e 
ai grandi, con i cambiamenti radicali nella preadolescenza, lo spazio che prima gli era 
vitale e rassicurante, pian piano gli diventa stretto e opprimente e sente l’esigenza di 
uscirne tentando la sua scoperta del mondo e di sé stesso (De Pieri, Tonolo, 1990).  
 10
La fase della preadolescenza viene definita come il periodo dell’identità più 
cercata perché il  ragazzo/a tende a compiere, in essa, una verifica più attiva rispetto al 
passato, circa sé stesso. Volendo sperimentarsi, fa una sorta di assaggi circa le sue 
capacità fisiche o psicologiche; mette a confronto le sue abilità con quelle degli altri e 
stabilisce dei nessi intelligenti tra le proprie risorse e il raggiungimento di qualche 
obiettivo. Egli solitamente predilige come modalità di sperimentazione, situazioni 
indirette mediate dall’agire quali giocare, uscire, vivere in compagnia dei coetanei 
(Tonolo, 1999). 
De Pieri e Tonolo (1990) definiscono la preadolescenza come una fase di 
transizione specifica considerata “l’età delle grandi migrazioni” in quanto l’individuo si 
stacca dal proprio corpo infantile, prendendo le distanze dalla famiglia e orientandosi di 
più verso il gruppo dei pari; passa dalla logica delle operazioni concrete a quella 
formale; ridefinisce la propria appartenenza scolastica e la propria religiosità; avvia, nel 
complesso, la rielaborazione della propria identità personale e sociale (Palmonari, 
2002). 
Damon e Hart (1988) la riconoscono come momento cruciale nel passaggio 
verso forme di descrizione e conoscenza di sé in cui viene valorizzata la dimensione 
delle relazioni con gli altri, soprattutto gli aspetti esperenziali e soggettivi del sé 
(Secchiaroli, Mancini, 1996).           
Le origini del termine preadolescenza risalgono alla psicanalisi e in particolar 
modo agli psicologi dell’Io. Tra di essi si ricorda in particolare Anna Freud che aveva 
trattato, con maggiore rilevanza, questa fascia di età. Gli psicanalisti s’interessarono 
della preadolescenza in relazione all’emergere, nell’individuo, di pulsioni, fino ad allora 
latenti, che avevano la funzione di portare il soggetto a consapevolezza del proprio io 
corporeo e a modificare i suoi rapporti relazionali (De Pieri, Tonolo, 1990). Questo 
portava la tradizione a stigmatizzare il preadolescente come un soggetto intrappolato nel 
proprio corpo goffo e nell’impeto della propria carica ormonale; si trattava di 
un’immagine stereotipata che creava problemi nel campo della ricerca e 
dell’educazione. Successivamente la visione della preadolescenza divenne più sfumata e 
meno rigida, tanto da considerare l’età, non solo come un periodo di cambiamenti 
drammatici, ma anche di nuove possibilità di crescita. 
Oggigiorno la prospettiva sociologica e psicosociale configura la 
preadolescenza come un momento evolutivo definito, soggetto alle trasformazioni della 
società in cui viviamo. Da qui si evidenzia il passaggio da un modello stage-oriented in 
 11
cui il periodo è rappresentato come caratterizzato da stadi di sviluppo invariati e 
universali, ad un modello process-oriented in cui ci si concentra sullo studio delle 
interazioni tra individuo e contesto, a partire dallo specifico ambito storico-sociale in 
cui esse sono inserite (Petersen, Silbereisen, Sorensen, 1996).  
Nel complesso le ipotesi riguardo la preadolescenza la definiscono oggi come 
un periodo di sviluppo unico e caratteristico, un itinerario evolutivo in cui il percorso di 
ogni ragazzo/a viene considerato assolutamente individuale, sottolineando però che, 
nell’ambito di questo percorso, tutte le esperienze preadolescenziali, come pure di altre 
fasi di crescita, hanno di base alcuni aspetti vitali, comuni e tipici. Vi sono cioè, dei 
compiti di sviluppo, degli impegni che ogni individuo, pur nell’unicità del suo percorso, 
deve sostanzialmente affrontare per raggiungere una certa stabilità e coerenza personale.   
 
 
1.2 Concetti e tipi di compiti di sviluppo in preadolescenza 
 
Un compito di sviluppo è un compito che emerge in un certo momento nella 
vita dell’individuo e che ha finalità maturative fondamentali nel processo di crescita. 
Nonostante essi non siano fissi ma si caratterizzino in relazione alla società di 
appartenenza, al sesso, alle condizioni di ciascuno, sono una sorta di passaggio 
obbligato che richiede un notevole dispendio di energie emotive, intellettuali e morali 
per ognuno, con differenza di risoluzione di essi. L’esito positivo nella realizzazione di 
ciascun compito consente il raggiungimento della felicità, del successo e della maturità 
dell’individuo stesso; l’esito negativo invece implica fallimento e quindi infelicità, 
disapprovazione da parte della società e l’emergere di difficoltà nella realizzazione dei 
compiti successivi. Un buon esito è fondamentale per consentire all’individuo di 
superare la fase che sta vivendo per avviarsi in quella successiva.  
Il concetto riguardante i compiti di sviluppo ha origine per opera di Robert 
Havighurst (1972), uno dei massimi esponenti della psicologia dello sviluppo e della 
personalità. Secondo la sua concezione tutta la vita dell’individuo sarebbe costellata da 
una successione di compiti da risolvere nei  momenti più opportuni, si tratta di una sorta 
di richieste a cui gli individui devono rispondere nei momenti di crescita secondo tempi 
prestabiliti, sia sul piano biofisiologico, sia in quanto appartenenti a una determinata 
cultura e collocati in certe posizioni all’interno della società (Palmonari, 2001). Così 
 12
nell’infanzia esistono determinati compiti, come imparare a camminare e a parlare, i cui 
tempi sono determinati biologicamente.  
Oltre ai compiti di sviluppo richiesti in ambito biologico, Havighurst (1972) ne 
ha evidenziato altri di natura socioculturale, come la capacità di acquisire competenze 
comunicative specifiche o di assumere precise competenze sociali in momenti 
prestabiliti nel corso della vita che si maturano tutte in funzione di pressioni culturali. A 
riferimento di ciò prendiamo in considerazione la psicologia sociale che studia lo 
sviluppo come un processo psicosociale che, realizzandosi sempre e comunque in un 
contesto, riflette, a riguardo di origini ed esiti, un complesso gioco di interazioni tra 
componenti personali e socio-culturali. L’individuo quindi si struttura in funzione 
dell’interazione che ha con il contesto culturale di appartenenza e alcuni suoi compiti di 
sviluppo sono propri della cultura in cui vive (Palmonari, 2001). 
Secondo Havighurst (1972), quindi, i compiti di sviluppo derivano per 
l’esattezza da tre fonti quali la maturazione biologica, la pressione e le norme sociali, e 
la scelta personale; si nota come, nel periodo preadolescenziale, la maggior parte dei 
compiti evolutivi sono richieste della società e aspirazioni personali (Léonie, 2003). 
Ci occuperemo in particolare dei compiti di sviluppo preadolescenziali, proprio 
per la loro estrema importanza nella maturazione e organizzazione del sé, classificati in 
tre ambiti: 
- l’ambito corporeo e quindi le trasformazioni puberali e lo sviluppo fisico, 
al fine di giungere a una ristrutturazione dell’identità corporea messa in 
crisi appunto da tali cambiamenti puberali; 
- differenziazione e autonomizzazione dal contesto familiare e apertura a 
nuove forme di socialità tra le quali il mondo dei coetanei, quindi sviluppo 
relazionale; 
- cambiamenti cognitivi caratterizzati dall’emergere di nuove potenzialità di 
pensiero e dall’abilità di riflettere sulle proprie idee. 
Dall’insieme di tutto questo deriva uno dei principali compiti di sviluppo, quale la 
costruzione dell’identità che ci è data da un processo dinamico di interazione della 
dimensione del corpo, della personalità e della propria storia. 
Secondo la teoria focale di Coleman (1983) i compiti di sviluppo di questo 
periodo non si presentano tutti contemporaneamente ma seguono una scansione 
temporale che può differenziarsi da individuo a individuo. Questo giustificherebbe le 
diverse modalità con cui i compiti di sviluppo possono essere risolti, raggiungendo 
 13
risultati gratificanti o meno a seconda dei soggetti (Palmonari, 2002). Qui di seguito si 
dà una descrizione più dettagliata delle caratteristiche globalmente comuni tra i 
preadolescenti che, pur diversificandosi tra loro per alcuni tratti evolutivi, rispondono 
tutti, o almeno dovrebbero, alla realizzazione dei compiti di sviluppo rispettivi della 
loro età. 
 
 
1.2.1  Lo sviluppo della  pubertà 
 
In ordine di tempo il primo compito evolutivo che il preadolescente si trova ad 
affrontare, responsabile di buona parte dell’ambivalenza di cui si connota tale età, è la 
costruzione dell’immagine mentale del proprio corpo. Abbiamo, negli anni della 
preadolescenza, trasformazioni biologiche che segnano l’ingresso, per il giovane, nella 
cosiddetta pubertà  e costituiscono la principale fonte di preoccupazione e interesse. I 
cambiamenti fisici che si realizzano, molto spesso, sono inaspettati per un ragazzo/a o 
una ragazza perché si è, in questa età, ancora legati a rappresentazioni del corpo infantili 
e si avverte come la sensazione di non avere alcun controllo su tutto ciò che di nuovo 
riguarda il proprio fisico (Confalonieri, 2005). Essi percepiscono che qualcosa sfugge 
loro di mano, sentono di dover affrontare una revisione della propria immagine 
corporea, ma avvertono una profonda inquietudine legata al fatto di non conoscere 
l’esito di tale processo. A tale stato di incertezza si aggiungono inoltre preoccupazioni 
connesse al bisogno di approvazione da parte degli altri significativi. Tutto questo si va 
a sommare alle innumerevoli situazioni di conflitto che determinano la crisi nella 
costruzione dell’identità. 
La trasformazione puberale si compie nel corpo e si verifica, intorno ai 12-13 
anni, quello che viene definito “scatto di crescita”: si tratta di una crescita fisica 
improvvisa rispetto al normale ritmo di crescita che si è realizzato fino ad allora nel 
soggetto. Essa riguarda l’altezza, il peso, lo sviluppo degli organi genitali e dei vari 
tessuti corporei; si hanno inoltre la comparsa di caratteri sessuali secondari che 
contribuiscono notevolmente a definire l’identità corporea di genere. Questa 
accelerazione nella crescita è della durata iniziale di circa due anni, giusto il periodo 
corrispondente alla fase preadolescenziale e ad essa segue una fase di decelerazione 
caratterizzata da una crescita costante ma meno rapida (Palmonari, 2001). 
 14
Questi cambiamenti suscitano nel giovane l’impressione che venga meno una 
certa idea del proprio corpo inteso come sede di attività motorie ed espressive di cui si 
sentiva assolutamente sicuro nell’infanzia e che costituiva per lui un punto di 
riferimento stabile. Nasce nel fanciullo una sensazione di fisicità eccessiva quasi come 
se il limite corporeo, vissuto fino ad allora, svanisse, determinando un momentaneo 
rifiuto dell’immagine di sé nell’attesa di una ridefinizione dell’identità corporea. Si crea 
uno squilibrio tra la maturità corporea conseguita e un’immaturità psichica. In effetti 
l’acquisizione di una identità corporea adulta è il risultato di uno sviluppo, non solo 
fisico, ma anche cognitivo, relazionale e affettivo che nel periodo preadolescenziale 
risulta ancora in fieri. Si tratta di arrivare a una corrispondente mentalizzazione del 
corpo e, in questo periodo, il preadolescente coglie una distonia fra mente e corpo 
vivendo in modo esagerato i segnali corporei e utilizzando inadeguate modalità di 
lettura nella percezione dei suoi stati fisici (Confalonieri, 2005). 
Gli effetti che i cambiamenti corporei hanno sui preadolescenti implicano 
anche reazioni soggettive a livello psicologico. E’ il caso per esempio di situazioni di 
dismorfofobia che non si verificano obbligatoriamente ma con una buona probabilità e 
comportano preoccupazioni e sofferenze spesso taciute nei giovani. La difficoltà di 
comprendere modifiche in atto a livello fisico determina molto spesso proiezioni sul 
corpo d’immagini distorte e anomale che solitamente scompaiono col procedere dello 
sviluppo; il preadolescente, verso la sua fase finale in cui inizia a interessarsi 
dell’aspetto estetico nella conoscenza di sé, può essere insoddisfatto del proprio corpo e 
di come sta mutando, desiderando di cambiarne uno o più aspetti nonostante sia 
consapevole dell’impossibilità di farlo e tutto questo incide sulla stima di sé. Sarà solo 
dopo aver oscillato fra un corpo ora troppo grande ora troppo piccolo che egli troverà la 
propria dimensione corporea e fisica, grazie anche allo specchio offerto dagli sguardi 
altrui (Confalonieri, 2005).  
Ulteriore aspetto importante nello sviluppo è dato dal fattore culturale, dai 
differenti modi in cui la corporeità in generale viene vissuta nella cultura di 
appartenenza e usata dai mezzi tecnologici e comunicativi. Da qui l’importanza dei 
messaggi che investono, a livello mass-mediale, i preadolescenti e che propongono 
un’immagine del corpo, che dovrebbe riflettere l’identità della persona, dei suoi valori e 
delle sue appartenenze sociali, offrendo personaggi e ruoli su cui rispecchiarsi e 
 15
determinando, di riflesso, effetti pervasivi su comportamenti, atteggiamenti e decisioni 
di vita. 
Connesso allo sviluppo fisico è il discorso relativo alla maturazione di 
un’identità di genere. E’ in effetti proprio nella prima adolescenza che si ha 
un’intensificarsi delle condotte di genere con l’espressione di interessi e aspirazioni 
relativi. Il ragazzo/a, in funzione dei suoi cambiamenti corporei e delle influenze sociali 
particolarmente forti in questa fase del ciclo di vita, è portato a ridefinire il proprio 
ruolo in termini sessuati e ad adottare comportamenti rilevatori della propria 
individualità maschile o femminile rientrando così in uno specifico stereotipo: l’impatto 
delle trasformazioni fisiche deve trovare un senso di continuità e stabilità di sé 
nonostante il variare del proprio aspetto. E’ quindi il raggiungimento di un’identità di 
genere non confusiva un compito evolutivo importante in questo periodo, spesso origine 
di ambivalenze irrisolte (Confalonieri, 2005). 
Dall’importanza che si attribuisce al corpo, inteso sessualmente, nasce un 
ulteriore confronto, che vive il preadolescente, in riferimento a una doppia  percezione 
di esso: quello della prima infanzia, angelico e familiare; e il corpo pubere, nuovo, 
sessuale, non familiare, diverso tutti i giorni, non rappresentabile perché luogo di vissuti 
sconosciuti (Maggiolini, Charmet, 2004). 
Si ha quindi la necessità di unificare questi due corpi, infantile e adulto 
raggiungendo una rispettiva maturazione sessuale, oltre alla suddetta necessità 
d’integrazione mente-corpo. Tutto ciò risulta fondamentale per portare a termine il 
compito di sviluppo relativo ai cambiamenti fisici. Si arriverà così a costruire, dopo un 
lungo periodo di familiarizzazione col proprio corpo, una buona rappresentazione 
mentale di sé compresa e  controllata opportunamente. 
Parallelamente alla crescita fisica dell’organismo s’intravede lo sviluppo della 
motricità: è questa l’età più caratteristica in cui inizia il divertimento nel praticare i 
diversi sports in relazione al bisogno fondamentale tipico, che esplode nella 
preadolescenza, di soddisfare il movimento. Tale bisogno è importante che venga 
appagato in quanto risponde all’esigenza di combattere i pericoli della vita sedentaria e 
soprattutto favorisce un armonico e integrale sviluppo della personalità: il ragazzo/a 
esce da sé e si rivolge, con progressivi assestamenti, all’altro e all’ambiente circostante 
proprio attraverso attività ludico-motorio e molto spesso l’”esplosione motoria”, legata 
allo sviluppo puberale, gli crea tensione e lo porta a un’immediatezza istintuale che si 
riduce a vuota scarica di energie fisiche ed emotive (De Pieri, Tonolo, 1990). I giochi di 
 16
movimento riescono, nella preadolecenza, ad assolvere diverse funzioni: innanzitutto 
consentono di esprimere energie organiche; danno al ragazzo/a la possibilità di 
affermare sé stesso e la propria personalità come desiderio di prestigio e di dominio 
sugli altri; anche l’aggressività, positiva o negativa che sia, ha occasione di 
manifestarsi; infine molto importante per questa fase è l’inserimento sociale come 
espressione di un’allargamento dei confini relazionali e l’emergere di una 
socializzazione secondaria a quella familiare, con ricerca di contatto negli altri e 
desiderio di entrare a far parte di un gruppo, cosa che col gioco di movimento ha la sua 
piena realizzazione. L’attrattiva per il gioco, lo sport e l’esigenza di muoversi 
nell’ambito dello spazio fisico avvia il preadolescente all’emancipazione e 
all’autonomia; l’erompente vitalità psico-motoria e la conquista di una più ampia 
territorialità, costituisce una modalità nuova di proiettarsi all’esterno, di vivere la 
propria corporeità e la propria relazionalità e di esprimere sé stessi. (De Pieri, Tonolo, 
1990).      
 
 
1.2.2 Lo sviluppo relazionale e affettivo: il raggiungimento della differenziazione del sé 
 
In riferimento alla costruzione dell’identità in preadolescenza, si è fin qui  
considerato soltanto lo sviluppo fisico, ma tale periodo è caratterizzato anche e 
soprattutto da un notevole sviluppo socio-emotivo tant’è che la richiesta di spazi fisici, 
poco compromettente e conciliante il bisogno di sicurezza interiore e di espansione 
esteriore propria del preadolescente, consente la soddisfazione non soltanto dei bisogni 
psico-motori ma anche e soprattutto di quelli affettivi e relazionali nell’incontro con gli 
altri. A partire dai 12 anni la maggior parte dei preadolescenti possiede, un’articolata 
comprensione delle emozioni, tra cui la conoscenza della loro natura, delle loro cause e 
della possibilità di regolarle e la consapevolezza di tutte quante le emozioni proprie ed 
altrui, miste, di base e sociali
1
. Gli affetti  vengono vissuti, spesso, dai ragazzi di questa 
età, in modo esagerato e molto confuso e incidono perciò parecchio sulla definizione del 
sé. I preadolescenti sono sottoposti ad innumerevoli oscillazioni di umore, ampie e 
                                                 
1
 Riguardo la natura delle emozioni si distinguono quelle di base quali la felicità, la collera, la tristezza, la 
paura, come forme più elementari; le emozioni complesse e sociali quali la vergogna, l’imbarazzo, la 
colpa, l’orgoglio, la gelosia, l’invidia, etc. collegate a ruoli sociali e infine l’esistenza di emozioni miste 
che prevedono la co-presenza di emozioni di diversa valenza (Confalonieri, 2005). 
   
 17
continue, che svolgono una funzione di segnale per la valutazione del funzionamento 
dell’io. Una modalità che essi utilizzano parecchio per difendersi dalle emozioni morali 
a valenza negativa viene presentata da Bandura con il nome di “disimpegno morale” 
(Confalonieri, 2005). Egli ritiene che dalla colpa o dalla vergogna il soggetto si difenda 
tramite dei meccanismi, quali la giustificazione morale, l’etichettamento eufemistico, la 
diffusione della responsabilità, la distorsione delle conseguenze o l’attribuzione di colpa 
alla vittima e che tali meccanismi favorirebbero la ricostruzione cognitiva del 
comportamento consentendo a chi ha commesso azioni malvagie verso gli altri, di non 
provare rimorsi o sensi di colpa troppo intensi. Dalla ricerca di Varin et al. (1997) si è 
riscontrato che il meccanismo del disimpegno morale viene molto spesso favorito da un 
consumo elevato e indiscriminato di televisione nei ragazzi; essa infatti favorirebbe, in 
certi casi, la deresponsabilizzazione nei maschi, con relativo dislocamento e diffusione 
della responsabilità, e la giustificazione morale nelle femmine che implica l’uso di 
principi superiori per motivare danni inflitti ad altri. La cultura di appartenenza, infatti, 
con le sue tecnologie e i mass medie influenza parecchio lo sviluppo cognitivo e morale 
nel periodo di crescita (Confalonieri, 2005).  
Si nota come altra caratteristica del preadolescente sia una maggiore capacità 
empatica rispetto all’età precedente nonostante il ragazzo/a, dal punto di vista 
intellettuale, mantenga ancora un pensiero egocentrico.
2
 Il suo è uno sviluppo che 
procede nel tempo, a partire dai primi periodi di vita e che trova la sua massima 
realizzazione nella fase adolescenziale, tipica per le predisposizioni introspettive. Il 
preadolescente, quindi, si arricchisce pian piano di nuovi strumenti cognitivi ed emotivi 
che gli consentono di avviare il processo di autonomia dalla famiglia (De Pieri, Tonolo, 
1990).  
Quest’ultimo viene definito dalla letteratura il compito di sviluppo più 
importante nell’acquisizione di un’identità positiva e stabile di adulto. Si parla 
esattamente di “emancipazione dalle figure parentali” e di raggiungimento 
dell’indipendenza (Confalonieri, 2005). La conquista dell’autonomia dalla famiglia non 
prevede obbligatoriamente il distacco materiale da tale contesto, anzi, molto spesso, ha 
luogo all’interno della famiglia stessa (Palmonari, 2002). 
Alla rottura seria dei rapporti si giunge soltanto se gli adulti pretendono di 
mantenere con il ragazzo/a lo stesso legame instaurato nell’infanzia che fa scattare in lui 
                                                 
2
 Il pensiero egocentrico del preadolescente si esprime nella pretesa che gli altri vedano la realtà come la 
vede lui altrimenti avverte una forte sensazione di incomprensione (Confalonieri, 2005). 
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conseguenti proteste e provocazioni. Vediamo infatti durante questa età un 
cambiamento notevole delle relazioni nella famiglia e una ridefinizione dei ruoli e delle 
funzioni al suo interno, perché il fatto di non sentirsi più bambini e 
contemporaneamente di non sentirsi neppure riconosciuti in quanto tali, li porta a 
riorganizzare tali rapporti e ad avanzare richieste di autonomia. I genitori, al contempo, 
fanno fatica a rinunciare al controllo fino ad allora esercitato sui figli; questo genera 
tensioni e conflitti vari (Palmonari, 2001). 
L’acquisizione dell’indipendenza, che prevede l’allontanamento dai genitori, 
sembrerebbe essere parte di un processo che ha inizio fin da piccoli, riconosciuto da 
Bowlby come legame di attaccamento. Egli sosteneva che il legame con la figura di 
accudimento fosse il risultato di un sistema di schemi comportamentali atti ad assicurare 
al soggetto protezione dai pericoli (Bowlby, 1979). Tale legame non si manteneva 
identico nel corso del tempo ma subiva, con la crescita, opportune modifiche. Secondo 
Crittenden (1995, 1997, 1999) infatti, si parla di un modello evolutivo dell’attaccamento 
per cui, grazie alla maturazione e alla comparsa di nuove competenze, le 
rappresentazioni mentali dei legami prevedono plasticità e flessibilità: se quindi 
nell’infanzia c’è un forte attaccamento con le figure parentali e un bisogno di protezione 
da esse, crescendo il ragazzo/a riduce l’intensità di questo legame con i genitori, per 
orientarsi al gruppo dei pari e cercare nuovi modelli identificativi all’esterno della 
famiglia. Sicuramente, quanto più positiva sarà la relazione di attaccamento con i 
genitori nell’infanzia, tanto più il preadolescente si sentirà libero e in grado di 
sperimentare nuovi legami (Confalonieri, 2005). 
Anche Bowen (1979) ci parla di processo di crescita come differenziazione da 
una famiglia che definisce massa indifferenziata con un ampio indice di fusione 
emotiva. Secondo Bowen da essa è necessario realizzare un processo di svincolo tramite 
un continuo lavoro di autodefinizione e individualizzazione (Andolfi, 2003). 
E’ con l’acquisizione della capacità riflessiva e di ragionare in astratto, che i 
rapporti tra adulti e minori nella famiglia cambiano e diventano più paritari e 
simmetrici. Il preadolescente si avvia a spostare il centro dei suoi interessi dall’esterno 
all’interno, e nonostante egli non abbia ancora conquistato queste capacità necessarie 
soprattutto per raggiungere l’individuazione e acquisire una propria identità originale, si 
accinge a superare le varie identificazioni con i familiari e altri adulti significativi fino 
ad allora molto presenti e con funzione rassicurante e protettiva, orientandosi così verso 
nuove forme di socialità. La richiesta di autonomia, avanzata dal preadolescente, 
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abbiamo visto riguardi principalmente la conquista di propri spazi di esplorazione del 
mondo circostante e l’incontro con gli amici ed è da lì che comincia il suo prospettarsi 
al mondo adulto. 
I coetanei diventano di primaria importanza, specie se fungono da sostegno e 
supporto, al fine di sperimentare e affinare capacità relazionali, sociali e affettive e per 
dare espressione ad un vero sé, terminando il compito d’individuazione. (Confalonieri, 
2005). Inizialmente si hanno la formazione di gruppi omogenei per sesso come primo 
sistema extrafamiliare significativo; in seguito gruppi maschili e femminili tendono ad 
avvicinarsi e a interagire maggiormente ma questo avverrà solo verso la fine della 
preadolescenza. 
L’amicizia con un coetaneo è la più piccola formazione sociale e volontaria 
significativa in preadolescenza. Si inizia con una relazione a due, tra soggetti dello 
stesso sesso, molto simbiotica e intensa, caratterizzata dall’esigenza reciproca di fedeltà 
ed esclusività. Il legame amicale che i ragazzi costruiscono in questo periodo risulta 
essere fortemente etico: dall’amico o amica del cuore ci si aspetta lealtà, riservatezza, 
capacità di mantenere i segreti e se ciò non si verifica sopraggiunge la delusione e la 
tristezza. Sono caratteristiche che rispondono al principio del “tutto o niente”e che 
quindi tipizza il rapporto come in continua trasformazione con l’età, destinato a mutare 
o a finire nel tempo (Confalonieri, 2005). Nonostante tutto il legame amicale soddisfa 
innumerevoli bisogni: fornisce e conserva un senso di sicurezza perché da’ la 
sensazione di avere qualcuno su cui contare; favorisce lo scambio in condizioni paritarie 
e non gerarchiche e diventa un prolungamento di sé che funge da specchio in quanto 
“commenta e restituisce le immagini del sé con una aggiunta di senso”(Confalonieri, 
2005, p. 147); consente di trovare un modello concreto a cui ispirarsi con tratti, abilità e 
qualità che si vorrebbero avere. L’amico del cuore, quindi, risulta elemento mediatore 
nella scoperta della propria immagine, diventa un nuovo modo di sperimentarsi e 
sentirsi un io; in questa amicizia piuttosto narcisistica, egli inizia a pensarsi progettando 
l’amico e idealizzandone le qualità. Si realizza un confronto con questo “Tu” all’interno 
di una relazione fatta di racconti delle proprie esperienze e dell’ascolto di quelle 
dell’altro, giungendo ad elaborare così un’immagine di sé più significativa (De Pieri, 
Tonolo, 1990).