INTRODUZIONE  4 
  
Moretti.
6
 Ciò è dovuto alla fortissima componente educativa presente nelle 
storie pubblicate in questo fumetto, sia dal punto di vista sociale che da quello 
culturale. Dylan Dog è “una serie di ‘romanzi disegnati’ che mescolano cinema 
e letteratura, […] orrori indicibili e languide dolcezze”,
7
 un fenomeno che “per 
entità, diffusione e capacità di penetrazione culturale interessa il sociologo e lo 
studioso della cultura di massa, nonché il pedagogista”.
8
 
I riferimenti culturali in Dylan Dog sono tanti e tali che, per parafrasare 
Alberto Abruzzese, leggere questo fumetto è come navigare tra i saperi di ogni 
tempo e luogo.
9
 Si cercherà in questo lavoro di analizzare in che modo Dylan 
Dog unisce questa funzione educativa a quella di divertente intrattenimento. 
Perché ciò sia valutato correttamente, occorre tenere presente che Dylan Dog è, 
prima di tutto, una serie a fumetti, per cui sarà necessario accennare alle 
caratteristiche culturali fondamentali di questo medium, e sarà questo 
l’argomento del primo capitolo. Successivamente si indicheranno le componenti 
fondamentali del fenomeno Dylan Dog (secondo capitolo), per poter poi passare 
nella seconda parte (capitoli 3 e 4) ad un’analisi dei metodi di citazione ed 
                                                           
6
 “Parafrasando il genio Nanni Moretti, Dylan Dog non è il primo, Dylan Dog è l’unico”, in ‘Il club dell’orrore’, 
in Dylan Dog n° 50, Milano, Bonelli, novembre 1990, p. 110. 
7
 Angelo Calvisi, Intervista a Dylan Dog, Roma, Theoria, 1996, p. 7. 
8
 Enrico Fornaroli, ‘Il grande emporio degli orrori. Una lettura di Dylan Dog’, in Emy Beseghi e Antonio Faeti 
(a cura di), La scala a chiocciola: paura, horror, finzioni, dal romanzo gotico a Dylan Dog, Firenze, La Nuova 
Italia, 1993, p. 193. 
9
 Cfr. Alberto Abruzzese, citato in Raffaele Mantegazza e Bruno Salvarani, Se una notte d’inferno un 
indagatore… Istruzioni per l’uso di Dylan Dog, Milano, Unicopli, 1995, p. 40. 
INTRODUZIONE  5 
  
allusione utilizzati dagli autori di questo fumetto, in particolare per quanto 
riguarda i riferimenti alla letteratura inglese in esso contenuti. Nella seconda 
parte di questo lavoro saranno aggiunte, quale ulteriore elemento chiarificativo, 
diverse illustrazioni tratte dalle pagine di Dylan Dog. 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  6 
  
 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI 
 
Il fumetto comunica solitamente attraverso un sistema di 
sovrapposizione di due linguaggi diversi, come quello delle immagini e quello 
dei testi più o meno letterari, che si fondono fino a creare un unico linguaggio 
diventato tipico del fumetto. Ma bisogna tener presente che parlare dei fumetti 
unicamente come linguaggio caratterizzato dall’unione di una parte disegnata 
con una parte scritta può portarci fuori strada perché si negherebbe 
implicitamente, ad esempio, l’esistenza di un tipo di fumetti in cui compaiano 
solo disegni, come accade non di rado. È necessario allora considerare 
innanzitutto che quello dei fumetti è un linguaggio ben definito, unitario, e non 
una mera giustapposizione di linguaggi diversi. 
Come capita con la letteratura, la musica, la pittura, il cinema e tutti gli 
altri linguaggi artistici, il fumetto può comprendere diversi generi, ma, come 
spiega Daniele Barbieri, “i fumetti sono un linguaggio, non un genere, sono un 
ambiente dove si producono discorsi, e non sono un certo tipo di discorsi”.
1
 Un 
                                                           
1
 Daniele Barbieri, I linguaggi del fumetto, Milano, Bompiani, 1991, p. 208. 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  7 
  
certo tipo di discorso può essere ad esempio quello della narrativa, ed esistono 
diversi generi narrativi, ma 
 
la divisione per generi è diversa e indipendente da quella per 
linguaggi; e non bisogna confondere le due cose. Con il linguaggio dei 
fumetti si possono raccontare storie appartenenti a molti generi; e lo 
stesso genere di storia può essere raccontato in molti linguaggi. Certo, 
d’altra parte, ogni linguaggio ha un insieme di generi privilegiati: 
come caso estremo potremmo citare il linguaggio del fotoromanzo, 
attraverso il quale raramente si raccontano storie che non siano 
sentimentali o pornografiche. E molti generi hanno linguaggi 
privilegiati: se pensiamo al western, è più probabile che ci venga in 
mente un film o un libro?
2
 
 
Al pari, quindi, di tutti gli altri linguaggi artistici, quello del fumetto può 
trasmettere significato e, nel caso specifico, può raccontare storie secondo 
diversi generi che possono più o meno essere condivisi dagli altri campi, e lo fa 
utilizzando una tecnica particolare e flessibile che, secondo le scelte che l’autore 
opera all’interno di essa, può rendere un prodotto che può appartenere alla 
cultura più elitaria come alla più grossolana comunicazione di massa. 
 
                                                           
2
 Ivi, p. 204. 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  8 
  
1.1. La tecnica 
I fumetti sono un mezzo di comunicazione visiva normalmente destinato 
alla stampa e alla diffusione in migliaia di copie. Essi sono creati per un certo 
tipo tecnico di stampa e gli autori, durante la creazione degli originali, tengono 
sempre presente questo fine, adattando il segno alle esigenze del risultato finale 
sulla carta stampata. 
Nel contesto grafico dei fumetti confluiscono segni di diversa natura: 
immagini disegnate; testi, sia di tipo descrittivo o didascalico, sia riportanti 
dialoghi, battute o semplici interiezioni, che possono apparire contenute in 
nuvolette (balloons
3
) o sistemate in altro modo secondo le scelte dell’autore; 
segni peculiari, inventati dagli autori dei fumetti e diventati tipici per indicare 
ogni tipo di suono e segni di movimento. Tutti questi elementi grafici nei fumetti 
riescono ad amalgamarsi e a creare un linguaggio nuovo, originale ed unitario. 
Ma non è sempre facile capire come ciò avvenga.
4
 
                                                           
3
 La parola inglese balloon significa anche ‘palloncino’. Ciò indica come la fantasia americana abbia associato i 
tipici spazi contenenti le parole pronunciate dai personaggi dei fumetti a palloncini gonfiabili piuttosto che alle 
nuvolette di fumo da cui è derivato il termine italiano fumetto. 
4
 Secondo Beppi Zancan, costituisce riprova storica di ciò il fatto che “l’introduzione dei fumetti in Europa e 
negli altri paesi non americani è avvenuta gradualmente e lentamente, attraverso una lunga serie di travisamenti 
che hanno a lungo pesato, e ancor oggi pesano, sulla corretta comprensione dei fumetti. Per lungo tempo, in 
Italia come negli altri paesi, i fumetti sono stati pubblicati nei giornaletti per bambini senza la nuvoletta (il 
balloon) e con un testo ai piedi della vignetta, spesso in rima, assimilandoli così ai tabelloni colorati dei 
cantastorie come a un termine di paragone popolarmente accettato e culturalmente tradizionale. Il linguaggio dei 
fumetti non ci è giunto così, agli inizi, nella sua forma integrale, ma in una forma che ne distorceva l’intima 
essenza.” (Zancan Beppi, ‘Fumetti’, in Grande dizionario enciclopedico, vol. VIII, Torino, UTET, 1987, p. 930). 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  9 
  
 L’effetto globale reso dal linguaggio dei fumetti risulta non dalle parole 
o dalle immagini prese per se stesse, bensì dalle loro relazioni, tanto che si può 
parlare, come fa Gino Frezza, di “dimensione figurale acquistata dal segno 
linguistico e, viceversa, dimensione narrativa assegnata al disegno”
5
.  Il 
linguaggio dei fumetti si avvale di quella che Eynard definisce “triplice 
articolazione”:  
 
come nella lingua, le parole rappresentano la prima articolazione ed i 
suoni la seconda, così nel fumetto il segno è la prima articolazione 
dell’immagine e la figura ne è la seconda. Ad esse va aggiunta una 
terza articolazione relativa al movimento e al rapporto che l’immagine 
ha con la precedente e/o la successiva.
6
 
 
I fumetti non si guardano ma si leggono come si fa con i racconti o con i 
romanzi. Ma l’unità di lettura non è la parola o la frase, bensì la singola vignetta, 
come se fosse il fotogramma di un film, solo che nel fumetto è il lettore che fa 
scorrere mentalmente le immagini senza l’ausilio della macchina di proiezione. 
Come precisa Gino Frezza 
 
                                                           
5
 Gino Frezza, La macchina del mito. Tra film e fumetti, Firenze, La Nuova Italia, 1995, p. 69. 
6
 R. Eynard, ‘I fumetti: cosa sono e cosa ne facciamo?’, in Scuola viva, n° 6, giugno 1972. Citato in Giovanni 
Genovesi, ‘Linguaggio e struttura narrativa del fumetto’, in Ricerche pedagogiche, n° 27-28, 1973, p. 73. 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  10 
  
la dialettica stasi-movimento nel cinema è primariamente risolta da 
una tecnologia che funziona da agente dinamico sia in sede di ripresa 
che nella proiezione in sala. Essa si offre in questo intrinseco 
dinamismo allo sguardo degli spettatori [vincolandoli] a seguire lo 
scorrimento della pellicola […]. Nel fumetto invece è lo sguardo ad 
essere causa effettiva del movimento. La sequenzialità organizzata di 
figure in sé statiche acquista un movimento solo dopo che lo sguardo 
riconosce specifiche pertinenze nell’ordine delle marche che 
disegnano le tensioni dei corpi, gli spazi, le figure, le densità 
cromatiche. È nell’operazione della lettura, nel seguire da parte 
dell’occhio l’organizzazione degli indici e dei segni figurali e letterali 
sulla tavola/striscia che il fumetto acquista la dimensione tipica del 
tempo e quella, conseguente, del ritmo. Il racconto del fumetto non è 
solo disegnato. È anche, nel suo fondamento, ricostruito dallo 
sguardo.
7
 
 
Si è spesso paragonato il linguaggio dei fumetti a quello del cinema, e 
non a caso Umberto Eco parla di montaggio
8
, ma lo stesso Eco aggiunge  
 
 
 
il richiamo al film non deve farci dimenticare che il fumetto “monta” 
in modo riginale, se non altro perché il montaggio del fumetto non 
tende a risolvere una serie di inquadrature immobili in un flusso 
continuo, come nel film, ma realizza una sorta di continuità ideale 
attraverso una fattuale discontinuità. Il fumetto spezza il continuum in 
pochi elementi essenziali. Che il lettore poi saldi questi elementi 
nell’immaginazione e li veda come continuum, è un dato piuttosto 
evidente.
9
 
                                                           
7
 Ivi, p. 64.   
8
 “Il rapporto tra inquadrature successive [nei fumetti] mostra l’esistenza di una specifica sintassi, meglio ancora 
di una serie di leggi di montaggio.” (Umberto Eco, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1964, p. 150). 
9
 Ivi, p. 150. 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  11 
  
 
Da ciò si deduce che cinema e fumetti hanno senz’altro molto in 
comune, se non altro in quanto “macchine comunicative ibride”
10
 che fondono le 
caratteristiche di diversi linguaggi in uno, ma ciascuno di essi mantiene le 
proprie peculiarità, che non impediscono comunque la possibilità di produttivi 
scambi di modalità espressive tra i due media, come si vedrà più avanti. 
I fumetti “possono reclamare a buon diritto una funzione che è 
innanzitutto la ‘figurazione di una storia’, d’una fabula, d’un mito, ma che è 
anche racconto scritto o didascalizzato di tale fabula, di tale storia”.
11
 Questo 
racconto-figurazione è finalizzato a rendere un’azione che si sta svolgendo sotto 
gli occhi del lettore, ma di questa azione egli ha, nella singola inquadratura, la 
registrazione di un solo attimo, ed è suo compito colmare i vuoti tra 
un’inquadratura e l’altra: gli spazi che separano i singoli disegni sono legati alla 
riproduzione mentale del movimento. Lo scopo dei fumetti è quindi di rendere 
l’impressione di una realtà in movimento avvalendosi di “un linguaggio totale in 
grado di rendere non solo le forme, i gesti, le espressioni, gli scenari, ma anche 
le parole, la pronuncia, i rumori di fondo”
12
 grazie soltanto all’uso di elementari 
                                                           
10
 Gino Frezza, op. cit., p. 241. 
11
 Gillo Dorfles, in Pietro Favari, Le nuvole parlanti: un secolo di fumetti tra arte e mass media, Bari, Dedalo, 
1996, p. 9. 
12
 Beppi Zancan, op. cit., pp. 930-931. 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  12 
  
artifici grafici: la forma del contorno dei balloons e spesso la dimensionalità 
delle parole scritte all’interno di essi rendono il timbro e il tono di voce, mentre 
all’esterno la forma dei suoni onomatopeici restituisce a modo suo il multiforme 
campo dei suoni. In questo modo, come sostiene Gino Frezza 
 
si approfondisce il capitolo della figuratività della scrittura nonché 
quello, incrociato, della sonorità sia della lingua scritta che del mondo 
naturale. In tal quadro, l’insieme delle possibilità semiotiche del 
fumetto rientra a buon diritto nella storia dei campi dell’audiovisione, 
piuttosto che soltanto in quella del racconto illustrato.
13
 
 
Per quanto riguarda la parte più propriamente illustrativa dei fumetti, 
ciascun autore disegna secondo un suo tratto caratteristico, ma vi sono 
comunque alcuni modelli prefissati ai quali molti autori tendono ad adeguarsi 
secondo le caratteristiche suggerite dall’esperienza ricavata dalle preferenze dei 
lettori circa ciascun genere di fumetto. Ad esempio il fumetto horror può 
prediligere atmosfere in cui il gioco dei chiaroscuri può avere un importanza 
fondamentale, mentre il fumetto puramente comico tende in genere a preferire 
un tratto più libero da quell’accortezza di particolari che rischierebbe di 
appesantire una lettura intesa ad essere il più possibile scorrevole. Ma bisogna 
                                                           
13
 Gino Frezza, op. cit., p. 62. 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  13 
  
tener presente che queste linee di tendenza non hanno affatto valore assoluto: un 
certo tipo di tratto può essere adottato da un autore indipendentemente dal 
genere di fumetto che si appresta a disegnare, mentre un tratto diverso dal solito 
può dare allo stesso genere di fumetto un’impronta nuova che il pubblico 
potrebbe accogliere con approvazione. Ci sono inoltre autori come Benito 
Jacovitti, il cui tratto è così peculiare ed inimitabile da essere identificato come 
specifico del singolo autore piuttosto che di un certo genere di fumetto. 
Un bravo creatore di fumetti sa scegliere e disegnare le inquadrature in 
modo da imprimere il giusto ritmo all’azione, lento o veloce secondo le 
esigenze: quanto più elaborati e ricchi di particolari sono i disegni, tanto più 
lenta sarà la lettura se svolta in maniera attenta. Anche il lettering, ossia 
l’insieme dei testi contenuti nelle vignette dei fumetti, sia quelli contenuti nei 
balloons sia quelli delle didascalie, è impostato in funzione del ritmo di lettura: a 
volte assenti o brevissimi, altre assai lunghi, fanno in modo che il lettore si 
soffermi sulla vignetta il tempo voluto dall’autore. Vi sono così sequenze tutte 
visive, sulle quali l’occhio del lettore è portato a soffermarsi e a scoprire i 
particolari più minuti, ed altre in cui quello che conta è lo scambio di battute 
mentre il disegno è a volte ridotto a mera ripetizione. Va da sé che, quando in 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  14 
  
una vignetta mancano i testi, solitamente è perché l’autore vuole richiamare 
l’attenzione sul solo disegno, che in questo caso contiene già tutte le 
informazioni necessarie alla comprensione dell’evento narrato. 
A questo proposito, Daniele Barbieri nota: 
 
a differenza della parola, l’immagine non richiede che qualcuno la 
“pronunci”: il mondo è pieno, anzi è fatto di immagini in libertà. 
Un’immagine di per sé non implica nessun soggetto che la stia 
producendo o enunciando. Continuamente, davanti ai nostri   occhi,  si   
svolgono  eventi  che  non  sono  enunciati  da  
 
nessuno, e possono, nonostante questo, essere letti come “storie”, e 
quindi, in seguito, raccontati.
14
 
 
E aggiunge: 
 
il racconto puramente per immagini, a ben guardare, non è 
esattamente un racconto: vi sono immagini che rappresentano eventi, 
poste in sequenza. Forse sarebbe più opportuno definirle “sequenze 
pre-narrativizzate”, ovvero sequenze di immagini disposte in maniera 
tale da generare la comprensione degli eventi così come essa sarebbe 
se quegli eventi fossero raccontati. Nella vita quotidiana vediamo 
continuamente sequenze di immagini […]. Ben poche di queste si 
prestano spontaneamente a una comprensione narrativa: per costruire 
come storie gli eventi che percepiamo dobbiamo operare un’enorme 
selezione, e accostare solo le immagini pertinenti […]. Il fumetto e il 
cinema, ciascuno a modo suo, ce la presentano già fatta: e sarà dunque 
                                                           
14
 Daniele Barbieri, ‘Racconti senza narrazione. Chi ci racconta le storie a fumetti?’, in Lexia, n° 5, marzo 1995. 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  15 
  
naturale che queste sequenze “pronte all’uso” siano percepite 
direttamente come racconti.
15
 
 
Sempre secondo Barbieri, si tratta però di racconti “senza narrazione”, 
perché manca la voce del narratore, e quindi manca anche lo scarto temporale 
legato alla presenza del sistema dei tempi verbali usati dalla voce narrante. Per 
cui, ad esempio, quando in un fumetto bisogna fare riferimento ad un evento 
precedente quello dell’enunciazione in corso, l’autore deve fare ricorso alla 
tecnica narrativa del flashback. Ma c’è un altro modo per compensare questo 
svantaggio nei confronti del racconto verbale. Infatti, Barbieri conclude 
 
non solo ogni racconto a fumetti avrà una propria tendenziale velocità 
di lettura, ma la modulazione di questa stessa velocità è parte degli 
strumenti espressivi del linguaggio, e componente fondamentale della 
resa degli eventi raccontati. La dimensione e la complessità delle 
vignette, in assoluto e relativamente a quelle che precedono e 
seguono, la quantità e la complessità del testo verbale e del rapporto 
che esso ha con le immagini, sono tutti elementi che influiscono sulla 
velocità di lettura, rallentando o accelerando il lettore nel suo percorso 
lungo il testo. […] Per quanto diverse siano le modalità e gli effetti, la 
modulazione del tempo di lettura finisce per avere un effetto sulla resa 
degli eventi raccontati paragonabile a quello dei tempi verbali nel 
racconto letterario: si tratta cioè di uno strumento di natura temporale 
cui vengono delegate una quantità di effetti retorici che non sono 
                                                           
15
 Ivi. 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  16 
  
solamente temporali, ma anche di messa in rilievo e di messa in 
prospettiva.
16
 
 
Pertanto, il linguaggio dei fumetti riesce a riprodurre gli effetti 
caratteristici di quello letterario sfruttando i propri artifici e arricchendolo, anzi, 
di elementi che gli sono peculiari, quale l’apporto di immagini di immediato 
effetto significante che permettono una comprensione arricchita della storia da 
parte del lettore. 
Nel fumetto, parole e immagini sono in stretto rapporto con il particolare 
contenuto narrativo di cui diventano veicoli. La tecnica di significazione del 
fumetto si basa su un rapporto immagine-parola che varia a seconda dello stile 
grafico e dello schema narrativo. Giovanni Genovesi distingue tra stile 
fotografico o non fotografico per quanto riguarda il primo, e tra schema classico 
o non classico riguardo il secondo, spiegando che quest’ultimo si definisce 
classico quando corrisponde “allo schema narrativo caratteristico di qualsiasi 
racconto avventuroso ancor prima dell’avvento del fumetto stesso”
17
, mentre, 
per quanto riguarda lo stile, 
  
                                                           
16
 Ivi. 
17
 Giovanni Genovesi, ‘Linguaggio e struttura narrativa del fumetto’, op. cit., pp. 53-54. 
1. IL LINGUAGGIO DEI FUMETTI  17 
  
lo stile fotografico si ha quando il disegno rinuncia alle sue 
caratteristiche espressive e coglie l’immagine in modo acritico. Lo 
stile non fotografico, viceversa, si ha allorchè il disegno si giova di 
tutta la sua carica espressiva per fornire una radiografia dell’oggetto 
rappresentato più che limitarsi a darne una neutra riproduzione. […] Il 
rapporto dell’immagine disegnata con il linguaggio scritto varia, nel 
fumetto, a seconda che esso si avvalga  di   uno  o   dell’altro  degli  
stili   sopra   accennati.  La  
 
prevalenza dello stile fotografico è tipica del fumetto a schema 
classico; e dal momento che il disegno assume qui una funzione di 
semplice riferimento visivo, la comprensione del messaggio è affidata 
soprattutto […] ai dialoghi […] e alle didascalie […]. La prevalenza 
del testo scritto non si verifica affatto, invece, nel fumetto a stile non 
fotografico che è, in genere, a schema non classico, dove il disegno 
tende a cogliere l’essenza della realtà ed esige, pertanto, un “parlato” 
[…]meno ridondante.
18
 
 
In generale, nei fumetti a schema classico il protagonista della vicenda 
viene sempre a trovarsi in una situazione che lo costringe ad agire ed 
eventualmente a scontrarsi con un antagonista, ad avvalersi di particolari doti o 
dell’aiuto di qualcuno fino a raggiungere la scontata vittoria. Nei fumetti a 
schema non classico, queste regole tendono a cambiare secondo le scelte 
dell’autore. 
                                                           
18
 Ivi, p. 54.