1.1- Fonti di energia agli inizi del terzo millennio 
 
Le fonti da cui è possibile ottenere energia possono essere ripartite in due categorie: le fonti 
cosiddette non rinnovabili, come il carbone, il petrolio, i combustibili fossili in genere; e le 
fonti rinnovabili, continuamente riprodotte da meccanismi chimici e fisici del pianeta per 
effetto diretto o indiretto dell’energia solare. 
A differenza dei combustibili fossili e nucleari, destinati ad esaurirsi in un tempo finito, 
queste forme di energia possono essere considerate teoricamente inesauribili in quanto legate 
al ciclo solare. La disponibilità di queste fonti si può, infatti, ritenere indipendente dal loro 
tasso di consumo. 
L’energia solare, eolica, geotermica, e l’utilizzo di biomasse rientrano tra le fonti rinnovabili 
e vengono riconosciute anche dal piano energetico nazionale come alternative per assicurare 
alla collettività, insieme con altre fonti, il fabbisogno di energia pulita per il futuro. 
Il loro utilizzo presenta molti vantaggi per l’ambiente, in alcuni casi i processi di 
generazione hanno una ricaduta assai limitata sulla qualità dell’aria, dell’acqua, del suolo e 
quindi sull’uomo. Gli svantaggi maggiori sono legati al costo e al rendimento degli impianti. 
Il costo medio di produzione di un Kilowattora con celle fotovoltaiche è attualmente 
superiore al doppio di quello prodotto con metodi classici; tuttavia ciò è vero se non si 
considerano le esternalità legate alla produzione di energia elettrica tradizionale, quali il 
consumo di combustibili fossili, l’inquinamento atmosferico prodotto e i conseguenti danni 
alla salute. Se la produzione di celle fotovoltaiche avvenisse su larga scala, i costi verrebbero 
drasticamente tagliati. L’Italia conta attualmente una superficie complessiva di celle pari a 
250.000 m
2
 con un incremento di 18.000 m
2
 nel 1998 [1]. 
Nell’ipotesi di poter generare energia elettrica per via solare su larga scala, parte di questa 
potrebbe essere utilizzata in sostituzione al metano per produrre idrogeno, infatti, essendo 
continua e a basso voltaggio, non richiede costi aggiuntivi di trasformazione per l’impiego 
nel processo di elettrolisi dell’acqua. 
 5
L’utilizzo in tandem delle radiazioni solari, come fonte di energia, e dell’idrogeno, come 
combustibile, produce una sinergia di effetti positivi. 
Le centrali eoliche oltre a sfruttare un’energia rinnovabile, pulita ed illimitata, quale il vento, 
sono in grado di soddisfare buone prestazioni tecniche sotto l’aspetto dell’affidabilità e della 
potenza energetica erogata. Hanno rapidi tempi di messa in opera e ripagano l’investimento 
energetico impiegato per la loro costruzione nell’arco di 6/12 mesi. Sono individuabili due 
tipologie di svantaggi: la non elevatissima concentrazione energetica prodotta dall’impianto 
rispetto all’area occupata e quantificabile in una quota tra i 5 e i 10 MW/km
2
; l’impatto 
visivo e l’inquinamento acustico prodotto dagli impianti stessi.  
Oggi i MW prodotti con l’aiuto del vento arrivano a sfiorare quota 600 [1]. 
Dalla biomassa possiamo ottenere direttamente energia con la generazione di calore oppure, 
attraverso trasformazioni chimiche (biochimiche o termochimiche), altri tipi di combustibili 
o di vettori energetici impiegabili in modo differente. Guardando alla competitività 
economica dei biocombustibili rispetto a quelli fossili, attualmente il costo industriale è 
doppio rispetto a quello del diesel normale e la resa è minore. Se invece si vanno anche a 
valutare i benefici dovuti alle emissioni di CO
2
 evitate, al mancato approvvigionamento di 
combustibili fossili ed agli impatti sull’occupazione ed il controllo del territorio, con 
silvicoltura sostenibile e misure di forestazione a fini energetici, si ha quasi la parità tra i 
costi [2]. 
Il panorama delle fonti di energia rinnovabili è comunque molto vasto, variegato e in 
continua evoluzione e quelle presentate sono solo alcune delle possibilità offerte dal 
mercato. 
Accanto, o forse in contrapposizione alla soluzione alternativa di produrre energia, si 
collocano le tecnologie di generazione termoelettrica convenzionale che impiegano 
combustibili fossili. Il carbone, il petrolio e il gas naturale forniscono da soli l’86% 
dell’energia prodotta in tutto il mondo [3]. Il contributo del carbone ammonta al 37%. In 
Europa questa quota è molto diversificata, si passa dal 97% della Polonia al 7% dell’Italia 
[4]. Il carbone impiegato per la generazione di energia è stato, nel secolo scorso, in continua 
ascesa, 536•10
6
 t nel 1981 e 689•10
6
 t nel 1989 [5]. I motivi dell’aumento della domanda 
sono attribuibili alla disponibilità, alla diminuzione o comunque stabilità del prezzo di 
mercato, alla facilità di trasporto e gestione del combustibile. Le risorse di carbone accertate 
sono pari a circa cinque volte quelle di petrolio e di gas naturale ed è stato stimato che 
possono soddisfare le richieste di combustibile per i prossimi 200 anni [6]. 
 6
Tab. 1-1: risorse di carbone reali, ipotetiche e stimate nei vari continenti
a
 [5]. 
Continenti Giacimenti
Identificati, 10
9
t
 
Giacimenti 
Ipotetici
b
, 10
9
t
Stima dei 
Giacimenti totali
d
, 10
9
t
Asia
c
3635
d
6362 9997
e
Nord America 1727 2272 3999
Europa
f
273 454 727
Africa 82 145 227
Oceania
g
64 55 118
America centrale e meridionale 27 9 36
Totale 5808 9297 15104
a
 Le quantità sono espresse in tonnellate metriche ciascuna corrisponde ad una quantità di carbone che sviluppa 
29.2 GJ. 
b
Comprende il carbone contenuto tra la superficie e 1300 metri di profondità ma anche le minori quantità fra 
1200m e 1800 m. 
c
Include la Russia europea. 
d
Include le 2090*10
9
 metric tons in Russia. 
e
Include le 8600*10
9
 metric tons in Russia. 
f
Include la Turchia. 
g
Australia, Nuova Zelanda, e Nuova Caledonia. 
 
Con questi dati si può prevedere che il carbone diventerà nei prossimi anni il combustibile 
principale. Una tale prospettiva è ostacolata dal suo maggiore impatto ambientale rispetto 
all’olio e al gas. 
Il rispetto degli accordi di Kioto impone di ridurre entro il 2010 la produzione di gas serra 
del 7% rispetto a quella del 1990. 
I limiti sempre più stringenti sulle emissioni di ossidi di azoto, zolfo, diossine, metalli 
pesanti, incombusti, particolato e altre sostanze sospese considerate rischiose per l’ambiente 
o per la salute dell’uomo, costringono a continui investimenti per l’adeguamento degli 
impianti verso tecnologie di abbattimento più efficaci e di combustione più efficienti e 
pulite. 
 
 
1.2- Energia dal carbone 
 
Il carbone, come fonte di energia, può essere impiegato direttamente nella combustione in 
centrali termoelettriche oppure indirettamente utilizzando i prodotti di trasformazioni alle 
quali può essere sottoposto. In passato, di più rispetto ad oggi, costituiva un’importante 
materia prima per ottenere prodotti chimici di base (metanolo, ammoniaca, BTX, ecc.). Circa 
 7
l’87% della produzione mondiale di carbone viene bruciata per generare calore ed energia in 
varie forme. Il rimanente è processata per ottenere coke, gas di sintesi e prodotti liquidi [5]. 
In un impianto di termogenerazione a carbone l’energia chimica è convertita attraverso la 
combustione in energia termica e quindi elettrica. Si tratta di un processo molto complesso 
nel quale intervengono fattori sia di tipo fisico, che chimico. 
In relazione alla pezzatura del combustibile, la combustione può avvenire in tre tipi diversi 
di reattori: 
 
• Reattori a letto fisso (pezzatura 1-5 cm) 
• Reattori a letto fluido (pezzatura 1-5 mm) 
• Sistemi a polverino (pezzatura 10-100 μm) 
 
L’efficienza di un impianto a letto fisso si aggira intorno a 39% e diminuisce in presenza di 
sistemi di abbattimento inquinanti, che dissipano parte dell’energia. 
Centrali con potenza oltre i 1500 MW mantengono in ogni caso una buona efficienza 
nonostante i trattamenti di purificazione in coda, ma attualmente una simile potenza non è 
richiesta in nessuna zona. 
I bruciatori a letto fluido “FBC” offrono prestazioni migliori. Il carbone macinato fino a 1-5 
mm è bruciato in un letto fluido di particelle da 0.5 a 3 mm di solidi inerti. Meno del 2% del 
letto è costituito da carbone. Gli scambiatori di calore sonno affogati nel letto e lo 
mantengono ad una temperatura compresa tra 1320°C e i 1440°C [7]. La fluidificazione in 
caldaia consente maggior mescolamento e un più intimo contatto tra combustibile e 
comburente. Il risultato è una conversione più spinta con l’utilizzo di minori portate di aria. 
Il sistema di combustione di carbone polverizzato “PC” è, ad oggi, il più accreditato e 
utilizzato in centrali ENEL. Il carbone è seccato e macinato in appositi mulini sino alla 
specifica granulometria (da 10 a 100 μm), quindi viene trasportato pneumaticamente ai 
bruciatori e iniettato nella camera di combustione. La macinazione è più spinta per carboni 
poco reattivi, in modo da ottenere una maggiore aria superficiale e garantire, in ogni caso, 
una facile accensione e completa combustione. Una piccola parte dell’aria necessaria serve 
per spingere l’alimentazione, ma la maggior parte è fortemente preriscaldata e iniettata 
separatamente come comburente. Il tutto si mescola con i gas caldi prodotti dalla 
combustione che riscaldano l’alimentazione e ne assistono l’accensione.  
Il processo di combustione si realizza essenzialmente in tre stadi. 
 8
Inizialmente la nube di carbone entra in caldaia, si riscalda per via convettiva (gas caldi) e 
radiativa (fiamma) e subisce un processo di degradazione termica o pirolisi. Nel secondo 
stadio i prodotti gassosi della pirolisi bruciano in fase omogenea con l’ossigeno, quelli solidi 
(char) si ossidano molto più lentamente in fase eterogenea nello stadio finale. La velocità 
dell’intero processo è regolata da quest’ultimo stadio, a sua volta influenzato dalla velocità 
di diffusione e assorbimento dell’ossigeno sulla superficie e nei pori della particella.  
Le dimensioni della camera di combustione devono consentire un tempo di residenza 
sufficiente per completare la combustione e per raffreddare le ceneri volanti sotto la 
temperatura di rammollimento prima che giungano agli scambiatori, per il recupero del 
calore, posti subito dopo. 
Un tipico impianto di 500 MW è costituito da una caldaia a parallelepipedo alta 30-40 m con 
base 10•10 m
2
 [7]. Il calore di combustione si trasmette principalmente per via radiativa alle 
pareti che sono raffreddate da una fitta rete di tubi percorsi da vapore acqueo destinato alle 
turbine. 
Un grande beneficio deriva dalla possibilità di integrare tutte le operazioni di trattamento, 
trasporto e iniezione dell’alimentazione, questo però pone una forte limitazione al controllo 
delle emissioni di NOx attraverso i processi di combustione a stadi, poiché pregiudica la 
possibilità di intervenire sul flusso di massa e sulla temperatura dell’aria per il trasporto del 
polverino. 
Le prime centrali elettriche a letto fisso erano estremamente semplici con pochi passaggi 
essenziali, il trattamento fumi era quasi sempre limitato alla rimozione delle polveri, 
contando sull’efficacia della dispersione dal camino per gli altri inquinanti. 
La necessità di aumentare il rendimento degli impianti ha spinto il mercato a adottare sistemi 
di combustione più efficienti. Le restrizioni ambientali hanno costretto gli operatori a 
considerare sotto un’unica voce l’efficienza della conversione e la riduzione dell’impatto 
ambientale, poiché, entrambe, contribuiscono a determinare il buon rendimento energetico 
dell’impianto. 
In questo momento le tecnologie PC più diffuse prevedono l’utilizzo di caldaie o bruciatori 
che creino zone riducenti o ossidanti, agendo sulla miscelazione del combustibile e del  
comburente.  L’obiettivo è di ottenere condizioni d’ossidazione tali da minimizzare la 
formazione di prodotti d’incompleta combustione, ma simultaneamente, ridurre la 
produzione di ossidi di azoto creando zone riducenti. Infatti, spesso, le soluzioni che 
permettono di agire sulla formazione di un determinato inquinante, non hanno i medesimi 
 9
effetti sugli altri. Le implicazioni atmosferiche che la combustione del carbone prevede sono 
diverse, per poterne programmare la riduzione o l’abbattimento è importante conoscerle 
approfonditamente. In base al potenziale inquinante di ciascuna sostanza è possibile stabilire 
un ordine di priorità e una suddivisione delle risorse disponibili per l’intervento. 
 
 
 
1.3- Impatto ambientale 
 
Il carbone è un combustibile a struttura chimica assai complessa e nel processo di 
combustione può produrre diversi tipi di inquinanti: 
- Macroinquinanti gassosi, essenzialmente ossidi di carbonio (CO, CO
2
), ossidi d’azoto 
(NO, NO
2
, N
2
O o semplicemente NOx) e di zolfo (SO
2
, SO
3
). 
- Inquinanti solidi come ceneri e particelle carboniose. 
- Microinquinanti organici, come VOC, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) o altri 
composti organici ad elevato rischio ambientale in genere, e specie inorganiche 
contenenti metalli pesanti
1
 
(Cd, Co, Cr, Cu, Hg, Pb, Zn, V, Tl, Se) o altri elementi. 
Tutti i vari tipi di inquinanti, tranne quelli convenzionali tipicamente gassosi, si ripartiscono 
tra la fase gassosa e quella solida per adsorbimento. 
L’ossido di carbonio è, dopo l’acqua, il più importante gas serra. L’intensificarsi delle 
attività industriali e produttive dal 1850 ad oggi ha provocato l’aumento della sua 
concentrazione in atmosfera del 28%. Il suo contributo sull’incremento dell’effetto serra è 
del 56%. L’apporto antropico è per 3⁄4 costituito dalla combustione di combustibili fossili e 
per 1⁄4 dalla deforestazione. 
Per continuare a bruciare carbone, si stanno perfezionando metodi che consentano di 
stoccare le grosse quantità di CO
2
 prodotte, nel sottosuolo o infondo agli oceani.  
Il monossido di carbonio è il risultato di una combustione incompleta in difetto di ossigeno.  
La sua pericolosità e legata alla proprietà di legarsi all’emoglobina meglio del biossido di 
carbonio e dell’ossigeno.  
                                                 
1
 Con tale denominazione si indicano gli elementi con densità maggiore di 5 g/cm
3
. 
 
 10
Per ridurne le emissioni è sufficiente favorirne l’ossidazione nella fase finale del processo. 
Gli ossidi di azoto NO/NO
2
 e di zolfo SO
2
/SO
3
, sono responsabili delle deposizioni acide, 
secche e umide. L’aumento di acidità di suolo e acque superficiali provoca danni gravi alle 
coltivazioni e alla vita lacustre. Le piogge acide danneggiano costruzioni e manufatti.  
Elevate concentrazioni di SO
2
 e particolato, in assenza di vento e bassa temperatura, 
generano lo smog classico che ha proprietà acide e riducenti. Gli effetti sanitari riguardano 
complicazioni a livello del sistema respiratorio e un aumento di mortalità in soggetti a 
rischio come anziani, malati cronici e bambini. Negli ultimi decenni grazie all’uso di 
combustibili a basso tenore di zolfo, sistemi di abbattimento (desolforatori) e migliore 
dispersione (ciminiere più alte), il fenomeno, presente soprattutto nei centri urbani, si è 
attenuato lasciando il posto allo smog fotochimico.  
Gli ossidi di azoto, oltre a contribuire alle piogge acide, sono responsabili, insieme ai 
composti organici volatili
1
 (COV), del fenomeno dello smog fotochimico.   
Nell’atmosfera non inquinata si crea una condizione fotostazionaria che limita e mantiene 
costanti le concentrazioni di NO/NO
2
 e O
3
 nella troposfera: 
 
 
Nell’atmosfera inquinata l’equilibrio si altera e aumenta la concentrazione di O
3
, NO
2
 e 
sostanze organiche ossidate: 
NO
2
 + O
2
 ↔ NO + O
3
   ;       in presenza di luce solare 
 
 
 
COV + NO + Luce solare → O
3
 + HNO
3
 + Prodotti Org. 
 
Inquinanti Primari                          Inquinanti Secondari
I prodotti organici sono il perossiacetilnitrato (PAN), aldeidi e chetoni che insieme 
all’ozono, sono composti irritanti per gli occhi, l’albero respiratorio e sospetti cancerogeni. 
L’ozono è dannoso per la vegetazione e provoca distruzione della clorofilla. Il fenomeno 
dello smog fotochimico e purtroppo molto comune nei grossi centri urbani a causa 
dell’intenso traffico veicolare.  
Poiché il monossido di azoto è stabile solo ad alte temperature, nella troposfera è presente 
soprattutto come biossido. L’NO
2
 è più tossico, esercita il suo effetto principale sui polmoni 
provocando irritazione, difficoltà respiratorie e per concentrazioni sopra i 100 ppm, la morte 
per edema polmonare nella maggior parte delle specie animali. 
                                                 
1
 Sono detti composti organici volatili tutte le sostanze comprendenti idrocarburi e i loro derivati che evaporano 
con facilità. 
 11
Recentemente[8], l’attenzione verso l’ossido nitroso (N
2
O) è aumentata poiché è stato 
osservato che la sua concentrazione in atmosfera, cresce ad un ritmo dello 0.3-0.4% l’anno 
(1990). E’ stato stabilito che sotto alcune condizioni di combustione sono generate 
considerevoli quantità di N
2
O. Si tratta di una molecola molto stabile (tempo di vita medio di 
150 anni nella troposfera) che migra nella stratosfera dove, per attacco dell’ossigeno 
atomico, si trasforma in monossido di azoto, il quale funziona da catalizzatore nella 
distruzione dell’ozono. A causa della sua lunga permanenza nella troposfera ha contribuito 
all’incremento dell’effetto serra dall’epoca preindustriale per il 5%.  
La combustione produce particelle fini (diametro < 1μm) di carbonio incombusto (grafite) e  
di soot, questi ultimi generati in seguito a meccanismi di condensazione e coalescenza degli 
incombusti, nei percorsi di scarico e nell’atmosfera. Il carbone produce anche ceneri volanti, 
in gran parte inorganiche contenenti ossidi di silice, alluminio, calcio, ferro, ecc. Si tratta in 
entrambi i casi di gravi inquinanti indicati con il nome di particolato. La sua presenza in 
atmosfera influenza il regime delle precipitazioni e ha gravi ripercussioni sulla salute. Infatti, 
le particelle, secondo la loro granulometria, possono penetrare nel sistema respiratorio sino 
agli alveoli, trasportando le sostanze su di esse adsorbite nel sangue e nei tessuti. La 
pericolosità maggiore del particolato, risiede nella sua capacità di funzionare da vettore di 
tutte le sostanze inquinanti presenti nell’atmosfera e/o prodotte nella combustione. 
I microinquinanti organici sono tra queste. Esistono sistemi di abbattimento del particolato 
nei fumi molto efficienti a secco e a umido. I costi sono elevati sopratutto per la frazione più 
fine.  
Gli idrocarburi policiclici hanno effetti mutageni e cancerogeni sull’uomo anche a 
bassissime concentrazioni. Sono prodotte da una cattiva combustione e sono difficili da 
rilevare perché presenti nei fumi a livello dei ppm o addirittura ppb.  
Per prevenire le emissioni di idrocarburi dalle sorgenti fisse, le quattro tecniche più usate 
sono: l’incenerimento, l’adsorbimento, l’assorbimento e la condensazione. 
Ma anche in questo caso la soluzione più conveniente è prevenirne la formazione 
intervenendo sulla combustione.  
 
 
 
 
 12
1.4- Aspetti normativi 
 
L’importanza  di un inquinante per un impianto industriale è legata alla normativa che ne 
regola l’emissione. La soglia di pericolosità per l’uomo e per l’ambiente di una sostanza è 
stabilita dal legislatore che, avvalendosi tra l’altro dei risultati della ricerca tossicologica ed 
epidemiologica, emette norme e regole indicanti i limiti di emissione. 
La legge cardine sull’inquinamento atmosferico è il decreto del 24 maggio 1988 n. 203, che 
detta norme per la tutela della qualità dell’aria ai fini della protezione della salute e 
dell’ambiente su tutto il territorio nazionale. Tra le altre cose questo decreto stabilisce le 
caratteristiche merceologiche dei combustibili ed il loro impiego, i limiti delle emissioni 
inquinanti ed i relativi metodi di campionamento, analisi e valutazione. In realtà è il 
successivo decreto del 12 luglio 1990 n. 176, a definire i numeri e le regole pratiche da 
applicare agli impianti esistenti (in funzione, costruiti o autorizzati prima della pubblicazione 
del decreto n. 203).  
Per presentare una visione di insieme sui valori limite di emissione degli impianti di 
combustione a carbone viene proposta la seguente tabella. 
 
Tab. 2-1: limiti di concentrazione espressi in mg/m
3
, riferiti ad un’ora di funzionamento dell’impianto nelle 
condizioni di esercizio più gravose [9]. 
 
                      
Inquinante 
Potenza 
< 50Mw
a
≥50Mw
d
<500Mw
≥500Mw
d
SO
2
2000
c
1700 4000
e
NOx 650 650 200 
Polveri 50 50 50
SOV
b
50 300 300
CO
2
250 250
 
a. I valori di emissione si riferiscono a un tenore di ossigeno nell’effluente gassoso del 6% e per impianti nei 
quali sono utilizzati combustibili solidi, previa detrazione del tenore del vapore acqueo. 
b. Espressi come carbonio organico totale. 
c. I valori limite di emissione per gli ossidi di zolfo si considerano rispettati se sono utilizzati combustibili 
con contenuto di zolfo uguale o inferiore all’1%. 
d. I valori di emissioni si riferiscono a una percentuale di ossigeno nell’efluente gassoso del 6% nel caso in 
cui si bruci carbone, previa detrazione del tenore del vapore acqueo. 
e. Se gli impianti non sono in funzione per più di 2200 ore l’anno questo valore scende a 1700 mg/m
3
. 
 
Per i grandi impianti di combustione (oltre i 50 Mw) i valori di emissione per le sostanze 
cancerogene e per le sostanze inorganiche che si presentano sotto forma di polvere, gas o 
 13
vapore sono indicati in uno specifico allegato (Allegato 1, DM 176 ’90) in cui si tiene conto 
del flusso di massa dell’inquinante. 
Entrambi i decreti sottolineano l’obbligo da parte delle imprese di usare la migliore 
tecnologia disponibile per il contenimento e/o la riduzione delle emissioni entro i limiti 
fissati, sempre che l’applicazione di tali misure non comporti costi eccessivi. In aggiunta, il 
legislatore si spinge oltre dando specifiche e dettagliate indicazioni sulle tecnologie di 
abbattimento e i loro criteri di applicazione.  
L’aspetto legislativo riassume le direttive principali di adeguamento e sviluppo delle attività 
produttive, non si tratta esclusivamente di divieti e obblighi ma anche di utili consigli. 
Ancora una volta l’aspetto economico è l’elemento che vincola le scelte delle modalità di 
intervento; si pone al di sopra di tutto la certezza che la sopravvivenza di un’impresa è legata 
alla disponibilità di strumenti di abbattimento e riduzione proporzionati alle risorse di cui 
dispone. 
 
 
1.5-  Controllo delle emissioni in atmosfera da impianti di 
combustione 
 
Il controllo delle emissioni in atmosfera prodotte da un impianto di generazione 
termoelettrica, si basa essenzialmente sia su interventi di tipo preventivo che 
sull’applicazione di idonee tecnologie di depurazione fumi. Gli interventi preventivi sono 
orientati verso la riduzione della possibilità di formazione di alcuni di questi inquinanti. 
Questi interventi consistono nell’applicazione di specifiche tecnologie di combustione a stadi 
mirate a realizzare, nel sistema di combustione, condizioni di processo idonee a minimizzare 
la formazione degli NOx e a favorirne la riduzione a N
2
 (es. Reburning, Low NOx. ecc.).  
Si tratta accorgimenti impiantistici che favoriscono l’ottimizzazione della reazione di 
combustione e la minimizzazione dell’attività di importanti percorsi di formazione durante e 
dopo la combustione.  
Fra gli interventi preventivi può essere inserita anche la qualità e tipologia del combustibile, 
al fine di evitare quelle componenti e caratteristiche potenzialmente pericolose in termini di 
costituzione della massa inquinante nei fumi e/o nei residui solidi costituiti da ceneri e 
 14
scorie. Particolare attenzione viene prestata all’azoto originariamente presente nel 
combustibile che, in relazione anche alla forma chimica con cui è legato, può portare un 
contributo rilevante alla formazione di NOx.  
A loro volta, i trattamenti depurativi devono essere in grado di garantire elevati valori di 
efficienza di rimozione del particolato, dei metalli ad esso associati, dei gas acidi e di alcuni 
microinquinanti organici presenti in fase vapore. Gli interventi volti alla riduzione degli NOx 
consistono in tecnologie di trattamento dei fumi a valle del combustore, in zone a 
temperatura inferiore, dove gli NOx vengono abbattuti o ridotti a N
2
. 
L’attuale tendenza, come risposta a normative sempre più restrittive, è quella di applicare le 
migliori tecnologie disponibili adottando adeguate combinazioni delle due tipologie di 
intervento sopra citate. 
Il controllo primario degli ossidi di azoto, attraverso interventi preventivi, si deve combinare 
con la riduzione degli incombusti.  
Una combustione pulita richiede la simultanea assenza delle due classi di inquinanti, 
purtroppo le tecnologie di combustione a stadi generano, attraverso la realizzazione nel 
combustore di zone sottostechiometriche ricche di combustibile, un aumento delle emissioni 
di sottoprodotti di incompleta ossidazione del carbone (soot, microinquinanti organici, tar e 
incombusti). Le tecnologie di combustione pulita attualmente in uso in impianti a polverino 
di carbone sono: 
• Post-combustione o OFA (in caldaia si creano due zone, la prima a cui si alimenta il 
carbone è fuel rich, la seconda è fuel lean). 
• Reburning (tre zone in caldaia). 
• Bruciatori Low-NOx (gli stadi si realizzano microscopicamente nel cono di uscita del 
bruciatore). 
In ordine di tempo fu introdotta per prima la post-combustione, ma si rilevò che era efficace 
solo nella riduzione degli NOx termici, mentre non agiva sui meccanismi di formazione 
degli NOx da combustibile e addirittura incrementava il problema degli incombusti. 
I risultati delle ricerche promosse per la comprensione dei processi di formazione delle due 
classi di inquinanti nelle condizioni chimiche e fisiche degli stadi, hanno portato allo 
sviluppo delle tecnologie di reburning e low-NOx. 
Una corretta ed efficace applicazione di queste tecnologie richiede una profonda ed accurata 
conoscenza dei meccanismi di formazione degli ossidi di azoto e dei prodotti di incompleta 
combustione del carbone. 
 15
1.6- Meccanismi di formazione degli ossidi di azoto 
 
In caldaia gli NOx (NO, NO
2
, N
2
O) hanno origini diverse. In funzione del meccanismo di 
formazione e della provenienza dell’azoto, si classificano secondo tre tipologie (vedi figura 
2.1). 
 
- NOx Termici: 
L’azoto e l’ossigeno dell’aria comburente reagiscono ad alta temperatura e producono 
monossido di azoto. Si tratta di una reazione con una termodinamica sfavorita in cui il 
ΔG°
Reax
 si annulla intorno ai 7000°K. Per ottenere una miscela di reazione all’equilibrio 
con l’1% di NO bisogna arrivare a 2000°K [10]. L’ulteriore ossidazione a biossido non 
procede poiché è cineticamente e termodinamicamente favorita a bassa temperatura 
(T<130°C). Il monossido di azoto è stabile ad alta temperatura, un lento raffreddamento 
ne favorisce la dissociazione nei reagenti. Al contrario un raffreddamento repentino in 
ambiente ossidante, ne coadiuva l’ossidazione a NO
2
. In condizioni di combustione 
ordinarie e per la maggior parte dei bruciatori, la concentrazione di NO
2
 è minore del 2% 
della somma NO+NO
2 
[11]. 
In caldaia la formazione di NOx termici è influenzata fortemente dalla temperatura della 
fiamma e dal profilo termico dei gas di combustione. La concentrazione di ossigeno ha 
una minore influenza. Il loro contributo rispetto agli ossidi di azoto totali è assai rilevante 
nel caso di combustibili gassosi non contenenti azoto in condizioni di combustione 
stechiometrica o fuel lean.  
Il meccanismo di reazione proposto da Zel’dovich[12], è il seguente: 
 
 
 
 
 
N
2
 + O ↔ NO + N    
N + O
2
 ↔ NO + O   
N + OH ↔ NO + H 
 Per inibire i meccanismi termici una soluzione chiara e immediata, consiste nel creare 
condizioni di temperatura e concentrazione di ossigeno sfavorevoli. I moderni bruciatori 
a bassa emissione di ossidi di azoto si avvalgono di queste semplici ma basilari 
considerazioni. 
 16
- NOx Pronti: 
Si formano per reazione dell’azoto dell’aria comburente con frammenti radicalici degli 
idrocarburi prodotti nello stadio iniziale di pirolisi e ossidazione del combustibile. La 
massima produzione si registra in prossimità della fiamma dove la concentrazione di 
radicali liberi è molto alta. Si formano intermedi azotati, per lo più acido cianidrico, che 
in atmosfera ossidante si trasformano in ossido nitroso-nitrico. Per la rapidità con cui 
questa via viene percorsa, gli NOx cosi generati sono denominati “Pronti”[13]. Le 
costanti cinetiche in gioco sono, infatti, maggiori di quelle attribuibili ai meccanismi 
termici. 
Il contributo degli ossidi d’azoto pronti è rilevante in fiamme a gas o idrocarburi con 
basso rapporto H/C (C
2
H
2
, C
6
H
6
), per le quali la percentuale tra NOx pronti e NOx totali 
può arrivare al 30%. Nel caso di combustibili contenenti azoto (N=1%), a cui si 
applicano tecniche di combustione convenzionale, la percentuale scende sotto il 2%. 
Il Meccanismo proposto per la prima volta da Fenimore[14] è il seguente: 
 
 
 
 
L’acido cianidrico formato potrà essere ossidato a N
2
 o ulteriormente a NO in funzione 
dell’ambiente circostante. 
 
CH• + N
2
 ↔ HCN + N• 
CH
2
• + N
2
 ↔ HCN + NH• 
- NOx da combustibile: 
 Più recentemente rispetto agli altri due casi è stato accertato che, bruciando combustibili 
contenti azoto, se ne ottiene la mobilitazione e trasformazione in cianogeni, 
ossicianogeni e composti ammoniacali che, in atmosfera ossidante, danno ossidi di azoto. 
 IL carbone contiene una percentuale in peso di azoto legato chimicamente che va dallo 
0.2% al 2.5%. Nei primi istanti di permanenza del combustibile in caldaia, l’azoto si 
ripartisce tra la componente devolatilizzata e il char (figura 1.1). Quindi è soggetto a 
varie trasformazioni, secondo le condizioni al contorno, sino a NOx oppure N
2
. 
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