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1. INTRODUZIONE 
 
Con questo lavoro ci si prefigge l’obiettivo di analizzare le condizioni 
socio-demografiche ed economiche dell’Italia meridionale e più 
precisamente dei 4 comuni più grandi: Napoli, Bari, Palermo e Catania. 
Gli indicatori statistici utilizzati sono costruiti sulla base dei dati 
desunti dall’ultimo Censimento Istat del 1991. 
La particolarità di questo Censimento risiede nel fatto che per la 
prima volta sono presenti, per i 12 comuni con più di 250.000 abitanti, 
delle suddivisioni a livello di quartieri o di circoscrizione e, quindi, si è in 
presenza di una quantità di dati molto dettagliata. 
Tuttavia, anche se i dati sono suddivisi per unità territoriali 
subcomunali, non sempre è agevole la lettura di una grande massa di 
informazioni capillari e specifiche sulla struttura per età della popolazione 
ed è, dunque, per questo motivo, che ci si prefigge di condurre tre diversi 
tipi di analisi, con lo scopo di poter ottenere una situazione socio-
demografica ed economica più chiara possibile sul Mezzogiorno d’Italia. 
In una prima analisi, di tipo generale, si vogliono utilizzare tutti gli 
indicatori, senza particolari distinzioni, applicando tecniche di riduzione 
dello spazio vettoriale (analisi fattoriale), combinata con tecniche di 
riduzione della numerosità dei dati (cluster gerarchica). 
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La seconda analisi che si intende sviluppare utilizzerà la stessa 
combinazione di metodologie per l’interpretazione dei dati, con la 
differenza che gli indici verranno suddivisi in gruppi di variabili omogenee: 
il primo gruppo per studiare la struttura della popolazione, il secondo il 
fattore occupazionale ed il terzo la struttura delle abitazioni. Possono, 
quindi, essere condotte tre diverse ACP e tre cluster in modo che si 
potranno apprezzare eventuali differenziazioni dovute alle variabili. 
La terza analisi punta sulla suddivisione territoriale: verrà condotta 
un’ACP per ogni città e sulla base del nuovo spazio vettoriale ottenuto, si 
potrà applicare una cluster sfocata. Questa discostandosi dalla cluster 
classica per il fatto che ogni unità può essere inclusa in uno o più gruppi 
permette di avere una separazione meno netta del territorio, così che si 
possono individuare anche interrelazioni esistenti tra le unità non 
facilmente identificabili in altro modo. 
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2. Le analisi territoriali ed il Mezzogiorno 
 
A partire dai primi del 1900, nell’Italia settentrionale viene a costituirsi 
il cosiddetto “triangolo industriale” ed incomincia ad avviarsi il “miracolo 
economico”, in netta contrapposizione rispetto al resto del Paese, rimasto 
in condizioni rurali. 
Tale “miracolo economico” è misurabile geograficamente in termini di 
dinamica regionale del reddito pro-capite e di altri indicatori del sistema 
produttivo, come la distribuzione della popolazione attiva tra i tre settori e il 
grado di partecipazione di quelli extra-agricoli alla formazione del valore 
aggiunto, il grado di integrazione nazionale ed internazionale delle 
economie locali e così via. Ad esso corrispondono anche delle 
modificazioni rilevabili più concretamente come spostamenti demografici, 
costruzione di abitazioni, fabbriche, di infrastrutture del territorio, edifici per 
la produzione, la distribuzione e il consumo, dinamismi relazionali, ecc. 
Ma sono gli anni cinquanta e sessanta, nel corso dei quali si è 
verificato, per effetto delle migrazioni interne, un massiccio processo di 
redistribuzione territoriale della popolazione, quelli che appaiono 
caratterizzati da una più vivace dinamica dell’urbanizzazione. Durante 
questi anni, quelli in cui il “miracolo economico” si realizza definitivamente, 
si è difatti verificata una crescente concentrazione territoriale della 
popolazione e delle attività produttive con massicci flussi di capitali e di 
lavoro verso aree limitate del paese. Sono gli anni in cui esplode la 
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mobilità interna della popolazione, si intensificano i processi di 
urbanizzazione, si acuiscono gli squilibri territoriali. In questa fase le città, 
specie quelle più grandi, rappresentano i “luoghi centrali” di questa 
geografia dello sviluppo. 
Dunque, un ruolo preponderante, nei processi di urbanizzazione e di 
controurbanizzazione, è assunto dall’analisi dei fenomeni migratori: da tale 
punto di vista, si può ritenere che, nel senso più tradizionale del termine, si 
avrà urbanizzazione finchè la capacità di attrazione dei grandi centri 
urbani sarà tale da determinare saldi positivi del movimento migratorio e si 
avrà, al contrario, controurbanizzazione nei casi in cui venga a verificarsi il 
fenomeno inverso. 
Il cambiamento avvenuto negli anni cinquanta e sessanta è sembrato 
poter favorire il passaggio da un’Italia settentrionale del “triangolo 
industriale” e dell’immensa periferia contadina del meridione, ad un’Italia 
meno disomogenea, in realtà le politiche effettuate non hanno impedito 
che si approfondisse il distacco tra Nord e Sud. Ad un impetuoso processo 
di inurbamento demografico delle città e dei litorali, si accompagna 
l’abbandono delle montagne e delle campagne. L’inurbamento caotico 
riguarda tanto città grandi e piccole, che quelle costiere, o limitrofe alle 
coste, del Sud, già “grandi capitali degli stati pre-unitari, come Roma, 
 6
Napoli, Palermo o altri centri più recenti dell’agricoltura specializzata come 
Bari o Catania”
1
. 
Ma questa fase si avvia rapidamente ad essere superata, negli anni 
del “decentramento produttivo”, ossia negli anni ‘70, quando la dinamica 
territoriale del sistema quasi ininterrotto di città, fabbriche e grandi opere si 
distende su tutte le regioni che coprono l’intervallo tra le Alpi e il vecchio 
confine della Cassa per il Mezzogiorno. 
Alle zone che vanno gradualmente avvicinandosi e che stringono 
relazioni con il resto del “sistema produttivo Italia”, se ne contrappongono 
altre di arretratezza residua. 
Ormai l’intero Paese è entrato nell’orbita dell’industrializzazione, 
anche se dal punto di vista della struttura produttiva è possibile individuare 
ancora molte differenze: prima di tutto la netta contrapposizione tra l’Italia 
industrializzata e “l’Italia che ha adottato solo il comportamento dei paesi 
industrializzati, ma non partecipa al sistema con strutture produttive 
endogene o autonome”
2
; secondo, nella stagione del “decentramento 
produttivo” il dualismo economico-territoriale tende geograficamente a 
diversificarsi dentro l’area del Mezzogiorno in ambiti specifici. Si parla di 
“Italia emergente” con riferimento al nuovo dinamismo demografico e  
                                                          
1
 Bartaletti, 1992, pag. 21 
2
 Bartaletti, 1992, pag. 22 
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urbano che riguarda le aree che fino a pochi anni prima avevano 
alimentato l’esodo rurale e l’inurbamento e sono ora investite dall’ondata 
di espansione spaziale della nuova urbanizzazione. E questo causerà, poi, 
nella fase di “controurbanizzazione”, un attenuarsi della tensione 
demografica ed abitativa nelle “città centrali” e uno spostarsi della crescita 
verso le prime, le seconde e talora perfino le più lontane periferie.  
I 4 comuni di maggiore dimensioni demografiche del sud (Napoli, 
Bari, Palermo e Catania) hanno visto progressivamente contrarsi la 
propria forza di espansione, tanto da pervenire nella maggior parte dei 
casi, ad un declino demografico, da attribuire esclusivamente ai fenomeni 
migratori. Della crisi demografica di questi comuni hanno usufruito i 
comuni limitrofi che in svariati casi sono pervenuti a costituire un 
continuum territoriale nei confronti del centro principale. 
In questo lavoro si è analizzata l’evoluzione demografica utilizzando i 
dati censuari dal 1971 al 1991, sintetizzati con alcuni tassi, nonché, 
attraverso i dati di fonte anagrafica, con dei saldi. L’andamento economico 
è stato rilevato osservando i dati censuari della popolazione e 
dell’industria, applicando diversi tipi di indicatori ad un livello di 
macroaggregazione, solo per il 1981, provinciale. 
Tutto ciò per studiare l’evoluzione “interna” dei singoli comuni, ma 
anche per osservare come sono cambiate le interrelazioni e le 
interdipendenze tra i 4 grandi comuni del Mezzogiorno. 
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Difatti, se da un lato le grandi città sono diventate ormai di difficile 
vivibilità, dall’altro ci si chiede quali siano le realtà territoriali che 
beneficiano di questa perdita di attrazione dei principali centri urbani.  
E’ proprio per questi motivi, dunque che «da almeno un ventennio si 
parla in Italia di controurbanizzazione, di una tendenza cioè al decremento 
delle “città centrali”»
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, a favore di una periferia sempre più estesa. Ma la 
crisi dell’accentramento urbano è forse molto più complessa di quanto 
sembra far credere la dottrina della controurbanizzazione o della 
deconcentrazione e questo per un insieme di ragioni.  
L’Italia urbana di oggi non sembra aver molto da spartire con quella 
del passato, se non fosse per l’impegno e l’onere di tramandare al futuro 
quanto resta del passato che qualifica culturalmente ed esteticamente la 
nostra urbanizzazione ai primi posti del mondo. 
                                                          
3
 Bartaletti, 1992, pag. 15 
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2.1 La fonte anagrafica 
Lo studio dei movimenti di flusso di una determinata area passa 
attraverso l’analisi annuale dei dati anagrafici. 
Nella ricerca svolta, l’area in questione riguarda i 4 grandi comuni del 
Mezzogiorno (Napoli, Bari, Palermo e Catania) i quali appartengono alle 
tre regioni che socio-demograficamente ed economicamente parlando, 
sono molto rappresentative del Sud d’Italia, ossia la Campania, la Puglia e 
la Sicilia. 
Questo tipo di analisi è stato condotto per assicurare sia una 
comparazione temporale, attraverso i dati di flusso di fonte anagrafica, sia 
una comparazione territoriale, ossia tra comuni, con dati censuari. 
Sono stati, dunque, calcolati saldi naturali e saldi migratori, tassi 
socio-demografici quali quozienti di natalità e mortalità, nonchè quelli di 
immigratorietà e di emigratorietà, facendo riferimento alla popolazione 
media residente per ciascun anno, per ognuno dei 4 grandi comuni del 
Mezzogiorno.  
I dati presi in considerazione partono dal 1972 e, dunque, 
permettono di ricostruire l’andamento della struttura della popolazione 
degli ultimi venti anni, in cui sono presenti, peraltro, dei dati anomali, 
rispetto a quelli degli anni precedenti o successivi, dovuti al fatto che le 
anagrafi, in occasione delle rilevazioni censuarie, integrano i loro dati con 
quelli del Censimento tanto da apportare severe modifiche per far 
coincidere la popolazione anagrafica con quella censuaria. 
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Per la determinazione dei movimenti della popolazione si è calcolato 
il saldo naturale (differenza tra nati e morti), migratorio (differenza tra 
iscrizioni e cancellazioni) e totale (somma tra saldo naturale e migratorio) 
per ogni singolo anno, così da poter distinguere le modifiche avvenute 
negli anni in ogni città, per effetto delle migrazioni e del movimento 
naturale. 
Per ultimo, poi, sono stati considerati quattro tassi generici per 
meglio interpretare le informazioni che scaturiscono dai saldi. Tali tassi 
sono quello di natalità (numero di nati sulla popolazione residente), di 
mortalità (numero di morti sulla popolazione residente), di immigratorietà 
(numero di immigrati sulla popolazione residente) e di emigratorietà 
(numero di emigrati sulla popolazione residente). 
Sarebbe stato interessante anche costruire numerosi quozienti di tipo 
specifico, quali, ad esempio, tassi per classi di età o per sesso, però questi 
non sono stati presi in considerazione, per il fatto che non sempre sono 
facilmente reperibili le informazioni necessarie per tutti i grandi comuni. 
Dunque, analizzando nelle singole città i dati riguardanti i nati e i 
morti, questi risultano avere pressappoco un andamento analogo nei 
quattro comuni, ossia tendono ad avere una diminuzione in valore 
assoluto dei nati, mentre le morti risultano stabili nel tempo e questo 
processo pare essere più rallentato per Palermo che sembra avere una 
perdita media di nati molto inferiore alle altre città. 
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Queste considerazioni portano logicamente verso una saldo naturale 
che risulta sì positivo, però in costante diminuzione, il che lascia presagire, 
nel giro di qualche anno, situazioni in cui le nascite diminuiranno a tal 
punto da risultare inferiori alle morti (fig. 2.1, fig. 2.2, fig. 2.3 e fig. 2.4).  
Per i dati sulle iscrizioni, l’andamento risulta leggermente 
decrescente per Bari e per Palermo, con due dati probabilmente anomali, 
per gli anni 1988-1989, in quest’ultima città; mentre per Catania le 
immigrazioni sono risultate alquanto stabili, con l’eccezione del 1974, in 
cui vi è stato un aumento notevole delle immigrazioni; infine Napoli sta 
subendo una forte diminuzione delle iscrizioni, fenomeno iniziato in 
maniera consistente all'inizio degli '80 (fig. 2.5, fig. 2.6, fig. 2.7 e fig. 2.8).  
Le cancellazioni si comportano in maniera un po’ anomala: pur 
rimanendo sostanzialmente stabili, si notano delle variazioni a volte anche 
consistenti, specialmente in prossimità dei Censimenti. L’unica eccezione 
è Napoli in cui sembra prevalere su tutto un andamento decrescente. 
Da queste considerazioni si ricavano informazioni relative alla 
variabilità nel tempo del saldo migratorio per le quattro città: per Napoli, a 
partire dal 1977, si è rilevato un forte calo, dovuto al fatto che vi è stata 
una diminuzione, in valore assoluto, nelle cancellazioni; mentre invece, a 
Palermo, tra il 1979 e il 1980, vi è stato un aumento del saldo, passando 
da valori positivi a valori negativi e ciò è dato dal fatto che sono aumentate 
notevolmente, rispetto alle iscrizioni, le cancellazioni, soprattutto quelle 
verso altro comune italiano. Anche a Bari vi è stato un anno, il 1974, in cui 
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si è verificato un forte aumento del saldo migratorio, ma questa volta il 
motivo è da ricercarsi nel fatto che, a fronte di un andamento costante 
delle iscrizioni, vi è stato una diminuzione nelle cancellazioni. 
Per Catania due evidenti cali si sono verificati tra il 1973-1974 e il 
1986-1987, dovuti, nel primo caso, ad un aumento delle iscrizioni, mentre 
nel secondo caso ad una diminuzione delle cancellazioni. 
Mettendo in relazione il saldo naturale con quello migratorio (saldo 
totale), si sintetizzano le stesse conclusioni ottenute con l’analisi dei due 
saldi precedenti (fig. 2.9, fig. 2.10, fig. 2.11 e fig. 2.12).  
Nell’analizzare la popolazione nel periodo che arriva fino al 1996, si 
nota come l’andamento degli incrementi è ovunque decrescente nei 4 
comuni, con esclusione di Catania, che nel quinquennio ’91 - ’96 ha 
riportato un lieve incremento. Del resto questo era stato rilevato anche 
precedentemente sui saldi  naturali e migratori e, quindi, per riflesso, 
anche sul saldo totale. Tuttavia, però, in quest’ultimo caso, l’andamento 
decrescente si rileva per tutti e 4 i grandi comuni, anche se per Catania 
tale decremento è meno visibile, perché oscillante (fig. 2.13 e fig. 2.14). 
Una volta esaminati, quindi, i movimenti di flusso, l’analisi dei tassi 
ha fornito ulteriori spunti di riflessione. 
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Il tasso di natalità presenta ovunque un andamento costantemente 
decrescente, anche a Palermo, il che significa che non ha avuto una forte 
perdita di nascite nel periodo, esclusivamente perché è aumentata la 
popolazione e, dunque, l’andamento rallentato dalla diminuzione delle 
nascite è, in effetti, solo apparente (fig. 2.15). 
Il tasso di mortalità risulta piuttosto stabile negli anni, con esclusione 
di Napoli, che presenta nel periodo 1975-1977 dei valori più elevati 
rispetto a quelli degli altri anni (fig. 2.16). 
Il tasso di immigratorietà presenta diverse situazioni: a Catania vi è 
una forte variabilità, anche se non vi è un andamento predominante, a Bari 
e Palermo l’andamento è leggermente decrescente, con valori molto 
bassi, rilevati nel 1988, legati alle poche iscrizioni rilevate nell’anno ed in 
particolare iscrizioni da altro comune italiano. Infine a Napoli si rileva una 
forte diminuzione del tasso, logica conseguenza della diminuzione delle 
iscrizioni, come più sopra evidenziato (fig. 2.17). 
In conclusione, prendendo in considerazione i comuni siciliani, 
Palermo e Catania, si nota che queste due città hanno degli andamenti 
demografici non molto simili tra loro, soprattutto per quanto riguarda i 
movimenti migratori.  
Difatti Catania versa in uno stato peggiore rispetto al capoluogo di 
Regione, in quanto ha dei valori migratori del tutto negativi e più elevati, 
sia che si considerino le cancellazioni, ma soprattutto se si considera il 
saldo migratorio.  
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Se si analizza, poi, anche il saldo totale, questo per Catania, 
presenta valori negativi per quasi tutti gli anni considerati, mentre per 
Palermo ciò non avviene, anzi, per quest’ultimo, risultano valori elevati e 
positivi. 
Per quanto concerne, invece, gli altri due comuni, Napoli e Bari, 
quest’ultimo è sicuramente un comune con evidenti problemi migratori e 
questo lo si vede dai valori del saldo, decisamente elevati, ma anche dai 
quozienti generici di immigratorietà e di emigratorietà (fig. 2.18). 
Napoli, invece, ha la caratteristica di avere dei valori con andamento 
decrescente per i movimenti di flusso, saldi e quozienti generici, con 
l’esclusione del saldo migratorio che, invece, durante gli anni, dagli elevati 
valori negativi che presentava, si è andato assottigliando sempre di più, 
fino quasi a raggiungere, nell’anno 1991, una parità tra iscrizioni e 
cancellazioni.