2
A partire da questo presupposto, è maturato il proposito di conoscere meglio l’approccio 
che i bambini normodotati “riservano” ai coetanei disabili: quali dinamiche, 
comportamentali e sentimentali, si innescano quando i bambini si trovano con il 
disabile? 
Nell’affrontare tali argomenti si seguirà un percorso che parte dallo sviluppo delle 
relazioni sociali (cap. 1) e delle competenze sociali (cap. 2). Nell’ambito dell’analisi 
delle relazioni con i bambini disabili, si esamineranno alcuni aspetti essenziali di un 
rapporto: l’empatia e l’altruismo (cap. 3), e gli stereotipi e i pregiudizi, riservando 
un’attenzione particolare alle manifestazioni nei confronti del disabile e della disabilità 
(cap. 4). 
Ci si soffermerà poi a valutare le relazioni tra bambini normali e bambini disabili (cap. 
5) e le rappresentazioni che i bambini costruiscono relativamente alla condizione di 
disabilità e del disabile stesso (cap. 6). 
Infine, l’ultima tappa sarà costituita dalla ricerca esplorativa sulle rappresentazioni dei 
bambini circa gli atteggiamenti e i comportamenti nei confronti dei coetanei disabili 
(cap. 7). 
 
 3
CAPITOLO 1 
 
 
SVILUPPO DELLE RELAZIONI SOCIALI E AMICIZIA 
 
 
 
 
1 - La socializzazione 
 
In psicologia, la socializzazione è stata considerata come il risultato di un 
processo di influenzamento da parte degli adulti, sia dalle correnti comportamentiste, sia 
dalla psicoanalisi, che, con la scoperta del ruolo cruciale delle prime esperienze 
relazionali madre-bambino, focalizzava l’attenzione sui rapporti del bambino con gli 
adulti. 
In uno dei primi libri di Piaget, “Il giudizio morale nel fanciullo” (1932), si trovano 
invece alcune importanti ipotesi circa il ruolo dei coetanei nello sviluppo sociale. 
Secondo Piaget si possono distinguere due tipi di rapporti sociali: quelli basati sul 
rispetto che una persona prova verso un’altra quando ne riconosce la maggiore 
esperienza e capacità, e quelli basati sulla cooperazione tra persone che si sentono alla 
pari tra di loro. Il bambino sperimenta rapporti del primo tipo con i genitori, con gli 
insegnanti e con gli altri adulti, imparando così a confrontarsi con l’autorità. Solo con i 
coetanei il bambino ha l’occasione di intrecciare rapporti del secondo tipo: la capacità di 
cooperare nasce dalla necessità di trovare un accordo con gli altri in una situazione in 
cui nessuno ha la possibilità di imporsi dall’alto.   
“L’interazione con i coetanei è una situazione che facilita piuttosto che inibire la 
disponibilità sociale del bambino e la possibilità di scambi adeguati con gli altri. E’ 
nell’interazione con i coetanei, inoltre, che il bambino si trova nelle condizioni adeguate 
per realizzare i livelli più alti delle capacità che attualmente possiede” (Camaioni, 
Gerbino, Stefani, 1978). 
 
 
 
 
 
 4
2 - Livelli di analisi 
 
 
Vi sono diversi livelli di analisi del comportamento sociale. Il livello di minor 
complessità è quello che prende in esame le interazioni, ossia “uno o più scambi del 
tipo: A fa x a B, e B fa y in risposta” ( Hinde, 1981)
1
. 
Interagire con qualcuno non significa ancora aver stabilito una relazione con questa 
persona. 
Infatti, qualunque relazione comporta delle interazioni tra i partecipanti, ma le 
interazioni devono essere ripetute nel tempo, i partner devono riconoscersi, le 
interazioni precedenti devono influenzare quelle in atto così come queste ultime devono 
avere un impatto su quelle future. 
 
E’ possibile indagare quello che è il percorso dello sviluppo sociale degli individui, 
entro le varie fasi della vita: la prima infanzia (da 0 a due anni circa); l’età prescolare 
(dai tre ai cinque anni); la fanciullezza (dai sei agli undici anni); la preadolescenza e 
l’adolescenza (dai dodici anni sino alle soglie della giovinezza). 
 
 
2.1 - La prima infanzia 
 
Sin dalla nascita  il neonato dispone di comportamenti e disposizioni che favoriscono la 
costruzione di rapporti con gli altri. 
Il bambino, infatti, è in grado di emettere segnali che attivano risposte appropriate da 
parte di chi si prende cura di lui (il pianto, il sorriso, le vocalizzazioni). Inoltre il 
bambino si orienta attivamente verso stimoli sociali, come talune caratteristiche della 
voce e del volto umano. 
Nel corso del primo anno di vita il bambino diviene capace di partecipare in modo 
sempre più appropriato ad interazioni diadiche.   
Sempre nel corso del primo anno di vita, il bambino diviene capace di interagire  anche 
con un coetaneo. Fino al sesto mese circa un lattante,  posto in presenza di un altro 
bambino, mostra interesse per l’altro, anche se il repertorio di azioni che dirige verso di 
                                                 
1
Hinde, R.A., The bases of scienze of interpersonal relationship , in S. Duck e R. Gilmour ( a cura di), 
Personal relationship. Vol.1: Studing  personal relationships, Academic Press, London, 1981 
 5
lui non differisce sostanzialmente  da quello che mostra di fronte ad un oggetto 
inanimato: guardare, toccare, vocalizzare, sorridere. 
Tra i sei e i dodici mesi, invece, le azioni che i piccoli rivolgono ad un altro, denotano 
un’aspettativa sociale, anche se un’ efficace coordinazione  tra i due è raggiunta solo per 
gradi. 
Nel secondo anno di vita la competenza che i bambini mostrano negli incontri tra i 
coetanei cresce rapidamente. I bambini si impegnano nell’imitazione speculare l’uno 
dell’altro ed effettuano con successo crescente interazioni complementari e reciproche. 
 
 
2.2 - L’età prescolare 
 
Nel periodo dai tre ai  sei anni le abilità sociali dei bambini  si arricchiscono 
ulteriormente grazie soprattutto alle maggiori occasioni di contatto con i coetanei e con 
adulti  al di fuori della famiglia. La frequenza della scuola materna  è sicuramente la più 
importante di queste prime occasioni sociali allargate. Il bambino entra a far parte di un 
gruppo di coetanei con i quali ha l’opportunità di compiere nuove esperienze di gioco e 
che nel contempo gli pone nuovi compiti, come capire il punto di vista dell’altro e 
adattarvisi (almeno quanto basta a non interrompere l’interazione in corso); trovare il 
proprio posto nel gruppo; collaborare con gli altri. 
 
 
2.3 - La fanciullezza 
 
Durante la fanciullezza il bambino è in grado non solo di regolare il proprio 
comportamento  per adattarsi a ciò che gli altri pensano, ma è altrettanto capace di 
spiegare verbalmente, senza aiuto da parte dell’adulto, le implicazioni delle situazioni 
stesse. Inoltre i fanciulli iniziano a tener conto di una pluralità di cause interconnesse 
nell’interpretare il comportamento altrui. 
 
 
 
 6
2.4 - La preadolescenza e l’adolescenza 
 
Durante la preadolescenza e l’adolescenza i rapporti con i coetanei acquistano una 
grande importanza. I ragazzi possono far parte di gruppi organizzati come quelli 
sportivi, associazioni giovanili, possono aggregarsi in compagnie. Comunque sia, il 
gruppo è un luogo insostituibile di confronto e di elaborazione dell’identità. 
Tipica di queste fasi è la preoccupazione di essere accettati e confermati nelle proprie 
scelte, che conduce ad un elevato grado di conformismo tra i membri del gruppo. 
Nell’adolescenza si assiste ad un cambiamento nella composizione dei gruppi spontanei, 
ora composti da ragazzi e ragazze. Si confrontano così i rispettivi stili relazionali, 
interessi ed atteggiamenti.  
Dalla preadolescenza all’adolescenza  cambia anche l’amicizia a due. L’amico diviene il 
partner per uno scambio di esperienze private, che non si vuole comunicare agli adulti, 
da cui si stanno prendendo le distanze, e al gruppo. 
 
 
 7
3 - La struttura del mondo sociale 
 
Seguendo Urie Bronfenbrenner e la sua teoria dei “Sistemi ecologici”, possiamo pensare 
al mondo sociale del bambino come ad una serie di scenari ambientali via via più larghi. 
Al centro vi sono i contesti di interazione quotidiana del bambino (famiglia, scuola, 
gruppo di amici), che Bronfenbrenner chiama “microsistemi” . A questo livello, gli altri 
sono persone in carne ed ossa, con cui il bambino ha direttamente contatti  e che 
riconosce come parte della sua vita. I microsistemi non sono del tutto separati l’uno 
dall’altro e il loro funzionamento è mediato da un “mesosistema” che li include. Un 
esempio di mesosistema è costituito dal rapporto fra famiglia e scuola, due tra i 
principali microsistemi cui partecipa il bambino. 
E’ comunque vero che anche persone con cui il bambino non ha alcun contatto diretto 
possono influenzare la sua vita. Tali personaggi (ad esempio il vicinato o il mondo del 
lavoro) rientrano in quello che può essere considerato un’estensione del mesosistema e 
che è chiamato da Bronfenbrenner “ecosistema”. Ancora più distanti, altre figure 
influenzano indirettamente il mondo infantile: i modelli istituzionali dominanti della 
cultura, tra cui il sistema economico, sociale, politico, che a livello di “macrosistema” 
influenzano appunto la vita quotidiana. 
 
MACROSISTEMA: il contesto sovrastrutturale che condiziona gli altri sistemi. 
ESOSISTEMA:riguarda due o più  contesti ambientali ai 
quali P non partecipa. 
 
MESOSISTEMA:sistema di microsistemi ai 
quali P partecipa 
 
MICROSISTEMA:attività, ruoli,  
relazioni interpersonali, eventi fisici, 
fatti relativi alla persona e al suo 
spazio di vita 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 8
4 – I pre-requisiti per l’interazione 
 
Bisogna chiedersi se si possono individuare dei pre-requisiti per l’interazione, cioè se il 
verificarsi di determinate condizioni  facilita l’emergere di un episodio interazionale. 
Camaioni, Gerbino, Stefani ( Camaioni, Gerbino, Stefani, 1978) hanno individuato due 
tipi di pre-requisiti: 
1 - la vicinanza nello spazio; 
2 - l’orientamento dell’attenzione visiva (= direzione dello sguardo), specificabile nei 
seguenti comportamenti: 
- attenzione del partner su chi inizia l’interazione e/o  sull’oggetto/attività di chi inizia 
   l’interazione; 
- condivisione dell’attenzione di ciascun partner sull’altro; 
- condivisione dell’attenzione di entrambe i partners su un focus comune (oggetto,   
  attività, evento). 
Tali pre-requisiti possono verificarsi contemporaneamente e quindi il loro effetto si 
somma, oppure può essere presente uno soltanto di essi. Se sono presenti 
contemporaneamente la vicinanza e la condivisione dell’attenzione, si determinano, 
secondo gli autori, le condizioni ottimali per l’emergere dell’interazione. Se invece i due 
partners sono lontani e non vi è condivisione dell’attenzione l’uno sull’altro o su un 
focus comune si configurano le condizioni per la non interazione, ovvero delle 
condizioni che inibiscono piuttosto che facilitare l’emergere dell’interazione. 
 
 
4.1 - Le interazioni non riuscite 
 
Nonostante uno dei partners manifesti l’intenzione di dar vita ad una interazione, si 
possono individuare delle condizioni per cui l’interazione può non avvenire. 
In generale la causa della non riuscita dell’interazione può essere o di chi produce 
l’iniziativa (l’emittente) o di chi è il destinatario dell’iniziativa (ricevente). 
L’errore è dell’emittente quando si mette in atto un comportamento indirizzato al 
partner senza aver preliminarmente constatato l’esistenza di uno o entrambi i pre-
requisiti per l’interazione. Il caso più comune tra bambini consiste nel rivolgersi al 
partner, producendo un comportamento linguistico o non linguistico, senza essersi 
 9
precedentemente assicurato l’attenzione di quest’ultimo, il quale può trovarsi impegnato 
in un gioco o in un altro compito. E’ da sottolineare che, in questo caso, la non riuscita 
dell’interazione non può essere attribuita ad una scarsa motivazione sociale del 
ricevente. 
I casi in cui si può parlare di scarsa motivazione o scarsa disponibilità all’interazione 
sociale sono quelli in cui l’errore è del ricevente, il quale non risponde all’iniziativa 
dell’emittente nonostante quest’ultimo abbia rispettato le condizioni per l’interazione, 
ossia si sia accertato dell’esistenza di uno o entrambi i pre-requisiti. 
Nel primo caso (errore dell’emittente) si parla di interazioni inadeguate, nel secondo 
caso (errore del ricevente ), si parla di interazioni mancate. Soltanto per queste ultime si  
può parlare di una reale non disponibilità da parte del partner. 
Nel caso delle interazioni inadeguate, invece, la spiegazione può rimandare a due fatti: 
a) il ricevente è impegnato in un’attività, gioco o evento individuale; 
b) l’emittente non possiede ancora, oppure, se li possiede, non mette in atto i mezzi 
adeguati a iniziare l’interazione. 
 
 
 10
5 – Requisiti per l’interazione 
 
Un elemento che influenza in maniera determinante l’interazione fra bambini è il grado 
di familiarità che essi hanno reciprocamente e con l’ambiente. 
L’effetto della familiarità si evidenzia nella maggiore produzione di comportamenti 
socialmente diretti di tipo coordinato (ad esempio vocalizzare salutando con la mano) o 
di interazioni sociali prolungate.  
Nelle coppie familiari non si ha un aumento nella quantità di comportamenti sociali, 
quanto piuttosto un aumento nella complessità delle interazioni. 
La maggiore complessità delle interazioni fra bambini familiari comprende il gioco 
cooperativo che può assumere forme diverse: ad esempio può esprimersi tramite azioni 
congiunte come rincorrersi e prendersi. Come sostengono Eckerman e Stein (1982)
2
, il 
gioco cooperativo concerne in larga misura giochi spontanei che nascono fra bambini. 
 La familiarità non riguarda solo le persone ma anche i luoghi ( ad esempio il 
laboratorio e la casa). Quasi tutte le ricerche condotte in ambienti familiari, come la 
casa, hanno messo in luce risultati che si differenziano da quelli ottenuti in laboratorio: 
infatti è stato evidenziato che le interazioni fra bambini familiari nella propria casa sono 
numericamente più frequenti, sia positive che negative, e con un grado maggiore di 
coinvolgimento nel gioco rispetto a quando i bambini si trovano in ambiente non 
familiare ( Emiliani, Carugati, 1985). 
 
 
                                                 
2
 Eckerman, C.O., Stein, M.R.  The Toddler’s Emergine Interactive Skills, in K.H. Rubin e Ross, H.S., (a 
cura di),  Peer Relatioship and Social Skills in Childhood, New York, Sringer-Verlag, 1982 
 11
6 – Legami di amicizia 
 
Una serie di ricerche ha mostrato come già a partire dalla prima infanzia siano 
osservabili nei bambini modalità interattive particolari, caratteristiche dei legami di 
amicizia (Baumgartner, Camaioni, 1995).  
Altre indagini hanno inoltre documentato come già a otto anni risultino radicate quelle 
dimensioni psicologiche tipiche del legame amicale, quali l’intimità, l’aiuto, la 
sicurezza, che per  lungo tempo erano state considerate caratteristiche degli anni 
dell’adolescenza (Fonzi, Tani,  1996). 
Numerosi altri studi hanno mostrato come, fin dall’infanzia, l’amicizia sia 
significativamente associata a positivi esiti evolutivi e al buon adattamento psicosociale.  
Con gli amici il fanciullo coopera di più che con i semplici conoscenti, riesce a risolvere 
meglio i conflitti. Gli amici sono considerati un appoggio ed una risorsa, ma il loro 
ruolo non è soltanto strumentale poiché i bambini comprendono che l’amicizia non può 
durare se i partner non si sforzano di contraccambiare ciò che ricevono.  
La convergenza dei risultati delle varie indagini fornisce quindi prove sulla funzione 
adattiva  che l’amicizia assolve fin dagli anni dell’infanzia. Ciò è dovuto al fatto che 
l’avere amici assolve ad una serie di bisogni di tipo sociale, cognitivo ed affettivo il cui 
soddisfacimento è essenziale per il buon adattamento sociale degli individui. 
Il primo è quello di compagnia: con gli amici i bambini trascorrono il tempo libero in 
modo divertente, coltivano interessi comuni. 
Sotto il profilo cognitivo, l’avere amici costituisce per il bambino una fonte  continua di 
stimoli. Con loro conversa, mette alla prova le proprie idee sul mondo e sugli altri, 
esplora cose nuove. L’amicizia inoltre, fornisce  ai bambini un’area in cui mettere alla 
prova il proprio comportamento, un contesto privilegiato in cui imparare a gestire le 
situazioni di conflitto che talvolta si impongono nelle relazioni. 
Alcuni  studi si sono proposti di esaminare quali sono gli attributi che i bambini 
ricercano in un amico, ossia quali sono, nell’infanzia, le caratteristiche individuali alla 
base della capacità di stingere legami di amicizia. 
In questo ambito di ricerche, le indagini condotte hanno evidenziato che negli anni della 
scuola materna i bambini che hanno più amici sono quelli più attraenti fisicamente, più 
assertivi e dominanti ( Mendelson, Aboud,  Lanthier,  1994).  
 12
Nella media infanzia i bambini più ricercati come amici  risultano essere più prosociali e 
meno aggressivi, più socievoli e stabili emotivamente rispetto a quelli che non hanno 
amici. ( Berndt, Hawkins, Hoyle, 1986;  Stocker, Dunn,  1990) 
Nella tarda infanzia e nella preadolescenza i bambini con molti amici sono quelli più 
altruisti e sensibili al sentire degli altri, più indipendenti e capaci di fornire supporto 
emotivo, quelli che si mostrano più competenti nelle relazioni interpersonali e che 
presentano una maggiore autostima. 
Altre indicazioni derivano dalle ricerche che hanno esaminato gli attributi personali 
legati allo status sociometrico. 
Le indagini sullo status sociometrico hanno verificato che i bambini popolari tendono 
ad essere fisicamente attraenti, cognitivamente e scolasticamente capaci e socievoli. Al 
contrario, i bambini  rifiutati sono meno attraenti fisicamente, meno dotati sul piano 
delle capacità cognitive e sociali, presentano maggiori problemi di condotta e disturbi 
psicosomatici e sono infine più isolati. ( Furman, Burmester, 1985; Newcomb, 
Bukowski, Pattee, 1993; Tani, Schneider, 1997). I dati raccolti sembrano allora 
suggerire che le caratteristiche personali che sottendono la capacità di avere amici negli 
anni dell’infanzia e della fanciullezza variano in funzione dello sviluppo. Non è da 
escludere, però, che tali caratteristiche risultino influenzate da variabili contestuali e 
culturali. (Tani, 1995).    
 
 
 13
7 – Le concezioni dell’amicizia     
 
Secondo Fine (1981)
3
, l’amicizia costituisce una delle vie maestre per imparare ad 
interagire con gli altri, per diventare parte della cultura dei pari.    
Soffermandosi sulle funzioni che assolve l’amicizia, Fine ne individua tre fondamentali, 
che contribuiscono allo sviluppo delle abilità interattive: 
a) l’amicizia offre al bambino un’area per mettere alla prova il proprio 
comportamento; 
b) le amicizie sono istituzioni culturali e come tali offrono significative opportunità 
di apprendimento; 
c) le amicizie offrono un contesto per la crescita del sé sociale, un contesto in cui il 
soggetto può imparare quale è l’immagine appropriata di sé da proiettare nelle 
situazioni sociali. 
 
Erwin (1993)
4
 ritiene che si possano identificare tre stadi fondamentali nella  
concezione dell’amicizia. Il primo definito “egocentrico” o “situazionale” dura fino ai 
sette-otto anni ed è caratterizzato da una tendenza a cogliere i tratti concreti, esterni 
degli altri e a valutare soprattutto i fattori delle vicinanza e della condivisione di attività. 
Il secondo, indicato come “sociometrico” o “normativo”, dura fino agli undici anni circa 
e mette in risalto valori, le regole, gli obblighi della relazione. Infine il terzo, durante 
l’adolescenza, è caratterizzato dall’intimità, dalla fiducia e dall’autodisvelamento.    
Una sequenza simile era stata individuata anche da uno studio di Bigelow,  La Gaipa,  
(1975). Gli autori hanno identificato tre fasi:  
nella prima definita “situazionale”, verso i sei-sette anni, la relazione costi-vantaggi è 
saliente ed è caratterizzata dall’esigenza di condividere attività comuni e di stare 
insieme. La seconda, definita “normativa”, è caratterizzata da aspettative fondate su 
regole, sanzioni e valori condivisi e si riscontra intorno agli otto-nove anni. La terza, 
infine, definita “empatica”, è relativa a bambini di dieci-undici anni ed esprime esigenze 
di comprensione empatica e di intimità. 
                                                 
3
 Fine, G.A.  Friends, impression, management, and preadoloscence behaviour, in S.R. Asher e J.M. 
Gottman, (a cura di), The development of children’s friendships, Cambridge University Press, 
Cambridge, 1981, pp. 29-52 
4
 Erwin, P.  Friendship and peer relations in children, Wiley & Sons,  New York, 1993 
 14
Successivamente gli autori hanno messo in relazione sistemi di valori e aspettative, 
studiando ragazzi di nove, tredici, sedici anni. I ragazzi di nove anni fanno riferimento a 
valori quali la simpatia, la generosità, la gentilezza e la mancanza di aggressività. Per i 
ragazzi di tredici anni l’amicizia è caratterizzata da lealtà e spontaneità. Nei ragazzi di 
sedici anni si ritrova una concezione di amicizia che concerne una profonda lealtà, 
soprattutto nei confronti delle confidenze fatte; compare anche un’aumentata 
consapevolezza dell’importanza di avere buoni amici. 
Selman, (1980)
5
 ha studiato lo sviluppo del concetto di amicizia nei bambini come un 
concetto sociale che riflette le abilità di saper assumere la prospettiva degli altri. 
L’autore ha utilizzato l’intervista clinica che consiste nel raccontare una storia al 
bambino per poi rivolgere una serie di domande sui suoi personaggi ed ha individuato 
quattro livelli nello sviluppo della concezione di amicizia. 
A livello 0 (fino a sette anni circa), l’amicizia è un rapporto momentaneo con un 
compagno di giochi o un bambino che vive nei dintorni; l’attenzione non è ancora 
centrata sui sentimenti che l’amicizia produce ma, piuttosto, sulle circostanze materiali 
in cui l’incontro si verifica. Un bambino può essere considerato amico semplicemente 
perchè si desidera giocare con i suoi giocattoli.  
A livello 1 (fino a nove anni circa), emergono le nozioni di reciprocità e 
intersoggettività e gli aspetti caratteristici dell’amicizia divengono l’avere interessi 
comuni, condividere attività piacevoli e opinioni, insieme alla consapevolezza che gli 
altri hanno punti di vista personali. 
A livello 2 (fino a dodici anni circa), ciascun partner della relazione è in grado di tener 
conto dell’altro, della sua soggettività e si verificano reciproche valutazioni su opinioni, 
atteggiamenti, desideri e bisogni, e su ciò si fonda la possibilità di una fiducia reciproca. 
Il rapporto però è fragile:  facilmente, se si è in disaccordo, l’amicizia si rompe. 
A livello 3 (dai quattordici anni circa), l’amicizia è una relazione solida, basato su un 
legame affettivo reso forte e stabile da interesse e fiducia reciproca.  
Si può pensare così, ad una progressiva scala in cui il bambino mostra livelli di 
consapevolezza dell’amicizia sempre maggiori.  
 
                                                 
5
 Selman, R.L The Growth of Interpersonal Understanding , New York, Academic Press, 1980 
 15
Questa progressione avverrebbe lungo tre dimensioni:  
a) aumento della capacità di assumere la prospettiva dell’altro; 
b) cambiamento nel considerare le persone prima come entità fisiche e 
successivamente come entità psicologiche; 
c) mutamento nel considerare le relazioni sociali. (Emiliani,  Carugati, 1985). 
 
Simili sequenze, nella concezione dell’amicizia  vengono riportate anche da altri autori : 
 Furman, e Bierman, (1983);  Asher, e Gottman, (1981)
6
;  Smollar, e Yoniss, (1982)
7
.  
Parker, e Gottman, (1989)
8
 indagano l’amicizia infantile analizzando gli argomenti delle 
conversazioni  e i processi relazionali implicati. Sintetizzando i risultati delle loro 
ricerche, questi autori indicano tre fasi evolutive. In una prima fase, fra i tre-sette anni, i 
temi dominanti sono la ricerca di divertimento e l’espressione di soddisfazione per le 
attività condivise; dal punto di vista dei processi coinvolti, i bambini devono riuscire a 
realizzare le loro proposte di gioco, saper concludere o rinunciare ad un’attività in 
buona armonia con il partner e risolvere le controversie quando insorgono. Nella 
seconda fase, tra gli otto e i dodici anni circa, compare la preoccupazione di essere 
esclusi dal gruppo dei pari e di “perdere la faccia”; le interazioni conversazionali sono 
costituite spesso da pettegolezzi, nel cui contesto gli amici si scambiano informazioni , 
parlano di sé, si confrontano,  fanno dello spirito. Intorno ai tredici anni inizia una terza 
fase che va fino ai diciassette-diciotto anni, in cui divengono fondamentali il bisogno di 
introspezione e di ridefinizione di sé; il processo sociale saliente diviene ora la gestione 
di situazioni caratterizzate da intimità e auto-rivelazione, alla comune ricerca di una 
soluzione per i problemi personali che i ragazzi incontrano.  
Altri autori invece, oppongono a tutte queste analisi una visione di tipo processuale. Ciò 
che i critici della visione stadiale ipotizzano è un tipo di sviluppo secondo il quale il 
legame amicale, anziché evolversi lungo una sequenza di stadi, l’uno distinto dall’altro, 
subisce un cambiamento costante e continuo lungo una traiettoria che va “dal concreto 
all’astratto, da caratteristiche personali concrete e osservabili a caratteristiche nascoste 
                                                 
6
 Asher, S.R. e Gottman, J.R. (a cura di),  The development of friendship, Cambridge, Cambridge 
University Press, 1981 
7
 Smollar, J. e Yoniss, J., Social Development through Friendship», in K.H.Rubin e H.S. Ross (Eds), Peer 
Relationship and Social Skills in Childhood, New York, Springer- Verlag, 1982 
8
 Parker,J.C. e Gottman, J.M. Social and Emotional Development in a Relational context», in T.D. Berndt 
e G.W. Ladd (a cura di), Peer relationship in child development,  New York, Wiley, 1989