PRESENTAZIONE
Il presente lavoro si occupa del tema della prevenzione e informazione per un divertimento 
responsabile contro le stragi del sabato sera. Lo studio è stato basato sulle tecniche e teorie 
dell’ergonomia cognitiva, per analizzare ciò che sono gli aspetti fondamentali del problema e 
cercare una soluzione attraverso una attenta metodologia.
L’introduzione alla scelta apre la discussione sui drammi sociali e la cultura del divertimento 
nell’età giovanile, analizzando l’ambivalenza dell’alcol  e la problematicità dell’informazione e 
della prevenzione nel senso più generale del tema. Ecco introdotto il capitolo legato al target di 
riferimento, il più toccato dalle problematiche prima indicate e sicuramente quello che necessita 
maggiormente di uno studio approfondito. La complessità del target e la gravità del problema non 
potevano evitare un’accurata indagine sulla tematica legata all’alcol: dati, usanze e conseguenze 
di una sostanza che per molti aspetti incide sulla vita dei giovani d’oggi, e che se accostata alla 
guida può creare un nocivo cocktail di rischi e pericoli per la vita propria e altrui. 
Successivamente si darà spazio alla comunicazione, intesa come strumento indispensabile per 
una soluzione possibile, non casuale, ma attentamente studiata. Fino alla seconda metà degli anni 
ottanta infatti, l’uso della comunicazione persuasiva a fini di pubblico interesse ha rappresentato 
una pratica limitata. È solo nel corso di quest’ultimo decennio che la pubblicità sociale ha 
conosciuto un’impressionante espansione e soprattutto un aumento dei soggetti che la utilizzano. 
Per questo motivo, si è dedicata una parte generale all’introduzione al fenomeno della pubblicità 
sociale. Per un ulteriore approfondimento sul tema, si prenderà in esame la problematica della 
sicurezza stradale intesa, si, come dovere di ogni cittadino a rispettare le norme del codice della 
strada nella salvaguardia della propria e dell’altrui vita, ma anche e soprattutto come un senso di 
responsabilità più radicale. Analizzeremo in particolar modo l’impatto che questi dati hanno sui 
giovani e come loro affrontano la pubblicità sociale e il problema che esso scaturisce.
Dopo aver effettuato un’analisi ambientale del fenomeno dell’incidentalità stradale in Italia, si 
analizzeranno nello specifico le più importanti campagne di sensibilizzazione realizzate ad oggi, il 
mondo esistente dei programmi, dei servizi e dei gadget per ridurre il numero di incidenti stradali 
legati all’assunzione di alcol.
Il risultato verrà poi ulteriormente analizzato tramite un’intensa sessione qualitativa di cui 
verranno esaminati e commentati i risultati. Si arriverà così a delineare le linee guida per ciò che 
sarà un servizio ideale di riaccompagno e prevenzione, come supporto alla tutela della guida in 
stato di ebbrezza.
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1. DEFINIZIONE ERGONOMIA COGNITIVA 
La distinzione principale che si fa nel campo dell’ergonomia è quella tra ergonomia fisica 
(essenzialmente basata su antropometria e fisiologia) ed ergonomia cognitiva. 
Indubbiamente, l’ergonomia fisica è più nota e forse è la prima che viene in mente. La parola 
“ergonomia”rimanda all’idea di sedie confortevoli e viene spesso associata alla comodità, oppure 
alla facilità d’uso. Sarebbe più corretto dire che l’ergonomia può assumere significati differenti 
in funzione: degli obiettivi specifici che si pone il ricercatore o il progettista; della componente 
disciplinare più utile per il raggiungimento di quegli obiettivi. 
Una componente non è più importante dell’altra in assoluto, ma diventa centrale in funzione 
degli scopi. In questo caso sarà la componente cognitiva ad assumere un ruolo fondamentale 
nella progettazione.
In generale, quindi, possiamo dire che l’ergonomia cognitiva sta all’ergonomia fisica come la 
“mente” sta al corpo.
Per ergonomia cognitiva si intende, quindi, lo studio e la valutazione dei processi cognitivi 
(percezione, attenzione, memoria,ecc) coinvolti nell’interazione tra individuo e tecnologia, 
nonché l’attività di progettazione (o di supporto alla progettazione) che tenga conto di questi 
processi.
a. LA PERCEZIONE
La percezione avviene quando uno stimolo è registrato da uno o più sensi. In realtà non elaboriamo 
tutti gli stimoli, ma solo quelli che superano la soglia percettiva, fattore legato all’intensità dello 
stimolo. Tale intensità deve raggiungere una soglia entro la quale diventa percepibile, soglia che è 
il punto nel quale si può individuare una differenza tra qualcosa e niente. Un altro valore di soglia 
è importante per la percezione ovvero la soglia differenziale: si riferisce alla differenza minima 
che può essere percepita tra due stimoli. 
La legge di Weber nell’Ottocento è quella che teorizza per prima questa differenza: più forte 
è lo stimolo iniziale maggiore deve essere l’intensità addizionale perché il secondo stimolo sia 
percepito come differente (Vannoni, 2007).
La percezione è, dunque, un processo che dà significato e interpretazione ai dati sensoriali. Per sua 
natura, in genere, avviene velocemente e automaticamente, richiedendo poche risorse attentive, 
guidata direttamente dalle informazioni sensoriali che sopraggiungono ma anche dalla memoria 
a lungo termine in relazione a quanto è atteso di dover percepire.
Seppur la nostra percezione avvenga tramite due occhi, essa è sintetizzabile in ciò che viene 
definito occhio ciclopico, ovvero una rappresentazione mentale univoca delle singole informazioni 
oculari. L’occhio ciclopico vede ciò che nessuno dei due occhi singolarmente riesce a percepire. 
L’occhio ciclopico però non vede macchie e punti, ma forme ed oggetti posti su uno sfondo.
PERCEPIRE ATTRAVERSO LA VISTA
Gli studi sulla percezione visiva sono quelli più avanzati nell’ambito dei diversi organi di senso.
Partiamo dal presupposto che la percezione visiva non sia un singolo atto, ma un processo 
composto da più fasi che possono implicare una partecipazione cognitiva di elevato livello.
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L’oggetto non è solo percepito, ma viene realmente visto ovvero riconosciuto e categorizzato già 
in questa fase. Con Marr e Nishihara (1978) e Marr (1982) possiamo individuare quattro stadi per 
il riconoscimento percettivo di un oggetto:
•	 nel primo stadio la scena (oggetto e contesto) viene rappresentata in termini di contorni, 
linee, macchie alle quali vengono associati attributi relativi a orientamento, contrasto, 
lunghezza, larghezza, posizione e raggruppamento;
•	 nel secondo stadio si individuano dati relativi alla profondità delle diverse superfici e 
l’unificazione dei due campi visivi, si crea quindi un abbozzo di rappresentazione che si 
può definire di dimensione 2 e mezzo;
•	 il terzo stadio porta a una descrizione strutturale dell’oggetto in tre dimensioni, definisce 
le dimensioni spaziali in modo centrato sull’oggetto stesso e crea una classificazione 
dell’oggetto sulla base di un catalogo di descrizioni strutturali presenti nella memoria;
•	 nel quarto e ultimo stadio si raggiunge una descrizione semantica dell’oggetto.
Warrington (1982) fa però notare che la terza e la quarta fase non potrebbero avvenire se fossero 
danneggiate le descrizioni astratte presenti in memoria. Se quindi il riconoscere significa porre in 
confronto un oggetto percepito con una rappresentazione mentale astratta dello stesso presente 
in memoria, dobbiamo però considerare il fatto che possa esserci un’organizzazione di schemi 
delle azioni percettive. 
La teoria degli schemi può essere suddivisa in due livelli:
•	 un primo livello superiore che equivale a ciò che Shank e Abelson (1977) definiscono script 
e che corrisponde all’organizzazione complessiva di un’attività suddivisa per stadi;
•	 un secondo livello che viene detto schema.
Una tecnica molto efficace che viene usata durante la percezione attraverso la vista è l’eye 
tracking. Attraverso questa tecnica ci si accorge che per riconoscere un volto il nostro sguardo 
pone l’attenzione principalmente su tre elementi: gli occhi e la bocca e possiamo inoltre valutare 
come questi elementi siano di per sé quelli a cui attribuiamo una valenza espressiva maggiore, 
sia dal punto di vista della loro disposizione, sia dal punto di vista delle loro variazioni alle quali 
affidiamo il delicato compito di fornirci quell’insieme di caratteristiche che rientrano sotto il nome 
di espressioni del volto.
È molto importante dover distinguere l’atto del vedere da quello del percepire, trasformazione 
che implica l’attività di altre funzioni come la memoria: i segnali visivi devono essere trattenuti 
nella memoria di lavoro per un periodo breve ma sufficiente, per associarli ad altre informazioni 
congiunte o derivanti dall’esperienza passata. (Vannoni, 2009). Infatti l’esperienza passata gioca 
un ruolo fondamentale nella percezione successiva.
b. L’ ATTENZIONE
L’attenzione è un processo che serve a limitare gli stimoli per permettere al soggetto di concentrarsi 
su quelli che ritiene di maggior valore o che sono più salienti (Kahneman, 1973). L’attenzione è 
anche un’attività di elaborazione delle informazioni critiche.
L’attenzione è fondamentalmente un processo selettivo ovvero può essere suddivisa su più 
compiti, ma il potersi distribuire su più stimoli e il passare da uno stimolo all’altro è anche la causa 
sulla quale si basa il processo di distrazione.
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La gestione delle risorse attentive è spesso risultato di una strategia volontaria delle persone, 
ma in alcuni casi può essere frutto di una risposta involontaria all’ambiente e in particolare alla 
salienza degli stimoli.
L’attenzione è limitata: possiamo fare attenzione a più stimoli nello stesso tempo solo se riusciamo 
a elaborarli in modo automatico sulla base di esperienze pregresse e con un basso coinvolgimento.
Quello che differenzia le persone non sta tanto nel numero di unità informative quanto piuttosto 
nella dimensione che queste unità possono avere, fattore che dipende dal grado di esperienza e 
conoscenza che l’individuo ha dell’argomento trattato. 
L’attenzione è una variabile suddivisibile su una scala che va dai processi pre-attentivi a quelli 
focali. Ciò che fondamentalmente determina il livello al quale pone l’attenzione è la quantità di 
energia dedicate: se è bassa ci troviamo negli stati di sonno o di presonno, mentre, se vi è un 
livello medio, il soggetto si trova in uno stato di veglia. Gli stati elevati o molto elevati, che sono, 
peraltro, tipici di situazioni ad alto contenuto emotivo, risultano, come quelle con basse energie, 
deleteri per l’attivazione e il controllo dell’attenzione.
Un ulteriore fattore di influenza generale sui processi attentivi è legato agli stati d’animo del 
destinatario: in uno stato d’animo positivo o negativo il destinatario tenderà a fare più attenzione a 
particolari rispettivamente positivi o negativi della comunicazione e, più in generale, dell’ambiente.
Esistono quattro modalità tipiche dell’attenzione:
•	 STATI PRE-ATTENTIVI: consistono in una prima organizzazione a basse risorse generalmente 
automatizzate in cui le persone organizzano il mondo in oggetti o gruppi di oggetti. Pur 
non essendo ancora una vera e propria fase di attenzione selettiva, ne è comunque la 
base. Gli stati pre-attentivi sono legati alla memoria sensoriale, ovvero ad un primo canale 
di ingresso delle informazioni ricavata dagli organi di senso, mentre successivamente 
subentra la vera e propria percezione guidata dall’attenzione selettiva;
•	 ATTENZIONE SELETTIVA: consiste nella selezione di elementi sensoriali o depositati in 
memoria sui quali compiere azioni di elaborazione. In alcuni casi l’attenzione può essere 
eccessivamente selettiva, ovvero si incentra su un fattore secondario, portando il soggetto 
a non considerarne altri che sono invece importanti. L’oscillazione dell’attenzione ed i suoi 
limiti sono, infatti, la causa principale dei processi di distrazione;
•	 ATTENZIONE FOCALIZZATA: è una forma di attenzione involontaria legata agli stimoli 
ambientali troppo salienti che causano una tendenza alla distrazione al di là della volontà 
del soggetto. Uno stimolo è saliente quando si diversifica molto da quelli che lo circondano;
•	 ATTENZIONE DIVISA: in molti casi riusciamo a distribuire l’attenzione su più stimoli, ma in 
altri non riusciamo a dividerla o ad integrare più fonti di informazione temporaneamente. 
Riusciamo, infatti, a fare attenzione a più stimoli nello stesso tempo solo se mettiamo in 
atto una forma di elaborazione, almeno in parte, automatica.
I PROCESSI PRE-ATTENTIVI
I processi pre-attentivi avvengono quando molte risorse sono impegnate in compiti differenti, 
lasciandone solamente poche disponibili: essendo limitate, l’informazione che forniscono non 
raggiunge il livello di coscienza (Vannoni, 2007).
A questo livello si è ancora lontani da un’elaborazione e da giudizi e valutazioni.
La capacità di operare attraverso un processo pre-attentivo è influenzata da soglie minime di 
struttura del testo quali il fatto che lo stimolo elaborato in modo pre-attentivo sia visivo o verbale 
oppure il fatto che sia inserito nella parte sinistra o destra del campo visivo. 
Tali risultanti sono legate alla laterizzazione degli emisferi del cervello:
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•	 l’emisfero destro tende ad elaborare le informazioni in modo complessivo (ovvero 
olistico): elabora meglio informazioni di cui sia necessaria una valutazione complessiva 
quali la musica, le informazioni spaziali e visive e, su queste basi, crea poi inferenze e 
trae conclusioni;
•	 l’emisfero sinistro elabora invece meglio unità parziali che debbano essere assemblate 
come ad esempio il contare, l’elaborare parole sconosciute o il creare frasi ed 
espressioni sintattiche.
Uno stimolo elaborato con attenzione focale o comunque con un livello elevato, invece, viene 
elaborato da entrambi gli emisferi del cervello. Gli stimoli visivi sono, quindi, elaborati meglio 
se sono nel campo sinistro del testo, mentre le parole sono elaborate meglio se sono poste nel 
campo destro del testo (Vannoni, 2007).
STRATEGIE NEI PROCESSI ATTENTIVI
È possibile ipotizzare alcune strategie generali attraverso le quali un mittente possa attirare o 
influenzare l’attenzione di un destinatario. Si possono infatti individuare quattro modi e le relative 
varianti attraverso le quali attivare o aumentare l’attenzione del destinatario (Vannoni 2007).
Creare uno stimolo personalmente rilevante
Agire su questa variabile significa creare testi che catturano l’attenzione in quanto possono avere 
conseguenze potenziali sulla vita del destinatario.
Più in generale è possibile definire uno stimolo come personalmente rilevante quando è presente 
una o più delle seguenti caratteristiche:
•	 Si rifà a bisogni, obiettivi e valori del destinatario: se un bisogno psicologico o 
fisiologico è attivo il destinatario è portato a prestare attenzione a stimoli che sono 
rilevanti per quel bisogno; altri stimoli possono attirare l’attenzione se sono coerenti 
con i nostri valori o obiettivi. D’ altro canto alcuni stimoli possono essere rilevanti in 
quanto vengono percepiti dal destinatario come conseguenze importanti, fattore che 
innesca il rischio percepito, oppure perché sono moderatamente inconsistenti con i 
suoi atteggiamenti (Vannoni, 2007).
•	 È percepita una similarità con la fonte: ciò è dovuto al fatto che, in genere, il destinatario 
nota individui che ritiene simili a lui, rinforzando in questo modo la visione del mondo 
e il concetto di sé;
•	 Sono presenti i drammi: le strutture narrative esplicite, ovvero le ministorie, possono 
guidare il destinatario nell’azione e renderla rilevante e degna di attenzione;
•	 Sono presenti domande retoriche: è una tipologia di domanda che, non richiedendo 
una risposta diretta, è costruita esclusivamente per ottenere un effetto di attenzione, 
in quanto simula un coinvolgimento diretto nel costruire una risposta.
Creare stimoli piacevoli
La piacevolezza nella comunicazione può catturare l’attenzione del destinatario attraverso tre 
strumenti principali:
•	 Immagini di persone attraenti o famose. Anche attraverso immagini piacevoli di luoghi 
si può attirare l’attenzione, come allo stesso modo può avvenire con le immagini 
spiacevoli. Sia la bellezza sia la piacevolezza di luoghi, comunque, è fortemente 
condizionata a livello individuale e culturale (Vannoni, 2007).
•	 La musica è uno stimolo che può avere risvolti interessanti sull’attenzione oltre che 
per l’attivazione anche per il mantenimento della stessa. Ciò che comunque conta è il
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rapporto tra la musica e l’argomentazione in quanto solo in questo caso l’attenzione 
si convoglia anche sul contenuto testuale, in caso contrario può invece diventare un 
fattore di disturbo o di distrazione.
•	 L’umorismo può attirare l’attenzione.
Creare stimoli sorprendenti
Questo fattore è sicuramente un potente coinvolgitore di attenzione. Fondamentalmente 
individuiamo due fattori che possono rendere uno stimolo sorprendente:
•	 La novità: notiamo più facilmente uno stimolo che è nuovo e unico, ovverosia qualcosa 
di diverso rispetto a ciò che conosciamo in rapporto alla categoria percepita. 
•	 Lo stimolo di novità che crea l’attenzione non necessariamente è lo stesso che crea la 
piacevolezza (Vannoni, 2007).
•	 Gli stimoli inattesi: non sono necessariamente cose nuove, ma semplicemente poste 
dove il destinatario non se le aspetta (Vannoni 2007). Ma uno stimolo eccessivamente 
inatteso può invece confondere il destinatario.
Stimoli facili da elaborare
Gli stimoli facili da elaborare possono essere suddivisi in:
•	 Stimoli evidenti: sono molto visibili nell’ambiente, la prominenza può essere influenzata 
dalle dimensioni o dalla lunghezza temporale dello stimolo (Vannoni, 2007). Un’altra 
caratteristica che rende uno stimolo evidente è il movimento (ad esempio nelle 
insegne), mentre dove il movimento è comune ( ad esempio nella pubblicità televisiva) 
funzionano meglio azioni dinamiche e veloci.
•	 Stimoli concreti: attirano maggiormente l’attenzione n rapporto a quelli astratti. La 
concretezza  definita come il grado di dettaglio e la specificità di uno stimolo.
•	 Stimoli in contrasto: il contrasto funziona molto bene per distinguersi dalla massa di 
cose simili che tendono invece a confondersi tra loro.
I VINCOLI DELL’ ATTENZIONE
A incidere sulla qualità della prestazione, in termini di attenzione, non è solo la domanda di risorse 
disponibili, ma anche la strategia di allocazione di queste che viene messa in atto.
Mentre la domanda di risorse può essere legata sia al soggetto, sia, spesso, essere legata alle 
caratteristiche del compito, la politica di allocazione delle risorse è, invece, solamente legata 
all’abilità e all’esperienza del soggetto. Infatti, mentre agli inizi si possono sviluppare solamente 
gli automatismi nell’esecuzione di un compito, con l’esperienza e gli addestramenti successivi, si 
giunge anche ad acquisire un’abilità di allocazione delle risorse.
Gli automatismi sono formati da mappe consistenti tra gli stimoli e le categorizzazioni mentali 
e tendono ad essere rapidi, accurati e di basse risorse. La caratteristica principale dei processi 
automatici è che possono essere rapidamente ed efficacemente ripartiti temporalmente con altri 
compiti a maggior consumo di risorse.
L’allocazione strategica delle risorse tra più compiti può condurre a risultati molto differenti, a 
seconda dell’addestramento che le persone hanno ricevuto.
Diversi fattori possono incidere sulle strategie di allocazione delle risorse tra due compiti 
concorrenti:
•	 effetto inerziale: spostare l’attenzione da un compito a un altro ha un costo in termini 
energetici, per tale ragione le persone tendono a continuare lo svolgimento dello
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stesso compito anche quando si è raggiunto un livello ottimale, a discapito di un 
secondo compito con priorità maggiore.
•	 Interferenza: se due compiti hanno un altro grado di relazione o similarità tra loro, 
lo spostamento dell’attenzione può causare interferenze tra i compiti stessi. Bisogna 
altresì evidenziare che lo spostamento attentivo tra compiti anche molto dissimili dal 
punto di vista cognitivo non richiede un tempo maggiore rispetto al passaggio tra 
compiti simili (Vannoni, 2009).
La presenza di attivatori del ricordo che siano fisicamente differenti o salienti da un punto di 
vista sensoriale induce uno spostamento automatico dell’attenzione più veloce. Se però gli stimoli 
sono ambigui o poco salienti, si rischia di disperdere l’attenzione o di rispondere con tempi molto 
maggiori.
Quando si progettano i compiti in modo astratto, si ipotizzano le sequenze di azione di attenzione 
appropriate, ma le persone tendono a seguire azioni che richiedono bassi carichi di lavoro 
mentale, stravolgendo le sequenze ottimali per aderire ad un’auto-organizzazione che spesso 
tralascia azioni e controlli quando sarebbero più necessari. Le persone tendono, infatti, ad essere 
più attive quando il carico di lavoro mentale cresce eccessivamente.
Le variabili che vanno, quindi, ad incrociarsi per la predizione del risultato di un compito attentivo 
sono legate sostanzialmente a quattro fattori:
•	 l’automaticità: ovvero quanto la progettazione di uno o più compiti sia facilmente 
acquisibile come processo automatico della mente;
•	 la domanda di riserva: ovvero quanto la progettazione di un compito richieda risorse 
mentali, causando, se eccessiva, perdita di vigilanza ed errori;
•	 l’abilità del soggetto: ovvero quanto la persona abbia acquisito, attraverso l’addestramento, 
capacità automatizzate o di allocazione delle risorse attentive;
•	 la difficoltà del compito in sé: ovvero quanto il progettista abbia distribuito le azioni e le 
funzioni mentali richieste in rapporto alla sostenibilità in assoluto e alle caratteristiche 
specifiche del tipo di utilizzatore (Vannoni, 2009).
Sulla perdita di vigilanza attentiva incidono diversi fattori che devono essere considerati veri e propri 
vincoli nella progettazione in quanto sono forieri di una perdita di precisione sia nell’elaborazione 
delle informazioni, sia nell’esecuzione delle azioni richieste:
•	 il primo di questi fattori è il tempo, infatti, in genere, la vigilanza di un soggetto decade 
progressivamente entro la prima mezz’ora, ciò avviene quando si opera su paradigmi sia 
sensoriali (i segnali sono rappresentati da cambiamenti nell’intensità uditiva o visiva), sia 
cognitivi ( si usano stimoli simbolici o alfanumerici);
•	 il secondo fattore da tenere presente è il contesto che non deve contenere “falsi allarmi 
attentivi”, ovvero dare risalto ad elementi irrilevanti al pari di quelli portatori di significato: 
ciò produce confusione con conseguenti errori di elaborazione, demotivazione, perdita di 
informazioni e carico di lavoro mentale eccessivo;
•	 il terzo fattore consiste in una elevata richiesta di risorse mentali nell’ elaborazione. 
A richiedere questa elevata quantità di risorse sono principalmente alcuni elementi riassunti qui 
di seguito:
- lo stimolo al quale prestare attenzione è difficilmente identificabile;
- vi è incertezza sul quando e sul dove sarà presente lo stimolo (stimoli inattesi);
- è eccessivamente elevata la frequenza degli stimoli da elaborare:
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- ci si deve ricordare con quale format si mostrerà lo stimolo;
- lo stimolo o il suo format di presentazione non sono familiari al soggetto (Vannoni, 2009).
L’attenzione, anche verso un compito semplice, come detto prima, tende a decadere entro la 
prima mezz’ora, producendo un sovraccarico anche nella memoria a breve termine che richiede 
continuamente risorse per l’elaborazione.
L’affaticamento che ne consegue ricade anche sullo svolgimento di compiti successivi per i quali si 
evidenzia una radicale e ulteriore diminuzione delle risorse disponibili.
La teoria della domanda sostenibile indica, quindi, che una richiesta continua diminuisce 
drasticamente la precisione nell’attenzione, allo stesso modo dei compiti che richiedono molte 
risorse. In questi casi è solo l’attivazione di risposte automatiche a diminuire la quantità di 
risorse richieste, ma la risposta automatica si raggiunge con l’addestramento e che è compito del 
progettista strutturare segnali che elicitino, il più possibile, risposte automatiche (Vannoni, 2009)
Parallelamente all’affaticamento, si può avere una caduta della vigilanza anche in rapporto ad 
un aumento del cosiddetto bias, ovvero un errore sistematico nell’elaborazione, che segue alla 
perdita di alcuni segnali.
Per contrastare la perdita di vigilanza si possono attuare diverse tecniche che rispondono a due 
aree di applicazione strategica. 
La prima area si basa sull’aumento della sensibilità, la seconda si basa sulla modificazione dei 
criteri di risposta:
•	 creare un solo tipo di stimolo: anche quando i contenuti dello stimolo sono diversi, 
questi possono essere accomunati da un format di presentazione comune. Ciò riduce 
il carico di lavoro mentale e aiuta la creazione di automatismi nelle risposte;
•	 aumentare la salienza dello stimolo: il segnale può essere aumentato, fattore 
che diminuisce il carico di lavoro della memoria e contribuisce all’indirizzazione 
dell’attenzione. Una tecnica ulteriore è quella della creazione di una ridondanza 
sensoriale, ovvero la ripetizione dei contenuti sia sul canale visivo, sia su quello uditivo;
•	 variare la frequenza degli stimoli: una frequenza elevata e costante può causare una 
perdita di vigilanza. Dando alla persona la possibilità di variare autonomamente la 
frequenza degli eventi, si migliora il risultato della vigilanza e diminuisce il decadere 
della stessa;
•	 addestrare all’osservazione: se il soggetto apprende a rispondere ad uno stimolo in 
modo consistente e ripetitivo, ciò riduce il decremento di vigilanza e sviluppa una 
risposta automatica allo stimolo;
•	 fornire istruzioni: livelli bassi di vigilanza possono avvenire quando la persona 
sottostima la probabilità che uno stimolo sia presenta e non dà un reale peso alle 
sue conseguenze. Informazioni preliminari su quanto avverrà possono ridurre questo 
stato di incertezza;
•	 fornire dei momenti di riposo: tra i differenti gruppi di stimoli ai quali prestare 
attenzione è utile inserire delle pause. Ciò crea effetti benefici sia sulla vigilanza, sia 
sui processi di elaborazione nella memoria a breve termine.
c. LA MOTIVAZIONE
La motivazione si definisce come la forza iniziale che riflette l’attivazione diretta a un obiettivo. La 
motivazione esprime solo l’attivazione o l’intenzione di agire e non il raggiungimento dell’obiettivo.
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Essa incide anche sul modo di elaborare le informazioni, e saranno le energie dedicate a 
differenziare tra alta e bassa motivazione e a innescare processi differenti di elaborazione. Infatti, 
a fronte di un’elevata motivazione, il destinatario farà più attenzione, si soffermerà maggiormente 
sui contenuti, li valuterà criticamente e cercherà di memorizzarli e ricordarli, mentre, a fronte 
di una bassa motivazione, tenderà a mettere in atto processi euristici, fattore molto comune 
nell’elaborazione della comunicazione di massa.
La motivazione ha come conseguenza psicologica uno stato che viene definito coinvolgimento. 
Il coinvolgimento si riferisce all’esperienza psicologica di una persona motivata. D’altro canto la 
motivazione produce, più in generale, attivazione alla quale possono scaturire una serie di stati 
psicologici quali interesse, eccitazione, ansia, passione e impegno.
Considerando in particolare il coinvolgimento, possiamo distinguerne almeno quattro tipologie 
in due varianti:
•	 Coinvolgimento duraturo e coinvolgimento situazionale: si può fare una distinzione tra 
coinvolgimento di lunga durata e coinvolgimento di breve durata. Il coinvolgimento 
duraturo avviene quando l’interesse per un argomento o per un’offerta persiste per 
un lungo periodo di tempo, mentre il coinvolgimento situazionale è temporaneo.
•	 Coinvolgimento cognitivo e coinvolgimento emotivo: per coinvolgimento cognitivo 
si indica che la persona è interessata a concentrarsi sul processo informativo e a 
raccogliere quindi principalmente informazioni, mentre con coinvolgimento emotivo 
si indica che la persona prova sentimenti e dedica energie emotive all’obiettivo e ai 
contenuti della comunicazione. Il tipo di coinvolgimento può variare continuamente 
nello stesso soggetto.
Può essere determinante, per il coinvolgimento, il tipo di mezzo utilizzato per veicolare la 
comunicazione (Vannoni, 2007).
Il coinvolgimento in genere viene valutato su una tripartizione (basso, medio o alto) ed è quindi 
uno stato motivazionale che dà energie e dirige processi cognitivi e comportamentali quando si 
prendono decisioni. Si parla di coinvolgimento sentito per evidenziare che è uno stato psicologico 
che può essere attivato in alcuni tempi e in certe occasioni.
Ritornando alla motivazione, possiamo individuare alcuni fattori che possono influenzarne 
l’intensità, ovvero la rilevanza personale, i valori, gli obiettivi, i bisogni, il rischio percepito e le 
conoscenze e gli atteggiamenti acquisiti precedentemente. 
d. COMPRENSIONE E CATEGORIZZAZIONE 
CATEGORIZZAZIONE
La categorizzazione è alla base del processo di comprensione e avviene cercando un legame tra 
ciò che viene percepito e ciò che è depositato in memoria. In poche parole, la categorizzazione 
avviene quando il destinatario definisce o identifica un oggetto.
Il primo concetto da prendere in esame parlando di categorizzazione è quello di schema. Secondo 
Arcuri gli schemi sono strutture di dati per rappresentare concetti immagazzinati in memoria
Secondo Bettman, invece, uno schema è l’insieme delle associazioni legate a un concetto. Gli 
schemi possono variare per complessità, sulla base di quante sono le associazioni al nodo centrale 
e di quanti legami sono presenti. Le associazioni possono essere descritte in funzione: del loro
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livello di valutazione (positivo o negativo); della loro unicità e della loro salienza.
È possibile identificare alcune sottocategorie degli schemi. La prima è l’immagine, che possiamo 
definire come un sottogruppo saliente di associazioni contenute in uno schema; a queste si 
collegano generalmente atteggiamenti o sentimenti globali.
Uno schema può essere creato ex novo per aiutare i destinatari a categorizzare e comprendere un 
nuovo prodotto o servizio, per diversificarlo dalla concorrenza o per comunicarne l’innovazione in 
rapporto ai bisogni ai quali risponde.
LO SCRIPT
Uno script rappresenta una conoscenza relativa al come fare le cose attraverso uno schema 
speciale costituito da una sequenza di eventi. Così quando un soggetto esegue un’azione per la 
prima volta, farà una certa fatica ad apprendere e depositerà le informazioni in uno script che 
verrà attivato ogni qualvolta si ripeterà la medesima azione permettendo al soggetto un notevole 
risparmio energetico.
IL FRAME
Secondo Minsky un frame si configura come una struttura più generale (se si vuole più vicina 
al concetto di schema o di modello mentale), in cui possiamo ritrovare situazioni socialmente 
significative, oggetti del mondo, sequenze di azioni, descrizioni spaziali, tutti fattori che vengono 
descritti come insieme di aspettative. I frame si configurano come la base di qualunque operazione 
di categorizzazione e di comprensione. La loro funzione è quella di permettere al soggetto di 
ricostruire scene, contesti, significati, attraverso la presentazione di indici significativi che, grazie 
a processi di inferenza, per difetto, permettono di completare le parti mancanti o di ipotizzare 
significati impliciti o presupposti.
Schemi, script e frame hanno quindi lo scopo di organizzare e strutturare le conoscenze accumulate, 
ma ciò non avviene in un unico modo e ad un unico livello.
LE CATEGORIE TASSONOMICHE
Gli oggetti nella mente sono organizzati in categorie tassonomiche che è possibile definire come 
un sistema categoriale formato da unità concettuali legate da rapporti di inclusione, il quale viene 
usato dalle persone per organizzare in maniera gerarchica i domini delle proprie conoscenze. 
In questo sistema le relazioni tra le diverse categorie possono essere analizzate sia in rapporto 
alla dimensione verticale (inclusione in diversi sottogruppi), sia in rapporto alla dimensione 
orizzontale (differenze e somiglianze tra elementi della stessa categoria).
L’informazione all’interno di una categoria tassonomica può essere strutturata in modi differenti; 
gli oggetti che sono nella stessa categoria subiscono una massimizzazione della somiglianza o 
una minimizzazione della stessa con gli esemplari delle altre categorie. Questo fattore permette 
all’individuo di individuare differenze tra gli stimoli percepiti.
L’oggetto maggiormente rappresentativo di una categoria si definisce prototipo. Almeno due 
fattori incidono sul fatto che qualcosa diventi prototipo di una categoria: la sovrapposizione delle 
caratteristiche ( il prototipo di una categoria in genere ha più caratteristiche comuni con i membri 
della stessa categoria; la frequenza con cui un oggetto è incontrato come un membro di una 
particolare categoria. l prototipo può non essere un prodotto o una marca esistente, ma solo 
l’insieme astratto delle caratteristiche.
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Le associazioni all’interno di una categoria possono covariare e con queste anche le correlazioni 
degli attributi, fattori che incidono sulle inferenze che le persone fanno sugli esemplari della 
categoria. Si può definire inferenza la derivazione di una conclusione da un insieme di premesse. 
In un’inferenza valida, la premessa fornisce buone ragioni per sostenere o rendere certa la 
conclusione. Inoltre, un’inferenza è costituita da un insieme di regole, principi e procedimenti 
che collegano logicamente le premesse alla conclusione.
Le varie categorie possono essere organizzate gerarchicamente in livelli. È possibile distinguerne 
tre principali:
•	 livello superordinato: è un livello ad elevata astrazione dove gli oggetti, pur avendo una 
o più caratteristiche in comune, presentano ancora molte differenze (per esempio le 
bevande);
•	 livello di base: si differenziano gli oggetti suddividendoli in più categorie, con un livello di 
coerenza e di definizione più preciso (alcolici, analcolici, bevande calde, bevande fredde);
•	 livello subordinato: è il maggior livello di differenzazione raggiungibile che, infatti può, 
in alcuni casi suddividersi in ulteriori sottocategorie (analcolici dietetici e non dietetici 
oppure dietetici e non dietetici con o senza caffeina).
In genere nell’ambito del consumo si ipotizza che le persone categorizzino prevalentemente nel 
livello di base.
CATEGORIE PER OBIETTIVI
Esiste, inoltre, un tipo di categorizzazione della conoscenza che viene definito categoria derivata 
dall’obiettivo. Tale categorizzazione ipotizza che più che a un livello semantico, le cose siano legate 
tra loro in quanto contribuiscano al raggiungimento di uno stesso obiettivo, seppur possano avere 
tra loro caratteristiche molto differenti.
La stabilità delle categorie legate agli obiettivi dipende sia dal tempo di immagazzinamento, sia 
dalla frequenza con la quale sono stati attivati questi obiettivi
In generale,però, è possibile individuare il fatto che generalmente le persone differiscono nel loro 
sistema di categorizzazione sia perché sono esposte a differenti tipologie di comunicazione, sia 
perché hanno differenti tipi di motivazione, abilità e opportunità e danno quindi significati diversi 
agli oggetti del mondo. Due elementi influenza fortemente questa differenza di risposta delle 
persone: il sistema culturale e l’esperienza. 
(Vannoni, 2007)
COMPRENSIONE
Se la categorizzazione riflette il processo di identificazione di un’entità, la comprensione è il 
processo attraverso cui vengono estratti i significati di ordine superiore dalle entità riconosciute.
La comprensione si compone di almeno cinque variabili:
•	 comprensione: interpretare o determinare il significato di aspetti specifici di un ambiente 
o di un testo;
•	 valutazione: giudicare se un proprio comportamento o un aspetto dell’ambiente o di un 
testo siano positivi o negativi, favorevoli o sfavorevoli;
•	 pianificazione: determinare come risolvere un problema o raggiungere un obiettivo;
•	 decisione: comparare soluzioni alternative a un problema sulla base delle caratteristiche 
salienti percepite e selezionare l’alternativa migliore;
•	 pensiero: attività cognitiva che avviene durante i quattro processi sopra elencati.
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È possibile ipotizzare almeno quattro modalità di influenza sulla comprensione:
•	 Processi automatici e processi controllati: anche la comprensione può avvenire in 
modo automatico, ovvero attraverso il semplice riconoscimento di oggetti familiari, 
ma se lo stimolo è meno familiare subentra un processo a un livello maggiore di 
coscienza e maggiormente controllato. A fronte di un’informazione integralmente 
nuova, i soggetti richiameranno gli schemi o le categorie che ritengono più vicini 
all’informazione percepita e che in realtà potranno essere solo parzialmente rilevanti 
per la comprensione dell’informazione stessa;
•	 Livello di elaborazione: i significati che le persone costruiscono per rappresentare gli 
oggetti in un determinato contesto dipendono dal livello di comprensione. Essa varia 
in una scala che va da quella più superficiale a quella più profonda;
•	 Elaborazione: la comprensione varia nella sua estensione, ovvero il grado di 
elaborazione determina il numero di significati prodotti e la complessità delle 
associazioni tra i significati;
•	 Memorabilità: aumentando i livelli di elaborazione e comprensione, le informazioni 
vengono ricordate meglio.
Il processo di comprensione, quindi, comprende più variabili, e può avvenire con processi 
automatici o controllati, ovvero dal semplice riconoscimento fino a una comprensione cosciente 
e controllata.
 
Il modello AMO (ability, motivation, opportunity) di MacInnins e Jaworsky (1989) è molto 
importante tutto’oggi e ci spiega come il destinatario proceda per step:
•	 analisi delle caratteristiche salienti, livello superficiale;
•	 categorizzazione di base, il riconoscimento di alcuni elementi del testo;
•	 analisi del significato, comprende in modo rozzo il testo, superficiale ma a livello 
superiore delle precedenti;
•	 Integrazione delle informazioni, accoglie alcuni attributi e prevede che il destinatario sia 
in grado di percepire il significato del testo;
•	 role taking, dove il destinatario oltre a comprendere il testo, si immedesima con la fonte, 
e valuta la credibilità;
•	 processo costruttivo, dove il destinatario che si identifica nel testimonial continua ad 
immedesimarsi in esso anche dopo la fine dello spot/testo, dove appunto vi è stata un 
elaborazione ed è entrato nella fase di memorizzazione.
Con Sanford, invece, è possibile ipotizzare che esiste un criterio per valutare se la comprensione 
è avvenuta o meno; tale criterio si suddivide in quattro tipologie di operazioni:
•	 Riassunto: saper riassumere un testo discorsivo di una certa lunghezza può essere un 
indice dell’avvenuta comprensione;
•	 Parafrasi: anche in questo caso, il mutamento delle parole, lasciando immutato il 
significato originale, implica che sia avvenuto un qualche livello di comprensione;
•	 Rispondere a domande inferenziali;
•	 Agire e pensare in risposta al testo: significa compiere un’azione esplicita come risposta 
a una richiesta testuale.
Una delle principali cause di non comprensione sembra di attribuirsi, sempre secondo Sanford, 
alla mancanza di correlazione tra testo e contesto, fattore che inibisce la possibilità di ricostruire 
l’informazione mancante, inibendo parzialmente o totalmente la comprensione.
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Un altro fattore che può incidere sulla non comprensione o sulla sua inadeguatezza riguarda 
sostanzialmente la motivazione, sia quando è bassa, sia quando è troppo alta. Incide, tuttavia, 
anche il fattore opportunità intesa come tempo di esposizione e ripetizione dell’esposizione del 
testo. È inoltre importante valutare il fatto che la comprensione aumenta quando aumentano la 
conoscenza dell’argomento o l’esperienza del destinatario.
Bisogna comunque considerare che ci sono tipologie di comunicazioni e di prodotti che di per sé 
non richiedono medesimi livelli di comprensione.
Oltre agli elementi tipici della non comprensione, che comunque possono a volte anche far 
comodo alle aziende che comunicano, si individuano altri fattori capaci  di influenzare i differenti 
livelli di comprensione di un testo di comunicazione commerciale:
•	 Conoscenze depositate in memoria: l’abilità a comprendere qualcosa è determinata 
anche dalle conoscenze depositate in memoria. Tali elementi contribuiscono a creare la 
familiarità con la categoria di prodotto e con le sue caratteristiche e contribuiscono a 
creare livelli di elaborazione profondi;
•	 Coinvolgimento: tale aspetto influenza la motivazione a comprendere le informazioni; i 
destinatari che danno molto peso ad alcuni prodotti tenderanno ad associarli con valori e 
conseguenze personali centrali per la loro auto-realizzazione. L’alto coinvolgimento tende 
inoltre a creare significati più profondi e astratti in rapporto all’informazione ricevuta;
•	 Esposizione ambientale: oltre ai diversi aspetti dell’esposizione del testo, anche gli aspetti 
dell’ambienti stesso influenzano i processi di comprensione;
•	 Credibilità: Gilbert dimostra che comprensione e credibilità sono fattori inseparabili. 
Individuare qualcosa come non credibile è un processo non automatico e richiede 
decisamente più tempo, mentre a fronte di una credibilità elevata sono più frequentemente 
attivati processi di comprensione automatica.
•	 Ripetizione del testo: la ripetizione a incrementare la credibilità, in generale, dell’informazione 
e di conseguenza anche delle informazioni false, in quanto sostanzialmente aumenta la 
familiarità con l’informazione trasmessa;
•	 Struttura del testo: al di là del fatto che i testi semplici sono ovviamente quelli con maggiore 
possibilità di comprensione, altri modi per prevenire la non comprensione sono legati ad 
esempio alla ripetizione dell’argomentazione centrale più volte all’interno dello stesso 
testo, o alla disposizione dell’argomentazione centrale in registri differenti;
•	 Teoria del bilancio: si basa sul concetto che le persone siano spinte a cercare un equilibrio 
tra gli elementi che prendono in considerazione, facendo quindi valutazioni e inferenze 
che possono, di per sé, portare a interpretazioni e a forme di comprensioni fuorvianti.
Sulle differenti fasi e tipologie della comprensione, è agevole individuare alcune strategie di 
comunicazione che si basano sul concetto di persuasione indiretta, ovvero non esplicitata. 
L’idea di persuasione indiretta parte dal presupposto che la reazione a un testo è più importante 
del testo stesso, basandosi sul concetto che, omettendo di proposito informazioni, queste 
saranno ricostruite dal destinatario: meno informazioni sono presenti, maggiore è il numero di 
inferenze possibili. Muovendo inoltre dal presupposto che i destinatari hanno più fiducia nelle 
proprie conclusioni rispetto che in quelle fornite dal mittente, si è ipotizzato che far concludere 
direttamente al destinatario l’argomento testuale possa creare credenze più forti e, in conseguenza, 
anche atteggiamenti più stabili. Il problema è che in molti casi omettere le conclusioni è molto 
meno persuasivo che l’esplicitarle. In realtà le conclusioni esplicite funzionano meglio quando 
i consumatori non hanno motivazioni, abilità o opportunità di costruire le proprie conclusioni, 
mentre se hanno la motivazione, l’abilità e l’opportunità di costruirle in funzione di quanto voluto 
dal mittente, allora le conclusioni implicite sembrano funzionare meglio.
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La persuasione indiretta ha diversi vantaggi rispetto a quella diretta; i consumatori tendono infatti 
ad auto-persuadersi, riducendo il numero di contro argomentazioni, mentre forme di persuasione 
più esplicita tendono a creare reazioni di rifiuto, portando i destinatari a contro argomentare per 
riaffermare la propria autonomia di pensiero. Inoltre le informazioni inferite direttamente dal 
destinatario hanno migliori risultati in termini di memorizzazioni. (Vannoni, 2007)
e. L’ ATTEGGIAMENTO
“Con il termine atteggiamento si indica la disposizione di ogni persona di produrre risposte, 
determinate dall’ambiente familiare o sociale, riguardo a situazioni, gruppi o oggetti.”
Wikipedia.it
(Il modello “due vie per la persuasione” di Petty e Cacioppo)
Con queste parole si apre la pagina Wikipedia al termine atteggiamento, ma l’argomento è ben più 
complesso. Bisogna, infatti dire che gli elementi psicologici risultanti dal processo di comunicazione 
sono si l’atteggiamento, ma anche la memoria e il ricordo. L’atteggiamento è quindi la valutazione 
relativamente globale e durevole di un oggetto, compito, persona o azione che indica al soggetto 
le sue preferenze verso un qualunque oggetto del mondo, sono quindi elementi psicologici 
appresi e che tendono a durare nel tempo. Queste scelte influenzano i pensieri, le emozioni, il 
comportamento, riassumendo molte informazioni esprimono le caratteristiche dell’individuo e 
aiutano l’individuo a ottenere premi immediati e a evitare subitanee punizioni.
Sono diversi i fattori sui quali si può basare un atteggiamento. Tra essi troviamo sicuramente i 
fattori cognitivi, le credenze, le emozioni provate direttamente oppure quelle esperienze emotive
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percepite, le quantità di energia implicate e i livelli di AMO (Abilità, Motivazione, Opportunità) 
elevato con formazione di atteggiamenti più forti e stabili. 
Esistono poi due modalità distinte di reazione al testo (elaborate da Petty e Cacioppo)
• Percorso centrale: elaborazione consapevole ed esaustiva di un testo con modificazioni stabili 
dell’atteggiamento;
• Percorso periferico: attenzione non incentrata sulle argomentazioni del testo ma su indici
situazionali con modificazione degli atteggiamenti temporanea che difficilmente porterà a un 
comportamento duraturo.
Il percorso centrale è caratterizzato dall’alto uso di risorse cognitive che prevede che la reazione 
del consumatore al testo influenzi il suo atteggiamento e quindi la formazione di risposte 
cognitive dovute ai pensieri che si formano durante l’esposizione alla comunicazione (forme di 
riconoscimento, elaborazione, associazione, idee) e che sono:
• contro argomentazioni: sono pensieri che esprimono il disaccordo con il testo;
• argomentazioni di supporto: sono pensieri che esprimono l’accordo con il testo;
• discredito della fonte: sono pensieri che discreditano o attaccano la fonte del testo.
Il percorso periferico invece è caratterizzato da un basso uso di risorse cognitive e che può 
chiamarsi modello del valore atteso. Esso infatti è dovuto a atteggiamenti basati sulle credenze 
e sulle valutazioni che il soggetto fa in base a queste; una rete di significati nella memoria che il 
soggetto ha costituito nel tempo.
(Il modello “multi attributo” di Fishbein e Ajzen)
Il modello multi attributo (Fishbein 1967) invece, è incentrato sulla formazione delle credenze 
e sui loro rapporti con l’atteggiamento. Misurare l’atteggiamento nei confronti di una marca 
attraverso la misurazione della percezione relativa agli attributi dove ad ognuna delle 7-9 
credenze individuabili contemporaneamente viene attribuita una valutazione la quale indica la 
favorevolezza con i quali i soggetti percepiscono quell’attributo.