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pericolose, come quelle che causavano epidemie (difterite, epatite, vaiolo), sono state 
inventate nuove cure, si sono avuti enormi progressi in ambito chirurgico; tutto ciò ha 
permesso un allungamento della vita media delle popolazioni dei Paesi industrializzati. 
Si è giunti dunque ad uno stravolgimento del punto di vista adottato fino ad allora: 
diventa centrale l’importanza del mantenimento dello stato di salute, non solo la lotta 
alla malattia. Infatti, mentre le malattie più pericolose vengono sconfitte ne nascono di 
nuove, come l’AIDS, e aumenta l’incidenza delle patologie causate da un errato stile di 
vita e da fattori ambientali, come cardiopatie, diabete e neoplasie.  
La salute diventa dunque benessere, comprensivo di tutti i livelli dell’essere umano, non 
solo quello fisico: il benessere si esprime da un punto di vista mentale, sociale e 
spirituale, oltre che nella salute del corpo.  
 
È necessario pensare a tutti questi fattori – che ho voluto fin qui delineare in modo 
estremamente sintetico – per capire i cambiamenti che stiamo vivendo oggi nell’ambito 
dei consumi, in una realtà economica sempre più caratterizzata da un’eccedenza di 
merce, in cui l’offerta supera la domanda, e i consumatori diventano sempre più oculati 
e attenti a quello che acquistano. Il benessere si rispecchia in ciò che si possiede, ma 
anche e soprattutto in ciò che si è: il cliente infatti non vuole più solo usufruire di un 
servizio o acquistare un oggetto, vuole sentirsi unico e vuole fare nuove esperienze. In 
questo ambito il marketing e le tecniche di vendita diventano una vera e propria scienza 
del benessere: studiano i consumi, acquisiscono stili di vita, inventano nuovi processi di 
vendita e di acquisto.  
 
 
 
 
 8 
Parte I 
Analisi dell’attualità 
 
 
1. L’evoluzione del concetto di salute e malattia 
nell’era del benessere 
 
1.1. Il concetto di malattia nell’antichità 
 
Ippocrate, universalmente riconosciuto come il padre della medicina, opera in Grecia e 
Asia Minore presumibilmente intorno al 400 a.C. A lui, ai suoi studi e alla sua scuola va 
l’indiscusso merito di riconoscere, o cercare di riconoscere le cause delle malattie con 
un metodo che si potrebbe definire pre-scientifico. Prima di Ippocrate infatti lo stato di 
malattia era considerato direttamente dipendente da forze ignote e sovrannaturali, la 
guarigione doveva dunque arrivare da quelle stesse forze. Esemplificativo di quest’età 
antica è il mito di Esculapio, dio della medicina, che tratta di un’età in cui medicina e 
religione erano indivisibili e i malati si recavano al tempio di Esculapio, 
presumibilmente in luoghi di natura accogliente e salubre (spesso vicino a ruscelli o 
acque termali) e lì venivano curati da sacerdoti-medici. Questi ricevevano le indicazioni 
su come curare i pazienti in sogno, entrando in contatto con il dio, che gli comunicava 
cosa era meglio fare. In questo quadro erano ovviamente compresi gli ex voto e i 
sacrifici, sempre (o quasi sempre) ripagati da una visita in sogno del dio e da un rimedio 
che molto spesso riguardava semplicemente un cambiamento di stile di vita (dieta, 
attività fisica) o una cura depurativa.  
 
Ippocrate, prima di chiunque altro, insegna ad ignorare la possibile esistenza di una 
divinità o di un’influenza mistica sulle cause e sulla cura della malattia. La malattia non 
 9 
viene più attribuita a cause trascendenti la capacità di comprensione del medico e la 
situazione complessiva in cui si presenta la malattia deve essere ritenuta un fattore 
importante quanto la stessa manifestazione morbosa. 
Non ci sono dati certi sull’esistenza reale di Ippocrate e il Corpus hippocratium, l’opera 
che riunisce gli scritti relativi alla medicina ippocratica sono sicuramente un insieme di 
scritti di varia natura provenienti da più autori. Ma le linee guida della medicina 
ippocratica sono chiare e sicuramente illuminanti, se si considera il periodo storico in 
cui sono state stilate.  
Con i medici ippocratici comincia a svilupparsi la medicina come la conosciamo noi. 
Con un brusco divorzio dalla superstizione e dagli appigli mistici, la medicina 
ippocratica si dedica alla sistematica osservazione dei disordinati processi vitali e si 
impegna su una serie di principi etici che definivano gli obblighi primari del medico 
verso il paziente, formando la base su cui avrebbe poggiato il successivo sviluppo del 
pensiero medico.1 
 
L’osservazione diretta, quasi un metodo scientifico ante litteram, e il tenere in conto gli 
aspetti specifici ed individuali del paziente fanno della medicina ippocratica il più 
importante pilastro della medicina odierna. Un aspetto molto interessante a questo 
riguardo è il notare che la medicina ippocratica, anche detta scuola coana (dalla città di 
Coo dov’era nata), aveva una rivale sull’opposta penisola di Cnido, che praticava una 
forma di medicina in certo qual modo più simile alla nostra che a quella dei medici di 
Coo. Infatti l’interesse centrale della scuola di Cnido era la malattia, mentre quello di 
Ippocrate era il paziente. I medici cnidi, come quelli di oggi, erano riduzionisti, si 
focalizzavano sul particolare impegnandosi soprattutto per classificare il processo di 
malattia e formulare una diagnosi precisa; cercavano quindi di individuare gli specifici 
disturbi locali di un organo che causavano i sintomi da loro catalogati con estrema 
precisione. È chiaro il motivo per cui questa scuola non poté avere il seguito che ebbe 
quella ippocratica: non c’erano ancora le conoscenze tecnico-anatomiche necessarie. La 
precisione delle diagnosi non aiuta il paziente se non è seguita da una terapia specifica 
che era semplicemente non immaginabile ai tempi.  
                                                 
1
 Sherwin B. Nuland, Storia della medicina. Dagli antichi greci ai trapianti d'organo, Mondadori, 1992 
 10 
I medici ippocratici vedevano invece la malattia come un evento che si verifica nel 
contesto della vita del paziente nel suo complesso, e orientavano la terapia al 
ristabilimento delle condizioni e delle difese naturali del paziente, convinti che la natura 
avesse già tutti i mezzi per ristabilire l’equilibrio perduto. La natura, per il medico 
ippocratico, è infatti formativa, costruttiva e terapeutica: il corpo umano tende a guarire 
da solo. Solo in determinate circostanze gli agenti patogeni riescono a vincere la 
naturale tendenza dell’organismo a ristabilire i ritmi riequilibratori della salute. Ed è in 
questo caso che il medico ippocratico deve intervenire: “Aiutare o, quantomeno, non 
nuocere”, che è quel principio che diverrà: Primum non nocere.  
 
L’approccio di Ippocrate alla malattia si può dunque definire clinico e sostanzialmente 
olistico. Il termine clinico deriva dal greco kline (κλίνη), divano o letto, ed è quindi 
entrato in uso in riferimento alla posizione distesa del paziente. Clinico è ciò che ha a 
che fare con i pazienti e le loro malattie, in contrapposizione a scienza pura: è la 
medicina che si svolge al capezzale del malato. È molto interessante sottolineare che le 
persone che vengono curate sono note come pazienti (dal latino patior, “patisco”), ma 
potrebbero benissimo essere chiamate clienti, altra parola che deriva da kline. 
 
 
1.2. Dal metodo scientifico alla nascita della moderna 
farmacologia 
 
La storia della farmacocologia viaggia in parallelo con la storia del metodo scientifico: 
da sempre l’uomo ha avuto a che fare con le piante e ne ha studiati gli effetti, ma solo 
verso il 1600 ci si è chiesto perché e come certe sostanze agissero sull’organismo. In 
tempi antichi, come si è visto, la mitologia non era separata dalla scienza, e le credenze 
superavano di gran lunga qualsiasi dato sperimentale.  
Le componenti metodologiche fondamentali del metodo scientifico sono: deduzione, 
induzione (riproducibilità e verifica degli esperimenti) e tassonomia (componente 
classificatoria e descrittiva). È Ippocrate che getta le basi al moderno metodo scientifico 
in ambito medico, dando importanza fondamentale allo studio dei sintomi e alla ricerca 
 11 
delle cause. La medicina ippocratica segna il definitivo distacco dall’idea che la malattia 
fosse originata da motivi soprannaturali, ma si scontra su grandi limiti.  
Infatti, Ippocrate e poi successivamente Galeno (scienziato e medico del II secolo d.C.) 
gettano le basi della medicina che si studia ancora oggi, ma bisognerà aspettare fino al 
1600 affinché gli studi di anatomia diano dei risultati che è possibile applicare in ambito 
medico. Prima di allora infatti si conosceva ben poco l’anatomia umana, poiché era 
proibito sezionare i cadaveri, e ci si rifaceva principalmente agli studi sugli animali. Le 
idee sulla circolazione del sangue e su altri aspetti anatomici dell’organismo umano 
erano approssimative e molto spesso completamente errate. Inoltre, non si erano ancora 
capite le cause delle malattie, né che queste potevano colpire anche solo un singolo 
organo e si dovrà aspettare il 1878 per capire che le malattie possono essere causate da 
microrganismi. 
 
Nel 1600 l’evoluzione delle tecnologie permette l’applicazione del metodo scientifico 
anche alla farmacologia: tra i due secoli successivi vengono compiuti numerosi studi, 
tentativi e sperimentazioni di erbe e prodotti naturali sugli animali, analizzandone e 
registrandone gli effetti. Alla fine del 1700 si scopre l’efficacia di inoculare il virus 
inattivo di una malattia per immunizzarsi dalla stessa (il vaiolo) e la vaccinazione 
diviene una realtà prima per le truppe impegnate in guerra, poi per tutta la popolazione.  
All’inizio dell’’800 gli anestetici permettono di operare i pazienti senza che questi 
sentano dolore, e poco tempo dopo anche gli antipiretici diventano una realtà. 
  
Il ‘900 è il secolo delle grandi scoperte scientifiche in molteplici ambiti, tra cui anche 
quello della farmacologia. La prima vera rivoluzione si ha con la scoperta/invenzione 
dei sulfamidici, gli antibiotici che guariscono le infezioni da pneumococco che causano 
la polmonite; successivamente la penicillina che sconfigge le infezioni batteriche 
causate da gram positivi. Finalmente si riescono a sconfiggere molte malattie di cui 
prima non esisteva cura. I farmaci diventano fondamentali in guerra, dove vengono 
pagati e ricercati quanto le armi.  
Negli anni ’50 vengono effettuati i primi studi farmacologici, che consistono nelle 
prime sperimentazioni in cieco e nello studio dell’effetto placebo. Negli anni ’60 le 
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classi di farmaci si ampliano ulteriormente, andando a comprendere gli anti-ipertensivi 
(diuretici e beta-bloccanti).  
 
È intorno al 1950 che avviene un’altra rivoluzione in ambito farmacologico e medico: 
nascono i farmaci antidepressivi e sedativi: non si cura più solo il corpo, ma anche la 
mente. Negli anni a cavallo tra il 1950 e il 1960 si assiste ad una trasformazione 
radicale, una rivoluzione la cui portata è paragonabile, per i suoi effetti, solo a quella 
degli antibiotici nel campo delle infezioni. Ma questa rivoluzione è ben diversa nei suoi 
termini caratteristici: si ammette che la mente può ammalarsi e dunque, come tale, può 
essere curata. Questo passaggio ideologico è tutto meno che scontato: la malattia della 
mente infatti non si vede ed è di difficilissima analisi, i sintomi possono essere diversi 
tra loro, e le cure sono di complicata definizione. I farmaci antidepressivi agiscono sulla 
ricaptazione di amine biogene (adrenalina, noradrenalina e dopamina) permettendo così 
ai pazienti che avevano manifestato apatia, astenia, scarsa autostima e propositi suicidi, 
di sentirsi di nuovo bene. Il Prozac, un inibitore selettivo della serotonina immesso in 
commercio nel 1987, diventa nel giro di quattro anni il secondo farmaco più venduto al 
mondo. Le benzodiazepine, la classe di farmaci ipnotico-ansiolitici che va ad agire 
come miorilassante, ansiolitico e sedativo a seconda delle dosi assunte, viene 
sintetizzata in contemporanea con gli antidepressivi, e come questi ultimi diventano un 
vero successo commerciale: Valium e Xanax sono tuttora alcuni dei farmaci più 
prescritti ed acquistati nel mondo. L’uso degli psicofarmaci è diventato una 
caratteristica sociale peculiare degli ultimi 60 anni: una società che apparentemente ha 
tutto si vede a rincorrere un benessere individuale che pare irraggiungibile.  
 
Il passaggio dunque è chiaro: dalla cura del corpo alla cura della mente. Entrambe 
devono essere sane per garantire il benessere dell’individuo, entrambe possono essere 
curate: la salute diventa un concetto ampio, non più caratterizzato dall’assenza della 
malattia, ma dal benessere e dall’equilibrio di tutti gli aspetti della persona.