Alla Suprema Corte invece, la collegialità è ridotta alla sola fase 
iniziale dell’esame del caso. Tutta l’ulteriore fase della stesura si 
risolve in un articolato e spesso faticoso processo di negoziazione ai 
fini della stesura della decisione. 
Quello dell’opinione dissenziente in realtà non è un istituto del 
tutto nuovo per il nostro ordinamento, poiché già nel Dispaccio di 
Bernardo Tanucci all’uditore di Matera del 3 novembre 1753 si 
affermava che quando il parere di un giudice sia differente da quello 
degli altri, egli deve firmare la sentenza («non si lasci di firmare quel 
che la maggior parte ha concluso»), ma può far notare il suo voto nel 
libro dei voti che resterà segreto (c.d. voto separato). Ancor prima, la 
ricostruzione di alcuni storici ha rinvenuto esempi di opinioni 
dissenzienti nella tradizione giuridica medievale e del mondo 
bizantino, oltre che quello greco. 
Quanto poi alla progettazione moderna, questa è stata segnata da 
una serie di proposte, mai concretamente attuate: dalla riforma 
regolamentare del progetto Mortati
1
, a quella per la legge comune di 
Rodotà
2
, fino a quella con atto costituzionale proposta da De Martino
3
, 
seppur compresa nel quadro di un più ampio progetto di modifiche 
relative alla Corte Costituzionale. 
In seguito l’argomento ha avuto qualche debole eco nei lavori 
della Commissione parlamentare Bozzi per le riforme istituzionali, 
                                                 
1
 L’istituto della Dissenting opinion in Italia, soprattutto in relazione 
alle decisioni della Corte Costituzionale, non ha suscito una attenzione 
costante da parte sia della dottrina che della giurisprudenza. L’istituto è stato 
tuttavia oggetto di dibattito, per la prima volta, in sede di approvazione della 
legge n. 87 del 1953, in cui fu respinta la proposta della sua adozione. 
2
 Cfr. RODOTÀ, Riparliamo della Corte costituzionale, in Pol. dir., 
1980, 540. 
3
 Cfr. AMATO E BASSANINI, La Corte costituzionale, un istituto da 
riformare, in Pol. dir., 1972, 811 ss. 
 2
senza però essere oggetto di particolare considerazione e senza 
tradursi in proposte concrete. 
 L’interesse per questo problema non è neppure molto diffuso 
nella dottrina, com’è dimostrato dal fatto che esso per lungo tempo è 
stato per lo più ignorato anche dai più attenti studiosi della giustizia 
costituzionale italiana
4
. 
Quello della dissenting opinion è uno strumento potenzialmente 
«forte», che può dare un fattivo, non marginale concorso al 
rinnovamento della vite delle istituzioni ed arricchire la comunità, 
rendendola più consapevole, ma anche più vigile e partecipe
5
. 
Notevole approfondimento ha invece ottenuto l’istituto, specie 
in relazione alle sue capacità di inserimento e di adattamento in un 
sistema di tipo continentale, in Germania, soprattutto negli anni 
sessanta e fino alla sua introduzione nella disciplina del Tribunale 
costituzionale federale. 
Tra gli altri paesi europei con ordinamenti di tipo continentale, e 
dotati di organi di giustizia costituzionale analoghi al nostro, oltre alla 
Germania, anche la Spagna ammette il dissent, limitatamente ai 
giudici dei Tribunali costituzionali. L’Austria lo ignora, così come la 
Francia, il cui Conseil Constitutionnel è però solo parzialmente ed 
approssimativamente paragonabile alla nostra Corte Costituzionale. 
L’opinione dissenziente era prevista anche dalla originaria 
costituzione jugoslava. 
Fra i Tribunali internazionali, l’uso delle opinioni dissenzienti 
vige presso la Corte internazionale di giustizia e presso la Corte 
                                                 
4
 Così ANZON, Per l’introduzione dell’opinione dissenziente dei 
giudici costituzionali, in Pol. dir., n. 2, 1992, 329-330. 
5
 Così RUGGERI, Per la introduzione del dissent nei giudizi di 
costituzionalità: problemi di tecnica della normazione, in L’opinione 
dissenziente, a cura di A. Anzon, Milano, 1995, 93. 
 3
Europea dei diritti dell’uomo, ma non presso la Corte di giustizia delle 
Comunità Europee. 
 4
Capitolo 1 
Considerazioni preliminari 
 
 
1.1 - ORIGINE STORICA DELL’ISTITUTO 
 
L’origine storica dell’istituto, per quanto riguarda il giudice 
della costituzionalità delle leggi, è nordamericana. In analogia con la 
prassi dei Tribunali inglesi di common law, e specialmente del King’s 
Bench
1
, la pronunzia della Corte Suprema americana in origine non 
consisteva nella manifestazione di una decisione unitaria imputata al 
collegio, ma in una pluralità di opinioni separate, espresse seriatim (di 
norma oralmente) dai diversi giudici. In tale situazione non poteva 
parlarsi propriamente di opinione dissenziente, non esistendo, se non a 
seguito di una valutazione ex post, un termine di riferimento, la c.d. 
opinione della maggioranza, da cui dissentire. 
Il celebre Chief Justice John Marshall, allo scopo di rafforzare, 
mostrandola unita e compatta, il prestigio e l’autorità della Corte nei 
confronti del Presidente-Capo dell’esecutivo, fin dall’inizio del suo 
mandato (1801), impose come regola la pratica innovativa, già in 
qualche caso precedentemente sperimentata, di annunciare non le 
opinioni separate dei singoli giudici, ma l’«opinione della Corte», è 
cioè il giudizio unitario imputabile al Tribunale nel suo complesso, sul 
quale aveva consentito la maggioranza dei suoi membri. Fu in 
relazione a questa regola che si affermò, specialmente a partire dalla 
scomparsa di Marshall, la pratica della enunciazione, accanto 
                                                 
1
 Ma non di quella allora invalsa presso il Privy Council e la House of 
Lords, corte di ultima istanza, improntata alla regola della collegialità. 
 5
all’opinione della Corte, anche delle eventuali opinioni difformi dei 
singoli giudici (concorrenti e dissenzienti)
2
. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
2
 V. RODOTÀ, Riparliamo della Corte costituzionale, in Pol. dir., 
1980, 540. 
 6
1.2 - SEGRETEZZA DELLA DELIBERAZIONE E 
COLLEGIALITA’ 
 
L’ordinamento italiano stabilisce storicamente la regola della 
segretezza delle deliberazione di qualunque corte. Tuttavia tale 
principio non si rinviene a livello di fonti costituzionali. Al contrario, 
così come ha ritenuto la Corte costituzionale con sentenza del 19 
gennaio 1989, n. 18, è escluso che il segreto della camera di consiglio 
sia costituzionalmente prescritto. 
Il metodo collegiale è un processo di formazione di un atto 
collegiale, che è essenzialmente un atto unico imputabile a più 
persone non uti singuli, ma in quanto riunite in un collegio. 
L’ammissione dell’opinione dissenziente non ferisce il principio 
di collegialità della decisione, in quanto l’atto rimane imputato 
indivisibilmente all’intero collegio, ma i «dissenzienti», che pure 
hanno partecipato alla sua formazione, sono autorizzati a rendere 
pubblici il contenuto e le ragioni del loro voto diverso da quello della 
maggioranza, nella forma appunto della dissenting opinion. La deroga 
al vincolo del segreto, che non è coessenziale alla collegialità, è 
consentita soltanto in questa forma, cioè mediante esternazione 
motivata nel testo della sentenza. Sarebbe dunque auspicabile che 
l’introduzione dell’opinione dissenziente fosse accompagnata da una 
norma regolamentare che vieti rigorosamente al dissenziente di 
amplificare il dissenso mediante mass-media, per esempio concedendo 
interviste alla stampa o alla televisione
3
. 
                                                 
3
 Così MENGONI, Intervento, in L’opinione dissenziente, a cura di A. 
Anzon, Milano, 1995, 55. 
 7
Autorevole dottrina
4
 sostiene che dove non c’è pubblicità si può 
parlare di una concezione piuttosto «cattolica» della Costituzione; 
dove c’è, di una concezione piuttosto protestante. Cattolica la prima, 
in quanto la Costituzione viene «amministrata» da un organo – la 
Corte appunto – che si presenta unitariamente come autorità. 
L’autorità viene alla Corte dall’autorità della Costituzione stessa e 
l’unicità della voce con la quale la Corte si esprime corrisponde a una 
concezione della Costituzione come volontà normativa a sua volta 
univoca. 
Al contrario, le opinioni dissenzienti (ma anche quelle 
concorrenti) scalzano l’idea stessa dell’univocità della giurisprudenza, 
dedotta da una presupposta univocità della Costituzione e introducono 
al pluralismo di punti di vista ugualmente legittimi. Se uno di essi 
deve prevalere, non è perché solo questo sia legittimo o vero, e gli 
altri illegittimi o falsi, ma semplicemente perché ad una decisione si 
deve pur giungere per decidere la causa. E se la posizione che prevale 
non delegittima quelle che soccombono, ciò significa che, in un 
secondo momento, le parti possono scambiarsi. 
L’opinione dissenziente presuppone quindi l’ammissione in 
linea di principio (e non solo la registrazione in via di fatto) del 
mutamento giurisprudenziale come evento del tutto fisiologico nella 
vita della Costituzione. 
L’opinione dissenziente (e concorrente) comporta inoltre che 
nessuna questione possa dirsi mai, in linea di principio 
definitivamente o «dogmaticamente» chiusa. Se tutte le opinioni sono 
legittime, la Corte potrà sempre di nuovo essere interrogata di fronte 
ai casi pratici, e fornire risposte diverse che sempre meglio di adattano 
alle esigenze della collettività. L’opinione dissenziente o concorrente 
                                                 
4
 ZAGREBELSKY, Intervento, in L’opinione dissenziente, a cura di A. 
Anzon, Milano, 1995, 156. 
 8
è concettualmente contraria a ogni pietrificazione dell’interpretazione 
giurisprudenziale
5
, soprattutto costituzionale, ed è invece coerente con 
l’idea dello sviluppo della giurisprudenza, in termini di continuo 
adeguamento della stessa, senza tradire i principi fondamentali della 
Costituzione. Viene così favorita e incentivata la modernizzazione e 
attualizzazione della norma, alla luce della Carta costituzionale
6
. 
L’opinione dissenziente (e concorrente) sostituisce alla 
convinzione che le soluzioni dei casi costituzionali siano vere o false, 
l’idea che siano più o meno ragionevoli. In presenza dell’opinione 
dissenziente, deve dunque cambiare lo stile della motivazione. Questa 
deve evolversi verso il concetto di «argomentazione», rivolta a 
prospettare buone ragioni, che non escludano però che anche altre 
soluzioni possano invocarne di diverse a proprio vantaggio. Le ragioni 
dovrebbero piuttosto soppesarsi comparativamente, più che 
combattersi con il compito di annullarsi. 
                                                 
5
 Da scartare tuttavia anche una eccessiva «elasticizzazione» 
virtualmente e praticamente illimitata della legge fondamentale. È il 
principio c.d. di «legalità costituzionale in senso sostanziale» (cfr. RUGGERI, 
Per la introduzione del dissent nei giudizi di costituzionalità: problemi di 
tecnica della normazione, in L’opinione dissenziente, a cura di A. Anzon, 
Milano, 1995, 96). 
6
 «In verità, neppure gli argomenti favorevoli alla pubblicizzazione 
delle opinioni contrarie sembrano davvero decisivi. Il richiamo al beneficio 
di un presunto dinamismo giurisprudenziale è assai ipotetico e tutto da 
dimostrare, visto tra l’altro che la stessa Supreme Court degli Stati Uniti ha 
insistito per anni nei medesimi orientamenti, nonostante autorevoli dissensi. 
Altrettanto vaga appare la speranza di approfondimenti della motivazione d 
pera di una maggioranza più o meno preoccupata di fronteggiare i 
dissenzienti. Per finire, non sembra proprio che ci voglia il dissent per 
responsabilizzare i singoli membri della Corte costituzionale. In realtà 
l’esigenza primaria che il nuovo istituto vuole soddisfare è, semplicemente e 
chiaramente, quella di consentire ai giudici costituzionali non solo di far 
conoscere all’esterno il loro pensiero sulle questioni decise dalla corte, ma di 
farlo al massimo livello e con la più grande efficacia, vale a dir nella stessa 
sentenza che quell’opinione non accoglie. Che poi l’introduzione del dissent 
possa anche sortire gli effetti benefici da alcuni sopra indicati è auspicabile, 
ma non è certo la ragione vera dell’adozione dell’istituto» (VIGORITI, Corte 
costituzionale e «dissenting opinions», in Foro it., 1994, I, 2060). 
 9
L’opinione dissenziente dunque, in quanto tollerante di letture 
pluralistiche e sempre rinnovate della Costituzione, qualifica la 
giurisprudenza come prudentia, cioè come la virtù cardinale di ogni 
attività pratica
7
. E la prudenza comprende nel suo orizzonte 
concettuale e di valore l’apprendimento delle esperienze pregresse, 
l’attenzione alle conseguenze, la sensibilità alla composizione delle 
esigenze, l’affinamento e l’aggiustamento progressivi, il procedere per 
prove e riprove, e così via: tutte cose che non potrebbero avere 
accesso ad una scienza costituzionale puramente logico-deduttiva
8
. 
La dissenting opinion non è una semplice relazione di 
minoranza, ma fa corpo con la sentenza, ne è un elemento strutturale 
che concorre a determinarne l’identità. Nel caso di decisione di 
rigetto, l’opinione dissenziente impedisce alla sentenza di assumere 
valore di precedente. Ove fosse sollevata nuovamente la medesima 
questione, la Corte non potrebbe in nessun caso rigettarla con una 
ordinanza di manifesta infondatezza. 
Come insegna l’esperienza soprattutto dei paesi di common law, 
l’opinione dissenziente nelle sentenze di rigetto ha, non di rado, 
prefigurato nuovi orientamenti di giurisprudenza della Corte
9
.  
Da segnalare inoltre che un’importante indicazione a favore del 
dissent è stata riscontrata da attenta dottrina nell’art. 5 l. cost. 11 
marzo 1953, n. 1 che stabilisce l’insindacabilità dei giudici della Corte 
                                                 
7
 Al contrario della scientia, che appartiene invece al campo della 
teoria. 
8
 ZAGREBELSKY, Intervento, cit., 157-158. 
9
 Più rara è la manifestazione di opinioni dissenzienti nelle sentenze di 
accoglimento. In questo caso, in quanto comporta un minore consenso 
sociale alla sentenza, essa non mancherebbe di influire sull’eventuale 
intervento legislativo diretto a riparare il vuoto aperto dalla pronuncia 
nell’ordinamento. 
 10
per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro 
funzioni
10
. 
L’abrogazione della segretezza della camera di consiglio farebbe 
venir meno ogni eventuale illiceità alla divulgazione di opinioni 
dissenzienti o concorrenti, ma non consentirebbe di attribuire a tali 
opinioni alcun carattere di ufficialità e quindi, ad esempio, non ne 
comporterebbe la pubblicazione. Da aggiungere che la divulgazione, 
soprattutto da parte dei giudici costituzionali, di loro opinioni 
dissenzienti rispetto a pronunce della Corte, nell’ambito di 
pubblicazioni scientifiche o comunque in sedi non ufficiali, è già ora 
generalmente ammessa dalla prassi
11
. 
L’opinione dissenziente, anche se ha in qualche modo una 
influenza o una qualche ricaduta sulle garanzie di indipendenza dei 
giudici
12
, attiene essenzialmente all’esercizio delle proprie funzioni da 
                                                 
10
 LOMBARDI, Pubblicità e segretezza nelle deliberazioni della Corte 
costituzionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1965, 1146, cui aderisce 
MORTATI, in La giustizia costituzionale, a cura di Maranini, Firenze, 1966, 
169. 
11
 PIZZORUSSO, Osservazioni sullo strumento normativo richiesto per 
l’introduzione del dissenso nella motivazione delle decisioni della Corte 
costituzionale, in L’opinione dissenziente, a cura di A. Anzon, Milano, 1995, 
59. 
12
 Autorevole dottrina ha sottolineato i favorevoli benefici, sotto il 
profilo soggettivo, che l’istituto della dissenting opinion porterebbe ai 
giudici del collegio. Innanzitutto vi sarebbe una valorizzazione della dignità, 
della responsabilità individuale, della libertà di coscienza, del coraggio 
morale, della personalità del singolo giudice: il dissent infatti, 
consentendogli di esprimere pubblicamente il proprio avviso, gli offrirebbe 
la possibilità di distinguere la propria posizione da quella maggioritaria del 
collegio e di rivendicare le proprie convinzioni personali, senza essere 
schiacciato dietro lo schermo dell’unanimità ufficiale (Cfr. DENTI, La Corte 
costituzionale e la collegialità della motivazione, in Riv. dir. proc., 1961, 
437; Id., Per il ritorno al «vuoto di scissura» nelle decisioni giudiziarie, in 
AA.VV., Le opinioni dissenzienti dei giudici costituzionali e internazionali, 
a cura di Mortati, Milano, 1964, 12 e 19 ss.; CAPPELLETTI, in AA.VV., La 
giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 369; NADELMANN, Il «dissenso» 
nelle decisioni giudiziarie, in AA.VV., Le opinioni dissenzienti, cit., 157 ss.; 
VACCARO, «Dissent» e «concurrences» nella prassi della Suprema Corte 
 11
parte della Corte
13
, e più in particolare al modo come questa decide di 
motivare le proprie pronunce, quindi a quel «funzionamento della 
Corte», che lo stesso art. 137 Cost., al secondo comma, riserva al 
legislatore ordinario
14
. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                                                   
degli Stati Uniti, in Foro pad., 1951, IV, 12; ROSSI, La nuova legge sulla 
responsabilità civile dei magistrati e degli organi collegiali, in Quest. giust., 
1988, II, 266). 
A questo argomento si oppone quello relativo al pericolo per 
l’indipendenza del giudice che, per la possibilità che la sua opinione sia 
conosciuta all’esterno, potrebbe non avere la fermezza necessaria a resistere 
a pressioni esterne e quindi potrebbe orientarsi diversamente da come gli 
suggerirebbe la sua coscienza. Pertanto, quand’anche si volesse ammettere 
l’opinione dissenziente, dovrebbe comunque vietarsi la pubblicità dei nomi 
dei dissenzienti. A questo argomento è stato obiettato che l’indipendenza dei 
giudici riposa non sulla segretezza della camera di consiglio (facilmente 
superata da indiscrezioni e notizie ufficiose), ma sulle garanzie giuridiche 
apprestate adeguatamente dall’ordinamento e sulle elevate doti morali e sul 
senso del dovere dei giudici stessi (così MORTATI, Considerazioni sul 
problema dell’introduzione del «dissent» nelle pronunce della Corte 
costituzionale italiana, in AA.VV., La giustizia costituzionale, Firenze, 
1966, 165).  
13
 V. AMODIO, voce Motivazione della sentenza penale, in Enc. dir., 
XXVII, Milano, 1977, 190. 
14
 PIZZORUSSO, Osservazioni, cit., 68. 
 12