2
sviluppo storico di un paese che è stato pressoché trascurato prima di tale data, si prefigge lo 
scopo di inquadrare il paese nel complesso scacchiere della regione asiatica, e di comprendere 
le ragioni che hanno portato questo “paese dimenticato”
1
 a diventare uno dei centri del 
terrorismo internazionale, fonte di destabilizzazione a livello mondiale. Vi sono stati e vi sono 
notevoli rischi potenziali che l’Afghanistan fa pesare su tutta la regione, non ultima 
l’arretratezza della sua società e della sua economia che influenzano negativamente lo 
sviluppo delle vie di comunicazione e degli oleodotti in direzione dell’Asia del sud (Pakistan e 
India); inoltre, la coltivazione del papavero ed il traffico intenso e persistente della droga, 
hanno effetti importanti non solo per l’economia afghana, ma anche sugli stati confinanti e per 
l’economia internazionale. 
L’auspicio è che questa disamina, interessando alcuni dei momenti più significativi 
del passato dell’Afghanistan, possa aiutare a comprenderne il suo non facile presente ed a 
delinearne i possibili sviluppi futuri. Per facilitare questa analisi, il presente lavoro comprende 
sei capitoli “storici”, che approfondiscono il percorso afghano dai suoi albori sino alla caduta 
dei talebani, e quattro capitoli “d’attualità”, che, partendo dalla reazione occidentale agli 
attacchi terroristici di Al-Qaida con l’operazione Enduring Freedom, analizzano la risposta 
data dai vari attori internazionali per la soluzione di questa crisi. Dal momento che si tratta del 
primo ed originario fronte della guerra al terrorismo, quello che accade in Afghanistan ha 
inevitabilmente profonde ripercussioni sulla pace e sulla sicurezza a livello internazionale. 
Benché l’Afghanistan abbia svolto un ruolo cardine nella storia dell’Asia Centrale, è 
rimasto, per molta parte della sua storia, misterioso e poco conosciuto al mondo esterno; fino a 
tempi molto recenti, la conoscenza da parte degli occidentali di tutta la regione era limitata 
alle principali strade di attraversamento, ossia la via della seta. Il primo capitolo evidenzia 
come l’Afghanistan abbia sempre avuto un ruolo privilegiato nella storia, sia per i grandi 
conquistatori che l’hanno attraversato, quali Alessandro Magno, Gengis Khan e Tamerlano, 
sia per la sua antica storia di splendore e grandezza degli imperi che furono, sia per il grande 
gioco di kiplinghiana memoria che oppose l’Impero britannico alla Russia zarista nel corso 
dell’800
2
, fino ad arrivare alla seconda guerra mondiale. Nell’analizzare la situazione afghana 
                                                 
1
 Un’antica storia afghana racconta, infatti, che quando Dio creò la terra decise anche dove piazzare i diversi 
paesi: “qui l’Italia più su la Germania per infilarci poi l’Austria e la Svizzera; Dio si trovò ad adattare un po’ i 
confini, limitando e tagliando, in modo da incastrare tutti i paesi. Alla fine si trovò con tanti ritagli e li gettò nel 
buco che sul mappamondo era rimasto vuoto tra l’Asia Centrale ed il subcontinente indiano, e disse “questo è 
l’Afghanistan”. 
2
 Quando gli eserciti russi conquistarono la regione e sottomisero le popolazioni nomadi del Turkestan, Londra e 
Calcutta interpretarono questa avanzata come una minaccia per le colonie indiane della Corona britannica; allo 
stesso modo, il governo di San Pietroburgo temeva che la Gran Bretagna potesse fomentare le tribù musulmane           
centro-asiatiche ad una rivolta contro l’Impero zarista. I due imperi si sono così scontrati per il controllo 
 3
vengono presi in considerazione i diversi aspetti ed i condizionamenti scaturiti dalla lotta tra le 
istituzioni statuali e la società, da sempre fedele alle sue strutture tradizionali, per la 
conformazione del territorio, per la forte realtà della religione islamica e per la frammentarietà 
etnica. 
Nel secondo e terzo capitolo si esamina come l’instabilità dello scenario afghano, 
durante il periodo della guerra fredda, fece scivolare il paese sempre più nell’orbita sovietica, 
prima con il colpo di stato comunista del 1978, poi con la successiva invasione sovietica del 
1979. 
Nel quarto capitolo si approfondiscono le reazioni degli attori internazionali 
all’invasione sovietica dell’Afghanistan, sottolineando come siano stati numerosi i contatti 
dell’Afghanistan con i grandi attori internazionali, proprio in virtù della sua posizione 
strategica in un’area che ha assunto un’importanza diversa in base ai vari periodi storici. 
Durante il conflitto con l’Unione Sovietica, l’Afghanistan aveva infatti conquistato le prime 
pagine dei giornali, venendo poi ribattezzato il “Vietnam di Mosca” dopo la sconfitta 
dell’Armata Rossa; tuttavia, con il ritiro della truppe sovietiche, se ne andarono anche i 
corrispondenti occidentali e l’Afghanistan diventò, almeno per l’opinione pubblica, un “paese 
dimenticato”.  
Nel quinto capitolo sono stati presi in esame i lunghi anni di guerra civile che hanno 
portato distruzione, miseria e sofferenza tra la popolazione, causando tra l’altro l’esodo di 
alcuni milioni di afghani, rifugiatisi in particolare nei confinanti Iran e Pakistan. Proprio le 
potenze vicine, in primo luogo il Pakistan, hanno mantenuto la loro influenza nel paese grazie 
all’aiuto che fornivano all’una o all’altra fazione. In questo quadro si è realizzata l’ascesa al 
potere dei talebani, che istituirono un governo islamico integralista, riconosciuto a livello 
internazionale solo da Arabia Saudita, Pakistan ed Emirati Arabi Uniti. Questo periodo 
particolarmente difficile della vicenda afghana, insieme alle ripercussioni internazionali che 
ne sono derivate, è stato affrontato nel sesto capitolo.  
Un altro obiettivo fondamentale di questo studio riguarda l’analisi degli effetti 
causati dal terrorismo internazionale, tragicamente manifestatosi l’11 settembre 2001 con gli 
attentati alle Twin Towers. Vedremo come la complessa macro-regione dell’Asia centro-
asiatica già da anni al centro di svariati interessi politici ed economici internazionali, è 
prepotentemente divenuta il fattore cruciale delle relazioni internazionali. Si approfondisce, in 
                                                                                                                                                                  
dell’Afghanistan, la cui posizione centrale offriva una base strategicamente vitale per un invasione dell’India o 
del Turkestan. 
 4
particolare, la politica estera americana nei confronti dei paesi islamici, le conseguenti 
ingerenze in Asia Centrale e gli insediamenti militari nell’area in questione.  
Nel dettaglio viene esaminata la reazione statunitense, concretizzatasi nella decisione 
di intervenire militarmente in Afghanistan per distruggere le basi del gruppo terroristico Al-
Qaida di Osama Bin Laden e per abbattere il regime dei talebani mai riconosciuto come 
governo legittimo dalle Nazioni Unite. 
Nel settimo capitolo si esamina come l’intervento in Afghanistan abbia 
rappresentato la risposta occidentale agli attentati, con la conduzione della cosiddetta guerra 
asimmetrica
3
, mutando significativamente la realtà politica e le alleanze nella regione. 
Approfondiremo come sul piano internazionale, di fronte al manifestarsi degli attacchi 
terroristici, gli Stati Uniti si siano sentiti legittimati a condurre l’intervento in Afghanistan, 
con l’intento di soddisfare tre esigenze: fare giustizia, eliminare le strutture terroristiche e 
porre le basi costituenti per una nuova sicurezza internazionale. Una missione particolare a cui 
si sono accostati con un atteggiamento fortemente unilaterale, teso a ristrutturare le basi della 
loro leadership internazionale. La coalizione approntata “individualmente” dagli Stati Uniti ha 
raccolto da ciascun paese, a seconda dei casi, mera solidarietà, supporto logistico o strategico, 
compartecipazione politica. Il ruolo di tutti gli altri attori è rimasto più o meno defilato: 
marginale è apparso quello dell’Unione Europea, che ha preso posizione in ordine sparso 
attraverso i propri membri.  
Si analizza come questa crisi abbia sconvolto le alleanze internazionali. Basti 
pensare che gli Stati Uniti hanno avuto al loro fianco avversari storici come la Russia e la Cina 
e hanno trovato comprensione persino da parte della Libia e in parte, dall’Iran degli ayatollah 
in un’alleanza internazionale contro Bin Laden ed i talebani, creature della CIA e dei servizi 
segreti pakistani durante la guerra fredda contro l’allora Unione Sovietica. Anche l’Arabia 
Saudita, entrata obtorto collo nell’alleanza internazionale contro il terrorismo ha vissuto un 
certo stato di disagio, poiché Bin Laden godeva di molti consensi ed amicizie nella terra di 
Maometto. 
Si esamina lo scenario internazionale delineatosi con la risposta occidentale agli 
attacchi terroristici e si valutano le interazioni di tali sviluppi con gli equilibri nell’Asia 
Centrale. Vedremo come la complessiva reazione americana con l’intervento militare in 
Afghanistan abbia dato vita ad un modello in tre fasi: costituzione di una vasta coalizione 
                                                 
3
 Una guerra condotta, rispetto al nemico, con differenti mezzi, strategie e perfino culture belliche. 
 5
contro il nemico, definizione di una soluzione politica per il paese, intervento militare in 
collaborazione con le forze locali che si contrapponevano ai talebani.  
L’interesse principale è rivolto alle relazioni internazionali dell’Afghanistan, 
senz’altro uno dei paesi simbolo della politica internazionale attuata dall’amministrazione 
Bush dopo 1’11 settembre. Il presente approfondimento evidenzia che a distanza di anni 
dall’intervento militare che ne ha abbattuto il regime oppressivo dei talebani, l’agenda politica 
interna di questo paese ed il quadro di sicurezza regionale sono tuttavia lungi dall’essere 
stabilizzati, e pongono in luce con evidenza i limiti e le difficoltà che la comunità 
internazionale si trova a dover affrontare nel gestire il difficile passaggio dalla fase di 
abbattimento militare di un regime a quella post conflittuale e di ricostruzione (o costruzione 
ex novo) di un sistema istituzionale che coniughi gli elementi politico-sociali tradizionali con i 
principi di rappresentanza democratica delle diverse comunità etno-religiose o culturali del 
paese. Ne consegue che la domanda che ci si pone nell’ottavo capitolo è se questo intervento 
abbia colto risultati tangibili nel teatro specifico e se abbia debellato la minaccia terroristica, 
che richiede a parere di molti eminenti studiosi anche altre forme di intervento. Alcune brevi 
riflessioni consentiranno, infine, di trarre alcune importanti conclusioni di carattere generale 
sul ruolo delle forze militari occidentali nel campo delle operazioni di stabilizzazione, 
ricostruzione e dello state building e, soprattutto, di formulare alcune considerazioni 
sull’effettiva capacità di queste forze ad agire in un contesto così degradato ed in sinergia con 
le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative. La disamina paleserà 
come l’Afghanistan assurga in questi anni a simbolo dell’impegno dell’amministrazione Bush 
- e di parte della comunità internazionale - per realizzare i controversi progetti di 
“esportazione della democrazia” e di “guerra al terrorismo”, lanciati dopo gli attacchi dell’11 
settembre. E ci farà scoprire come all’ottimismo seguito alla breve campagna militare in 
questo tormentato paese sia seguita una rapida disillusione e parallelamente siano emersi 
enormi problemi militari, politici e socio-economici che affliggono la fase post conflittuale ed 
il percorso di ricostruzione dello stato, che ci invitano ad una profonda riflessione e ad una 
presa di coscienza dei limiti della capacità “costruttiva” della comunità internazionale. 
Questo studio non considera solo i fattori che hanno una valenza più o meno interna, 
ossia legata direttamente o indirettamente alle dinamiche nazionali. Come noto l’Afghanistan 
ha sempre risentito pesantemente del ruolo svolto dai propri vicini, in particolare il Pakistan e 
l’Iran. Nel nono capitolo, che tratta delle relazioni con le potenze regionali, vedremo che 
oggi, come due secoli fa, i grandi imperi si riposizionano per il controllo del cuore 
dell’Eurasia, il cui vuoto di potere, venutosi a creare nel periodo post-sovietico, è evidente. Il 
 6
fine di questo studio è in primo luogo quello di analizzare il “nuovo grande gioco”
4
 
eurasiatico, e l’intervento in Afghanistan ne è solo un episodio, anche se di notevole 
importanza. Ora alcuni attori sono cambiati, e le regole del gioco neocolonialista sono molto 
più complesse di allora: gli Stati Uniti hanno rilevato il ruolo di leader dei britannici; accanto 
alla sempre presente Russia, nuove potenze regionali quali Cina, India, Iran, Pakistan e 
Turchia sono entrate nello scacchiere; infine non bisogna dimenticare che alcune compagnie 
multinazionali petrolifere (i cui budget sono spesso maggiori di molti stati) perseguono i loro 
interessi mettendo in atto varie strategie. La differenza più evidente del nuovo grande gioco, 
rispetto al vecchio, è il “guadagno” (vantaggio/profitto); mentre nell’era vittoriana Londra e 
San Pietroburgo combattevano per l’accesso alle ricchezze dell’India, il nuovo grande gioco si 
incentra sulle riserve energetiche del Mar Caspio. Un gioco, quindi, reso ben più complesso 
dall’elevato numero dei “competitori”, ma soprattutto dal fatto che esso non riguarda più 
soltanto un’astratta supremazia geostrategica, bensì il controllo delle risorse di petrolio e di 
gas del Mar Caspio e dell’Asia Centrale e il loro trasporto verso i mercati occidentali. E’ 
opinione diffusa che chiunque si assicuri la quota maggiore nel transito delle pipelines 
guadagnerà una crescente influenza non solo in Asia Centrale, ma anche su scala globale. 
Nel decimo capitolo viene affrontato il tema relativo al ruolo assunto dalle Nazioni 
Unite con l’United Nations Assistance Mission in Afghanistan (UNAMA) e dalla NATO nella 
fase della ricostruzione del paese, che non si presenta come un compito facile, ma piuttosto 
una sfida complessa che richiede un notevole dispendio di risorse ed energie. L’uscita da un 
conflitto implica la gestione della pace, forse ancora più difficile di quella della guerra, per i 
vinti e per i vincitori, anche nella considerazione che in uno stato completamente collassato, la 
ricostruzione può avvenire solo in una cornice di stabilità e sicurezza.  
Si conclude lo studio con un approfondimento riguardante le relazioni internazionali 
dell’Italia con l’Afghanistan risalenti al 1919, che negli ultimi anni si sono intensificate 
ponendo questo paese nelle priorità dell’agenda politica estera nazionale. 
                                                 
4
 Questo termine, coniato nei primi anni ‘90 da Ahmed Rashid, descrive un eccentrico ripetersi del primo grande 
gioco del XIX secolo, quando l’Impero britannico e la Russia zarista si disputavano la supremazia in Asia 
Centrale. Gli obiettivi del great game furono il dominio imperiale sul pianeta, prevenire e neutralizzare 
possibili competitori, sigillare alleanze, garantire mercati e fonti di materie prime, insomma, niente di molto 
diverso da quello che avviene oggi sotto i nostri occhi. Uno dei nodi del great game fu senz’altro il controllo 
dell’Asia Centrale, giacché il controllo degli importanti passi himalayani e del Pamir garantiva commerci ed 
espansione economica. I contendenti, all’inizio del secolo, erano tre: i britannici, che dall’India guardavano a 
nord verso il Nepal, il Tibet e la miriade di piccoli sultanati dell’area per accrescere la penetrazione nell’area, i 
russi, che dopo il completamento della ferrovia transiberiana finalmente si apprestavano a colonizzare il grande 
Oriente ed i cinesi del morente Celeste Impero, che cercavano più che altro di non fare la fine del classico vaso 
di coccio. In effetti, la competizione fu praticamente solo a due, fra inglesi e russi, giacché la debolezza cinese 
conseguente al tentativo occidentale di colonizzare la Cina, consentì loro strette aree di manovra. 
 7
In ultimo, accenno le cinque regole di Michael Barry
5
 riferite allo scenario afghano 
che, secondo l’autore, ne determinano passato presente e futuro, e che a mio parere continuano 
ad essere d’attualità rappresentando un valido supporto per l’analisi e l’interpretazione del 
presente studio: 
1) la società afghana rifiuta qualsiasi dominazione straniera diretta, e quindi ogni 
occupazione del suo suolo; in compenso accetta la dominazione indiretta, anzi, non può farne 
a meno; 
2) nel gioco politico tribale, nessun capo può imporsi alla sua gente se non è in grado 
di distribuire alla sua tribù dei benefits, quali armi, soldi o cibo, pena la sua sostituzione con 
un rivale più generoso. Essendo l’Afghanistan un paese povero, nessun capo può permettersi 
tali elargizioni ai suoi senza sovvenzioni esterne. Cosi è stato nel passato quando i capi tribù 
beneficiavano del sostegno imperiale esterno (persiano, mongolo, britannico, russo, pakistano 
o americano), ed è così che tutte le potenze straniere interessate all’Afghanistan hanno 
imparato a manipolare i capi tribù, finanziati a seconda dei propri interessi; 
3) la società afghana tradizionale lotta contro le dominazioni straniere rifiutando loro 
la sua collaborazione, auto-distruggendosi come entità politica unitaria, suddividendosi in 
molteplici fazioni rivali, disintegrandosi; non possiede tuttavia alcun meccanismo politico per 
ricostituire l’unità che può rinascere solamente, ed è questo il paradosso, tramite un intervento 
decisivo di una potenza straniera che dovrà appoggiare con tutto il suo peso, ma senza 
penetrare fisicamente in Afghanistan, una delle fazioni rivali; 
4) la società afghana tradizionale, nonostante l’accanita difesa della sua autonomia 
interna, si pone sempre in una situazione di parassitismo economico e politico nei confronti di 
una delle potenze straniere che la circondano; se viene invasa da una di queste potenze, si 
allea con l’altra, ma nessun capo può emergere dalle rivalità interne senza l’appoggio 
economico e militare della potenza esterna di sua scelta. Da qui deriva l’impegno e la 
responsabilità della potenza esterna nel destino politico interno afghano; 
5) è dunque la stessa società afghana, a causa delle sue rivalità interne, ad invitare 
l’ingerenza straniera nei propri affari. Ogni potenza interessata all’Afghanistan viene 
trascinata, talvolta suo malgrado, nel gioco interno afghano, vedendosi così costretta a 
prendere delle decisioni e a fare delle scelte per far emergere in Afghanistan un potere politico 
unitario accettabile per la popolazione. In caso di scelte sbagliate, se la fazione afghana 
appoggiata dalla potenza straniera non viene accettata dalla popolazione, ne risultano anni di 
                                                 
5
 Barry M., Le royaume de l’insolence, l’Afghanistan 1504-2001, Flammarion, Paris, 2002, p. 302 - 304. 
 8
lotte intestine, fino a quando un nuovo capo “accettabile”, sempre appoggiato dall’esterno, 
riesce ad imporre il suo dominio con la forza. 
Enunciate così, brutalmente, queste regole di un gioco tribale antico appaiono 
difficilmente accettabili per una coscienza europea moderna. Ma come esamineremo nello 
sviluppo della tesi, l’intera storia afghana, dal XVI secolo ai giorni nostri, conferma queste 
teorie in modo concreto, vivo e crudele. 
 
 9
1. SCENARIO DI RIFERIMENTO ED EVOLUZIONE DELLE RELAZIONI 
INTERNAZIONALI DAL GRANDE GIOCO ALLA SECONDA GUERRA MONDIALE 
 
 
1.1. Riferimenti di base 
 
1.1.1.  Afghanistan la chiave di volta dell’Eurasia 
 
L’Afghanistan, posto tra l’Asia Centrale e le terre affacciate sull’Oceano Indiano, è 
sempre stato considerato un paese strategico, “un paese-crocevia” o, come qualcuno l’ha 
definito, “una chiave di volta del più grande dei continenti”
1
. 
La preistoria dell’Afghanistan non è ancora ben conosciuta, ma a partire dal V 
millennio a.C. si sviluppa una civiltà nel bacino dell’Indo e vengono stabiliti fiorenti scambi 
con l’Iran orientale. Questa civiltà scomparirà all’inizio del II millennio a.C., molto 
probabilmente a seguito delle invasioni provenienti dal nord e dal nord-ovest
2
. Nell’antichità il 
territorio dell’attuale Afghanistan è stato dominato essenzialmente dai regni di tre dinastie: 
quello persiano achemenide
3
, dal VI al IV secolo a.C., dopo la breve quanto intensa parentesi 
di Alessandro Magno, quello indo-greco di Bactriana, nel II secolo a.C., e quello turco dei 
Kushan, nel I secolo a.C.
4
. 
Le prime notizie dell’Afghanistan, diffuse nella cultura occidentale, risalgono al 
tempo in cui Alessandro Magno percorse in lungo e in largo le sue contrade per circa quattro 
anni, scendendo con il suo esercito dalla valle del Kabul all’Indo, attraverso il passo Khyber. 
Ma l’avvenimento fu qualche cosa di molto più importante dell’ingresso di questa terra nella 
cronaca e nella conoscenza del mondo occidentale. Con il Macedone, nel 330 a.C., farà il suo 
ingresso nel mondo d’oriente l’ellenismo, un innesto che si radicherà profondamente nella 
formazione delle diverse culture che seguiranno
5
. I suoi valori, infatti, non furono sommersi 
neppure quando a questo influsso si venne a sovrapporre quello del buddhismo che, seguendo 
a ritroso la via degli invasori, vi entrava dall’India. Ne scaturì un’originale forma di civiltà 
greco-buddhista di estremo interesse, come documentano le importanti vestigia di essa 
                                                 
1
 Turri E., L’Afghanistan è la sua geografia, Limes, suppl. al n. 4, 2001, p. 55. 
2
 Dupaigne B., Rossignol G., Le carrefour afghan, Paris, Editions Gallimard, 2002, p. 37. 
3
 Ciro (559-530 a.C.) estende i limiti dell’impero persiano achemenide fino all’Indo. Dario (521-486 a.C.) 
riorganizza l’impero dividendolo in venti satrapie, sei delle quali coprono praticamente il territorio dell’attuale 
Afghanistan. Cfr. Dupaigne B., Rossignol G., op. cit., 2002, p. 37. 
4
 Cirone G., I misteri dell’Afghanistan dalle origini alla caduta dei talebani, Roma, Datanews, 2002, p. 19. 
5
 Cirone G., op. cit., p. 20. 
 10
ritrovate da diverse missioni archeologiche. In tal modo le valli afghane, dopo essere state il 
crocicchio al quale i popoli decidevano il loro futuro, divennero la via attraverso la quale 
passarono le idee e le estetiche del mondo indoeuropeo in marcia verso le estreme contrade 
orientali dell’Asia. 
 
 
 
Nel II e III secolo d.C. l’impero prospera sotto i Kushan, per poi dissolversi 
progressivamente, tra il IV ed il VI secolo, sotto i colpi inferti dai persiani sasanidi da ovest e 
 11
dagli unni eftaliti, e poi dai turchi occidentali, da nord. Nel 371 gli unni eftaliti, turchi 
provenienti dalla Mongolia, conquistano Balkh, combattono i persiani sasanidi e si muovono 
in seguito verso l’Hindu Kush. Cacciati da Balkh da una nuova invasione di turchi occidentali, 
gli eftaliti ripiegano su Kabul
6
. Dal 550 d.C., i persiani riconquistano l’Afghanistan, e ciò 
avviene sotto la maggiore delle figure della dinastia sasanide, Khusraw I Anusharwan (531-
579), contemporaneo e rivale di Giustiniano. Ma dopo l’ultimo grande dei sasanidi, le dinastie 
che seguono entrano in una continua crisi, un deterioramento che porta allo sgretolamento del 
tessuto connettivo dell’impero sasanide che nel 632 verrà, in pochi anni, spazzato via dal 
vigore di nuovi invasori: gli arabi
7
. 
L’opera di islamizzazione, pur tollerando lo zoroastrismo
8
, lo riduce ai margini, per 
costringerlo, in un paio di secoli, ad esigua minoranza. La nuova religione permea la 
popolazione iranica, come tutte le popolazioni, in quel momento, controllate dai persiani. La 
risposta popolare è genuina, mentre i dettati islamici incidono come un polo di attrazione che 
investe anche ragioni economiche e sociali. In Afghanistan, si afferma l’Islam. 
Si susseguono innumerevoli dinastie al timone del territorio afghano ma, fra tutte, 
può essere considerata primaria quella dei ghaznavidi, che regnerà tra il X e il XII secolo e 
che, proprio dall’Afghanistan, si irradierà verso l’India. 
Intorno al 1219, e per tre anni terribili, il territorio afghano cade preda delle 
devastanti ondate di morte provocate dall’invasione delle orde di Gengis Khan. I danni 
saranno di biblica entità, al punto da danneggiare l’ecosistema dell’intera area a causa della 
sistematica distruzione dei sistemi di irrigazione da parte dei mongoli. Tanta terra strappata al 
deserto, centimetro dopo centimetro, da quel momento ritorna ad essere un grembo sterile in 
preda al sole come al gelo. Si dovrà aspettare il secolo XV per veder sorgere una nuova epoca 
di splendore culturale, grazie alla dinastia dei timuridi, turchi iranizzati, che scelgono come 
capitale Herat, nell’ovest del paese. Ma chi sono i timuridi? Sono i discendenti del turco 
Timur, o Tamerlano
9
, che già nella seconda metà del secolo XIV hanno dato vita al 
meraviglioso impero di Samarcanda, che si estende dalla Transoxiana alla Persia orientale, 
                                                 
6
 Dupaigne B., Rossignol G., Le carrefour afghan, op. cit., p. 42. 
7
 Cirone G., I misteri dell’Afghanistan dalle origini alla caduta dei talebani, op. cit., p. 27. 
8
 Nell’antica Bactriana maturò il pensiero di Zarathustra, fondatore della prima religione monoteistica; la 
tradizione vuole sia morto nella città di Balkh (522 a.C.), secondo l’Unesco una della più antiche città del 
mondo, e le cui rovine sono ancora oggi visibili a pochi chilometri da Mazar-i-Sharif. Cfr. Hyman A., 
Afghanistan under soviet domination 1963-1983, Macmillan, London 1984, p. 3. 
9
 Timur nasce nella regione di Samarcanda nel 1336, suo padre era un Khan di origine turco-mongola. Durante 
una cavalcata viene colpito da una freccia che gli provocherà una ferita da cui non guarirà mai completamente, 
e che gli varrà il soprannome di Timur Leng “lo zoppo”, da cui il nome occidentale di Tamerlano. Cfr. 
Dupaigne B., Rossignol G., Le carrefour afghan, op. cit., p. 49. 
 12
sino alla Mesopotamia. Quando, nel 1405, Timur muore, a succedergli nella parte ovest 
dell’impero è il figlio Miran Shah, mentre in quella orientale va l’altro figlio Shah Rukh, che 
gradatamente riunirà quasi tutti i territori avuti
10
. 
 
 
 
Il periodo che va da Gengis Khan a Tamerlano è fondamentale per la storia afghana; 
                                                 
10
 Cirone G., I misteri dell’Afghanistan dalle origini alla caduta dei talebani, op. cit., pp. 28-29. 
 13
prima di esso, il paese è un importante centro economico e culturale, ed ha goduto del 
vantaggio strategico di essere parte essenziale del percorso delle carovane che si muovono da 
Oriente ad Occidente.  
Fino a quel momento ciò ha costituito la caratteristica geopolitica più saliente 
dell’Afghanistan che deve il suo alto grado di sviluppo proprio alla posizione. In seguito alle 
invasioni mongole però viene meno il ruolo di snodo fondamentale del commercio fra la Cina 
e l’Europa, poiché i successori di Gengis Khan, divenuti “sovrani civili”, promuoveranno il 
trasferimento della via della seta lungo le pianeggianti regioni della Transoxiana, fino ad 
allora insicure perché dominate dai nomadi
11
. 
Con il periodo mongolo, l’Afghanistan perde dunque l’occasione per diventare un 
centro di sviluppo e viene sospinto alla periferia del mondo civilizzato. Da questo momento il 
paese diventa il rifugio di una razza guerriera che, cresciuta isolata sui propri monti 
inaccessibili, darà molti grattacapi a tutti i popoli vicini. Con l’ultimo decennio del secolo XV 
giunge anche il crollo dei timuridi di Persia, causa il riformarsi dell’unità persiana sotto i 
safavidi, e la conquista del cuore della dinastia, la Transoxiana, da parte degli uzbeki 
shaibanidi. Il timuride Babur si rifugia in India dove fonderà l’impero dei Gran Moghol. 
E’ questo il momento in cui inizia la storia degli afghani: è il secolo XVI e la loro 
espansione sul territorio è inarrestabile. Il paese, sino ad allora conosciuto nella cultura 
islamica come parte del Khorasan, diventa l’Afghanistan. Altri duecento anni ancora e nascerà 
anche lo stato nazionale afghano. E’ Ahmad Shah Abdali, nel XVIII secolo, a fondare 
l’Afghanistan moderno: sarà il grande impero musulmano dell’epoca, arrivando sino a Delhi 
ed anche al Kashmir, Kandahar era la capitale e Peshawar la capitale invernale
12
. 
Si tratta di accenni rapidi di una storia ricca e complessa. Sono sufficienti, tuttavia, a 
ricordare realtà intrinseche che definiscono la funzione avuta da questo paese nel passato per 
proiettarla nel presente, sia pure nella diversità delle situazioni in cui l’Afghanistan viene 
quasi materialmente ad inserirsi. Lo scorrere dei secoli non ha mutato l’importanza di questa 
regione. Il mondo occidentale se ne rese pienamente conto già nei primi dell’Ottocento 
quando l’Asia, ormai famosa soltanto per le sue ricchezze e per le moltitudini dei suoi popoli, 
per la grandezza delle sue civiltà isterilite o scomparse, si venne precisando come oggetto 
dell’espansione dei grandi imperi europei ed in particolare quando la Russia degli Zar e la 
Gran Bretagna vi si trovarono di fronte. Allora, mentre gli storici valutavano la funzione 
dell’Afghanistan in ordine al raccordo da esso compiuto fra civiltà diverse, vi rievocavano gli 
                                                 
11
 Orfei G., Le invasioni dell’Afghanistan da Alessandro Magno a Bush, Fazi Editore, Roma, 2002, p. 78. 
12
 McCauley M., Afghanistan and Central Asia – a modern history, Longman, Londra, 2002, p. 5. 
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incontri che aveva operato, vi ritrovavano la strada che Marco Polo aveva percorso per 
giungere alla fantasmagorica Corte del Gran Khan, gli Stati Maggiori la presero seriamente a 
considerare per il suo valore strategico.  
Per gli inglesi, unici conquistatori dell’India venuti dal mare, l’importanza strategica 
dell’Afghanistan aveva un nome reso celebre dalla migliore letteratura avventurosa 
dell’Ottocento: Khyber, il nome del passo attraverso cui non solo Alessandro Magno, ma tutti 
i conquistatori provenienti da ovest e da nord erano penetrati nel sub-continente asiatico. 
Porta di ingresso all’India, esso logicamente diventava nello stesso tempo il baluardo della 
conquista compiuta e l’Afghanistan, che ne apriva gli accessi settentrionali, vide più che mai 
sottolineato l’interesse con cui lo si riguardava. Per essere esatti, prima ancora che questo 
paese fosse preso in esame nel quadro della rivalità anglo-russa in Asia, fu Napoleone a 
richiamare su di esso gli sguardi attenti delle Cancellerie. Difatti solo attraverso l’Afghanistan 
egli avrebbe potuto realizzare il suo famoso progetto di distruggere la potenza britannica 
colpendola in India. Forse, dopo avere emulato Annibale sulle Alpi, Napoleone pensava di 
rinnovare qui le più grandi imprese dei condottieri asiatici. 
Questo Paese, una volta entrato nel grande gioco della storia, non ne è più uscito. Se 
pure con scopi meno radicali nei confronti della Gran Bretagna, anche gli Zar, nel sempre 
umiliato desiderio di aprirsi una strada verso i “mari caldi”, hanno preso a considerarlo nella 
sua funzione geografico-strategica ed a valutare l’importanza che esso poteva avere nella loro 
politica. Negli scontri di interessi che ne seguirono, arguendo sui risultati, si potrebbe dire 
tuttavia che le parti in gioco, acquisite alcune specifiche posizioni di importanza militare, 
ritennero politicamente più saggio non tentare di soffocare l’indipendenza dell’Afghanistan, 
che, dopo essere stato uno dei grandi quadrivi della storia, si era rinchiuso in se stesso. 
 
1.1.2.  Afghanistan: una geografia divisa 
 
Nei suoi confini moderni l’Afghanistan, che si alza sulla parte nord-occidentale del 
grande altopiano iranico, per superficie è vasto più di due volte l’Italia (in cifra tonda misura 
650 mila chilometri quadrati), ma solo il 12 % del territorio è coltivabile perchè il 75% è 
ricoperto da deserti e montagne ed il resto è terra adibita al pascolo. I “ritardi” storici 
dell’Afghanistan si spiegano anche con la particolare geografia del paese, la quale ha ben poco 
favorito la formazione di uno Stato forte, centralizzato, compatto e dialogante da pari a pari 
 15
con il mondo che lo circonda. Fisicamente è un paese diviso, frammentato
13
. 
 
 
 
La maggior parte dell’Afghanistan è rappresentata dalla regione centrale montuosa, 
percorsa da un fascio di catene di monti
14
, dirette da ponente a levante, sempre più crescenti in 
altezza, inseguendo l’oriente. Le montagne afghane hanno rappresentato sia una benedizione, 
sia una maledizione, fornendo certamente protezione dagli invasori, ma il prezzo da pagare 
per la sopravvivenza è stato l’isolamento
15
. Questa catena mediana, che si estende per oltre 
mille e trecento chilometri, ad ovest prende il nome classico di Paropamiso o quello locale di 
Koh-e-Baba, (altezza massima di 4525 m.), poi continua, in un crescendo che si eleva verso 
levante, con l’Hindu Kush, le cui cime navigano sopra i settemila metri
16
. Quest’ultima separa 
la zona settentrionale da quella meridionale, che è più vasta ma più arida; mentre la zona 
orientale gravita più direttamente sulle pianure dell’Indo raggiungibili attraverso lo storico 
passo Khyber ed altri varchi minori
17
. 
                                                 
13
 Turri E., L’Afghanistan è la sua geografia, op. cit., p. 56. 
14
 Fra le principali: l’Hindu Kush, partente dall’estremità occidentale dell’Himalaya (Pamir) e corrente lungo il 
68° di longitudine; il Koh-e-Baba, tendente ad ovest fino alla città di Herat; i monti Sulaiman, formanti 
l’ossatura delle alte terre del Baluchistan afghano. 
15
 McCauley M., Afghanistan and Central Asia – a modern history, op. cit., p. 1. 
16
 Cirone G., I misteri dell’Afghanistan dalle origini alla caduta dei talebani, op. cit., p. 24. 
17
 Turri E., op. cit., p. 56.