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Introduzione 
La crescente disponibilità di tecnologie, di contenuti virtuali e la diffusione capillare dei 
social media hanno ridotto le relazioni umane ed empatiche, aumentando di conseguenza quelle 
virtuali facendo emergere un problema - quello della cyberviolenza - ormai di portata globale e 
con significative conseguenze sociali. Il diritto penale degli ultimi decenni si è lentamente 
evoluto, offrendo una tutela sempre maggiore alle vittime di violenza, e il riconoscimento 
all'interno del sistema penale della cosiddetta cybercriminalità corre parallelo a questo processo 
di adeguamento. Tuttavia, il diritto penale, così come concepito e creato per operare in una 
realtà statica, trova inevitabilmente il suo limite nel fornire alla vittima una tutela sincronizzata 
alla velocità del mondo digitale.  
Purtroppo, il cyberspazio ha offerto la possibilità di compiere atti illegali e di violenza 
soprattutto contro le donne e i minori, capaci di ledere una sfera ancora più intima, quella della 
sessualità e della sua riservatezza. Questo intreccio ha portato a coniare nel linguaggio comune 
e nel contesto penale termini come cyberstalking e cyber molestie. Tuttavia, la riflessione 
giurisprudenziale sul rischio alla base dei fenomeni emergenti chiamati sexting (fare sesso 
inviando messaggi), sextortion (ricatto sessuale) e revenge porn (pornografia non consensuale), 
appare limitata.  
La moltiplicazione delle attività criminali perpetrate attraverso il web ha portato il 
Legislatore a interrogarsi sui metodi repressivi più efficaci per reprimere e cercare di 
scongiurare i numerosi pericoli che si aggirano nel cyberspazio. Ad esempio, attraverso il 
decreto-legge 93/2013 (Contrasto alla violenza e femminicidio), sono state introdotte alcune 
modifiche al Codice Penale tra cui all'art. 612-bis, introducendo al 2°comma un aumento della 
pena per il caso in cui il reato sia stato commesso attraverso strumenti informatici o telematici 
quali e-mail, SMS, chat malware e, soprattutto, social network; inoltre, con la legge 69/2019 
(Codice rosso) è stato introdotto l'art. 612-ter per perseguire la diffusione illegale di immagini 
e video sessualmente espliciti e, quindi, per contrastare il cosiddetto revenge porn.
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Un altro fenomeno in crescita tra i minori e, soprattutto, tra gli adolescenti è il cyberbullismo 
o bullismo online che ha costretto le istituzioni ad attuare dei piani d'azione e interventi 
legislativi per prevenire e contrastare il fenomeno, tra cui la legge 71/2017. Si tratta di un 
fenomeno da non sottovalutare in quanto può causare dei notevoli danni alla vittime e, come il 
bullismo, può integrare una violazione delle norme di diritto privato, del Codice penale, del 
codice della privacy e dei principi fondamentali della Costituzione italiana. 
L'attività di contrasto in Italia è affidata dal legislatore alla Polizia postale e delle 
comunicazioni che ha la gestione del Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia 
On line in relazione a quanto previsto dalla legge 269/1998 e 38/2006, e dalla legge 71/2017 in 
materia di contrasto e prevenzione dei fenomeni di cyberbullismo, delle condotte autolesioniste 
e delle dipendenze online dei minori.  
In questa sede sono stati affrontati in modo approfondito i reati informatici o cybercrimes in 
ambito relazionale e a sfondo sessuale, evidenziando, discutendo ed elaborando con senso 
critico, l’evoluzione normativa e giurisprudenziale sottolineando l’importanza che il diritto 
penale, riflettendo sulla sua adattabilità alla modernità liquida, deve necessariamente dialogare 
con la nuova branca del diritto informatico, dove trovano maggiore spazio e tutela i nuovi diritti 
all’oblio, alla riservatezza e alla protezione dati personali.
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Capitolo I 
Gli atti persecutori informatici 
 
1.1 Il delitto di atti persecutori 
1.1.1 Introduzione 
La Legge 23 aprile 2009 n. 38, "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di 
contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori" ha introdotto nel sistema 
italiano, all’art. 7, la fattispecie di "atti persecutori". Una legge con la quale le condotte di 
stalking vengono espressamente prese in considerazione, sulla base di un'osservazione di un 
fenomeno evidenziato e studiato in primo luogo in chiave socio-criminologica. Lo stalking non 
è una manifestazione ossessiva tipica dei nostri tempi, è un fenomeno sempre esistito; la 
letteratura, ad esempio, descrive come i promessi sposi fossero una storia di stalking: Don 
Rodrigo era uno stalker. Ad oggi, nulla è cambiato; non è cambiata l'ossessione persecutoria, 
anche se sono radicalmente mutati i meccanismi di controllo sociale, prima ancora che 
giuridico, che erano portati incanalare e contenere la stessa e ad impedirne - almeno nella 
maggioranza dei casi - le forme estreme, incontrollabili e come tali inaccettabili per il civile 
consesso. Tuttavia, è cambiata l'idea che la vittima di stalking debba passivamente subire le 
altrui aggressioni e vessazioni. In questi dodici anni, dal 2009 ad oggi, certamente il mondo 
"virtuale" informatico e telematico hanno acquisito una sempre maggiore rilevanza - statistica 
e qualitativa - in relazione al fenomeno globale dello stalking. Una rilevanza, ormai divenuta 
"centrale". 
Sul piano strettamente lessicale il termine anglosassone “stalk” può essere tradotto come 
"caccia in appostamento", "caccia furtiva", "avvicinarsi furtivamente", "avvicinarsi di 
soppiatto" (a selvaggina o a nemici). Lo stalker sarebbe quindi il cacciatore in agguato, che
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studia e attende la preda in maniera occulta. In realtà già in questo senso la definizione si presta 
a un equivoco. Il cacciatore agisce con la precisa, necessaria intenzione di non essere visto o 
percepito dall'oggetto delle sue attenzioni, se non nel momento in cui decide di passare 
all'azione, per ucciderla o catturarla. Al contrario, lo stalker - nell'accezione sociopsicologica 
che qui interessa - in molti casi si apposta e insegue la propria vittima anche in maniera palese, 
lasciando "pesare" la propria ingombrante presenza. Una presenza che certamente è destinata a 
divenire, nell'intenzione dello stalker, una vera e propria intromissione nella vita privata della 
vittima, ma che può manifestarsi esteriormente - e come tale divenire fonte di afflizione - anche 
prima di forme dirette di contatto tra "cacciatore" e "cacciato". Nondimeno, lo stalker telematico 
ha, per forza di cose, caratteristiche sociologiche e caratteriali differenti: tende a non palesarsi, 
ma è verosimilmente più costante e maniacale nelle sue condotte. Purtroppo, l'anonimato 
telematico, in questo senso, può fare miracoli.  
Difficile trovare un minimo comune denominatore a una serie di condotte e di soggetti che 
"coprono" un variegato range comportamentale. Condotte, tra l'altro, che sono state e possono 
essere oggetto di approfondimento su un piano multidisciplinare, che varia dal contesto 
criminologico a quello psichiatrico, da quello giurisdizionale a quello psicologico. Molte, 
ovviamente, moltissime le definizioni che sono state proposte a fronte di un fenomeno 
globalmente riconducibile a forme di intrusioni relazionale ripetute e assillanti. 
Verosimilmente, un punto fermo nella faticosa individuazione di una matrice comune al 
fenomeno in oggetto può essere reperito non tanto nella elencazione sistematica delle condotte 
riferibili allo stalker quali in genere reiterati tentativi di comunicazione verbale e scritta, 
appostamenti ed intrusioni nella vita privata e non tanto e non solo nelle finalità che sono alla 
base "dell'attivazione" dello stalker - ossia iniziare un rapporto privilegiato con un soggetto, 
modificare  strutturalmente un rapporto pregresso o recuperare "coattivamente" un rapporto 
esaurito o in esaurimento. Il vero dato caratterizzante e unificatore si identifica negli effetti che
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tali condotte possono determinare sulla vittima: l'insorgere di stati di ansia e paura, tali da 
compromettere o addirittura stravolgere il normale svolgimento della quotidianità. Azioni, 
quindi, che esprimono un ripetuto e persistente tentativo di imporre ad un'altra persona 
comunicazioni non desiderate o contatti tali da incutere ansia o timore. 
Certamente le molestie assillanti prese in considerazione dal nostro legislatore 
presuppongono altresì una reiterazione di episodi, non potendosi identificare lo stalking - in 
termini di penale rilevanza come per altro in chiave di valutazione sociologica del fenomeno - 
con contatti ed episodi isolati e occasionali. Un insieme, quindi, di comportamenti molesti e 
continui, quali reiterati appostamenti o pedinamenti nei pressi del domicilio o degli ambienti 
comunemente frequentati dalla vittima o l'invio di comunicazioni di varia natura (telefonate, 
sms, messaggi via chat - vocali o scritti - lettere anche anonime, scritte sui muri nonché 
certamente anche contatti orali, in luoghi pubblici come privati, etc.). 
In tale prospettiva generale, diffuso e allarmante era - ed è ancor più attualmente - il 
fenomeno del cyberstalking
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, che si manifesta quando le attenzioni ossessive dello stalker 
trovano luogo per via telematica nelle forme più disparate. Dal banale reiterato invio di e-mail 
alla pubblicazione su siti internet o su aree condivise da altri soggetti di dati ed informazioni - 
vere o false - sulla vittima, a forme di accesso informatico abusivo nel computer 
"dell'aggredito", sino alla fraudolenta appropriazione dell'account e dei dati identificativi di 
quest'ultimo. 
 
1.1.2 Lo stalker 
Un tentativo di comprensione del fenomeno stalking non può che prendere le mosse da una 
rapida disamina della fenomenologia dell'autore delle condotte. È ipotizzabile una tripartizione 
 
1
 Cfr. M. IASELLI – F. CORONA. Manuale di diritto di internet. Roma, EPC editore, pp. 193-196, 2021.