4. Come strutturare il gruppo di controllo? Quale/i funzione/i assegnare 
ai compagni? Come veicolare correttamente i loro presunti 
contributi? 
5. Quali testi si sottoporranno all’analisi del/i discente/i ? 
6. Quali obiettivi realizzare, quali competenze e quali comportamenti 
osservabili è legittimo attendersi ? e infine 
7. Quali sono i possibili “effetti collaterali” che una simile procedura 
può determinare nei processi cognitivi e socio-affettivi di un 
insufficiente mentale ? 
Le risposte fornite non rappresentano fonti di certezza ma 
costituiscono soltanto delle ipotesi formulate sulla base delle speculazioni 
riportate. Il conforto di chi scrive, del resto, è già in parte nell’aver 
motivato ulteriormente l’alunno protagonista di questo itinerario verso il 
raggiungimento di piccole ma autonome scoperte all’interno di un mondo 
di parole che giocano a nascondersi ! 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO I 
 
ASPETTI COGNITIVI E LINGUISTICI DEL “CLOZE” 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1.1 – Che cos’è il “cloze” ?  
 
Con il termine “cloze”
1
 si intende un tipo particolare di attività didattica ottenuta 
cancellando da un testo una parola ogni cinque (oppure sei o sette). Compito del 
discente è quello di colmare le lacune volutamente introdotte dall’insegnante.  
Originariamente la tecnica veniva utilizzata dai linguisti americani per misurare 
la leggibilità (“readability”) dei testi. 
In un secondo momento ci si accorge però della sua più vasta portata: il “cloze” 
poteva benissimo affiancare o sostituire i questionari per la verifica dell’abilità di 
comprensione globale di un testo scritto. 
Fino a tempi recenti questa “procedure” è stata usata in Italia quasi 
esclusivamente nell’insegnamento della L2 (nelle istituzioni private come Berlitz 
Schools o British Institutes veniva invece proposto come test di ingresso per decidere 
il gruppo di livello in cui inserire l’allievo) oppure come prova integrata (con forti 
resistenze nell’ “ancien régime” della classe docente) per l’uso contemporaneo di due 
o più abilità. 
Oggi il cloze viene sperimentalmente somministrato, con testi in lingua madre,  
in alcune scuole elementari e medie come 
• test sommativo sulle acquisizioni linguistico-cognitive dello studente 
• test di comprensione e per l’apprendimento di nozioni o schemi studiati in 
classe 
• spunto per una riflessione collettiva in classe sulla lingua (grammatica e 
lessico) 
                                                           
1
 Il termine è dovuto a W.C.Taylor (1953 – “Cloze Procedure: a New Tool for Measuring 
Readibility”, in Journalism Quarterly , 30, pp. 416 -438), il quale trasse ispirazione dai “closure 
tests” (tests di chiusura) già usati dagli psicologi della Gestalt. In questo caso però, si proponevano 
figure semplici, in genere di tipo geometrico, con qualche elemento mancante da inferire per 
completare il quadro. I Gestaltisti attribuivano a questa esperienza una dimensione totalitaria in 
grado di indurre la strutturazione e la relazionalità dei dati osservati nel tutto da realizzarsi. Taylor 
pensò di spostare le lacune create dai segni iconici ai segni linguistici.  
• stimolo ad esaminare gli aspetti morfologici, lessicali, sintattici e stilistici del 
testo esaminato. 
  Appare così evidente la funzione euristica del cloze che induce l’allievo motivato 
a ragionare sulle modalità di “funzionamento” della lingua, portandolo infine ad 
una graduale consapevolezza sulla diversità semantica, morfologica e topologica 
delle parole e sui rapporti e legami che le parole stesse instaurano all’interno degli 
enunciati, del testo e del co-testo. 
Il cloze potrebbe, ma solo per alcuni versi, essere apparentato con l’ellissi. In 
entrambi v’è qualcosa che manca, da inserire in un caso, da esplicitare per occorsa 
omissione nell’altro. Le lacune nel cloze sono tuttavia di natura artificiale, non 
grammaticale e generano quell' horror vacui che non è dato di rinvenire 
nell’ellissi. Se confrontiamo, infatti, i due esempi  
 
a)   “Non entri nello 
scompartimento ! Lei ha preso la 
mia ... . Non se n’è accorto ?Eppure 
non erano uguali. La mia è in pelle 
nera e ha incise le mie iniziali. 
Inoltre è molto capiente, potrei 
riconoscerla fra mille.  
Di valigie così non se ne vedono 
tutti i giorni ! ” 
 
 
b) “Quel signore ha preso la mia 
valigia ed io la sua” 
ci rendiamo subito conto che: 
1. il testo b) è immediatamente comprensibile ( non altrettanto potrebbe dirsi per 
a) 
2. il secondo testo , più che nascondere qualcosa al suo interno , esplicita i 
meccanismi di omissione (con l’ ellissi del predicato verbale “ho preso”) e di 
sostituzione operanti ( per via della pronominalizzazione “la sua”).  
A questo punto ci si chiederà : “Come spiegare  agli allievi la parola cloze ? 
Tradurla letteralmente con “esercizi di completamento di testi” risulta disagevole 
e occorrerebbe poi distinguere fra i due tipi di “cloze” più comunemente in uso. 
Procediamo con ordine . Non si rilevano grossi problemi nell’ indicare, con una 
terminologia semplificata ovviamente, questo tipo di prova/esercizio agli alunni. 
L’anglicismo “close” non ci è sembrato opportuno. Desideravamo un equivalente 
che agisse da immediato referente funzionale, di modo che il nostro alunno 
svantaggiato comprendesse subito a quale esercitazione si alludeva. La soluzione 
ci è stata suggerita da Fabrizio
2
, il quale, alla domanda su come avrebbe chiamato 
questa attività ha risposto prontamente:  
                          “Esercizio con i puntini !”. 
Per accertarci che avesse compreso la funzione dei puntini abbiamo aggiunto:  
“Bene, a che cosa servono, secondo te, questi puntini ? Prova a leggere il brano 
!”. 
Dopo un po’ il nostro esclamava: 
“Mancano le parole, non si capisce bene perché mancano delle parole!”.  
Il problema era risolto. Adesso sapevamo che “l’esercizio dei puntini” era quello 
in cui mancavano delle parole !”. Si era così una soluzione per quel che riguardava 
l’ambiguità del termine, dalla letteratura corrente indicato nella duplice accezione 
della procedura e del risultato inerente all’applicazione della procedura stessa, in 
pratica un “testo con delle lacune”. Veniamo adesso alla distinzione fra “cloze 
classico” e “cloze mirato”. Taylor in realtà aveva semplicemente parlato di “cloze 
procedure” intendendo con ciò il cosiddetto “cloze classico”, che consiste poi 
nella definizione  di cloze che abbiamo già dato. Se i buchi, le lacune che 
introduciamo nel testo non sono ad intervalli “regolari”, cioè non rispettano il 
criterio di una parola ogni cinque (o sei oppure sette) e se, ancora meglio, i vuoti 
nascondono parole “precise”  che vogliamo far trovare al lettore (es. articoli, 
aggettivi, nomi, ecc.), allora alcuni autori preferiscono parlare di “cloze mirato”. 
Contro questa  differenziazione si scaglia P.E.Balboni, il quale così puntualizza:  
 
                                                           
2
 Per motivi comprensibili il nome dell’alunno con handicap è fittizio. I genitori dello stesso, infatti, 
pur acconsentendo all’osservazione e alle esercitazioni con il figlio hanno chiesto che si mantenesse 
l’anonimato. 
“Cloze.Tecnica che verifica la capacità “pragmatica” (Oller) di prevedere 
correttamente quanto sarà  detto o scritto in un messaggio, basandosi sul contesto 
e, soprattutto, sul co-testo. Per realizzare la procedura cloze si cancellano parole 
da un testo (di solito il 15 %, una parola ogni sette ) e si chiede all’allievo di 
ricostruire il testo originario o, quanto meno, un testo coeso e coerente. Da non 
confondere  con gli esercizi  di completamento (“fill-in-the-blanks”) che 
verificano o esercitano conoscenze  grammaticali o lessicali,  perciò le parole non 
sono cancellate statisticamente (una ogni x)  ma in maniera “ mirata” 
(preposizioni, verbi, ecc.)
 3
 
 
Noi, in realtà, non saremmo così categorici, poiché in accordo con quanto sostiene 
C. Marello  
“ anche cancellando determinate parole o una certa parte del discorso (aggettivi, 
articoli, ecc.) e chiedendo di reintegrarle, si verifica  una capacità pragmatica, e 
una capacità che supera le conoscenze linguistiche, grammaticali e lessicali”.
 4
  
 
Pur usando una terminologia differente, siamo anche sostanzialmente concordi con la 
distinzione proposta da L.F. Bachman
5
, il quale definisce “rational deletions” (= 
cancellazioni razionali ) le lacune “mirate” e “fixed-ratio deletions” (= cancellazioni 
con intervallo fisso ) i buchi creati con il “cloze classico”. 
Occupiamoci ora, in dettaglio, di quest’ultimo tipo. La letteratura accreditata nel 
settore sostiene che il cloze non possa contenere meno di 50 spazi vuoti affinché 
riesca a verificare in modo attendibile la comprensione globale del testo.  
Ci vuole così poco a fare i conti. Supponendo di cancellare una parola ogni sei il 
brano dovrà contenere, aggiungendo le parole delle due righe iniziali che si danno 
normalmente per intero, non meno di 315 - 320 parole. Come vedremo, non sarà 
questo il caso dei testi che noi sottoporremo all’attenzione del nostro alunno (troppo 
lunghi !). Naturalmente possiamo restringere o dilatare a piacere gli intervalli di un 
                                                           
3
 v. P.E.Balboni: “La terminologia della glottodidattica” in Lingue e Civiltà, febbraio 1986, pp.13 – 
17.  
4
 v. “Dal cloze esce il testo” di C. Marello in “Alla ricerca della parola nascosta” a cura della stessa 
autrice – La Nuova Italia 1989. 
5
 cfr. L.F.Bachman “The Trait Structure of Cloze Test Scores” in Tesol Quarterly 16 (1) – 1982, pp. 
61 – 70. 
cloze, ma l’esperienza dimostra che al di sotto di una parola ogni cinque (ad esempio 
una parola ogni quattro o tre) la prova si presenta troppo difficile perché sia compresa 
mentre al di sopra di una parola ogni dieci il cloze è troppo facile e i risultati in uscita 
non testano più le difficoltà di comprensione del testo. Questo, ovviamente, per un 
lettore normodotato. Non ci faremo scrupoli  di contravvenire a questa regola nello 
strutturare le esercitazioni di Fabrizio. Gli alunni con handicap di tipo psichico, 
infatti, sia pure, come nel nostro caso, di un’insufficienza mentale lieve necessitano 
di un numero maggiore di agganci testuali (co-referenze, anafore, solidarietà lessicali, 
pronominalizzazioni, ecc.) per superare o meglio colmare quel “gap” potenzialmente 
inibente di cui si diceva. Le loro capacità pragmatiche di inferenza, di anticipazione, 
di argomentazione, ecc. sono, infatti, più ridotte rispetto agli standard riscontrabili 
nella media degli alunni “normali”. Ma riprenderemo in seguito questo punto 
amplificandolo.  
Un’accortezza da usare è quella di riscrivere il testo, imponendo ad ogni spazio 
vuoto la medesima lunghezza. Ciò per non agevolare lo sforzo del discente con dei 
segnali di tipo “non linguistico”. Fotocopiando un testo al quale sono state cancellate 
alcune parole, non riusciamo, infatti, a celare la lunghezza di quelle da inserire e, così 
facendo, suggeriamo indirettamente all’allievo un criterio “deviante” col quale 
aiutarsi nell’inferire i completamenti. 
Altro fattore da tenere in considerazione: il tempo per la prova/esercitazione. 
Questa variabile è estremamente fluida poiché sembra dipendere da:  
1) la lunghezza del testo proposto; 
2) lo scopo che ci prefiggiamo nel somministrare il cloze; 
3) l’età mentale (presunta) degli allievi e il loro livello di scolarizzazione ( ciò 
soprattutto per il “cloze mirato”). 
In genere, l’esercitazione è svolta in classe (a casa mancherebbero controlli 
importanti come il tempo impiegato e soprattutto l’autonomia nell’espletare la 
consegna !) in una sola lezione, chiedendo agli alunni di scorrere il testo avanti e 
indietro per “riprendere” lacune erroneamente riempite o poco chiare ad una prima 
lettura superficiale. 
  Anticipo qui che, nelle esercitazioni realizzate, abbiamo sempre letto a voce alta il 
cloze agli allievi e poi si è chiesto ad alcuni di loro (Fabrizio compreso) di rileggerlo 
nello stesso modo, prima che permettessimo loro di procedere con la lettura 
individuale e silenziosa. Ciò per persuadere gli allievi stessi (soprattutto F.) che, per 
quanto manipolato e strano possa apparire, il cloze comunque proponeva un testo e 
che il gioco consisteva soltanto nel trovare quelle parole che si erano nascoste e non 
nel temere di sprofondare nel baratro di uno o più vuoti inquietanti. Questo timore, a 
dire il vero, si dimostrerà più fondato da parte di chi scrive che da parte degli allievi. 
Fortunatamente la dimensione ludica ha finito col prevalere negli animi di ciascuno, 
ma non ci rimprovereremo questo eccesso di prudenza. Anche qui, in ogni caso, 
abbiamo adattato i dettami canonici del cloze che non prevedono, nella 
somministrazione normale, la lettura ad alta voce. Ad ogni buon conto, ci siamo 
premurati di evitare il più possibile di emettere segnali non verbali, prosodici, 
soprasegmentali che avrebbero potuto influenzare le “fatiche” del nostro “uditorio”. 
  Non abbiamo voluto tenere in considerazione gli errori di ortografia e le 
reintegrazioni sinonimiche. In taluni casi, abbiamo anche accettato le restituzioni di 
iperonimi e co-iponimi al posto del termine voluto. Non abbiamo, infatti, ritenuto che 
simili variazioni, in specie se provenienti dal nostro, potessero inficiare la validità 
della prova (in ciò confortati dagli studi di Levin 
6
  e Nordentoft 
7
). 
Un problema da risolvere si è dimostrato il gestire i cosiddetti “effetti di fondo” 
e gli “effetti di superficie”. Con i primi ci riferivamo a quei riempimenti automatici, 
casuali, per i quali non sarebbe neppure indispensabile la comprensione del testo 
(essendo sufficiente  quella intrafrasale), per esempio  
   -  “Passami ……  vino,  per piacere”.          - “Questo ?”  
                                                           
6
 cfr. Levin L. (1965) “Cloze Procedure” Rapporto per l’Istituto di Pedagogia dell’Università di 
Goteborg, 18, pp. 47 – 61. . 
7
 cfr. Nordentoft (1981), Copenaghen, Rapporto per l’Istituto di Lingua e Letteratura Danese. 
   -  “Si, quella bottiglia, ……... !”                   - “Prego”. 
In uno scambio simile, chiunque sarebbe facilmente in grado di colmare le lacune 
rispettivamente con “il” e “grazie”, senza che ciò possa testimoniare alcuna capacità 
reale di comprensione del testo. Gli “effetti di superficie”  invece si hanno laddove le 
lacune sono riempite, più o meno appropriatamente, soltanto dagli allievi migliori, ad 
esempio  
 - Si racconta che una volpe per …… abbia invitato a cena una cicogna 
……astuta le servì un brodo su ……ampio piatto, ecc. 
  (da “La volpe e la cicogna” di Fedro) 
 
In questo testo, che riprodurrebbe per intero la nota tavoletta, non è certo facile 
neppure per un lettore esperto inferire, ignorando il racconto, “prima” e 
“quell’”nelle due lacune iniziali, mentre è sicuramente un “effetto di fondo” il terzo 
riempimento (“un”). 
Come ci siamo orientati con il nostro allievo? Abbiamo fatto uso un po’ dell’uno 
un po’ dell’altro “effetto”, con obiettivi però diversificati. Abbiamo cioè fatto ricorso 
all’effetto di superficie quando intendevamo verificare una conoscenza, o la capacità 
di inferire, in modo specifico, un “item” voluto, mentre abbiamo proposto qua e là 
degli effetti di fondo allo scopo di 
1. gratificare l’allievo maggiormente dandogli la sensazione di essere in grado di 
operare un numero discreto di riempimenti corretti (ma, in sede di correzione, 
abbiamo tenuto debitamente conto dell’artificio operato) 
2. alleviare la tensione per non inibire lo stimolo e la motivazione 
all’espletamento della consegna con il rinvenimento di troppe “lacune” 
problematiche consecutive 
3. contribuire, anche con il riempimento di lacune più “facili”, alla comprensione 
globale del testo proposto. 
 
 1.2 -    Gli aspetti cognitivi del “cloze” 
 
Che cosa ha di tanto sorprendente questa tecnica da suscitare consensi così 
entusiasti nell’ambito della linguistica a livello internazionale? 
Come già s'è detto, il "cloze procedure" misura la capacità, l'abilità 
dell’alunno di decodificare messaggi lacunosi basandosi sugli indizi contestuali 
per restituire le parole "sottratte". Ciò è reso possibile anche dal fenomeno 
linguistico della ridondanza, della reiterata presenza cioè di termini in funzione 
anaforica oppure solidali (tra loro) dal punto di vista morfologico, lessicale, 
grammaticale, stilistico, ecc.. 
Inoltre, agendo a livello testuale, il "cloze" verifica in contesto la padronanza di 
tutte le micro-abilità componenti l'abilità globale di comprensione di un testo 
scritto (e cioè: la conoscenza del sistema grafologico, del sistema lessico--
grammaticale, in particolare il riconoscimento dei campi semantici e della loro 
collocazione, i meccanismi di formazione delle parole, il loro ordine a livello di 
frase, la coesione lessicale, i connettori logici, ecc.) nonché il possesso delle 
principali strategie di lettura (globale o cursoria, locale o orientata, veloce, ecc.) 
e, infine, di un più vasto sistema "culturale" all'interno del quale si collocano in 
vario modo le variabili su esposte. Il cloze, ancora, ricrea quel processo di 
mediazione tra il significato testuale e il significato del lettore che 
H.G.Widdowson
8
 definisce come "autentication" (il lettore cioè rende per sé 
autentico il significato del testo creandosene uno proprio, tramite una libera ed 
arbitraria restituzione delle lacune introdotte nel testo). Ciò spiega anche il 
motivo per il quale questo tipo di attività didattica sia diventato così popolare 
negli ambienti scolastici in questi ultimi anni, parallelamente  ai nuovi 
orientamenti della linguistica testuale e dell'insegnamento comunicativo. 
                                                           
8
 cfr. Widdowson H.G., “Teaching Language as Communication”, O.U.P., 1978. 
Per ogni parola sottratta al testo è possibile, inoltre, se l'insegnante è attento 
e paziente, ricostruire o tentare di estrinsecare i processi cognitivi messi in atto dal 
discente per restituire interezza al testo proposto. I "buchi" del cloze si 
trasformano così 
“in altrettante finestre aperte sui meccanismi cognitivi dei propri allievi” 
9
 
Come vedremo nel seguito con i cosiddetti "giochi di previsione", non sarà però 
tanto semplice accedere nei percorsi mentali di un allievo intento a questo tipo di 
esercitazione. 
Un altro importante aspetto del cloze è la possibilità (che noi abbiamo 
realizzato) di discutere collettivamente, con gli allievi, le lacune del testo. Il che 
comporta tutta una serie di vantaggi:  
1) la discussione dopo-cloze diventa un pretesto per fare lezione di lessico, di 
grammatica, di storia, geografia, ecc. (secondo gli scopi per i quali l'attività è 
stata proposta) 
2) gli allievi saranno inconsciamente guidati a riflettere metalinguisticamente (a 
fare cioè "discorsi sulla lingua"), perché, dovutamente stimolati, saranno 
chiamati a difendere la propria "lettura" del testo e a persuadere i compagni (e/o 
lo stesso insegnante, perché no? ) della bontà della propria ricostruzione. 
                                                           
9
 v. “Dal cloze esce …” – ibidem – p. 1. 
3) per far questo (ricollegandoci al secondo punto) essi produrranno, a loro volta, 
testi orali di tipo argomentativo (a difesa cioè delle loro interpretazioni). Ciò 
comporterà capacità inferenziali, padronanza di linguaggio (e metalinguaggio 
grammaticale, sebbene quest'ultimo non sia un  prerequisito ma possa diventare 
un obiettivo "dirottato" dell'attività post-cloze), abilità descrittiva, narrativa, ecc. 
(in proporzione, naturalmente, all'età e alle possibilità concrete degli allievi). 
Un effetto "collaterale" del cloze si produce, per rimanere sul terreno 
motivazionale e quindi cognitivo, con la "chance" concessa al lettore di poter 
realizzare una lettura attiva del testo, di farlo diventare egli stesso autore e creatore di 
un proprio testo all'interno di quello suggerito. Questo aspetto, già accennato in 
precedenza, permette al discente di potersi arrogare il privilegio di scegliere la parola 
giusta al posto giusto e contestare così,  indirettamente, le soluzioni lessicali, 
stilistiche, ecc. fornite dallo scrittore. Il tutto a condizione che non siano lesi due dei 
criteri intrinseci alla testualità: la coesione e la coerenza. Gli alunni, seppur sprovvisti 
di un metalinguaggio grammaticale condiviso, sanno bene come rispettare, queste 
regole. A dimostrazione riportiamo proprio un'esclamazione di Fabrizio: 
"Io non conosco quella parola lì, secondo me può starci meglio quella che ho messo 
io!" 
Per quel che riguarda invece la possibilità di comprendere il brano da parte dello 
studente, gli studi di J.R. Bormuth 
10
 hanno dimostrato che é conveniente utilizzare, 
per scopi pedagogici e con l'ausilio del docente, quei testi con tasso di 
comprensibilità intorno al 75% (come risulta dalle risposte ai questionari di 
                                                           
10
 cfr. Bormuth J.R.  (1965) , “Optimum Sample Size and Cloze Test Length in Readability 
Measurement”, in Journal of Educational Measurement, 2:1, pp. 111 – 116. La formula più nota per 
calcolare il coefficiente di leggibilità è quella data da Flesch, secondo il quale Cl = coefficiente di 
leggibilità = 206 - p – (0.6 moltiplicato  s) (con p = numero medio di parole per frase del testo in 
esame, s = numero medio di sillabe per ogni 100 parole del testo considerato e “206” = numero 
fisso). Questa formula ignora però le difficoltà strutturali di un testo. 
comprensione). Se spostiamo al 90% il tasso di  leggibilità, allora i testi saranno 
idonei ad essere appresi autonomamente senza alcuna guida didattica. Lo stesso 
studioso ha poi realizzato delle corrispondenze assai interessanti e cioè, i tassi di 
leggibilità ricavati con le domande di comprensione equivalgono a una percentuale 
mediamente più bassa di reintegrazioni esatte nel cloze, come si evince dalla tabella 
seguente: 
% di leggibilità misurata con. 
domande di comprensione 
% di riempimenti corretti col cloze 
75% 44%
90% 57% 
 
E’ proprio tra queste due percentuali (44% e 57%) che si situerebbero (cfr. Ramson 
1968) 
11
 le reintegrazioni corrette di quei cloze ritenuti adatti a verificare le capacità 
di comprensione di alunni con età mentale fra i sette e i dodici anni (come nel caso 
del nostro). 
A questo proposito, gli studi della Nordentoft hanno fatto luce 
12
  sulle 
corrispondenze fra tasso di comprensibilità del testo e capacità del lettore nel 
reintegrarlo. Se, infatti, il cloze é riempito correttamente per meno del 36%, il 
discente dimostra di essere "debole" per quel testo, che diventa inutilizzabile a fini 
didattici e psicologicamente frustrante. Se portiamo la percentuale di reintegrazioni 
corrette fra il 37 e il 43% il testo si presenta difficile e il lettore mediocre. Il lettore 
medio si colloca così proprio all'interno di quel 44 e 57% di riempimenti corretti di 
cui si diceva (il relativo testo sarà dunque pedagogicamente idoneo). Con percentuali 
superiori al 57% invece siamo in presenza di un allievo notevolmente dotato oppure, 
più semplicemente, dinanzi ad un testo adatto ad essere letto autonomamente (o, 
infine, la concomitanza di ambedue le ipotesi).  
                                                           
11
 cfr. Ramson P. (1968), “Determing Reading Levels of Elementary School Children” in Figurel 
(ed), Foreign Ahead in Reading, International Reading Association, pp. 477 – 482. 
12
 cfr. op. cit. 1981, p. 26. 
Quattro fattori, infine, sempre secondo la ricercatrice danese, agiscono sulla 
percentuale di risposte corrette in un cloze: 
1) eventuali momenti di distrazione o elementi di disturbo durante lo svolgimento 
dell'esercitazione; 
2) la familiarità dell'allievo con l'argomento; 
3) la presenza di un lessico non troppo difficile, di sequenze lineari, di uno stile 
semplice. 
4) i probabili pregiudizi di chi legge su ciò di cui tratta il testo.