6 
Douglas, Ulrich Beck, Anthony Giddens e Niklas Luhamnn. Partendo 
dal rischio visto come condizione inevitabile della società umana, 
sono passata alla visione secondo cui quest’ultimo viene 
utilizzato dal governo per mantenere il potere sul popolo, per 
arrivare, infine, ad esporre il lato positivo del rischio, quello 
che caratterizza una gran parte della società odierna. Scopo di 
questa rassegna è far comprendere al lettore l’origine, vista dal 
punto di vista sociologico, di tutte le azioni umane nei confronti 
del rischio. Se il primo capitolo è puramente teorico, il secondo 
vuole essere una panoramica di quelli che sono gli errori e, di 
conseguenza i rischi, in ambito ospedaliero. Potrebbe risultare un 
noioso elenco, ma ritengo che possa essere molto utile per 
inquadrare correttamente la situazione ospedaliera nei confronti 
del rischio. Oltre a questo presento uno dei maggiori modelli di 
analisi dell’errore, proposto da Reason ed utilizzato per 
comprendere le fasi di sviluppo di un evento rischioso. 
Il terzo capitolo è dedicato interamente alla clinical governance 
e, nello specifico, allo strumento del risk management.   
L’insieme delle metodologie utilizzate per l’identificazione, 
l’analisi e la valutazione del rischio clinico, le problematiche 
date dall’utilizzo del risk management in sanità e un confronto 
tra la situazione inglese, molto sviluppata e avanzata nel campo 
della gestione del rischio, e quella italiana, attualmente 
caratterizzata da alcune iniziative nate dalla volontà di centri o 
regioni particolarmente attenti alla sicurezza.  
Ho riservato l’ultima parte della tesi allo strumento 
dell’incident reporting, uno dei più utilizzati a livello 
internazionale per la gestione del rischio. Dopo averne illustrato 
la tecnica, presento i vari casi d’impiego nel mondo, 
dall’Australia all’Inghilterra, per arrivare al progetto dell’ASR 
della Regione Emilia-Romagna denominato “Gestione del rischio in 
strutture sanitarie: approccio integrato alla definizione, 
trattamento e utilizzo delle informazioni”. Il progetto è partito 
nel 2002 e prevede l’impiego dell’incident reporting per la 
verifica e la soluzione degli eventi rischiosi e dei quasi eventi. 
Nello specifico, in questa tesi, presento uno studio 
sull’attuazione dell’incident reporting in alcune strutture della 
regione, mediante l’utilizzo della tecnica del focus group.  
Dallo studio sono emerse particolari problematiche legate alla 
cultura, base fondamentale senza la quale non è possibile ottenere 
modifiche e miglioramenti nel campo della sicurezza. Ritengo che i 
 7
risultati di questo studio possano rivelarsi molto utili per 
l’applicazione futura di questo strumento a livello nazionale. 
Attraverso la letteratura cercherò quindi di analizzare 
l’importanza della cultura come base di partenza per i cambiamenti 
organizzativi nell’ambito sanitario. 
 8 
Capitolo primo 
Per un approccio multidisciplinare al concetto di rischio 
 
1.1 L’evoluzione del concetto di rischio 
 
L’origine del termine rischio
1
 è fatta risalire all’epoca 
premoderna e nello specifico alle prime imprese marittime nel 
periodo del medioevo. Ewald sostiene che la nozione di rischio sia 
apparsa per la prima volta nella storia per descrivere i possibili 
pericoli che avrebbero potuto compromettere i viaggi commerciali 
marittimi: “A quel tempo, il termine rischio indicava la 
possibilità di un pericolo oggettivo, un atto di dio, una forza 
maggiore, una tempesta o qualche altro pericolo del mare non 
imputabile a una condotta sbagliata” [Ewald, in Lupton 2003: 
11].In questi anni, infatti, non si prendeva in considerazione la 
possibilità che una situazione rischiosa potesse essere la 
conseguenza di una scelta umana, il rischio era legato unicamente 
ad un evento naturale. Con l’arrivo della modernità, identificata 
con il periodo dell’industrializzazione e caratterizzata dall’idea 
di un progresso umano come conseguenza di una conoscenza oggettiva 
del mondo, cambia anche il concetto di rischio. Si sviluppa il 
calcolo delle probabilità e si studia il rischio sotto un aspetto 
prettamente tecnico. Nel 19° secolo avviene il passaggio 
fondamentale che amplia il concetto prendendo in considerazione 
anche la componente umana che può causare una situazione di 
rischio. In epoca moderna l’aspetto che caratterizza gli studi è 
quello legato alla prevenzione, le ricerche prediligono 
spiegazioni di tipo tecnico e, nei casi in cui le probabilità di 
un evento rischioso non siano conoscibili, si utilizza il termine 
incertezza. In questo periodo non ci si limita all’aspetto 
negativo del rischio, ma si tiene conto anche del lato positivo, 
del rischio buono. 
Oggi secondo Mary Douglas, una delle maggiori studiose del rischio 
e della sua percezione, il termine rischio “non ha molto a che 
veder con i calcoli della probabilità. Il legame originale è 
segnalato soltanto da qualche accenno nella direzione di una 
scienza possibile: adesso la parola rischio significa pericolo, 
                                                 
1
 “Possibilità di subire un danno, una perdita, come eventualità generica o per il fatto di esporsi ad un pericolo”[ Il 
Grande Dizionario Garzanti 1987: 1642]. 
 Secondo la teoria della valutazione dei rischi il rischio può essere definito come la probabilità del verificarsi di un 
danno, moltiplicata per la grandezza del danno. 
 9
grande rischio significa molto pericolo”[Douglas 1992: 199]. Il 
rischio buono non viene preso in considerazione se non nel campo 
della speculazione economica e ciò porta a considerare il termine 
solo con un’accezione negativa per indicare minacce e/o pericoli. 
Il termine rischio è diventato d’uso molto comune e si sono 
sviluppate innumerevoli indagini specifiche in campi che spaziano 
dalla medicina alla finanza, al diritto e all’industria. Alcune 
delle motivazioni che hanno spinto la nascita e lo sviluppo di 
questo interesse sono elencate da Lupton: ”i progressi della 
statistica e delle tecnologie informatiche, grazie ai quali è oggi 
possibile lavorare su aggregati di dati di grandi dimensioni in 
modi prima impensabili; la creazione di istituzioni e autorità di 
vigilanza con il compito di affrontare fenomeni considerati 
altamente rischiosi, come l’energia nucleare; gli sviluppi del 
pensiero scientifico, passato dai paradigmi del determinismo 
monocasuale a quelli che assumono una pluralità di fattori casuali 
e una molteplicità di effetti, insieme con la crescente importanza 
attribuita alla razionalità scientifica quale base per la 
certezza, hanno portato a focalizzare una maggiore attenzione sui 
problemi inerenti al rischio. Secondo altri osservatori, ad 
accrescere l’interesse del pubblico e degli esperti per tale tema, 
sarebbero stati i mutamenti subiti dalla stessa natura dei 
rischi[…]si sarebbero globalizzati e i loro effetti risulterebbero 
meno facilmente identificabili e più gravi” [Lupton 1999, trad. 
it. in 2003: 16]. Il termine rischio è passato attraverso il 
processo di modernizzazione e di postmodernizzazione assumendo 
tutte le caratteristiche della società odierna, una società 
contrassegnata da una situazione di malessere e di disorientamento 
dovuta al continuo mutamento e alla frammentazione culturale. Non 
si tratta di una paura acuta che viene identificata con il panico, 
è una situazione di paura vaga ma costante che “satura 
l’esperienza” [Massumi, in Lupton 2003: 18 ].  
Lupton identifica sei tipologie di rischi che si pongono al centro 
delle preoccupazioni dei cittadini e delle società: 
- i rischi ambientali (inquinamento, radiazioni, alluvioni, 
incendi); 
- i rischi dello stile di vita (legati al consumo di certi 
beni, alla vita sessuale, al modo di guidare);  
- i rischi sanitari oggetto del presente testo(come conseguenza 
di terapie o cure mediche); 
 10 
- i rischi relativi al campo dei rapporti 
interpersonali(relazioni intime, interazioni sociali); 
- i rischi economici(legati per esempio alla disoccupazione, ai 
prestiti, agli investimenti); 
- i rischi della criminalità (quelli che si corrono prendendo 
parte ad attività illecite o quelli che si corrono essendo 
una potenziale vittima). 
Identificare il rischio e tentare di gestirlo è un’operazione 
basilare per la società e per l’identità degli individui e 
numerosi studiosi, tra i quali molti sociologi, si sono 
avventurati all’interno di questo ampio concetto per tentare di 
comprenderne caratteristiche ed importanza. 
Nelle scienze sociali possiamo distinguere due principali 
prospettive di studio che hanno affrontato il tema del rischio: un 
filone realista, che ha caratterizzato gli approcci tecnico-
scientifici tra cui il cognitivismo ed uno costruttivista, che 
privilegia gli aspetti sociali e culturali.  
 
1.1.1 Approcci tecnico-scientifici 
 
Gli approcci tecnico scientifici definiscono il rischio come “il 
prodotto delle probabilità e delle conseguenze (dimensioni e 
gravità) del verificarsi di un certo evento avverso (vale a dire, 
di un pericolo)” [Bradbury, in Lupton 2003: 23]. Il loro 
principale obiettivo è facilitare l’intesa tra pubblico ed 
istituzioni, rapporto che si sta sfaldando sempre più a causa del 
crescente cinismo e della sfiducia nei confronti delle istituzioni 
da parte dei cittadini. Le questioni che si pongono riguardano la 
precisione con cui si calcola un rischio e la “scienza” utilizzata 
per calcolarlo. 
Questi approcci non prendono in considerazione la possibilità che 
il rischio non sia solo un fatto oggettivo, riconoscono che la 
soggettività è una componente non eliminabile del giudizio umano, 
ma nella maggior parte dei casi sostengono che i calcoli, 
attraverso cui un individuo definisce il rischio ed agisce, sono 
puramente dei prodotti oggettivi, delle “verità assolute” 
[ibidem].  
 11
 
1.1.1.1 Approccio cognivista alla percezione del rischio 
 
Uno dei maggiori filoni di studio tecnico-scientifici è 
l’approccio cognitivista
2
 che presenta gli individui come agenti 
calcolatori privi di emozioni. Gli studiosi appartenenti a questo 
ramo di studi tentano d’identificare i modi in cui le persone 
reagiscono al rischio dal punto di vista cognitivo e 
comportamentale. 
Gli individui sono presentati come atomi, l’uno separato 
dall’altro, interessati unicamente al proprio vantaggio, in grado 
agire sulla base di calcoli rigorosi. Stando a tale approccio a 
seconda di come l’individuo percepisce il rischio, decide se 
accettarlo o meno. Diversi fattori possono influenzare la 
decisione e i rischi possono essere percepiti, confrontandoli con 
i benefici, come trascurabili, accettabili, tollerabili o 
inaccettabili. Le persone vengono estratte dai contesti culturali 
e politici, dalle relazioni e istituzioni all’interno dei quali 
agiscono e costruiscono le proprie credenze. 
Nella maggior parte dei casi, però, l’individuo non si comporta 
come un ricercatore razionale, non riesce a manipolare 
l’informazione nel modo corretto e tutto ciò può causare 
l’incontro involontario con il rischio. La completa assenza di 
considerazioni riguardo al contesto, ai significati simbolici 
creati dal mondo sociale, ha esposto questo approccio a numerose 
critiche da parte di studiosi, tra cui Mary Douglas. L’antropologa 
sostiene che il cognitivismo suggerisca una concezione dell’azione 
razionale così ristretta da considerare irrazionale tutto ciò che 
ne resta fuori, tutto ciò non può creare una teoria sociologica ma 
più che altro “un’insistenza non intenzionale sulle patologie 
percettive” [Douglas 1985: 3]. 
Ciononostante, Lupton sostiene che recentemente alcuni 
appartenenti al pensiero cognivista, nello specifico “dei 
ricercatori di orientamento psicometrico, abbiano cercato di 
analizzare le risposte al rischio degli individui tenendo conto, 
                                                 
2
 Il Cognitivismo è una forma di sapere a carattere multidisciplinare, che ha come oggetto lo studio dei sistemi 
intelligenti, tra cui la mente umana. Mentre le teorie comportamentiste pongono l'accento sulla funzione stimolo-
risposta per spiegare la formazione delle conoscenze, il cognitivismo punta la sua attenzione sull'analisi dei processi 
conoscitivi e sullo studio delle possibili forme di rappresentazione delle conoscenze, che la nostra mente è capace di 
operare.  
 12 
tra l’altro della loro appartenenza a gruppi sociali e 
culturali”[Lupton 2003: 29].I risultati di alcune ricerche, 
infatti, hanno posto gli autori di fronte all’importanza che i 
fattori sociali e politici hanno nell’analisi della percezione del 
rischio.  
 
1.1.2 Approcci socio culturali 
 
Le mancanze su cui si basano le critiche agli approcci tecnico-
scientifici sono, al contrario, i punti di forza degli approcci 
socioculturali. Questa corrente di pensiero, nata grazie a 
discipline come l’antropologia culturale, la filosofia, la 
sociologia, la storia sociale e la geografia culturale, sottolinea 
l’importanza dei contesti culturali e sociali all’interno dei 
quali gli individui interpretano i rischi. Lupton suddivide gli 
approcci socio culturali in tre ramificazioni principali: 
- simbolico-culturale, la cui esponente principale è Mary 
Douglas
3
; 
- i sociologi della società del rischio, tra cui Ulrich Beck
4
 e 
Anthony Giddens
5
;  
- i teorici della cosiddetta “governamentalità” che traggono le 
loro teorie prendendo spunto dalle opere del filosofo 
francese Michel Foucault
6
.  
Queste tre prospettive, tra loro distanti per molti aspetti, hanno 
in comune la tesi di fondo per cui il concetto di rischio è 
profondamente mutato nelle società occidentali contemporanee ed è 
diventato un concetto centrale sia a livello politico sia 
culturale. La vita di tutti i giorni, di tutti gli individui, 
secondo questi approcci è impregnata dal rischio, un rischio che è 
legato alle idee di scelta, responsabilità e colpa. 
Un ulteriore metodo per suddividere le tipologie di studi sul 
rischio è collocare la loro posizione rispetto a strutturalismo, 
poststrutturalismo, fenomenologia e teoria psicoanalitica. 
L’approccio simbolico culturale può essere visto come un approccio 
                                                 
3
 Mary Douglas Nicol (6 febbraio 1913 - 9 dicembre 1996), antropologa sociale. 
4
 Ulrich Beck, nato a Berlino nel 1944, è docente di Sociologia presso la Ludwig Maximilian Universität di Monaco di 
Baviera e la London School of Economics. Ha pubblicato diversi studi sulla modernità, problemi ecologici, 
individualizzazione e globalizzazione, oltre ad aver introdotto nuovi concetti nella sociologia, quali l'idea di una 
seconda modernità e la teoria del rischio. 
5
 Anthony Giddens, uno dei maggiori sociologi anglosassoni, è stato docente di Sociologia nell'Università di Cambridge 
e direttore della London School of Economics. 
6
 Michel Foucault (15 ottobre 1926 - 26 giugno 1984) è stato uno storico e un filosofo. I suoi lavori si concentrano su un 
argomento simile a quello della burocrazia trattato da Max Weber. 
 13
strutturalista di orientamento funzionalista e questo significa 
che si occupa del modo in cui le strutture e i sistemi culturali 
mantengono l’ordine sociale e affrontano la devianza. 
I sociologi del rischio seguono, invece, uno strutturalismo di 
tipo critico, tendono perciò a privilegiare la critica dei modi in 
cui le istituzioni sociali esercitano il loro potere sugli 
individui. 
Il terzo gruppo adotta una prospettiva post-strutturalista che si 
basa sulla teoria foucaultiana e si pone come obiettivo quello di 
identificare i discorsi che contribuiscono alla costruzione delle 
nostre idee sulla realtà, non rigide ma in continuo mutamento.  
La linea fenomenologica, attraverso metodi qualitativi, pone la 
propria attenzione sui modi in cui gli individui sperimentano il 
proprio mondo, in quanto realtà da interpretare con l’aiuto dei 
significati e dei saperi condivisi. La concezione e i significati 
dipendono dal particolare contesto in cui risiedono i cittadini.  
Infine l’approccio psicoanalitico va ancora più a fondo ed esplora 
i processi psichici inconsci che mediano le risposte degli 
individui ad altri individui, agli oggetti e agli eventi.  
 
Gli approcci socioculturali in generale sostengono il 
costruttivismo sociale. È necessario, però distinguere tra due 
correnti che si differenziano tra loro per una visione debole o 
forte del costruttivismo. I sociologi del rischio si focalizzano 
su un costruttivismo debole caratterizzato da rischi legati a 
fatti oggettivi e calcolabili percepiti dagli individui attraverso 
la mediazione dei processi sociali, culturali e politici. 
L’approccio simbolico culturale e l’approccio della 
governamentalità prediligono un costruttivismo forte per cui non 
esiste nulla che possa essere considerato rischio in se stesso e 
tutto dipende da come si analizza il pericolo e da come si 
considera l’evento. Lupton sottolinea più volte che “chi difende 
il costruttivismo sociale, sia esso forte o debole, tende a 
sostenere che nessun rischio è mai pienamente oggettivo, che 
conoscere i rischi prescindendo dai sistemi di credenze e dai 
valori morali è impossibile: ciò che misuriamo, identifichiamo e 
gestiamo come rischioso è sempre fondato su saperi e discorsi 
preesistenti, il rischio risulta quindi un fenomeno costantemente 
costruito e negoziato in quanto elemento di una rete di 
interazione sociale e di produzione di senso”[Lupton 2003: 35].