5
Tra gli strumenti metodologici a mia disposizione ho utilizzato l’intervista
narrativa in quanto attraverso il racconto autobiografico è possibile sia
raccogliere le informazioni sia ricercarne il significato. Questo è possibile
rendendo esplicita l’interazione tra le vicende biografiche dei singoli e il
contesto in cui si svolgono. Importante è infatti nell’etnografia
organizzativa conoscere il contesto attraverso la descrizione degli stessi
attori sociali.
Nel terzo capitolo, quindi, parlerò del contesto di riferimento evidenziando
in particolare il processo decisionale adottato dagli operatori. La
descrizione presente in questa sezione riguarda la mia ipotesi sul
funzionamento della struttura dopo i sei mesi di tirocinio. Secondo l’ipotesi
esposta il processo decisionale è un incontro tra le valutazioni degli
operatori, l’utente con le sue richieste e gli ostacoli o le facilitazioni dei
servizi esterni al Centro.
Procederò poi nel quarto capitolo con l’analisi delle interviste narrative
somministrate ai quattro operatori del Centro.
Il concetto principale condiviso dagli operatori è l’enfatizzazione del lavoro
d’equipe evidenziando il valore che viene dato alla riflessione sia
individuale ma specialmente collettiva. Quindi la condivisione di tutte le
decisioni prese sia riguardo gli utenti che la filosofia d’intervento della
struttura stessa. Questo coincide quindi con l’ipotesi sostenuta in questo
lavoro che vede il processo decisionale come un momento collettivo,
contestualizzato e condiviso.
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Cap. I La psicologia culturale.
L’approccio teorico di riferimento di questo lavoro è la psicologia
culturale, con un approfondimento della psicologia culturale delle
organizzazioni.
Il motivo della scelta è intrinseco all’ argomento stesso che affronta la
cultura come fattore di mediazione all’interno del sistema di significati.
Significati che vengono continuamente negoziati e condivisi dalla
comunità, di particolare importanza è il significato delle azioni e delle
pratiche quotidiane agite dagli attori sociali all’interno delle organizzazioni.
1.1 La storia.
1.1.1 Il contributo antropologico.
È possibile individuare una serie di presupposti teorici che hanno costruito
le basi per la psicologia culturale. In particolare è importante il riferimento
all’antropologia psicologica e all’antropologia cognitiva.
La nascita dell’antropologia psicologica risale intorno agli anni venti-
trenta quando iniziarono una serie di ricerche centrate sui rapporti tra
personalità e cultura utilizzando concetti psicoanalitici. Studiosi come
Mead, Benedict, Linton inquadrarono la loro analisi su specifiche culture
che portò ad influenzare gli studi della “psicologia cross- culturale” che
esaminava le somiglianze e le differenze tra le culture.
Cercando di affrontare il tema della variabilità culturale, l’antropologia
cognitiva ha definito la cultura come un sistema cognitivo idealizzato che
esiste nella mente dei membri di una società e che essi usano per orientarsi,
confrontarsi, discutere, definire, categorizzare e interpretare il
comportamento sociale nella loro società.
7
È lo strumento attraverso il quale i membri di una società generano un
comportamento appropriato e interpretano appropriatamente quello altrui
(Casson, 1994)
1
. Il presupposto è quindi che ogni individuo costruisce un
modello personale della propria cultura che è solo in parte condiviso con
gli altri membri, dovuto a un patrimonio biologico diverso, storie personali
uniche e ruoli diversi all’interno della società.
1.1.2 Il contributo psicologico.
Cronologicamente parlando il primo contributo è quello di Wundt che parlò
di due psicologie: una naturalistica e sperimentale che studia la mente
individuale e una popolare e descrittiva che studia i prodotti culturali.
Meritevoli di annotazione sono anche Mead e Goffman. L’importanza di
Goffman risiede nell’aver dato rilievo al ruolo degli atti quotidiani, anche
banali, della vita sociale, una vita quotidiana intesa come rappresentazione
teatrale.
Un ruolo rilevante è il concetto teorizzato da Mead di “altro generalizzato”,
ovvero un insieme socialmente connotato, una comunità o un gruppo con il
quale l’individuo interagisce, negozia e costruisce il sé e i significati della
realtà.
Uno dei maggiori contributi però arriva dalla Scuola-Culturale sovietica
vygotskiana. Il costrutto centrale è che lo sviluppo delle funzioni psichiche
superiori dipende da variabili storiche e culturali, non esistono processi
psicologici indipendenti dalla mediazione esercitata dalla cultura. La
cultura è definibile come l’insieme degli strumenti di mediazione e degli
artefatti, formati entrambi dalla storia delle interazioni tra gli attori sociali e
condivisi, negoziati e modificati.
1
Ct in Smorti, 2003
8
In quest’ottica risulta quindi impossibile un’analisi individuale, in quanto si
rischia di sottovalutare il processo d’interazione sociale e di condivisione di
significato attraverso il quale è possibile spiegare e descrivere il
comportamento degli individui all’interno dei contesti sociali. L’analisi del
processo di interazione sociale, secondo Vygotskij, deve essere centrata sul
ruolo del linguaggio e sul processo di simbolizzazione e condivisione dei
significati collettivi. Secondo Vygotskij, il linguaggio è sociale sia come
prodotto dell’interazione tra gli attori sociale e sia come strumento di
mediazione culturale dello sviluppo delle funzioni cognitive.
Un esponente della Scuola-Culturale, anche se nostro contemporaneo, è
Cole. La sua tesi, in linea con i principi vygostkiani, parte dal presupposto
che tutti i processi psichici emergono dalle attività pratiche culturalmente
mediate. Secondo Cole, i principi fondamentali della Psicologia Storico-
culturale sono costruiti intorno a tre concetti chiave: la mediazione
attraverso gli artefatti, lo sviluppo storico e l’attività pratica. Spostandosi
dalla Psicologia Cross- culturale che aveva come unico obiettivo quello di
identificare leggi comportamentali che potessero, in modo predittivo,
fornire termini di paragone tra differenti popolazioni, e muovendosi nella
prospettiva della scuola vygostkiana, Cole elencò alcuni capisaldi necessari
per la Psicologia Culturale:
• L'azione è mediata all'interno del contesto.
• L'analisi dell'essere umano nel suo contesto deve essere basata sugli
eventi quotidiani.
• Quella che noi chiamiamo "mente" non appartiene al singolo
individuo, ma è una costruzione socio-culturale: essa è il risultato di
processi di interazione tra persone.
• Le persone sono "agenti attivi" delle loro azioni, non passivi, pre-
determinate e succubi di processi psichici da cui sarebbero
manovrati come marionette senza volontà; nondimeno le situazioni,
9
in cui gli uomini agiscono, non sono completamente determinate da
essi.
• La Psicologia Culturale rigetta l'adozione di relazioni causa-effetto e
stimolo-risposta, come modello scientifico per "penetrare" la natura
umana, rimpiazzandole con una scienza che "ponga in rilievo la
natura emergente della mente nell'attività e che riconosca un ruolo
centrale all'interpretazione all'interno della propria struttura
esplicativa"
• La Psicologia Culturale deve attingere i suoi strumenti sia dalle
discipline classiche sia dalle scienze sociali e biologiche (Cole,
1996)
2
.
Un altro importante contributo alla psicologia culturale è sicuramente
quello di Bruner.
Per l’autore la cultura è quel sistema di strumenti volti all’attribuzione di
significati che permette agli individui di comunicare, perpetuare e
sviluppare la loro conoscenza e i loro atteggiamenti verso la vita. Bruner,
quindi, evidenzia la circolarità dinamica fra mente e cultura, di
conseguenza mentre l’uomo costruisce il proprio sé interiorizzando i
simboli del sistema culturale, contemporaneamente contribuisce alla
modificazione della stessa cultura attraverso il proprio intervento
interpretativo.
D’accordo con Vygotskij identifica nel linguaggio, ed in particolare nella
narrazione, il mezzo simbolico per eccellenza attraverso cui gli individui
comunicano e interagiscono. Il significato simbolico dipende dalla capacità
umana di interiorizzare un tale linguaggio e di usare il suo sistema di segni
come un interpretante nella relazione rappresentativa (Bruner, 1990).
2
ct in Panza 2006
10
Inoltre Bruner, auspicando un suo utilizzo negli studi di psicologia
culturale, ha definito che alla base di quest’ultima ci fosse la psicologia
popolare, ovvero quell’insieme di credenze e aspettative della gente, il
modo attraverso il quale una cultura spiega il comportamento degli esseri
umani, il senso comune.
Quindi per Bruner la psicologia culturale è una psicologia interpretativa,
una psicologia che individua le regole che gli esseri umani applicano nel
creare significati all’interno di contesti culturali. Questi sono sempre dei
contesti di pratica: è sempre necessario chiedersi che cosa le persone fanno
o tentano di fare in quel contesto (Bruner, 1990).