V
Lo studio affronta sia le problematiche legate all’inserimento degli impianti ex-novo, che 
gli impianti presenti e del loro ruolo nella storia della fabbrica, dell’architettura e 
dell’evoluzione delle conoscenze tecnico-scientifiche che ne sottendono la progettazione.  
 
*** 
I riferimenti sul lato “pratico”, “teorico”, gli interventi e progetti in cui gli impianti sono 
stati affrontati secondo le logiche della conservazione sono scarsi, per questo prima di 
affrontare il problema specifico si è partiti da considerazioni in merito al metodo 
d’approccio all’esistente (considerando la componente impiantistica), al rapporto tra 
conservazione e impianti e tra progetto e impianti. A queste considerazioni è seguita una 
lettura storica ed anche su questo versante si è riscontrata una mancanza d’attenzione al 
problema specifico, la letteratura architettonica e tecnica di rado ha affrontato il tema degli 
impianti nel loro sviluppo storico. La mancanza di testi e riferimenti storici, è sintomo di 
una scarsa attenzione al problema che si riflette, ancora una volta, sull’esistente lasciando 
libertà d’azione da parte di chi opera in merito al loro inserimento, continuità d’uso e 
rispetto della fabbrica. 
 
La componente impiantistica deve fare parte delle operazioni volte alla conservazione 
dell’oggetto architettonico, a questo si aggiunge il fatto che nel momento in cui si opera 
per conservare la materia si deve prendere atto che anche gli impianti (presenti e da 
inserire) sono materia dell’edificio. Inoltre sia nella progettazione che nel progetto di 
conservazione e riuso sono presi in considerazione alla fine del progetto e rimandando al 
tecnico impiantista il dimensionamento e la stesura degli esecutivi, così come 
nell’esecuzione capita che sia l’impiantista (o l’operatore idraulico, elettricista, etc…) a 
intervenire e decidere passaggi e percorsi.  
Se negli edifici di nuova costruzione il dialogo interrotto tra progettista e tecnico 
impiantista porta all’autonomia delle decisioni da parte dell’impiantista nella messa in 
opera, oppure alla modifica di alcuni punti del progetto, senza arrecare eccessivo danno 
alla fabbrica, se non il fatto che non si conosce il percorso delle tubazioni, nell’intervento 
di conservazione la mancanza di dialogo unito ad una errata o mancante anamnesi e 
rilievo, porta all’impossibilità di applicare correttamente gli intenti della conservazione, a 
dovere fare delle scelte in cantiere, a perdere gli elementi degli impianti presenti che si 
potrebbero ancora utilizzare, o ad inutili demolizioni per l’inserimento degli impianti. 
 
Da queste considerazioni si è sviluppata la tesi. 
La PRIMA PARTE è svolta una lettura storica degli impianti tecnici nelle abitazioni avendo 
come riferimento i testi (manuali e testi tecnici) dal XIX° sec. agli anni ’80, in funzione 
della terza parte in cui si propone una “Prassi per la Conservazione e la Messa in Opera 
degli Impianti Tecnici nel Costruito”. 
 
Nella SECONDA PARTE si fanno alcune riflessioni sul significato/ruolo degli impianti 
nell’esistente, aspetto affrontato in più punti: per primo l’individuazione delle 
problematiche legate agli impianti all’interno dell’approccio all’esistente, dei punti in cui 
nella lettura e progetto degli impianti e della fabbrica è possibile seguire le stesse logiche e 
dove no al fine di proporre una metodologia di approccio all’esistente con particolare 
riferimento alla componente impiantistica. A questo si aggiungono considerazioni di 
carattere generale sul metodo d’approccio (generale e specifico), sul rilievo e il processo di 
conoscenza della fabbrica in funzione della componente impiantistica, specificando alcuni 
momenti di lettura dell’oggetto architettonico mirati ad integrare le operazioni del progetto 
 VI
di conservazione e di riuso. Segue una lettura della normativa che affronta il problema 
degli impianti in edifici tutelati. 
In secondo luogo si ragiona sulle opere di conservazione, tentando di chiarire alcuni 
concetti chiave per la lettura degli impianti tecnici, dando “cittadinanza” agli impianti 
all’interno della conservazione. A questa seguono le considerazioni sulgli impainti nel 
progetto di conservazione dove si confrontano le tematiche degli altri due capitoli 
rapportati al progetto, alle azioni da operare sulla fabbrica e sull’impianto, ed alla 
mancanza di dialogo tra architetto e impiantista.  
In conclusione nel capitolo Temi Aperti si riportano le problematiche che necessitano di 
ulteriori approfondimenti, come la necessità di un’adeguata normativa prestazionale, o lo 
studio di uno strumento d’interfaccia tra architetto e impiantista, o la creazione di una 
nuova figura professione, etc… questioni che esulano dall’oggetto di studio della tesi. 
 
La TERZA PARTE, ovvero la “Proposta di Prassi per il Riliev, la Conservazione e la Messa 
in Opera degli Impianti Tecnici nel Costruito ”, raccoglie le informazioni della lettura 
storica per individuare un metodo da seguire nelle operazioni di rilievo, conservazione e 
messa in opera dell’impianto. Non sono affrontati gli aspetti tecnici necessari per elaborare 
uno strumento operativo, deve intendersi come un “modus operandi” sia per il rilievo, la 
conservazione, la stesura del progetto, che per lo studio di un testo d’interfaccia che 
affronti gli impianti in funzione delle informazioni necessarie all’architetto conservatore. 
 
*** 
Trattandosi di un primo studio degli impianti all’interno delle logiche della conservazione, 
la tesi è facilmente attaccabile ed è possibile riscontrare lacune e proporre re-
interpretazioni dei temi affrontati.  
 
Lo studio non è esaustivo, al contrario si vuole porre come stimolo per la discussione al 
fine di elaborare dei criteri per impostare un intervento di conservazione consapevole e 
organico negli intenti e nelle realizzazioni. 
 
Questi gli intenti, “Perciò sbaglierebbe di grosso chi, fraintendendolo, volesse assumerlo 
irriflessivamente, contro la stessa volontà dell’Autore, come un testo organico e definitivo, 
e debbo dunque insistere sui molti limiti, sia di estensione tematica che di organicità, che 
esso presenta, vista l’ampiezza dell’argomento.”
3
 
 
                                                 
3
 Dezzi Bardeschi premessa al C.Campanella “Capitolato Speciale di Appalto per opere di Conservazione e 
Restauro” Milano, Pirola, 1997 
 1
 
prima parte  
Lettura storica degli impianti tecnici nelle abitazioni 
 
Attraverso i testi, manuali di architettura e per tecnici impiantisti si è tentato di costruire una 
storia degli impianti limitata alle soluzioni tecnologiche, alla distribuzione, al 
dimensionamento e ai prodotti descritti nei testi senza studiare i prodotti presenti sul mercato 
nelle varie epoche o esempi di edifici con impianti d’epoca, la lettura è finalizzata a 
individuare gli elementi utili per il rilievo e la conservazione all’interno della “Proposta di 
Prassi per il rilievo, la conservazione e la messa in opera degli di impianti tecnici nel 
costruito” 
*** 
La lettura storica 
 
La materia è ciò che registra i dati della storia  
C.Brandi  
 
“Ogni invenzione che bussa alla porta deve aspettare anni e perfino secoli prima di essere introdotta 
nella vita reale” 
F.Braudel 
 
Per operare sull’esistente bisogna prima di tutto conoscere l’oggetto dell’intervento, ovvero la 
storia dell’edificio e le caratteristiche fisiche del manufatto (rilievo), per entrambe le 
operazioni è di fondamentale importanza avere dei riferimenti di carattere generale. 
 
La lettura storica individua delle soglie per conoscere gli impianti nella loro evoluzione (che 
andrà approfondita per ogni caso specifico) e per sapere come è fatto l’impianto e dove 
andare a rilevarne i componenti.  
 
L’evoluzione degli impianti si sviluppa in parallelo con l’industrializzazione edilizia, ed i 
prodotti e le soluzioni studiate per gli edifici di nuova costruzione vengono messe in opera 
anche negli interventi di adeguamento, si ha quindi una sovrapposizione di conoscenze e di 
tecniche.  
*** 
La storia degli impianti tecnici negli edifici è recente rispetto alla storia dell’architettura, i 
primi impianti risalgono ai primi anni del XIX° sec. in contemporanea alle innovazioni della 
rivoluzione industriale, anche se i prodromi vano ricercati nelle soluzioni adottate dai popoli 
per ottenere e mantenere condizioni di comfort e vivibilità degli ambienti (acqua e calore). 
Prima del XIX° sec. non erano pensati come componente aggiunta all’edificio, ma trovavano 
soluzioni che facevano parte della struttura stessa dell’edificio, come ad esempio la creazione 
di piccoli acquedotti in terracotta, o l’ippocausto, i camini, etc… Gli impianti raramente 
“nascono” con l’edilizia storica (tranne negli edifici di costruzione antecedente al secondo 
dopoguerra), ma a questa si aggiungono per interventi successivi di adeguamento per 
modifiche di gestione o per esigenze d’esercizio. 
 
La lettura storica può essere impostata secondo due punti di vista, uno legato agli impianti 
negli edifici, storia fatta di demolizioni e adeguamenti, soluzioni di messa in opera, tracce, 
cambio di destinazioni, esigenze e standard di comfort, soluzioni presenti, etc…in relazione 
alla vita della fabbrica e all’aumento della richiesta e qualità delle condizioni di comfort.  
 2
L’altro è la storia degli impianti a partire dai prodromi, fino alle prime soluzioni 
industrializzate, la diffusione, l‘adozione delle logiche della prefabbricazione, l’applicazione 
delle materie plastiche per arrivare all’introduzione della microelettronica, ed è questa la 
lettura descritta in questa prima parte della tesi. 
 
*** 
Nell’esposizione si sono tenute come soglie di riferimento i prodromi, il XIX° sec. fino ai 
primi del ‘900 periodo in cui si ha nascita e sviluppo delle soluzioni e dei prodotti, il secondo 
dopoguerra in cui la diffusione degli impianti negli edifici di nuova e vecchia costruzione 
segue il boom edilizio, gli anni ’70 in cui si ha l’applicazione delle logiche della 
prefabbricazione, la standardizzazione dei prodotti e l’adeguamento legislativo e gli anni ‘80 
che registrano la diffusione e l’introduzione dei componenti elettrici ed elettronici in ogni 
impianto. 
 
Gli impianti studiato sono: gli impianti idrosanitari, gli impianti di riscaldamento e gli 
impianti elettrici. 
*** 
 
 3
Gli impianti idrosanitari 
 
 
 
 
 
 
 
 
Se Armilla sia così perché incompiuta o perché 
demolita,  
se ci sia dietro un incantesimo o solo un capriccio,  
io lo ignoro. 
Fatto sta che non ha muri, né soffitti, né pavimenti:  
non ha nulla che la faccia sembrare una città, 
 eccetto le tubature dell’acqua,  
che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case  
e si diramano dove dovrebbero esserci i piani:  
una foresta di tubi  
che finiscono in rubinetti, docce, sifoni, troppopieni.  
 
Contro il cielo biancheggia qualche lavabo o vasca 
da bagno  
o altra maiolica, 
 come frutti tardivi rimasti appesi ai rami.  
Si direbbe che gli idraulici abbiano compiuto il loro 
lavoro prima dell’arrivo dei muratori;  
oppure che i loro impianti, indistruttibili, abbiano 
resistito a una catastrofe, terremoto o corrosione di 
termiti. 
 
da I.Calvino “Le città invisibili” 
 
  
4
 
Parlare di impianti idro-sanitari lo si può fare solo avendo come riferimento temporale 
la rivoluzione industriale, quando, anche nell’edilizia, si incominciano ad applicare le 
logiche dell’industrializzazione dei prodotti.  
L’impianto non nasce con la struttura stessa della fabbrica ma parti di esso (tubazioni, 
apparecchi sanitari, fogne mobili, fosse settiche,… ) sono prodotte all’esterno del 
cantiere  
 
La ricerca storica è suddivisa in cinque periodi avendo come riferimento alcuni manuali, 
l’esposizione segue degli elementi-chiave che sono le parti costituenti l’impianto idro-
sanitario inserendo, per ogni periodo, le soluzioni innovative, i nuovi materiali, si ha 
così la possibilità, per ogni parte dell’impianto, di individuare la trasformazione, la 
risposta a nuove esigenze e conoscenze tecniche e le soluzioni abbandonate . 
Gli elementi-chiave sono: 
La provvista dell’acqua  
I sistemi per il trasporto, l’elevazione e la misurazione dell’acqua erogata al’utente 
i contatori 
le reti di distribuzione dell’acqua 
le reti di scarico  
le reti di ventilazione 
le tubazioni 
gli apparecchi sanitari 
la fognatura 
 
Impianto idrosanitario  i prodromi 
 
5
 
Dalle terme romane al prototipo del bagno moderno nel XVIII°sec. 
 
La storia dell’evoluzione tecnologica dell’impianto idro-sanitario ha inizio con la stessa 
storia delle tecniche di costruzione delle fabbriche e con la cultura materiale dei popoli 
che in modi diversi hanno risolto nell’antichità il problema dell’adduzione, 
distribuzione ed utilizzo dell’acqua negli edifici . 
Le prime notizie certe di una vasca da bagno privata fornita di vasca risultano da tracce 
risalenti attorno al 1800 a.C., rinvenuta sia in Egitto che nell’isola di Cnosso,  
i Romani svilupparono la loro tecnica di costruzione degli acquedotti anche all’interno 
delle fabbriche e delle terme, tali ambienti e i relativi impianti di servizio conobbero 
uno sviluppo senza precedenti, ne sono testimonianza le Terme di Caracalla e di 
Diocleziano, il bagno privato risulta ad appannaggio delle classi elevate. 
Nel Libro VIII del trattato dell’Architettura di Vitruvio si parla di condutture in piombo 
a proposito dei mezzi atti al trasporto dell’acqua. 
Durante il medioevo l’uso dell’acqua per lavarsi e della latrina subisce una decadenza, 
bagni pubblici, terme e stabilimenti cadono in disuso; rimane in uso il solo bagno con 
tinozza e le latrine alla turca, poste all’esterno delle case per l’uso promiscuo degli 
abitanti. Nuovi e interessanti sviluppi dell’ingegneria idraulica si hanno con Leonardo , 
ma bisogna attendere il XVII° sec. e gli studi sul moto dei fluidi di D.Bernoulli che 
fonda la scienza idrodinamica. 
La svolta fondamentale arriva dopo la rivoluzione francese, con l’avvento della 
borghesia; nel 1775 si ha il primo brevetto di scarico con sifone. 
Tuttavia uno sviluppo concreto in tale settore con la diffusione di massa dovrà attendere 
l’inizio dell’era industriale: la metà dell’ottocento; il prototipo di quello che noi 
chiamiamo bagno moderno  fu presentato al pubblico all’esposizione mondiale di Parigi 
nel 1889 ed era dotato di un w.c., acqua corrente e tubazioni di scarico
4
. 
 
Ed è qui che inizia la separazione tra lo studio della costruzione della fabbrica e i suoi 
componenti di finitura ed impianti. 
I manuali di fine ottocento dedicano ancora poco spazio agli impianti tecnici per poter 
avere una descrizione dettagliata, occorre rivolgersi ai testi tecnici di idraulica e tecnica 
delle fognature, anche se la parte inerente agli edifici è trattata in tono minore rispetto 
alle grandi condutture e agli acquedotti cittadini che iniziano ad essere studiati e 
costruiti anche in Italia. 
 
                                                 
4
 Da G.Dall’O’, A.Palmizi “Impianti idrosanitari”, Milano, Clup, 1988 
Impianto idrosanitario  le soluzioni del XIX° sec. 
 
6
 
Le soluzioni per il trasporto dei fluidi e gli apparecchi sanitari del XIX°sec.  
*** 
La provvista dell’acqua 
I metodi usati per la provvista dell’acqua devono tenere conto della quantità d’acqua 
che occorre per soddisfare le esigenze degli utenti. 
Le quantità d’acqua utilizzata vengono inizialmente stimate a seconda dell’uso, 
dell’apparecchio sanitario dell’edificio e dell’unità di misura che può essere si la 
persona che il bagno
5
; questi dati vengono usati per dimensionare le cisterne e i 
serbatoi.  
I metodi per la provvista dell’acqua sono essenzialmente di due tipi : le cisterne e i 
pozzi. 
Le cisterne 
Le cisterne servono a raccogliere l’acqua piovana che defluisce dai tetti; la qualità 
dell’acqua, le impurità e il suo possibile uso dipendono dal tipo di copertura: “l’acqua 
raccolta dai tetti coperti di carton-cuoio non serve per l’uso domestico, quella dai tetti 
coperti di paglia è raramente buona, quella da tetti a tegole nella maggior parte dei casi 
è molto inquinata; si può ritenere in certo qual modo priva di difetti l’acqua che 
defluisce da tetti coperti di ardesie o di un metallo che non sia intaccato dall’acqua.” 
Oltre alla raccolta delle acque occorre predisporre dei filtri per impedire che le impurità 
“[…] pervengano alla cisterna, si interpongono, tra le docce di scarico dal tetto ed i 
canali conducenti alla cisterna, delle cassette o pozzetti di deposito”
6
. 
Questi pozzetti fungono da filtri, un esempio è il filtro separatore Copley , consistente 
in un pozzetto con fondo inclinato avente pianta quadrata o rettangolare, diviso in due 
scomparti di cui uno riempito di sabbia lavata poggiante su un letto di ghiaia e pietre 
che funge da filtro. l’acqua ottenuta si usa solitamente per irrigare i campi, mai ad uso 
domestico. Esistono differenti tipi di cisterne tutte dotate di un sistema di prelevazione 
dell’acqua mediante filtrazione. 
 
La Cisterna Veneziana  consiste in un cavo tronco-conico del terreno, “con la base 
maggiore verso il cielo , e col fondo e le pareti rivestite di uno strato di argilla ben 
manipolata e compatta, grosso circa 30 cm, il quale, essendo impermeabile, serve ad 
impedire che s’infiltri nella cisterna l’acqua salsa circolante nel suolo di Venezia.”
7
 
Una altro tipo di cisterna e quello Day costruita a doppio filtro, superiore ed inferiore, 
per ottenere, in uno spazio ristretto, una razionale depurazione, filtrazione e raccolta 
dell’acqua per gli usi domestici . I filtri sono sia nella parte superiore,  da dove arriva 
l’acqua, che in quello inferiore; l’attingimento è fatto per aspirazione in modo che 
l’acqua sia costretta a passare per il filtro inferiore e quindi purificarsi una seconda 
volta. 
Inoltre esiste, anche se non utilizzata a fini domestici, la cisterna adottata per le ex-
ferrovie romane: “la prima acqua proveniente dai tetti si disperde mediante il canaletto 
disposto lungo il fabbricato; quando si giudica sufficiente la lavatura dei tetti, allora la si 
fa entrare nel cisternino, diviso in modo da decantare e poi filtrare l’acqua attraverso 
strati di ghiaia e sabbia prima che essa passi nella cisterna di deposito.”
8
 
                                                 
5
 D.Donghi “Manuale dell’architetto”, Milano, Hoepli, 1923 pg. 328 Tab VII_Consumi d’acqua in 24 ore 
6
 ibidem pg.329 
7
 ibidem pg 330 
8
 ibidem pg 332 
Impianto idrosanitario  le soluzioni del XIX° sec. 
 
7
 
Le cisterne sono costruite in muratura con pareti impermeabili e coperte all’esterno da 
uno strato di argilla grassa ben costipata e ricoperte internamente con cemento lisciato o 
con piastrelle di maiolica, con la copertura atta a proteggere l’acqua dai geli e dai raggi 
solari. 
Importante è la collocazione della cisterna che si trova in un luogo ben ombreggiato, ma 
non umido, solitamente all’esterno degli edifici, con il terreno attorno inclinato in modo 
da scolare l’acqua lontano dalla cisterna. 
Il dimensionamento della cisterna è fatto in base al consumo giornaliero e dalle 
immissioni di acqua piovana. 
 
I pozzi 
L’acqua attinta dai pozzi è usata anche a fini domestici, è attinta dalla falda freatica. La 
qualità dell’acqua attinta dipende non solo dalla falda ma anche dalla posizione e dalla 
profondità del pozzo rispetto al terreno e dal modo in cui è stato costruito. “Riguardo 
all’ubicazione del pozzo si tratta di badare se l’acqua pluviale che penetra negli strati di 
terreno, circostanti il pozzo, possa essere inquinata da liquidi immondi [fosse nere, 
cloache] od impuri “  
La costruzione del pozzo segue regole  dettate dall’orografia, dal terreno, e dalla falda 
oltre che dal metodo di perforazione del terreno dai materiali costituenti il pozzo, dalla 
profondità, ecc.…, solitamente si usano pozzi poco profondi in vicinanza degli abitati, 
mentre i pozzi profondi. 
I pozzi si distinguono in : 
Pozzi a canna o gola: in muratura, di limitata profondità, e Pozzi Artesiani (di 
invenzione più recente) di maggiore profondità ed eseguiti in metallo. 
La scelta dell’uno o dell’altro pozzo è determinata dalla natura e quantità dell’acqua 
oltre che dall’ubicazione del pozzo, dal quale dipende il sistema di trasporto dell’acqua 
e dal costo. 
“[…] mentre  una volta i pozzi a gola formavano la regola, in questi ultimi tempi [primi 
del ‘900] i pozzi tubolari vennero acquistando maggior voga, specialmente nelle città 
ove l’inquinamento del terreno va facendosi sempre più grave. I pozzi tubolari, anche 
facendo astrazione della miglior qualità dell'acqua che essi forniscono , offrono il 
vantaggio di una rapida ed economica costruzione”
9
.  
 
Pozzi a canna o a gola (da 1 a 10 metri) 
Si usano per terreni dove lo strato acquifero è poco profondo e il terreno poco ricco 
d’acqua, terreni sabbiosi, terreni argillosi o cretacei attraversati da filoni di sabbia 
acquifera; il pozzo serve anche come serbatoio di raccolta.  
La profondità della canna e il diametro  sono determinati dal fondo del terreno 
(sabbioso o ghiaioso) e dal livello minimo dell’acqua dal quale dipende la massima 
immersione della valvola di fondo (o d’aspirazione). 
 
Esistono pozzi a gola in legno, anche se sono sempre in pietra (lavorate o non lavorate) 
o in muratura (mattoni  di forma usuale o di forma apposita foggiati a cune per i pozzi 
molto stretti), o in entrambi i materiali . Come legante si usa, in particolare per la 
muratura,  malta idraulica o di cemento , per i pozzi in pietrame è possibile trovare 
come legante soltanto argilla e borracina. La gola è composta da tre parti: corona di 
                                                 
9
 ibidem pg 335 
Impianto idrosanitario  le soluzioni del XIX° sec. 
 
8
fondo, gola (o canna) e copertura. La corona di fondo consta di tavoloni grossi cm 4, 
raddoppiati, riuniti con chiodi di legno , se lo spesso è di 8 cm vengono inchiavardati. 
La muratura della canna ha un larghezza maggiore nella base inferiore , i singoli conci 
o mattoni all’interno della gola vengo stretti il  più possibile l’uno contro l’altro. 
La costruzione di un pozzo “si eseguisce nel modo indicato dallo Scamozzi” descritto 
nel “Manuale dell’architetto di D.Donghi, difficoltosa viene ad essere l’operazione di 
abbassamento di un pozzo già eseguito, anche se vantaggioso per i terreni sabbiosi 
sciolti. 
“Celebri sono le vere da pozzo veneziane, e molte sono le armature in ferro o le 
soprastrutture miste dei pozzi e cisterne degli antichi conventi che si possono citare tra 
le opere artistiche. Per darne una idea si cita il pozzo del cortile del chiostro 
dell’Abbazia di Sassovino presso Foligno costruito nel 1350, ma rimodernato nel 1623 
[…] o il celebre pozzo di Orvieto, detto di S.Patrizio del 1527.”
10
 
Da segnalare la presenza in questo periodo di pozzi stradali pubblici, con la seguente 
maniera di copertura: “Ad una profondità sotto il suolo, eguale del diametro interno 
della canna, di tengono i filari di mattoni sporgenti un sull’altro in modo da ottenere il 
restringimento  di circa m 0,60. Sopra questo collo del pozzo vi ha una specie di cassa 
in  muratura con cornice o telaio in granito, che porta una piastra di ghisa. La parte 
superiore di questo doppio suolo viene accuratamente ricoperta con uno strato di creta 
grosso circa cm 7 e la parte inferiore viene sigillata tutt’intorno con canape e sego. 
Una tale disposizione permette altresì’ di usare direttamente della gola di pozzo con 
pompe aspiranti, vantaggio non trascurabile per le città che non sieno provviste di una 
condotta d’acqua in pressione 
11
“ 
I fontanili  
I fontanili sono  usati nella bassa Lombardia per irrigare i campi e sfruttano lo stesso 
principio dei pozzi artesiani, ma con la falda acquifera a minore profondità. 
“Vari sono i mezzi  o sistemi d’utilizzazione delle acqua sotterranee. Se trattasi di 
estrarre acqua per irrigazioni da zone poco profonde, si sua il sistema dei fontanili […] 
quando in una data località si ha speranza di trovare acqua a poca profondità […] si 
scava una fossa poco profonda per raggiungere la falda acquifera a 1 o 2 m.circa dal 
suolo.  
Trovata l’acqua si seguita a scavare la fossa fino ad un metro sotto il pelo d’acqua 
[…]La località dove si raduna l’acqua del sottosuolo si chiama testa di fontanile , che 
può avere una lunghezza di 80100 m ed una lunghezza da 10 a 40m restringendosi fino 
alla dimensione del canale raccoglitore delle acque del fontanile.”
12
 
 
Pozzi artesiani  
Per superare  i 10 metri di profondità, e arrivare alla falda acquifera, si usano i pozzi 
artesiani costituiti da tubazioni in metallo che perforano il terreno verticalmente fino a 
raggiungere la falda, l’acqua  segue la tubazione secondo il principio di equilibrio tra i 
liquidi e giunge in superficie dove viene utilizzata. Esistono anche sistemi misti pozzi 
artesiani in profondità e a gola nella superficie. 
“L’origine dei pozzi artesiani
13
 deriva dalle prime trivellazioni del terreno eseguite per 
la ricerca dell’acqua sotterranea nell’Artois, nel nord della Francia, alla fine del 1700. 
                                                 
 
11
 ibidem pg 340 
12
 ibidem pg 342 
13
 per approfondimenti si segnala il testo: L.Perrau “L’arte della sonda” Milano, Hoepli, 1885da Donghi 
pg 342 
Impianto idrosanitario  le soluzioni del XIX° sec. 
 
9
In Italia le prime trivellazioni del suolo allo stesso scopo furono fatte su vasta scala in 
territorio di Modena. Gli Americani invece attribuiscono il mertito dell’invenzione di 
questo sistema  di pozzi a Guglielmo Norton, donde vengono chiamati col nome di pozzi 
tubolari Norton.  
Fin dal 1861 il signor C.Calandra di Torino, che tanto studiò e si adoprò a vantaggio 
dell’agricoltura nazionale , ottenne la privativa su un suo sistema d’estrazione dei tubi 
di ferro fino ad oltrepassare vari strati del terreno, tanto permeabili che impermeabili. 
[…] 
Il pozzo artesiano Norton consiste in una serie di tubi lunghi da m1 a m3 ed anche 5m 
del diametro interno variabile da cm 3-7, secondo i casi. 
 
Il tubo in ferro, quello inferiore, deve penetrare per primo e fare la strada agli altri, è 
munito di punta di acciaio temperato e l’ultima parte del tubo è bucherellata con fori 
obliqui della larghezza di mm.3, in modo che la terra non li possa otturare durante la 
discesa e che raggiunto uno strato acquifero l’acqua possa, per la differenza di 
pressione, facilmente salire nel tubo stesso.”
 
 
Diversi sono i tipi di tubi oltre che per forma anche per tipo di acciaio che li 
costituiscono.  
I pozzi Norton vengono usati per profondità minori di 9 metri, oltre i quali occorre 
trivellare il terreno con le cipolle di aspirazione, tubi in ferro bucherellati all’intorno e 
filettati in modo da potere essere congiunti con altri tubi per mezzo di manicotti,) e 
successivamente estrarre l’acqua con pompe.  
Prima di cominciare la costruzione di un pozzo artesiano si procede al saggio del 
terreno per mezzo di sonde e trivelle, manovrate all’interno di tubi di garanzia . 
Diversi sono i sistemi si trivellazione e i pozzi che prendono nome da questi.  
I pozzi Crefeld oltrepassano diversi strati di terreno, e sfruttano l’acqua fornita da una 
pompa premente che agisce all’interno del tubo di garanzia favorendo la penetrazione 
della trivella e l’espurgo del terreno . 
In Italia nel territorio di Cremona si sono costruiti pozzi artesiani di grande profondità. 
I pozzi Piana (dal nome del costruttore ) usati nel Veneto e per la città di Mantova, 
sono costituiti tubi di acciaio robusto per le grandi profondità, servendosi per 
affondarli, di un maglio a vapore. 
Altri sistemi sono stati usati per trivellare il terreno e i pozzi prendono nome dalle 
località in cui vennero adottati. 
Le condotte pubbliche a pressione: la nascita degli acquedotti 
Altra fonte di approvvigionamento d’acqua è l’acquedotto cittadino. 
Da metà ottocento e all’inizio del 1900 si inizia anche in Italia la costruzione e lo studio 
per la realizzazione di acquedotti cittadini, grandi condotti, dighe e riserve idriche al 
fine di portare l’acqua nelle grandi città.  
Diversi testi e scuole di ingegneria idraulica si occupano a fondo del problema 
soprattutto per quello che riguarda i dati dimensionali, le resistenze dei grandi condotti,  
così come per lo scarico delle acque, la fognatura, diversi sono i testi citati nel 
“Manuale dell’architetto” del Donghi che parlano esclusivamente di idraulica, e a questi 
si fa riferimento quando si parla di un sistema alternativo ai pozzi per 
l’approvvigionamento d’acqua. 
Occorrerà attendere il secondo dopoguerra per avere una distribuzione capillare 
dell’acqua mediante acquedotto. 
 
Impianto idrosanitario  le soluzioni del XIX° sec. 
 
10
In un testo sugli acquedotti, del 1928
14
, vengono elencati i materiali costituenti le 
tubazioni di condotta, alcuni di essi vengono usati anche nella rete di distribuzione 
interna dell’edificio.  
Si hanno tubazioni in legno per le condotte di montagna , solitamente legno di conifere 
lasciato macerare per 5 o 6 anni, di lunghezza 4 m. Ha una durata massima di 3-4 anni e 
si macera facilmente anche ricorrendo all’imbizione nel catrame per aumentarne la 
durata, in quanto il passaggio dell’acqua e il ristagno favoriscono il formasi di alghe e 
batteri, sono poco usate . 
Le tubazioni in terracotta o grès ceramico vengono usate per i lavori di drenaggio ma 
poco si prestano per le condotte in pressione di acqua potabile per il costo e per la 
fragilità del materiale. 
I tubi in cemento sono i più diffusi per le condotte in pressione, lunghi 1metro e dal 
diametro da 0,05 a 1m. vengono giuntati introducendo la testa conica di un tubo 
nell’altro e coperti da una colata di malta liquida. Essendo rigidi vengono usati in terreni 
poco cedevoli 
Le tubazioni in cemento armato hanno le stesse caratteristiche d’impiego dei tubi di 
cemento ma con la possibilità di avere condotte di grande diametro. 
Le tubazioni in Eternit (5/6 cemento e 1/6 amianto) vengono prodotte in tubi di 
lunghezza 3m. e diametro da 100mm a 1000mm; più leggeri del cemento vengono usati 
in terreni che possono presentare lievi cedimenti; le giunture vengono fatte con il 
sistema Gibault: manicotto in ghisa svasato unito da bulloni con una guarnizione in 
gomma. 
Le tubazioni in ghisa, ottenute per stampaggio vengono usate per la distribuzione agli 
edifici, hanno una resistenza al carico di rottura maggiore rispetto ai precedenti 
materiali ed i giunti (a bicchiere o a flangia o ad anello) hanno una tenuta maggiore 
nelle condotte a forte pressione.
15
  
Simili alle tubazioni in ghisa quelle in ferro e in acciaio (ottenute per trafilazione) 
offrono maggiori diametri e resistenze a pressioni maggiori, vengono protetti 
dall’attacco della ruggine mediante asfaltatura a caldo. 
Le tubazioni in piombo per acquedotti erano già usate dai romani , in questo periodo 
vengono usate por le diramazioni all’interno delle abitazioni e anche in questo campo di 
applicazione (questo a partire dal primo dopoguerra) incominciano ad essere sostituiti 
con tubi in ferro zincato. 
Invenzione recente (anni ’20) sono i tubi in acciaio laminato, prodotti con il processo 
Mannesman offrono tenuta a pressioni elevate grazie al sistema di congiunzione a 
bicchiere o flangia con giunto in caucciù. 
Questi materiali sono usati per gli acquedotti ed alcuni anche per la rete di tubazione 
interna dell’edificio, subiranno innovazioni o abbandono,  ma di se ne parlerà nella 
parte dedicata alle condutture. Nella costruzione di edifici l’attacco all’acquedotto 
cittadino avviene mediante sistemi diversi  (a contatore, a lente idrometrica,...) descritti 
nella parte inerente la somministrazione e distribuzione delle reti interne; a seconda del 
tipo di “attacco” e distribuzione planimetrica dell’edificio, corrispondono differenti tipi 
di reti e serbatoi. 
L’acquedotto è fonte di approvvigionamento dell’acqua solo per abitati numerosi e le 
grandi città, mentre per gli abitati minori, rurali o sparsi, si usano i sistemi di provvista e 
raccolta acqua sopra descritti; alcuni di questi continuano ad essere usati in aggiunta 
all’acquedotto. 
                                                 
14
 da C.Mistrangelo ”Provvista e distribuzione dei acqua potabile”, Milano, Hoepli, 1928 
15
 Tabelle e dati tecnici si possono trovare da pg 352 a pg358 del libro di C.Mistrangelo ”Provvista e 
distribuzione dei acqua potabile”, Milano, Hoepli, 1928 
Impianto idrosanitario  le soluzioni del XIX° sec. 
 
11
 
Negli anni tra le due guerre l’uso delle cisterne e pozzi per la raccolta dell’acqua tende a 
essere sostituito dall’acquedotto anche nelle piccole città, vengono fatte grandi opere di 
bonifica e costruzione di acquedotti sotto il regime fascista, anche la legislazione si 
occupa delle acque. 
Già nei primi anni del ‘900 la legislazione si era occupata di opere idrauliche con il 
R.D. del 25 luglio 1904, n.523-T.U delle disposizioni di legge intorno alle opere 
idrauliche delle diverse categorie-
16
 ; mentre è del 1933 il “Testo Unico sulle Acque e 
Impianti Elettrici” 
17
a cui seguiranno altri decreti  specifici, fino al regolamento del 
1937 “ Sulle Opere Idrauliche e Di Bonifica
18
 
 
Questo è il periodo in cui si ha il maggiore interesse, nei testi tecnici, per le 
problematiche inerenti la provvista dell’acqua; successivamente si darà per scontato 
l’approvvigionamento mediante acquedotto considerando l’uso dei pozzi solo per gli 
abitati sparsi, e le cisterne solo per l’irrigazione e l’allevamento. 
Nel testo di A.Gallizio (1945)
19
 si descrivono i sistemi di somministrazione dell’acqua, 
mentre, per quel che riguarda l’approvvigionamento, si limita ad elencare i consumi 
medi, massimi e minimi necessari , suddivisi per orari, numero di occupanti e tipo di 
edificio. 
Una volta risolto il problema di dove prendere l’acqua occorre risolvere quello inerente 
l’allacciamento alla rete domestica, il suo trasporto, elevazione e misurazione per il 
pagamento dell’acqua fornita. 
Sempre nel periodo tra fine ‘800 e primi del 1900 diverse sono le soluzioni adottate in 
relazione anche alla fonte da cui si attinge l’acqua, solitamente pozzi. 
L’acqua o viene raccolta, dai pozzi, in recipienti trasportabili con l’uso di apparecchi 
elevatori, secchi o pompe aspiranti; oppure l’acqua viene elevata in un serbatoio e da 
qui distribuita nell’edificio, in questo caso per elevare l’acqua si usano della pompe 
prementi. 
                                                 
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 T.U 25 VII 1904 n. 523 
Capo I_ dei fiumi, torrenti, laghi e colatori naturali 
Capo II e III_ disposizioni generiche per le opere di ogni categoria 
Capo IV_ degli argini ed altre opere che riguardano il regime delle opere pubbliche  
Capo V _ Scoli artificiali 
Capo VI –[...] 
Altri provvedimenti : 
R.D. 19 novembre 1921, n. 1688 Modificazione dei T.U. 
R.D. 14 agosto 1920, n. 1285 regolamento per le derivazioni e l’utilizzo di acque pubbliche 
D.M. 16 Dicembre 1923_ Norme per la compilazione dei progetti di massima e di esecuzione a corredo di 
domande per grande e piccole derivazioni d’acqua. 
Tratti da: “Acque e impianti elettrici”, Milano, Pirola, 1954 
17
 R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 _ Testo Unico  sulle acque e impianti elettrici: 
Titolo I Norme sulle derivazioni e utilizzazioni delle acque pubbliche 
 Capo I Concessioni e riconoscimenti di utenze 
 Capo II Consorzi di utilizzazione delle acque pubbliche 
Capo III Provvedimenti speciali per la costruzione di serbatoi e laghi artificiali 
Titolo II [...] 
Tratti da: “Acque e impianti elettrici”, Milano, Pirola, 1954 
18
 R.D. 9 dicembre 1937, n.2669_ regolamento sulla tutela di opere idrauliche di 1a e 2a categoria e delle 
opere di bonifica. 
Disposizioni preliminari [...] 
Tratti da: “Acque e impianti elettrici”, Milano, Pirola, 1954 
19
A. Gallizio “Impianti sanitari” Milano, Hoepli, 1945 
Impianto idrosanitario  le soluzioni del XIX° sec. 
 
12
Si usano pure la noria di secchi (per i pozzi), costituita da due catene senza fine, tese tra 
due tamburi , uno superiore e uno inferiore, a cui sono appesi dei secchi che pescano 
l’acqua dal pozzo e lo portano in alto, altro sistema è il bindolo-pompa.
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Un apparecchio  usato sempre per usi domestici è l’elevatore Jonet che si compone di 
una copertura metallica posta sul pozzo, di una puleggia a gola e di due secchi con 
valvola di fondo a leva raccomandati ad una fune di acciaio.
21
 
 
Le pompe 
Le pompe, aspiranti o prementi, sono utilizzate quando il flusso d’acqua deve essere 
costante, od occorre trasportare l’acqua in un serbatoio distante, o lungo le condutture. 
Nelle pompe aspiranti l’acqua aspirata al di sotto dello stantuffo passa al di sopra di 
esso attraverso una sua valvola nel suo movimento ascendente e viene spinta in alto fino 
ad uscire dalla bocca di efflusso, subendo successivi innalzamenti. 
Le pompe prementi sono utilizzate nei casi in cui occorre generare una pressione nel 
moto ascendente dello stantuffo; la valvola aspirante si apre e si chiude quella premente, 
in modo che l’acqua entra e sale nel tubo premente o di scarico fino all’altezza 
desiderata. Siccome il getto è intermittente si ricorre anche all’uso di pompe a doppio 
effetto che agiscono come due pompe accoppiate e riescono a dare un getto quasi 
uniforme. 
Diversi sono i tipi di pompe utilizzate le più frequenti sono: 
pompe centrifughe, costituite da una ruota a palette chiusa in una cassa; fra le palette 
entra l’acqua, che viene spinta con forza verso l’esterno con il moto rotatorio della 
ruota; pompe a membrana, usate quando si deve aspirare l’acqua da liquidi in puri come 
nei lavori edilizi o agricoli; pulsometri, che richiedono il funzionamento della caldaia a 
vapore che fornisca vapore ad una pressione maggiore di quella dovuta per l’elevazione 
dell’acqua; quando si devono rifornire d’acqua i serbatoi si usano pompe a doppio 
effetto, tra cui le pompe California.
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Un sistema usato in questo periodo e poi abbandonato è quello detto dell’ariete 
idraulico
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 usato dove si ha a disposizione un corso d’acqua anche con minima 
pendenza. Questo sistema ricevette perfezionamenti nel 1891 dagli ing.Audoli e Bertola 
di Torino che brevettarono un ariete idraulico senza colpo, riuscendo a sopprimere 
l’urto della colonna d’acqua in moto, introducendo due camere d’aria invece di una. 
 
Per distribuire l’acqua nei vari locali e piani di un edificio si usa il serbatoio a pressione 
posto nelle cantine o a pianterreno. Si compone di un recipiente metallico cilindrico 
chiuso e perfettamente stagno, dopo avere introdotto l’aria vi si immette l’acqua 
attingendola da un pozzo o latra sorgente; l’acqua comprime l’aria aumentandone la 
pressione che agendo sull’acqua come stantuffo , la spinge in alto distribuendola a i vari 
piani. Questo apparecchio subirà modifiche fino a venire nominato autoclave. 
 
Diversi sono gli apparecchi inventati per aumentare la pressione dell’acqua a mezzo 
dell’aria, queste prendono tutte il nome di macchine idrofore e ve ne sono diverse 
adottate (a vaglio, a coclea, ruote a schiaffo, ruote-pompe, ruote a cassetto, ecc…); con 
l’andare del tempo alcune soluzioni sono abbandonate in favore di altre cosicchè tra le 
                                                 
20
 D.Donghi “Manuale dell’architetto”igura 755  pg.356 del 
21
 ibidem fig. 756  pg 357  
22
 ibidem fig.781 pg.368  
23
 ibidem pg.359