5  
 
Premessa 
Secondo le statistiche, la componente femminile 
costituisce circa la metà della popolazione migrante a livello 
mondiale. Dinnanzi alla crescente partecipazione delle donne 
ai movimenti migratori, determinati  da necessità lavorative,  
dal ricongiungimento familiare e da motivi più strettamente 
personali, si è cominciato a prestare particolare attenzione a 
questa specifica categoria di migranti che presenta peculiarità 
tali da distinguerla da quella maschile e che, ad uno sguardo 
attento, svela aspetti di straordinario rilievo ed importanza, 
specie per la ricerca psico-sociale. 
Il fenomeno migratorio in Italia è stato caratterizzato 
originariamente dalla compresenza di flussi migratori 
differenziati in base alle origini nazionali ed etniche, 
all’appartenenza religiosa, ai percorsi migratori, al genere e 
alle modalità di integrazione nel mercato del lavoro.
1
 
Una peculiarità dell’immigrazione in Italia, sin dagli 
anni settanta, è la forte presenza di flussi migratori femminili, 
sia dal punto di vista quantitativo (la percentuale di donne sul 
totale non è mai stata inferiore al 30%) sia da quello 
qualitativo (la presenza nei network e nella vita  associativa, 
la visibilità sociale, etc.).
2
 
In ogni tempo, tuttavia, i ruoli lavorativi che queste 
donne hanno occupato in Italia sono i più umili, quelli che le 
donne italiane si rifiutano di compiere: servizi domestici, di 
assistenza ad ammalati, anziani e diversamente abili. Peraltro, 
                                                 
1
 Caritas (1999), Immigrazione Dossier Statistico 1999, rapporto IX sull’immigrazione, 
Anterem, Roma, p. 102.  
2
 Cambi F., Campani G., Uliveri S.(2009), Donne migranti, verso nuovi percorsi formativi, 
Edizioni ETS, Pisa, p. 11.
6  
 
i servizi alla persona, che sono chiamati a svolgere le 
immigrate, sono uno dei settori dove il livello di illegalità è 
altissimo. Per altre immigrate il destino è di diventare 
schiave, di entrare nella spirale della violenza, dell’auto-
annullamento e dello sfruttamento: in una parola,  della 
prostituzione.
3
 
Tale ‘ghettizzazione’ lavorativa, peraltro, alimenta lo 
stereotipo comune secondo cui le donne immigrate sarebbero 
tutte, solo e comunque,  prostitute, badanti o mogli. Al 
contrario di una tale visione mono-oculare e stereotipata della 
donna immigrata, risulta in forte incremento l’attività di 
donne  nel settore della cura del corpo e della bellezza (es. 
estetiste e parrucchiere) o come imprenditrici. Nel merito, 
nell’ultimo anno l’imprenditoria femminile è cresciuta e con 
essa anche il numero delle imprese aperte da donne 
immigrate.
4
 
Certamente, la complessità della situazione della donna 
migrante è correlabile al fatto che essa è, nello stesso tempo, 
straniera, donna, madre e lavoratrice.
5
 Il semplice fatto di 
essere straniera comporta, spesso, il trovarsi in una 
condizione minoritaria all’interno della società ospitante e, 
non di rado, questo va di pari passo con situazioni di 
svantaggio socio-economico e, talvolta, di discriminazione.
6
  
Le donne immigrate, inoltre, vivono, forse più degli 
uomini, complessi processi di ridefinizione identitaria che 
chiamano in causa la capacità di gestire situazioni 
                                                 
3
 Campani G.(2002), Genere, etnia e classe, Edizioni Ets, Pisa, p. 14. 
4
 Caritas (2009), Ibidem, p. 106. 
5
 Cambi F., Campani G., Uliveri S.(2009), op. cit., p. 194. 
6
 Mancini  T. (2006), Psicologia dell’identità etnica, sé e appartenenze culturali, Carocci, 
Roma, p. 85.
7  
 
culturalmente anche molto distanti. Si pensi, per esempio, a 
chi ricerca un equilibrio tra società patriarcali (di 
provenienza) e realtà, come quella occidentale, in cui la donna 
ha acquisito significativi diritti di uguaglianza politico-
giuridica e di pari opportunità socio-formative. Per non 
parlare della delicata questione delle mutilazioni genitali 
femminili o di quella, spesso abusata, del velo. Tutto ciò ha 
che fare con la costruzione del proprio Self ed, in particolare, 
della propria identità sociale per la definizione della quale, 
come rileva Tajfel
7
, assume fondamentale importanza il 
gruppo o i gruppi cui ci si sente di appartenere. 
In tal senso, andrebbero analizzate dinamiche quali la 
chiusura nell’ingroup, la mobilità sociale o processi che 
vedono la donna impegnata in prima persona in reali percorsi 
di integrazione. 
Al fine di meglio comprendere l’articolato mondo della 
migrazione femminile, il presente lavoro prende le mosse da 
una breve descrizione delle specificità di tale tipologia 
migratoria, dai primi flussi sino ai nostri giorni. Nel secondo 
capitolo, ci si propone di analizzare i nessi tra identità (con 
specifico riferimento alla componente sociale della stessa), 
appartenenza etnica e dinamiche migratorie. Affrontare il 
discorso sulle donne migranti significa anche prendere in 
esame pregiudizi e stereotipi, processi che le vedono coinvolte 
in prima persone come bersagli degli stessi in duplice veste di 
donne e di migranti. Sarà questo l’argomento del terzo 
capitolo. Infine, nel quarto capitolo, analizzeremo quattro 
ricerche, presenti nella letteratura specialistica, che 
                                                 
7
 Tajfel H. (1981), Human groups and social categories, Cambridge University Press, 
Cambridge. Tr.it(1999), Gruppi umani e categorie sociali, Il Mulino, Bologna, p. 314.
8  
 
consentono di tracciare un quadro articolato e complesso della 
realtà in questione. 
Il lavoro si conclude con alcune riflessioni di sintesi.
10  
 
 
  1.1 CRONISTORIA DELL’IMMIGRAZIONE 
FEMMINILE IN ITALIA 
Attualmente, si parla di ‘femminilizzazione dei processi 
migratori’ per suggerire sia la portata numerica sia la 
specificità del fenomeno su scala planetaria. Parimenti al 
contesto europeo, nel quale la presenza delle immigrate è 
andata gradualmente aumentando fino a raggiungere 
proporzioni eguali a quelle della popolazione maschile, anche 
in Italia le donne costituiscono una parte significativa 
dell’immigrazione ed il rapporto di genere risulta pressoché 
paritario.  
Nel 2001, in Italia, la popolazione immigrata femminile 
rappresenta il 45,8 % del totale degli stranieri, con picchi nel 
Lazio dove la percentuale di donne straniere (49,6%)  
eguaglia quella degli uomini.
8
 Alla fine del 2006, nel nostro 
paese, la stima delle donne straniere è pari al 49,9% del totale 
degli immigrati e ciò dimostra il costante e consolidato 
protagonismo femminile nel processo migratorio, 
incrementato di sette punti percentuali rispetto al 42% del 
1991.
9
 
Nei paesi dell’Europa del Sud (Italia, Grecia, 
Portogallo, Spagna) la maggior parte delle immigrate è 
arrivata attraverso un processo migratorio autonomo. In Italia 
la presenza femminile ha caratterizzato i flussi migratori sin 
dall’inizio, al punto da poter affermare che, nel nostro Paese, 
                                                 
8
Caritas (2001), Immigrazione. Dossier Statistico, Rapporto XI sull’immigrazione, 
Anterem, Roma, p. 139. 
9
 Caritas (2007), Immigrazione Dossier Statistico. Rapporto XVII sull’immigrazione, 
Anterem, Roma, p. 123.
11  
 
le donne sono state le prime vere pioniere dell’immigrazione. 
Al contrario, nei paesi dell’Europa centrale (Francia, 
Inghilterra e Germania) le donne sono arrivate in un secondo 
tempo, per ricongiungersi al coniuge, emigrato subito dopo la 
seconda guerra mondiale.  
Entrando nello specifico del modello migratorio seguito 
dalle donne immigrate in Italia, possiamo dire che consti di tre 
fasi. La prima si colloca attorno alla metà degli anni ’70 del 
’900, segnata dall’arrivo di donne sole, provenienti per la 
maggior parte dall’isola di Capo Verde, dal Corno d’Africa o 
dalle isole Filippine. Queste donne giungono in Italia 
attraverso il ruolo di mediazione svolto dalla Chiesa cattolica, 
che le mette in contatto con le famiglie italiane in cerca di 
collaboratrici domestiche.
10
 La dinamica migratoria delle 
donne filippine è un esempio emblematico per la 
comprensione del processo migratorio a forte 
femminilizzazione. I flussi di immigrati provenienti dalle 
Filippine hanno più forte femminilizzazione nel nostro Paese 
e in Canada.  
Una ricerca, condotta in parallelo dall’Università  La 
Sapienza di Roma e dalla Michigan State University si è posta 
l’obiettivo di comprendere le caratteristiche e le dinamiche di 
integrazione e di esclusione del gruppo filippino all’interno 
delle due società ospitanti. In Canada le donne filippine 
entrano con un contratto di lavoro nel settore della 
collaborazione domestica e, dopo alcuni anni, riescono ad 
uscire da questo settore e trovano altre occupazioni, magari 
conformi con la preparazione scolastica raggiunta prima della 
                                                 
10
Ibidem, p. 125.
12  
 
partenza. Le migranti riescono a migliorare la loro situazione 
lavorativa ed a inserirsi in modo stabile nella società 
canadese, lasciando vacanti i posti della collaborazione 
domestica che vengono via via occupati dalle nuove 
immigrate. Al contrario, in Italia le donne filippine finiscono 
con il rimanere immobili in tale  settore, sia a causa delle 
difficoltà che incontrano nell’acquisire la cittadinanza italiana 
sia per la struttura stessa del sistema economico italiano. 
Inoltre, in Canada per le filippine la conoscenza della lingua 
inglese è necessaria per il visto d’ingresso nel paese, in Italia, 
al contrario, esse non devono dimostrare di conoscere 
l’italiano per entrare ed incontrano spesso problemi di 
comprensione (al pari di altri gruppi etnici). In Italia, dopo 
diversi anni di lavoro, le donne filippine scelgono spesso di 
rientrare nel paese di origine; in Canada molte scelgono la via 
della stabilizzazione. Nel nostro Paese il passaggio delle 
immigrate filippine crea dei vuoti che vengono colmati da 
nuove immigrate provenienti soprattutto dall’Europa 
dell’Est.
11
 
In Italia solamente una parte delle comunità di primo 
insediamento mostrano segni di stabilizzazione, le altre sono 
state rimpiazzate da flussi di immigrazione successiva. La 
maggior parte della donne provenienti dalle isole di Capo 
Verde e dal Corno d’Africa, immigrate negli anni ’70-80, 
sono poi rientrate nei loro paesi. Queste migranti sono state  
affiancate e sostituite dalle donne filippine, cingalesi e sud 
americane ed, in seguito, da quelle provenienti dall’est 
                                                 
11
Caritas (2006), Immigrazione Dossier Statistico 2006 ,rapporto XVI sull’immigrazione, 
Anterem, Roma, p. 129.