8
suoi effetti- nella dinamica sociale complessiva” ( Sarpellon, 
1983).
1
 
 La prima parte della mia tesi è dedicata ad un excursus storico 
della letteratura sociologica relativa al fenomeno della povertà, 
per individuare le diverse definizioni del concetto che sono 
state proposte nel corso del tempo sia in Europa che negli Stati 
Uniti.  
I primi studi sulla povertà sono stati condotti nella seconda 
metà del XVIII secolo in Inghilterra e poi in Francia, solo nel 
1953 si affermeranno anche in Italia.  
L’Inghilterra è il bacino di numerose inchieste sociali e 
giornalistiche che  ruotano intorno al concetto di miseria e 
povertà.  
Buret,  Engels, Mayhenw , Booth con i loro lavori mostrano gli 
effetti devastanti della rivoluzione industriale. Se la città 
diventa, da un lato “centro commerciale, industriale, di 
cultura, incrocio di collegamenti viari, ferroviari e marittimi, 
nella quale immaginario e realtà individuale si sommano 
nell’angoscia e nella positività dell’esistenza”
2
 ( Dreiser, 
                                                 
1
 G. Sarpellon, Rapporto sulla povertà in Italia. La sintesi della grande 
indagine Cee, Angeli, Milano 1983, p. 23  
2
 T. Dreiser, Il Titano (New York 1925), Einaudi, Torino 1976, p.15. 
 9
1976), dall’altro lato emergono anche le Work-house. Queste 
ultime erano case di lavoro in cui venivano ospitate tutte le 
persone che a quel tempo si erano trasferite in città in cerca di 
benessere, e che si accontentavano di vivere in condizioni 
misere, nella speranza di cambiare stile di vita.  
Una realtà che si cercava di rendere invisibile perché non era 
all’altezza delle nascenti metropoli simbolo di modernità.  
 Con la Scuola di Chicago, che adotta nei propri studi la “teoria 
di ecologia urbana”,  le città verranno analizzate come ambienti 
sistematici, proprio come se fossero altrettanti sistemi 
ecologici. Questa teoria, fondata su  approcci darwinisti di tipo 
evolutivo, secondo i quali la competizione selezionava alcune 
caratteristiche urbane, nel corso del tempo permise di 
enfatizzare la competizione tra diversi gruppi sociali ed etnici 
per lo spazio e le risorse ed i processi che conducevano alla 
formazione di nicchie ecologiche omogenee di particolari 
settori della popolazione. Via via che i settori della popolazione 
si arricchivano abbandonavano il centro, nel quale restavano 
aree di deterioramento urbano e sociale e ai margini zone più 
ricche. In tale modo si cercava attraverso questo modello di 
spiegare i social problems dell’epoca che erano soprattutto la 
 10
disoccupazione, la criminalità e il vagabondaggio tutte forme 
di povertà. 
Anche l’Italia fu investita dall’ondata di studi e ricerche sociali 
intorno al tema della povertà, soprattutto all’indomani del 
secondo conflitto mondiale, quando la Camera dei deputati nel 
1953-54 decise di promuovere un inchiesta condotta dalla 
Commissione parlamentare. L’obiettivo era quello di valutare 
le condizioni di povertà e di miseria presenti in Italia 
all’indomani del dopoguerra, per individuare la politica più 
idonea per combattere tale piaga che  caratterizzava gran parte 
del territorio italiano. Dopo anni di inattività, l’interesse da 
parte di sociologi sul tema della povertà in Italia si riaccese 
solo negli anni ’70. 
Dopo l’illusione del boom economico, il nostro paese fu 
colpito da un periodo di recessione dovuto a un aumento 
dell’inflazione.  In questo periodo, come accennavo, furono 
molti i sociologi che ritornarono ad occuparsi di povertà. Le 
varie teorie e definizioni del fenomeno sono state raccolte nel 
secondo capitolo da cui è risultato il quadro concettuale, che ha 
costituito la base di partenza dei nuovi studi in materia. È nel 
1977 che Giovanni Sarpellon afferma, sulla rivista di 
sociologia militante “ Promozione sociale”, che si stava 
 11
assistendo ad una “riscoperta della povertà”. Il sociologo 
sottolinea che il carattere biblico della povertà, inteso come 
privazione di bisogni non solo economici ma anche relativi ad 
ogni altro aspetto delle condizioni di vita, non era cambiato 
nonostante si fosse affermata la società del benessere. In 
quest’ultima, infatti, era stato elaborato il concetto di “povertà 
post-materialistica”
 3
, una nuova interpretazione del fenomeno 
che,  della povertà tradizionale, conservava solo l’idea di 
privazione, ma che si riferiva secondo il sociologo non più ai 
bisogni materiali, ma a bisogni di tipo psicologico e 
relazionale
4
.  
Ancora una volta furono stilati una serie di rapporti sulla 
povertà e sull’emarginazione sociale. Nel Secondo Rapporto, 
che era parte integrante di una triade di lavori del primo 
triennio di attività della Commissione d’indagine sulla povertà 
e sull’emarginazione, istituita dalla legge n. 354 del 22 
novembre del 1990,  furono individuate tutte quelle forme di 
povertà estreme, intendendo con tale termine tutti quei gruppi 
                                                 
3
 L’attenzione alla povertà “post-materialista” fu introdotta in Italia dal 
Censis, il quale fece eco ad un’indagine condotta in Europa all’interno del 
primo programma d’azione contro la povertà realizzato dalla Commissione 
delle Comunità Europee. Cfr. Censis, Sondaggio sulla povertà, Roma 1979. 
4
 G. Sarpellon, <<Ripensare alla povertà. Dall’oblio all’abuso, ovvero da 
Giobbe a Sisifo>> in M. Palumbo (a cura), Classi e disuguaglianze e 
povertà: Problemi di analisi, Angeli, Milano 1993, pp.406-427 
 12
di  persone la cui condizione si avvicinava al concetto di 
povertà assoluta perché non iscritti all’anagrafe o difficilmente 
raggiungibili attraverso le rilevazioni.  Tra questi gruppi 
figurano anche le persone senza fissa dimora oggetto della 
mia analisi. Il  terzo capitolo è interamente dedicato all’analisi 
concettuale della tipologia, nonché all’individuazione dei 
fattori che possono condurre a tale forma di esclusione sociale. 
Il senza fissa dimora costituisce un dato sociale in forte 
aumento, tipico dei paesi ricchi, compresa l’Italia. 
Dalla sua individuazione, all’inizio degli anni Novanta, 
quest’ultima categoria si è affermata  non come un fenomeno 
isolato ma come una nuova realtà, o meglio come una moderna 
variante del barbonismo, con caratteristiche che riflettono i 
problemi della società post-moderna. 
È quello che si cerca di evidenziare nel quarto e ultimo capitolo 
di questo lavoro. In particolare, l’attenzione si concentra sulla 
definizione del concetto di dimora, perché non indica solo il 
problema relativo alla  stabilità e alla mancanza di una dimora, 
ma deve essere intesa  anche come assenza  di uno spazio per il 
Sé
5
.  
                                                 
5
 G. Pieretti, << Povertà e povertà estreme: elementi di discussione per il 
servizio sociale>>, in C. Landuzzi, G. Pieretti ( a cura di ), Servizio sociale 
 13
È alla fine degli anni 70 che anche in Italia, grazie al lavoro del 
Censis, si comincia a parlare di “povertà post-materialistica”, 
un problema che si inasprisce col passare del tempo.   
 Non dobbiamo identificare il nuovo senza dimora, con la 
figura tradizionale del barbone classico, più nota come 
clochard, che ha un età media intorno ai 60 anni e che, per 
libera scelta, decide di isolarsi dal corpo sociale. Ma allora, chi 
sono i nuovi poveri? Quali sono i fattori che contribuiscono 
allo sviluppo di una nuova forma di povertà che, non 
sostituendole, si affianca a quelle classiche?  
È possibile individuare delle costanti in queste nuove figure di 
povero che permettano di parlare di nuove tipologie? 
Il mio lavoro si pone l’obiettivo di indagare le povertà forse 
atipiche per fornire adeguate risposte ai quesiti sopra elencati, 
adottando l’intervista qualitativa come strumento metodologico 
di indagine. Il mio interesse per l’argomento nasce dalla 
preoccupazione, per me giustificata, che questa classe è 
formata da individui  il cui passato non è segnato da 
emarginazione, precarietà, esclusione o da un rapporto precoce 
con carcere, manicomio o qualsiasi altra struttura di assistenza. 
                                                                                                       
e povertà estreme. Accompagnamento sociale e persone senza dimora, 
FrancoAngeli, Milano 2003 
 14
Si tratta di persone che avevano una vita stabile con un lavoro, 
una famiglia, quindi un passato da integrati che da un giorno 
all’altro si è trasformato in un presente di strada. È un 
fenomeno globale che ha come epicentro di diffusione ancora 
una volta gli Stati Uniti.  
È, infatti, un fenomeno che si inasprisce in particolare dopo gli 
avvenimenti dell’11 settembre 2001, che hanno contribuito ad 
una massiccia diffusione del fenomeno e all’individuazione dei 
cosiddetti “ homeless in cravatta” o “ homeless cheek-to- 
cheek” come sono stati definiti da Usa Today.  Jobless 
diventati improvvisamente homeless: niente più soldi per 
pagare affitti o mutui, costretti a lasciare la casa e a dormire 
dove capita
6
. Sono questi i nuovi poveri, frutto di una diffusa 
vulnerabilità figlia di quella stessa società che dovrebbe 
garantire sicurezza e stabilità, e che invece sembra creare e 
riprodurre sempre di più “nuovi rischi sociali”. 
                                                 
6
 M.Marozzi, Homeless con cravatta. I nuovi poveri d’America, pubblicato 
su La Repubblica.it il 13/08/2003, reperibile su: http://www.repubblica.it 
 15
CAPITOLO I 
 
LA POVERTÀ NELLE RICERCHE CLASSICHE 
 
 
Premessa 
 
“Una corretta analisi del fenomeno sulla povertà richiede 
che già in sede di definizione la povertà non venga 
considerata come situazione individuale […] ma come un 
processo sociale particolare, parte di quella rete di 
relazioni che reggono i rapporti sociali complessivi, che 
trova origine – ed esplica i suoi effetti- nella dinamica 
sociale complessiva”.
7
  
 
Così Sarpellon circoscrive il problema dell’indagine sul 
fenomeno, quello della povertà che si presta a molte 
interpretazioni. Possiamo indagare il fenomeno sotto diverse 
angolature senza riuscire a compiere un’analisi esauriente. 
Come ha sottolineato Martinelli:  
 
“la povertà può essere ritenuta una condizione presente in 
numerose società umane, può presentarsi come fenomeno di 
                                                 
7
 G. Sarpellon, Rapporto sulla povertà in Italia. La sintesi della grande 
indagine Cee, Angeli, Milano 1983, p. 23  
 16
massa in circostanze legate a mancanza di risorse collettive, 
più spesso riguarda individui e gruppi sociali in situazioni 
di ineguaglianza rispetto ad altri”.
8
 
 
Ma chi è il povero? 
 
Solo attraverso una ricostruzione per tappe della letteratura 
sociologica in materia si potrà essere in grado di definire e 
circoscrivere il fenomeno nell’ attuale società, concentrandosi 
su una delle sottocategorie del fenomeno: gli Homeless. 
Sarebbe poco esauriente indagare su una categoria specifica, 
tralasciando la contestualizzazione storica e sociologica del 
fenomeno più ampio. 
Si opererà di seguito un’analisi degli studi principali che hanno 
alimentato tale letteratura per poi passare alla definizione e 
concettualizzazione dell’oggetto della mia analisi: i “nuovi” 
senza dimora. 
                                                 
8
 F. Martinelli, Senza ambiente sociologia della povertà, Liguori Editore, 
Napoli 1995, p. 17 
 17
1.1 Le prime ricerche. 
 
L’interesse sulla riflessione scientifica sulla povertà conosce 
un’accelerazione solo nella seconda metà del XVIII secolo, in 
Francia e in Inghilterra, come risposta alle preoccupazioni 
derivanti dallo sviluppo del capitalismo industriale e più 
specificatamente dalla prima rivoluzione industriale.  
Molti autori, sociologi e filosofi del tempo si interessarono ai 
temi della marginalità e della disuguaglianza come effetti del  
processo di modernizzazione rapida quanto disarticolante gli 
assetti tradizionali  della società.
9
 
 
1.2 La povertà in Inghilterra: gli studi di Eugène Buret 
 
Uno dei contributi più interessanti per l’indagine sul fenomeno 
è costituito dall’opera di F. Engels La situazione della classe 
operaia in Inghilterra
10
. Nel testo, pubblicato in tedesco nel 
1844-45, si mettono in luce gli effetti negativi della rivoluzione 
industriale che si sono riversati sulla classe operaia, e che 
                                                 
9
 F. Crespi, P. Jedlowski, R. Rauty, La sociologia, Editori Laterza, Roma 
2000, p. 234 
10
 F. Engels, Die Lage der arbeitender Klasse in England, Lipsia 1845, tr. 
It. Mongini, Milano 1902; Editori Riuniti, Roma 1955 
 18
verranno approfonditi successivamente. E’ opportuno, infatti, 
soffermarsi prima su un opera meno nota ma altrettanto 
importante quale La misère des classes laborieuses en 
Angleterre en France
11
  (1840), l’ampio volume di economia 
politica di Eugène Buret  . Entrambi gli studi figurano tra le 
prime inchieste sociali condotte con lo strumento 
dell’osservazione diretta e con il ricorso a  fonti dirette, e in 
particolare l’opera di Buret si fonda su documenti diretti e 
sull’osservazione personale. Ne La miseria delle classi 
lavoratrici  Buret  opera una comparazione tra l’Inghilterra 
ricca e l’Inghilterra povera dei ghetti descrivendone così i 
contrasti:  
 
La superba metropoli dei tre regni ( Londra) e città fiorenti 
come Liverpool, Leeds ect. Racchiudono vasti quartieri, il 
cui orribile aspetto è molto più difficile da descrivere che 
non la magnificenza così giustamente ammirata di quelle 
città opulente. Ogni grande città d’Inghilterra ha un vero 
Ghetto, un  quartiere maledetto dove la miseria è esposta 
alla berlina. A Liverpool, che mostra all’ammirazione del 
viaggiatore strade intere di palazzi e il porto più ricco del 
mondo, la parte inferiore del popolo marcisce nelle cantine; 
a Londra, la meraviglia delle città per l’eleganza delle 
                                                 
11
 E. Buret, De la misère des classes laborieuses en Angleterre et en 
France, 1840, in Cours d’économie politique, Société typographique belge, 
Bruxelles 1939. 
 19
abitazioni e la salubrità delle strade, i poveri sono 
ammassati in baracche infette, fatiscenti, costruite in vicoli 
immondi, disposte sui corsi stretti e qualche volta sorte a 
caso, qua e là, su terreni coperti da immondizie, senza 
strade tracciate, senza illuminazione né pavimentazione e 
dove le acque, sature di materiali vegetali e animali in 
putrefazione, fermentano all’aperto, formando qua e là dei 
ruscelli, dei fossi e perfino delle vere paludi!”  
 
E continua dicendo: 
 
 “ Certe strade di Londra mi hanno presentato uno 
spettacolo molto disgustevole dei nostri più sporchi villaggi, 
in cui ogni capanna è però fornita di letamaio: ho visto case 
costruite in mezzo a vere fogne circondate, a modo di 
giardini, di un letamaio di escrementi di porco”
12
. 
 
Lo sviluppo della triste realtà dei ghetti, nelle opulenti città 
inglesi, fu la diretta conseguenza, probabilmente inevitabile, 
dell’urbanizzazione. La  monarchia cercò di gestire l’esodo  
dalle campagne alle città, nella speranza di contenerne le 
conseguenze, facendo costruire un grande numero di  
Work-houses, ovvero case di lavoro in cui venivano ospitate 
tutte le persone che a quel tempo si erano spostate in città in 
cerca di benessere.  
                                                 
12
 E. Buret, op. cit., Libro I, p.476. 
 20
All’epoca dell’inchiesta di Buret si contavano 585 case di 
lavoro che l’autore definisce:  
 “[…] un severo mezzo di repressione e quasi strumento di 
pena […] Ospizio per i vecchi e gli infermi, vero e proprio 
deposito di mendicità, per i poveri validi, per coloro che la 
mancanza di lavoro o l’insufficienza  del salario 
costringono a ricorre alla carità, essa non è un asilo ma 
una casa di pena”
13
. 
 
La Work-house costituiva, paradossalmente, una conquista 
sociale dei poveri, ottenuta con l’emanazione della Poor Law. 
Fino al 1601, anno dell’emanazione della Poor Law , i poveri e 
i vagabondi erano considerati dei criminali e per questo trattati 
come tali. Per comprendere le condizioni di vita dei poveri è 
sufficiente citare alcuni esempi. 
Nel 1547 sotto il regno di Edoardo VI fu emanato uno statuto, 
abolito poi nel 1549-50, nel quale si stabiliva che qualsiasi 
uomo o donna che viveva senza fare nulla per tre giorni e che 
fosse stato trovato a vagabondare, doveva essere arrestato, e gli 
si doveva imprimere sul petto la lettera V ( vagabondo) con un 
ferro infuocato e ceduto come schiavo per due anni a colui che 
lo aveva fatto arrestare.  
                                                 
13
 E. Buret, op. cit., Libro I, p.740. 
 21
Quest’ultimo doveva nutrire il vagabondo a pane ed acqua e 
percuoterlo affinché lavorasse. Nel caso in cui nessuno avesse 
voluto tenere il vagabondo come servitore, il prigioniero 
veniva marchiato sul suo petto con la lettera S ( schiavo). 
Successivamente veniva  ricondotto nel luogo di nascita dove 
veniva tenuto in catena e messo in vendita. 
Il vagabondo era considerato al pari di una merce o di un 
animale. Un primo passo in avanti fu compiuto durante il regno 
di Elisabetta, quando la condizione del povero cominciò a 
cambiare.  La monarchia concentrando sia il potere dello stato 
che della chiesa anglicana, impose che l’esercizio della carità 
diventasse un obbligo dello stato, così ogni povero fu messo a 
carico di ogni singola parrocchia. La carità si rivelò forse 
troppo onerosa tanto che, nel 1834, come registra Buret, fu 
adottato un emendamento restrittivo alla Poor Law 
modificandola in alcune parti. Lo scopo non subì variazioni, la 
legge doveva   assistere la miseria estrema, ma era necessario e 
obbligatorio “limitare” le spese: da allora in poi ogni povero 
che chiedeva aiuto lo poteva ricevere solo entro le mura di una 
Work-house.