4
partenza
2
. Interpretazioni come queste risultano poco utili al presente lavoro, che 
invece vuole comprendere il concetto solo all’interno della filosofia del suo 
autore, nella quale si dovranno sempre verificare le conclusioni alle quali si 
perverrà, risolvendo le eventuali incoerenze.  
D’altra parte ci sono interpreti che intendono la perfettibilità solo in senso 
spirituale, ma in due modi diversi. Ci sono filosofi che fanno appello al concetto 
di misura, e ritengono che le caratteristiche principali dell’Übermensch sono la 
sublimazione degli istinti, l’organizzazione del caos delle passioni, 
l’autocontrollo, la salute, l’indipendenza. Questa linea interpretativa, che si può 
riassumere nel concetto di ‘grande stile’, è legata ad un’idea più tradizionale di 
Übermensch, che non rappresenterebbe altro che il raggiungimento dell’ideale 
classico e rinascimentale, precristiano e anticristiano, dell’uomo benriuscito
3
. 
Altri invece privilegiano il momento dell’eccesso a quello della misura, e fanno 
riferimento ai concetti di sovrabbondanza, sperpero delle energie, e a tutti quei 
casi in cui l’energia è tale da limitare le forme di controllo da parte del soggetto
4
.  
La seconda corrente fondamentale è invece quella che, riferendosi ai 
concetti di nichilismo e eterno ritorno dell’uguale, mette in evidenza come 
l’Übermensch deve essere qualcosa di veramente nuovo rispetto al vecchio ideale 
di uomo e anche all’ideale della perfettibilità umana, una rottura che è necessaria 
in quanto la morte di Dio ha determinato una situazione in cui, per la prima volta 
nella storia, l’uomo sente la responsabilità assoluta del proprio futuro e ha la 
                                                           
2
 E’ questo il caso di A. Baeumler che considera la dottrina dell’eterno ritorno estranea all’unità 
del pensiero nietzscheano, perché, secondo lui, in contraddizione con quella della volontà di 
potenza. 
3
 Questa è l’interpretazione, fra gli altri, di W. Kaufmann. 
4
 Si veda ad esempio un autore come D. Conway. 
 5
possibilità di autodeterminarsi consapevolmente. Per questo tipo di 
interpretazione l’Übermensch è l’uomo liberato dal dominio della metafisica, 
colui che va al di là della divisione tra mondo vero e apparente
5
. In alcuni casi, 
come quello di Martin Heidegger, nell’analisi del concetto di Übermensch sono 
compresenti tutte e due le interpretazioni fondamentali, quella dell’uomo che 
entrando in rapporto con l’essere va oltre la condizione dell’uomo tradizionale, e 
quella dell’uomo che si rafforza e si prepara a prendere il comando della terra.  
Come si vede non sono poche le direzioni in cui ci si può spingere per 
comprendere il concetto di Übermensch, e si cercherà di non trascurarne nessuna, 
perché questo concetto può venir compreso solo procedendo in questo modo, cioè 
considerando sia gli elementi nuovi sia quelli tradizionali, sia la particolare 
situazione in cui versa l’uomo nell’epoca del nichilismo, sia le sue caratteristiche 
tipiche che continuano ad essere valide anche dopo la morte di Dio. Infatti, se è 
vero che questa è una situazione assolutamente nuova per l’umanità, una specie di 
rivoluzione, dall’altra Nietzsche è convinto che alcune caratteristiche dell’uomo e 
alcune tipologie di uomini rimangono costanti nella storia. Il concetto di 
Übermensch verrà pertanto situato nel campo, molto più vasto, della filosofia di 
Nietzsche posteriore all’anno 1881, nell’ultimo periodo del suo pensiero, quando 
ormai la visione dell’eterno ritorno dell’uguale rappresenta il cardine di tutti i suoi 
concetti fondamentali.
6
  
Per l’utilizzazione dei frammenti postumi occorrono tuttavia alcune 
precauzioni, perché in alcuni casi essi subiscono delle modifiche più o meno 
                                                           
5
 Questa tesi è stata sostenuta da G. Vattimo e K. Ansell-Pearson. 
6
 Tra le opere pubblicate in questo periodo si devono inserire anche le nuove introduzioni alla 
Nascita della tragedia, Umano, troppo umano, Aurora, La gaia scienza, nonché il quinto libro di 
quest’ultima.  
 
 6
sostanziali rispetto alla versione definitiva, mentre altre volte sono solo delle 
intuizioni momentanee che non vengono mai utilizzate. Per questo motivo non si 
possono considerare tutti questi frammenti come l’opera filosofica di Nietzsche, 
ma come delle intuizioni o delle spiegazioni che servono per comprenderla in 
modo più approfondito, anche se tra loro possono esserci delle contraddizioni. 
Precisato ciò, essi risultano indispensabili allo scopo di chiarire il concetto di 
Übermensch, perché rappresentano il testo sommerso in cui le intuizioni del 
filosofo sono riportate nella loro immediatezza, senza essere elaborate, e così 
consentono di chiarire i testi definitivi. Rispetto a Così parlò Zarathustra, nei 
frammenti postumi sono molto più evidenti, ad esempio, le relazioni decisive tra i 
concetti fondamentali, specialmente nei piani dell’opera, e quindi è più facile 
stabilire il giusto nesso tra di loro. Le eventuali incongruenze saranno utilizzate 
positivamente, perché mostrano, nell’indecisione di Nietzsche per l’una o l’altra 
soluzione, la possibilità di andare oltre il testo definitivo, e quindi di pervenire 
nell’orizzonte di costituzione del concetto stesso. 
Tuttavia non ci si deve mai dimenticare che, a partire dal 1881, l’orizzonte 
della filosofia di Nietzsche è determinato essenzialmente dal pensiero dell’eterno 
ritorno dell’uguale, con il quale debbono confrontarsi tutte le interpretazioni del 
concetto di Übermensch. L’obiettivo è vedere in che modo, nella nuova filosofia 
dell’eterno ritorno, l’idea della perfettibilità umana, che è sempre stata tra gli 
interessi principali di Nietzsche, subisce una significativa modificazione, dando 
origine così al concetto di Übermensch. Pertanto, nella prima parte del lavoro si 
mostrerà l’antropologia di Nietzsche, cioè quali sono le tipologie fondamentali di 
uomini e le principali caratteristiche che permangono a prescindere da qualsiasi 
 7
situazione storica. Nella seconda parte invece si analizzerà l’ideale di 
perfezionamento dell’uomo secondo Nietzsche, che è rimasto sostanzialmente 
immutato lungo tutto il corso del suo pensiero. Infine, nell’ultima parte si 
vedranno quali conseguenze ha avuto la visione del suo pensiero fondamentale, 
l’eterno ritorno dell’uguale, su quell’ideale di perfezionamento dell’uomo, e in 
che modo da questa combinazione sia risultata per Nietzsche la necessità di 
introdurre nella sua filosofia il concetto di Übermensch. 
 8
CAPITOLO PRIMO 
L’ANTROPOLOGIA DI NIETZSCHE 
 
1.1   NIETZSCHE CONTRO DARWIN 
 
In questo capitolo si analizzeranno i vari tipi umani e i rapporti di forza 
che intercorrono tra loro, e che direzione la specie umana segue o dovrà seguire in 
futuro, se cioè essa si stia evolvendo oppure no. Nietzsche è pessimista proprio su 
questo punto, e oppone all’ottimismo della scuola di Darwin, che vede nella 
natura in generale, e quindi anche nella natura umana, un costante progresso verso 
il meglio che continuamente seleziona e mantiene gli esemplari più forti e 
benriusciti, la sua visione complessiva di un uomo che, pur credendo di diventare 
più forte, in realtà si indebolisce: 
l’umanità non presenta una evoluzione verso qualcosa di migliore o di più forte o 
di più elevato nel modo in cui oggi questo viene creduto. Il «progresso» è 
semplicemente un’idea moderna, cioè un’idea falsa. L’europeo di oggi resta, nel 
suo valore, profondamente al di sotto dell’europeo del Rinascimento; la 
prosecuzione di uno sviluppo non è assolutamente, per una qualsivoglia necessità, 
elevazione, potenziamento, consolidamento.
7
 
 
 L’accusa principale viene mossa dunque al concetto di selezione naturale, 
perché esso introduce nella natura un principio, di cui non si conosce l’origine né 
la ragione, che guida l’evoluzione della specie verso forme di vita sempre più forti 
e più perfette, mentre Nietzsche non crede a nessun principio teleologico 
trascendente. La vittoria dei più forti, e quindi anche la loro moltiplicazione, può 
avvenire soltanto dove la lotta per la sopravvivenza è regolata dalla forza fisica, 
                                                           
7
 OFN, L’anticristo, § 4, p. 169. 
 9
ma oggi questa situazione non è che un’eccezione e le cose non vanno affatto 
come dice Darwin:  
le specie non crescono nella perfezione: i deboli hanno continuamente la meglio 
sui forti – ciò avviene perché essi sono in gran numero, sono anche più 
accorti…Darwin ha dimenticato lo spirito (- il che è inglese!), i deboli hanno più 
spirito…Si deve aver bisogno di spirito per riceverne, - lo si perde quando non se 
ne ha più bisogno. Chi ha la forza fa a meno dello spirito.
8
 
 
 Qui i termini forte e debole si riferiscono chiaramente al piano naturale, 
ma mentre per Darwin è normale che, come avviene per il resto delle specie 
animali, il più forte sopravvive al più debole, per Nietzsche l’uomo rappresenta 
l’unica eccezione sulla terra, dal momento che i deboli, facendo gruppo, hanno 
quasi sempre la meglio sui forti, che invece non riescono a organizzarsi tra loro e 
periscono isolati e sconosciuti gli uni agli altri. Così come l’uomo, che tra le 
specie non è certamente quella più forte, è riuscito a dominare sugli altri animali, 
allo stesso modo sono i deboli e i loro giudizi di valore a dominare all’interno 
della specie umana. La falsificazione operata dal darwinismo e dalle idee moderne 
che sono responsabili del livellamento dell’uomo verso il basso, è di far credere 
che è sempre il più forte ad avere la meglio, mentre il paradosso di Nietzsche è 
che la lotta per la vita nelle nostre società civilizzate esiste ancora ma, essendo 
ormai una lotta tra spiriti, essa rischia di far estinguere i migliori e non i più 
deboli, come avveniva probabilmente in età meno civilizzate.  
 Dunque, anche se Darwin e Nietzsche hanno la stessa idea di uomo forte, 
la differenza è che per il primo è migliore il tipo che sopravvive, mentre per il 
secondo il tipo superiore non è quello che ha la meglio, ma quello che è migliore, 
nel senso che è più riuscito e che, a causa della coalizzazione della volontà di 
                                                           
8
 OFN, Crepuscolo degli idoli, “Scorribande”, § 14, p. 117. 
 10
potenza dei più deboli, che sono sempre la maggioranza, rischia di perire più 
facilmente:  
Nietzsche rimprovera a Darwin d’essere incapace di stabilire un criterio di valore. 
Allorché Darwin afferma che i migliori sono quelli che si mantengono e si 
riproducono di più, Nietzsche risponde che i migliori sono per definizione i più 
minacciati, i più fragili e i meno fecondi.
9
 
 
 Quello che qui ci interessa, nel momento in cui si affronta il problema 
dell’elevazione dell’umanità, e in generale dell’Übermensch, non è soltanto il 
fatto che essa non va da sé, che non è naturale ma deve essere sempre voluta da 
qualcuno, quanto sapere qual è l’agente dell’elevazione del tipo uomo, che deve 
essere protetto e favorito. Come recita questo frammento intitolato 
significativamente “IL SUPERUOMO”: 
il mio problema non è di stabilire che cosa possa prendere il posto dell’uomo, 
bensì quale specie di uomo debba essere scelta, voluta, allevata come specie di 
valore superiore…
10
 
 
 Nietzsche fa una distinzione che per Darwin non c’è fra due gruppi 
fondamentalmente diversi di individui, uno che favorisce l’invenzione del nuovo e 
così provoca un’accelerazione nel processo evolutivo, mentre l’altro, più 
numeroso, che cerca di mantenere l’identico e si preoccupa della stabilità e della 
durata di quanto è stato raggiunto dall’evoluzione. Questi due gruppi sono sempre 
in conflitto, è la lotta delle eccezioni contro la massa, e dal prevalere dell’uno 
sull’altro possono risultare alla fine, per assurdo, la dissoluzione caotica della 
specie oppure la fine dell’evoluzione: 
io insegno: il gregge cerca di conservare un tipo e si difende in due direzioni, sia 
contro coloro che degenerano da quel tipo (criminali e così via), sia contro coloro 
che ne emergono. La tendenza del gregge è verso la stasi e la conservazione, in 
esso non è nulla di creativo.
11
 
 
                                                           
9
 B. Stiegler, Nietzsche lecteur de Darwin, p. 383. 
10
 OFN, VIII, tomo 2, p. 394, fr. 11.413. 
11
 OFN, VII, tomo 2, p. 258, fr. 27.17. 
 11
Se dovesse finire la lotta per l’esistenza, non soltanto della specie, ma 
anche all’interno della specie, allora è chiaro che a quegli individui che prima 
erano considerati migliori perché si riproducevano di più verranno preferiti gli 
individui più complessi, che prenderebbero alla lunga il sopravvento sugli altri. 
Per Nietzsche infatti le mutazioni più significative avvengono in condizioni 
favorevoli, e non interessano tutta la popolazione, ma solo la parte migliore di 
essa, mentre invece nella situazione di pericolo il tipo si fissa, si stabilizza e si 
rafforza, e il mediocre viene preferito all’eccezione. Al contrario Darwin studia la 
variazione solo nel lungo periodo e in condizioni ambientali sfavorevoli che 
costringono l’organismo ad adattarsi, e per questo egli affida l’evoluzione della 
specie proprio ai mediocri. Questo avviene perché, a giudizio di Nietzsche, egli 
esagera nel considerare l’influenza delle circostanze esterne e dell’adattamento 
all’ambiente in quanto ha sempre di fronte la lotta per la sopravvivenza, e così 
non riconosce la volontà di potenza, la forza che opera dall’interiorità 
dell’individuo e che crea spontaneamente verso l’esterno.  
Essa è il principio di ogni modificazione e cambiamento, e sta al divenire, 
e quindi all’evoluzione, così come la volontà di vivere, che per Nietzsche non è 
altro che una forma debole e malata di volontà di potenza, sta all’essere, e quindi 
alla stabilizzazione. Tuttavia questo non vuol dire che, se l’essenza della vita è la 
volontà di potenza, allora tutti gli uomini vogliono soprattutto la potenza, ma che 
alla vita è essenziale l’aumento di potenza, e quindi sono necessari alla vita della 
specie coloro che vogliono il potenziamento di se stessi. Se invece Nietzsche 
avesse voluto dare a questa frase un significato metafisico, e cioè che è la vita 
stessa a volere la potenza, il suo principio non sarebbe diverso da quello della 
 12
selezione naturale di Darwin, perché ci sarebbe ancora qualcosa che vuole sempre 
la potenza, allo stesso modo in cui per Darwin c’è qualcosa che opera sempre e 
comunque la selezione dei tipi più perfetti e più forti. Quindi Nietzsche non crede 
che l’evoluzione viene mossa da un principio interno alla natura, come può essere 
quello della selezione naturale, ma, poiché la situazione ambientale non può 
spiegare da sola la variazione, senza considerare anche un principio interno 
all’individuo, che per lui è la volontà di potenza, egli ritiene che è l’unione di 
queste volontà a decidere dell’avvenire dell’uomo. Il destino dell’uomo come 
specie è rimesso così alla sua volontà di dirigere l’evoluzione, e in particolare alla 
capacità che avranno gli individui meglio riusciti di riunirsi per dirigerla in un 
senso diverso da quello che c’è stato finora.  
 
1.2   LA DISTINZIONE IN UOMINI SUPERIORI E INFERIORI 
 
Vediamo adesso di specificare meglio come Nietzsche distingue i vari tipi 
umani. Egli cerca sempre di caratterizzarli e definirli nel modo più preciso 
possibile attraverso l’osservazione diretta o la lettura delle opere e delle vite dei 
grandi uomini del passato, e questo fondamentale lavoro preparatorio è servito a 
costruire il concetto di uomo superiore. Nella moltitudine di tipi umani che 
vengono continuamente e ossessivamente analizzati, specialmente nei frammenti 
postumi, emerge la distinzione fondamentale tra il tipo inferiore semplice e il tipo 
superiore complesso.  
Al tipo inferiore appartengono quelli che Nietzsche definisce i mediocri, 
gli uomini piccoli, gli uomini-frammento, i virtuosi, i buoni, i servi e il gregge. 
 13
Essi sono il maggior pericolo per chi vuole elevare la specie perché si oppongono 
ad ogni cambiamento, e, approfittando del maggior numero, cercano di imporre i 
loro giudizi di valore. Tuttavia la loro debolezza e mediocrità, non essendo una 
malattia, non deve neanche essere combattuta o eliminata, perché essi 
garantiscono la stabilità della specie, mentre sono solo i loro giudizi di valore che 
devono essere sconfitti. Secondo Nietzsche infatti è indegno di un filosofo cercare 
di combattere la mediocrità, visto che proprio essa rappresenta l’unica possibilità 
perché viva anche l’eccezione.  
Al di sotto dei mediocri stanno soltanto i viziosi, troppo deboli anche per 
seguire le virtù del gregge, che non riescono ad opporre nessuna resistenza agli 
stimoli che ricevono dall’esterno e ricercano solo i piaceri del momento. La 
migliore descrizione di questo tipo è nel discorso “Della canaglia”, dove 
Zarathustra se la prende con gli impuri, che non vogliono diventare né migliori, né 
più forti, ma passano da un piacere all’altro senza farsi troppi scrupoli. Queste 
canaglie però sono anche necessarie alla vita perché, traendo sempre piacere da 
essa, rappresentano il suo migliore argomento contro i sempre scontenti di tutto, i 
pessimisti e quelli che anelano al nulla. Ora, se è vero che Nietzsche rivolge le sue 
invettive migliori alla canaglia, dall’altra essa non fa questioni morali, e per 
questo il suo nemico principale è sempre la mediocrità e il mondo dei piccoli 
valori che pretendono di valere per tutti. Tra i tipi inferiori rientrano dunque sia i 
degenerati e coloro che cercano ossessivamente i piaceri che i virtuosi di ogni 
società, i quali, convinti come sono di sapere solo loro ciò che è bene per l’uomo, 
abbassano il concetto stesso di virtù pur di renderla accessibile a tutti
12
. 
                                                           
12
 G. Pasqualotto, Saggi su Nietzsche, p. 98: “ma se si considera, con Nietzsche, che, 
almeno a partire da Platone e S. Paolo, essere virtuosi ha significato, per la cultura e la vita 
 14
Per il tipo superiore invece sono necessarie alcune distinzioni. Un primo 
tipo è quello del delinquente che, per il suo eccesso di forza, non sopporta i valori 
della comunità a cui appartiene, e perisce lottando contro di essa. Il secondo tipo è 
quello dell’uomo ricco di spirito, interessante, molteplice e complesso che però è 
anche debole di carattere e malriuscito e quindi, per queste sue caratteristiche, può 
essere un pericolo per la società. Nietzsche, negli ultimi anni, si augura la 
scomparsa di questo tipo debole e malriuscito, anche se con una certa nostalgia, 
perché questi sono i maggiori responsabili dell’indebolimento della volontà
13
.  
Da ultimo ci sono i veri tipi superiori, sia forti che complessi, gli unici 
responsabili di ogni innalzamento del tipo umano, quelli che lottano per un ideale, 
i ponti verso l’Übermensch. A questi uomini si deve tutto quanto di grande lo 
spirito umano ha creato nella storia, perché tutto ciò che è grande è nato dalla lotta 
di questi spiriti superiori contro lo spirito della plebe e di chi si mette al suo 
servizio, i saggi illustri, responsabili della cultura ufficiale. Per questo essi vivono 
isolati, crescendo con la cattiva coscienza di quello che fanno, e sacrificano la vita 
in lunghe estenuanti lotte col proprio tempo, senza che la loro energia si possa 
effettivamente manifestare per quello che è. Se sono fortunati diventano anche gli 
eroi di quella plebe che tanto disprezzano, ed esempi per le generazioni future, 
altrimenti periscono senza lasciare eredi, incompresi o fraintesi da tutti, e vengono 
presto dimenticati. E’ questo lo spettacolo tragico della vita, che gli spiriti 
superiori alla media vengono sacrificati e soffocati dalle masse, che si danno ad 
                                                                                                                                                               
occidentali, quasi esclusivamente agire in conformità ad una legge morale, si può concludere che 
«virtù» non sia stato altro finora, che un sinonimo di «obbedienza», cioè una forma di 
sottomissione, ossia una forma di debolezza. Quindi il vizio e la virtù risultano essere in definitiva 
non due termini opposti ma due modi diversi di porsi della debolezza. 
13
 Deve essere chiaro tuttavia che augurarsi la scomparsa del tipo non vuol dire eliminare degli 
individui. Quando Nietzsche parla di lotta per l’esistenza del tipo o di eliminazione di un tipo, non 
 15
un ideale ascetico e negatore del mondo e della vita proprio i più forti, quelli che 
sono i suoi frutti migliori, come è avvenuto per Pascal, e che gli esemplari più 
riusciti della specie non si riproducono.  
Comunque Nietzsche non perde la speranza anche perché, a dispetto del 
generale rimpicciolimento dell’uomo, e contro il volere dei più, nei diversi periodi 
storici e nelle diverse civiltà si assiste sempre alla nascita di un tipo di uomo che, 
seppure come caso fortunato, nei confronti dell’umanità può essere considerato 
una specie di uomo superiore, come i grandi condottieri, Alessandro Magno, 
Cesare, Napoleone, o anche le grandi guide spirituali come Buddha e Gesù. Ma 
questi sono solo dei casi, e proprio perché non sono stati voluti da nessuno, anche 
quando riescono a prevalere, subito dopo vengono misconosciuti. La superiorità di 
questi uomini sta nella loro costituzione interna, cioè nella molteplicità, diversità e 
maggiore organizzazione dei loro istinti rispetto a quelli dell’uomo comune: 
io insegno: che vi sono uomini superiori e inferiori, e che un individuo può, in 
certi casi, giustificare l’esistenza di interi millenni – vale a dire un uomo pieno, 
ricco, grande, intero, di contro agli innumerevoli uomini frammento, incompleti.
14
 
 
Questi uomini eccezionali sono i soli responsabili di ogni innalzamento del 
tipo uomo, e proteggerli dallo strapotere delle idee moderne, che per Nietzsche 
equivale a dire idee plebee, vuol dire garantire alla specie umana un futuro. Così 
egli vuole dare inizio a un ‘contro-movimento’ e spingere gli uomini più elevati, 
cioè gli spiriti liberi, gli artisti, i filosofi, e tutti coloro che hanno quel sovrappiù di 
potenza che serve alla creazione di nuovi valori, a riunirsi con l’obiettivo comune 
di allevare questi uomini superiori, in modo da ottenere da essi un tipo stabile che 
                                                                                                                                                               
si riferisce mai all’individuo, ma la sua preoccupazione è solo che, quando sarà terminata la lotta 
per l’esistenza all’interno della specie, saranno scomparsi anche i tipi superiori, o alcuni di essi. 
14
 OFN, VII, tomo 2, p. 258, fr. 27.16. 
 16
si mantenga al livello raggiunto, e che allo stesso tempo rappresenti anche il 
livello di forza dell’umanità in generale. 
 
1.3 L’IDEALE DELL’ULTIMO UOMO 
 
 Si tratta quindi di fare dell’uomo superiore, nel senso della costituzione 
interna, un tipo, cioè di riuscire a garantire all’uomo superiore un futuro stabile e 
al riparo da casualità sfavorevoli:  
uno dei due movimenti è senz’altro il livellamento dell’umanità, grandi formicai, 
ecc. L’altro movimento: il mio movimento: è, al contrario, l’inasprimento di ogni 
contraddizione e scissione, l’eliminazione dell’uguaglianza, la creazione di 
superpotenti. 
Quel movimento genera l’ultimo uomo. Il mio il superuomo. 
Il fine NON è assolutamente quello di concepire i secondi come signori dei primi: 
le due specie devono sussistere l’una accanto all’altra – il più possibile separate; 
l’una, come gli dèi di Epicuro, non curandosi dell’altra.
15
 
 
Nietzsche dice chiaramente che la via che conduce all’Übermensch passa 
attraverso la creazione di superpotenti, e quindi attraverso la ricerca di un aumento 
di potenza indefinito, che rappresenta lo scopo della trasvalutazione dei valori di 
una società decaduta come quella cristiana. Tuttavia fin d’ora è chiaro che, se 
l’Übermensch è un superpotente, allora il superamento deve essere riferito proprio 
alla potenza e alla ricerca di un aumento di potenza, e quindi proprio a quel 
movimento voluto da Nietzsche. E’ chiaro infatti che proprio in quanto 
l’Übermensch rappresenta lo scopo di un movimento, egli dovrà essere qualcosa 
di diverso dal movimento stesso. 
Al contrario Martin Heidegger dice: “il superuomo è colui che va oltre, 
lontano dall’uomo tradizionale; ma lontano verso dove? L’uomo tradizionale è 
                                                           
15
 OFN, VII, tomo 1, parte 1, p. 233, fr. 7.21. 
 17
l’ultimo uomo”
16
. Ma il prefisso «Über» non può indicare il superamento 
dell’ultimo uomo, perché anch’esso rappresenta, sebbene nella direzione opposta 
a quella voluta da Nietzsche, un superamento dell’uomo attuale. Infatti anche 
l’ultimo uomo è una creatura, egli è generato dal movimento delle idee moderne 
che vedono nella scomparsa del dolore l’obiettivo di ogni sforzo umano, e solo in 
quanto tale, in quanto è il frutto del movimento di idee opposto a quello tragico, è 
l’esatta antitesi dell’Übermensch. Entrambi rappresentano gli scopi opposti di due 
movimenti opposti, e quindi entrambi sono risultati consapevoli della volontà di 
felicità e della volontà di potenza dell’uomo. Tuttavia questo non vuol dire che 
l’Übermensch sarà un infelice ma solo che la sua sarà una felicità diversa da 
quella dell’ultimo uomo, che ha inventato la felicità liberandosi di ogni volere e 
ideale.  
Ora, per poter iniziare il contro-movimento rispetto alle idee dei 
“livellatori” sono necessari due processi, il differenziamento del tipo superiore dal 
tipo medio, e la formazione consapevole della specie superiore sulla base di nuove 
leggi di allevamento che avranno di mira soprattutto il rafforzamento della 
volontà. Per Nietzsche il pericolo maggiore non è infatti l’autodistruzione 
dell’umanità, la scomparsa della specie umana, ma soltanto la scomparsa dei tipi 
superiori, come il santo, il filosofo, il genio, i tipi ricchi e complessi che possono 
creare al di là di se stessi, gli unici ponti verso l’Übermensch. Il pericolo 
dell’umanità è che venga raggiunto solo l’ultimo uomo, cioè l’uomo che non sa 
più creare perché non sa più disprezzare, e che, per questo motivo, non è 
sostanzialmente diverso dagli altri animali. 
                                                           
16
 M. Heidegger, Che cosa significa pensare?, p. 79.