folklorico, pur non conoscendo storia, cultura, modelli ritmici e coreutici ad 
esso connessi. 
 Il Vudu è invece una vera e propria religione,  un complesso di 
credenze e riti che, da secoli, si tramanda oralmente, e che ha conosciuto nel 
corso della storia enormi cambiamenti ed evoluzioni. 
 La culla di quest’antica religione si situa sulle coste africane del golfo 
di Guinea, ma oggi è conosciuta soprattutto per la sua presenza ad Haiti, 
dove alla sua naturale propensione al sincretismo, si è aggiunta la forte 
influenza del cristianesimo, che ne ha modificato radicalmente usi e costumi.  
  Come premessa alla dissertazione è stata inserita una sintetica 
descrizione dei riti di possessione, quale possibile contenitore, all’interno del 
quale collocare i due fenomeni religioso-culturali.  
 Nel primo capitolo si ripercorrono i tratti salienti dell’evoluzione del 
fenomeno salentino nel corso della storia, ponendo in risalto il modificarsi 
dello sguardo critico e interpretativo con cui i differenti studiosi si sono 
accostati al tarantismo. 
 In un secondo momento ci si addentrerà in una descrizione 
particolareggiata del rito della taranta partendo dalla fondamentale opera di 
De Martino e sottolineandone gli elementi che permettono di identificarlo 
quale complesso simbolico, frutto di trattative socio-culturali, rimuovendolo 
così dalla riduttiva interpretazione scientifica che lo identificava come 
malattia. 
 Nel secondo capitolo,  ci si addentrerà quindi nella religione vudu, 
senza avere la pretesa di essere esaustivi, ma focalizzando l’attenzione sugli 
aspetti di maggior connessione col simbolismo salentino, sottolineando il 
ruolo rivestito da entrambi, ovvero di rituale utilizzato per il superamento di 
 5
traumi e frustrazioni inconsce, un rituale di rinascita dopo la caduta nello 
stato di trance e l’esperienza della possessione ad opera di entità simboliche.  
 Nel terzo capitolo, si cerca di esporre un quadro esaustivo della 
situazione attuale del fenomeno pugliese, evidenziando trasformazioni e 
processi di continua trasformazione a cui è sottoposto.   
 Ciò che intendo sottolineare non è solo la forte connessione tra questi 
due fenomeni, apparentemente così lontani, ma la possibilità concreta di 
individuare elementi di continuità in forme rituali appartenenti a culture 
distinte, continuità che dimostrano come spesso l’uomo utilizzi strumenti 
differenti, da una parte il simbolo del ragno e dall’altra un complesso 
pantheon religioso, ma per raggiungere obiettivi simili e spesso necessari, in 
contesti distinti ma legati da un comune senso di disagio. 
 6
Rapporto Tarantismo-Vudu: 
riti di possessione 
 
La possessione è stata definita
2
 come uno stato di malessere 
determinato dall’invasione, nel corpo dell’individuo, di entità che popolano 
l’universo religioso di una data cultura. Questa condizione, fisica e psichica, 
può essere trasformata, con l’ausilio di riti appropriati, in un rapporto 
privilegiato di comunicazione con il mondo sovrannaturale, creando una 
sorta di relazione simbiotica fra i due ordini di realtà.  
 Un’opera fondamentale scritta su questo tema è quella dello psicologo 
T. K. Oesterreich
3
. Secondo lo studioso, i fenomeni di possessione avrebbero 
un carattere universale, sarebbero cioè riscontrabili in tutte le culture umane, 
e attribuibili a problemi di personalità multiple all’interno del sé o a semplice 
suggestione. 
 Lo stesso Ioan M. Lewis afferma, nel suo saggio Le religioni estatiche
4
,  
che incontri estatici di questo genere, sebbene non siano incoraggiati in tutte 
le religioni, sono però presenti per lo meno in un certo periodo della storia 
travagliata di ognuna di queste. Parlando in particolare della religione 
cristiana Lewis ritiene assolutamente comprensibile l’attrazione sempre 
esercitata dall’estasi religiosa, come strumento di conforto per chi ha sofferto 
lutti recenti, attraverso il suo messaggio di sopravvivenza eterna. 
                                                 
2
 U. Fabietti, F. Remotti, Dizionario di Antropologia, Zanichelli, Bologna, 1997, pp. 580-581. 
3
 T. K. Oesterreich, Possession, Demoniacal and Other, amongPrimitive Races, in Antiquity, the 
Middle Ages and Modern Times, Routledge, London,1930. 
4
 I. M. Lewis, Le religioni estatiche. Studio antropologico sulla possessione spiritica e sullo 
sciamanismo, Ubaldini, Roma, 1971. 
 7
Altri autori riconducono poi l’interpretazione al più articolato discorso 
sulla sventura e sulla malattia. I culti, di natura socialmente costruita, 
assolverebbero così ad una funzione prettamente terapeutica, trasformando 
un evento traumatico personale in un fenomeno culturalmente accettato. 
All’interno di questo ambito di ricerca assumerà quindi rilievo la 
nozione di crisi della presenza, di derivazione heiddegeriana, elaborata poi da 
De Martino
5
: essa indicherebbe, infatti, quella particolare condizione 
dell’uomo, derivata da situazioni di vita drammatiche e di rottura, in cui è il 
senso stesso del suo essere ad essere messo a repentaglio. L’unica arma a 
disposizione dell’uomo per evitare un esito catastrofico del processo, che 
porterebbe alla pazzia e all’annullamento della propria identità cosciente, è 
l’impiego di pratiche e rappresentazioni rituali in grado di incanalare e 
controllare culturalmente l’insorgere degli impulsi distruttivi. Queste 
situazioni esistenziali, sebbene siano di per sé critiche, possono essere 
propedeutiche ad un riscatto della crisi e ad una reintegrazione religiosa da 
attivare entro un orizzonte mitico-rituale
6
. Data la natura assai mutevole e 
incerta della Presenza, non si potrà mai parlare però di un’acquisizione 
definitiva, ma dell’inizio di un processo continuo e costante per il 
mantenimento della coscienza individuale e comunitaria.  
Altro concetto connesso a quello di possessione spiritica è quello di 
sciamanismo: in senso stretto indicherebbe un fenomeno religioso della Siberia 
e dell’Asia centrale, ma in senso più allargato possiamo inserire sotto questa 
nozione tutte quelle tecniche estatiche specializzate nello stato di trance.
7
 
Secondo Eliade la possessione spiritica andrebbe vista come antitetica 
                                                 
5
  U. Fabietti, F. Remotti, Dizionario di Antropologia, Zanichelli, Bologna, 1997, p. 211. 
6
 G. Di Mitri, Quarant’anni dopo De Martino: atti del convegno internazionale di studi sul 
tarantismo: Galatina, 24-25 ottobre 1998, Besa, Nardò, 1999. 
7
 M. Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Edizioni mediterranee, Roma, 1988. 
 8
rispetto allo sciamanismo: la prima ha una connotazione negativa ed è 
determinata dalla “discesa degli dei nell’uomo”, mentre il secondo è 
un’ascesa dell’uomo agli dei, è quindi un movimento di orgoglio in cui 
l’uomo si vede uguale agli dei. 
Il dibattito si fa più complesso con l’intervento di Lewis
8
 che, in netto 
contrasto con Eliade, avvicina i due concetti attraverso la figura dello 
sciamano come ricettacolo degli spiriti, che a suo piacimento può introdurli 
nel proprio corpo, attraverso uno stato di trance, per controllarli e renderli 
innocui per il clan. Diciamo che Lewis mette a confronto due tipi di 
possessione, o meglio due fasi nel processo di possessione. Nella prima fase 
la possessione è involontaria e incontrollata, ed è quindi vista come una 
malattia dovuta essenzialmente al capriccio di qualche entità spirituale, nella 
seconda fase invece la possessione diventa uno strumento volontario e 
controllato nelle mani di un individuo (lo sciamano appunto) in grado di 
mettersi in contatto con esseri soprannaturali.  
La comunione estatica è ancora vista come un’unione mistica, che 
spesso raggiunge anche connotazioni erotiche, di veri atti sessuali mistici tra 
il soggetto e lo spirito che lo possiede
9
. Da qui le molte concezioni di unioni 
spirituali che, accanto al matrimonio terreno, uniscono il devoto con lo 
spirito. 
 Questo tema coniugale è molto sviluppato nei culti vudu di Haiti, dove 
la persona che desideri assicurarsi la protezione permanente di un loa può 
farlo attraverso una formale proposta di matrimonio, con tanto di stesura del 
                                                 
8
 I. M. Lewis, Le religioni estatiche. Studio antropologico sulla possessione spiritica e sullo 
sciamanismo, Ubaldini, Roma, 1971. 
9
 D. Vazeilles, Gli sciamani e i loro poteri: persistenza e diffusione dello sciamanismo, Edizioni 
Paoline, Cinisello Balsamo, 1993. 
 9
certificato di matrimonio. Dopo questa unione, il dovere del loa sarà quello 
di vegliare sul suo coniuge, in cambio di doni, e di devozione permanente
10
.  
 E’ ancora di Lewis
11
 la distinzione dei fenomeni di possessione in  due 
vaste categorie in base al contesto in cui si trovano ad operare: da una parte i 
culti di possessione centrale, che seguono la morale ufficiale e il potere 
stabilito, e vengono sostenuti e appoggiati da questi; dall’altra i culti 
marginali o periferici, intesi come forma di protesta indiretta da parte degli 
oppressi. Questa seconda categoria incorpora tutti quei riti utilizzati con 
regolarità dai membri di categorie sociali subordinate, per imporre certe 
rivendicazioni ai loro superiori; manifesta un’aggressività e una frustrazione 
che in gran parte restano nell’ambito di una difficile accettazione dell’ordine 
stabilito delle cose. La sostanziale necessità di una reciproca fede, tanto per il 
superiore, quanto per il subordinato, nel simbolismo della possessione 
periferica, è un requisito indispensabile; diversamente infatti la voce della 
protesta perderebbe la sua autorità
12
. 
Le religioni messianiche, moralistiche e autoritarie, sono invece 
catalogate all’interno della prima categoria. Queste nascono, infatti, in 
circostanze di acuta frattura sociale, e spesso, scrive Lewis, utilizzano la 
possessione come suprema esperienza religiosa. Spesso definite “religione 
degli oppressi” proprio per questa loro spiccata predisposizione a 
coinvolgere gli emarginati in una ricerca di fuga dalla realtà attraverso la 
trance, si staccano molto più marcatamente, rispetto ai culti periferici, dal 
loro tradizionale ambiente sociale, fino a identificarsi con vere e proprie 
aspirazioni separatiste contro l’ordine stabilito. La possessione non è più 
                                                 
10
 A. Metraux, Il vodu haitiano, Einaudi, Torino, 1971. 
11
 I.  M. Lewis, Le religioni estatiche. Studio antropologico sulla possessione spiritica e sullo 
sciamanismo, Ubaldini, Roma, 1971, p.90. 
12
 Ibidem, p.93. 
 10
allora solo una manifestazione traumatica di disagio, una malattia da curare 
attraverso doni alle diverse divinità, ma diventa il fine ultimo del credo 
religioso, una comunione estatica che rappresenta il culmine dell’esperienza 
religiosa. 
 Le linee di confine tra queste due macro categorie non sono però così 
rigide come potrebbe sembrare in un primo tempo: molti sono infatti i punti 
di contatto,  ed è anzi legittimo considerarli estremi opposti di un continuum: 
il caso emblematico è proprio il vudu che ingloba al proprio interno aspetti 
dell’uno e dell’altro tipo. 
Altra caratteristica portante attribuita ai culti di possessione è quella 
di svilupparsi durante le fasi iniziali delle nuove religioni, perdendo il loro 
tono di ispirazione quando, ben impiantate nel tessuto socio-culturale, non 
necessitano più di tale forma divinatoria. Le esperienze individuali di 
possessione vengono allora scoraggiate se non addirittura screditate e 
combattute.  
Di fondamentale importanza rimane comunque, per i differenti autori, 
il ruolo rivestito dalla trance, come momento centrale del rito, sebbene 
connotata in maniera differente: alcuni la considerano infatti sinonimo di 
“estasi”, mentre per altri autori indicherebbe uno “stato modificato della 
coscienza”. Al secondo gruppo appartiene Lapassade, secondo cui la trance 
sarebbe appunto uno “stato modificato di coscienza culturalmente elaborato 
e integrato a dei rituali […] considerata dalle società che se ne servono come 
una risorsa, ovvero una disponibilità cui si può ricorrere in caso di 
bisogno”
13
, in grado di stimolare la crescita dell’individuo, comportando così 
notevoli miglioramenti per l’intera società. 
                                                 
13
 G. Lapassade, Saggio sulla transe, Feltrinelli, Milano, 1980. 
 11
 Per Paul Vandenbroeck
14
 la trance esprimerebbe il passaggio ad uno 
stato mentale “abitualmente inaccessibile”, che comporta un collasso della 
coscienza, stimolando un’azione terapeutica sui danzatori che si sentono 
“rinascere”. Questo fenomeno è portato quindi dal forte stimolo fisico e 
mentale derivante dalla danza e dalla musica. Dal saggio di Vandenbroeck e 
dal suo utilizzo del termine “rinascere”, si evince che, secondo la sua visione, 
il momento della trance comporterebbe una morte simbolica e transitoria 
dell’individuo, attraverso cui superare in maniera catartica il disagio 
esistenziale, per poi rinascere in uno stato modificato. È quindi paragonabile 
per molti aspetti ai riti di passaggio descritti in maniera tanto dettagliata 
dall’antropologo van Gennep
15
. 
 Per concludere questo sintetico quadro sulla possessione lascerei la 
parola alla dott. Pennacini, interessata ad evidenziare l’estrema attualità dei 
suddetti fenomeni: 
 
 «[…] Meno scontato è forse il fatto che la possessione non sia 
venuta meno nei contesti attuali del cambiamento e della 
“modernità”: la tesi evoluzionistica, un tempo sostenuta 
dall’antropologia, secondo la quale i sistemi di credenze avrebbero 
progressivamente abbandonato il mondo incantato degli spiriti e 
delle loro manifestazioni a favore di una percezione più razionale 
e concreta della realtà, si è dimostrata infondata. La possessione 
non è affatto scomparsa dal mondo contemporaneo, dove i flussi 
della comunicazione globale contribuiscono piuttosto alla sua 
                                                 
14
 P. Vandenbroeck, Sinestesie. I colori del tarantismo in una prospettiva di studio comparativo, in 
Quarant’anni dopo De Martino: atti del convegno internazionale di studi sul tarantismo: Galatina, 
24-25 ottobre 1998, Besa, Nardò, 1999. 
15
 A. van Gennep, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 2006. 
 12
diffusione. Nuove forme di culto si sviluppano sia presso le 
culture che praticavano tradizionalmente la possessione –dove 
spiriti sincretici entrano a far parte dei pantheon più antichi–  sia 
nei luoghi dove le religioni ufficiali avevano tentato di estirpare le 
pratiche religiose marginali, le quali oggi tendono a ricomparire 
forti di una rinnovata vitalità.[…]»
16
     
                                                 
16
 C. Pennacini, La possessione nel mondo contemporaneo,  «Antropologia», numero1, anno1,  
2001, p. 7. 
  
 13