3 
 
Introduzione 
 
  
 
Il nostro sistema di relazioni sindacali ha sviluppato progressivamente una molteplicità di 
livelli di negoziazione, distinti in funzione della qualità dei soggetti partecipanti, delle 
materie oggetto di confronto e dell'ampiezza del campo di applicazione. In particolare, la 
contrattazione collettiva si presenta articolata verticalmente nei seguenti livelli, in genere 
corrispondenti ai livelli organizzativi dei soggetti negoziali: quello interconfederale, 
nazionale di categoria e decentrato. 
L'accordo interconfederale si trova al vertice del sistema contrattuale, giacché viene stipulato 
direttamente dalle confederazioni datoriali e sindacali, e disciplina determinati istituti (ad 
esempio oggi le rappresentanze sindacali unitarie) per i quali le parti ritengono necessaria od 
utile una regolamentazione uniforme per una pluralità di categorie. 
Il contratto collettivo nazionale di categoria costituisce il fulcro del sistema contrattuale. 
Esso è stipulato periodicamente (attualmente ogni quattro anni) dalle organizzazioni 
sindacali nazionali di categoria dei lavoratori e dei datori di lavoro e disciplina i minimi di 
trattamento economico-normativo (c.d. contenuto normativo) applicabili ai contratti 
individuali di lavoro riconducibili a quelle categorie di cui esso si occupa, nonché i rapporti 
tra i soggetti stipulanti (c.d. contenuto obbligatorio). Il contratto collettivo nazionale di 
categoria può altresì rinviare al contratto collettivo di settore. 
Il contratto decentrato è quello che viene stipulato a livello territoriale (provinciale o 
regionale) ovvero a livello di luogo di lavoro. Questo normalmente coincide con l'azienda,
4 
 
ma può anche essere di livello superiore (gruppo di aziende) o inferiore (stabilimento, 
reparto etc.). Anch‟ esso disciplina gli standard di trattamento economico-normativo, nonché 
interviene sui singoli problemi di gestione delle crisi, con la peculiarità che si applica ai 
rapporti di lavoro ed alle relazioni sindacali rientranti nel suo limitato ambito di 
applicazione. 
Nello studio dell‟evoluzione della contrattazione collettiva occorre far riferimento a sei tappe 
fondamentali riconducibili a determinati periodi storici: anni '50, anni '60, prima metà degli 
anni '70, seconda metà degli anni '70, anni '80 ed anni '90. 
Si cerca di descrivere come la contrattazione collettiva, da un sistema fortemente 
centralizzato, si sia evoluta passando attraverso l'esperienza della contrattazione articolata, 
del decentramento conflittuale, della ricentralizzazione, fino al sistema odierno delineato dal 
Protocollo del 23 luglio 1993, a sua volta recentemente sostituito dall‟accordo entrato in 
vigore il 15 aprile 2009, riguardante regole e procedure della negoziazione e della gestione 
della contrattazione collettiva. Esso conferma i due livelli della struttura contrattuale: uno 
nazionale di categoria e l‟altro, alternativamente, aziendale o territoriale (laddove previsto 
secondo l‟attuale prassi). Nonostante la conservazione di una struttura ormai consolidata nel 
tempo, il nuovo accordo pone modifiche significative che si inseriscono tra le righe di 
quanto già esistente. Invero, con l‟obiettivo di rilanciare la crescita economica del Paese si 
cerca di potenziare la contrattazione territoriale, quale sede decentrata e via per migliorare le 
condizioni salariali e normative di interi comparti produttivi.
5 
 
 
                                                   Capitolo primo 
I contratti collettivi e loro distinzione 
 
           1.1 Le fonti del diritto del lavoro in generale 
 
      Il primo aspetto da prendere in considerazione nella trattazione del tema dei contratti 
collettivi è quello della loro appartenenza alle fonti del diritto del lavoro. 
La dinamica del rapporto tra le fonti del diritto del lavoro potrebbe essere affrontata in 
termini, per così dire, istituzionali. Si dovrebbe allora partire dal riesame del sistema 
gerarchico stabilito dal codice civile per il quale, secondo gli artt. 1 e 7 delle disposizioni 
sulla legge in generale, sono fonte del diritto, nell‟ordine, “le leggi, i regolamenti, le norme 
corporative, gli usi”, mentre “le norme corporative non possono derogare alle disposizioni 
imperative delle leggi e dei regolamenti”. 
Dopo avere chiarito che la dizione ”norme corporative” va ritrascritta (depurando la 
definizione di cui all‟art.5 delle medesime disposizioni sulla legge in generale) in “norme dei 
contratti collettivi di lavoro”, occorrerebbe quindi osservare che l‟assetto gerarchico, nella 
sistematica del codice civile, è poi completato dal 2° comma dell‟art.2077, secondo cui “le 
clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, 
sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali 
condizioni più favorevoli ai prestatori di lavoro”, mentre l‟attributo della “inderogabilità” del 
contratto collettivo è stato poi riconfermato dal 1° comma dell‟art. 2113 c.c. (come riformato 
dalla legge n. 533 del 1973). Al riguardo, bisognerebbe inoltre interrogarsi sulla possibilità
6 
 
di includere il contratto collettivo di lavoro nello stesso sistema formale delle fonti, ovvero 
di qualificarlo come fonte extra ordinem
1
; oppure domandarsi se non sia più opportuno 
seguire l‟insegnamento tradizionale, che vieta tale inclusione in ragione del fatto che il 
contratto collettivo, data l‟inattuazione dell‟39 della Costituzione, resta - in generale - un 
contratto di “diritto comune” e quindi, essendo mera fonte di obbligazioni tra le parti, non è 
assimilabile al sistema delle fonti di diritto oggettivo. 
Il tema può essere tuttavia osservato, in termini meno scolastici, ponendosi dal punto di vista 
sostanziale, cioè dall‟angolo visuale di un concreto rapporto di lavoro ipotizzato nella sua 
medietà sociale, e immaginando quindi di essere nella posizione di un lavoratore, in una 
azienda privata di medie dimensioni e con un tasso normale di sindacalizzazione, il quale si 
trova di fronte al problema della determinazione delle sue condizioni di lavoro. 
In tal caso possono verificarsi, schematicamente, due alternative. Può essere che tale 
lavoratore occupi una posizione forte sul mercato, perché in possesso di una professionalità 
pregiata, e che quindi egli detenga un effettivo potere di negoziazione individuale: in questo 
caso lo strumento principale di disciplina del rapporto di lavoro diventa, nei fatti, il contratto 
individuale, stipulato in ragione delle reciproche convenienze. 
La rilevanza di questo strumento di regolamentazione sembra essersi di recente accresciuta: 
ciò significa che una quota della forza lavoro ha acquistato maggiore potere sul piano della 
determinazione delle condizioni di lavoro e che quindi, almeno per alcuni settori di mercato, 
si riattualizza il paradigma liberale, fondato su la parità dei contraenti, mentre verrebbero 
meno, per logica conseguenza, in tali settori, la necessità di normative imperative statuite 
dalle fonti superiori. 
Non sempre però le situazioni, dal punto di vista del singolo, sono così rosee: non tutti, cioè, 
si trovano nella posizione di chi detiene una professionalità ricercata sul mercato, e può 
                                                           
1
 Mengoni L., Le fonti del diritto del lavoro, Milano, Giuffrè, 1962.
7 
 
quindi usare le discipline standard previste in sede collettiva come semplice base di partenza 
delle trattative individuali. 
Non è necessario riferirsi alle componenti più sfavorite della manodopera le quali, senza 
sostegno pubblico, verrebbero inesorabilmente marginalizzate dalla logica di mercato. E‟ 
sufficiente pensare al lavoratore comune, privo di una specifica forza contrattuale e 
condizionato dagli squilibri sfavorevoli all‟offerta di lavoro. 
Su questi due termini essenziali, giova chiarirlo, si è svolta la dinamica di fondo dei rapporti 
di lavoro nell‟epoca industriale. Sulla rilevazione di uno squilibrio strutturale, a svantaggio 
del lavoratore, è nato infatti il diritto del lavoro. 
Il lavoratore comune, sprovvisto di una propria forza negoziale, deve perciò guardare  alle  
fonti di carattere superiore, la cui funzione è appunto quella di porre un limite alla 
incondizionata libertà di negoziazione sul piano individuale e alla supremazia del datore di 
lavoro. Così in sede di contratto individuale, non si potrebbe, ad esempio, attribuire al datore 
di lavoro la facoltà di adibire il lavoratore a qualsiasi tipo di mansioni, oppure di richiedere 
prestazioni incondizionate di lavoro straordinario o festivo o in rinuncia al riposo settimanale 
o al periodo feriale, ne si potrebbe prevedere la risoluzione del rapporto in caso di malattia, 
né, tanto meno, l‟occultamento di parti della retribuzione a fini di evasione dei contributi 
previdenziali. In tutti questi casi infatti esistono norme legislative che stabiliscono discipline 
imperative, inderogabili dalle parti, da cui deriva l‟invalidazione delle clausole del tipo 
descritto, a condizione, ovviamente, che il soggetto interessato si attivi, giudizialmente, per 
la tutela dei suoi diritti. Esiste quindi una fonte primaria di regolazione dei rapporti di lavoro 
costituita dalla legislazione statuale, a sua volta articolata in diversi livelli (costituzione, 
codice civile, legislazione ordinaria e speciale). Tradizionalmente, la funzione imperativa di 
tale fonte corrisponde alla esigenza di tutelare il lavoratore, in qualità di contraente più 
debole, mediante una protezione minima, legittimando quindi – a rovescio – il potere del
8 
 
datore di lavoro dopo averlo ricondotto al quadro delle limitazioni legali: in questo senso la 
legge assume il connotato della inderogabilità unilaterale, a favore del lavoratore. Il contratto 
individuale può cioè modificare il trattamento legislativo solo a vantaggio del lavoratore. 
Nell‟esempio prima proposto, si è tuttavia anche ipotizzato che il rapporto di lavoro, della 
cui regolamentazione ci stiamo occupando, si svolga in una azienda di “media 
sindacalizzazione”. Ciò implica che in quella azienda, con buona probabilità, si devono 
applicare uno o più contratti collettivi: vale a dire, un contratto nazionale di categoria e uno o 
più contratti collettivi aziendali, eventualmente stipulati a livello di impresa. Per ricostruire 
la disciplina concreta del singolo rapporto non basta più, allora, comparare la fonte 
legislativa con il contratto individuale. Occorre considerare anche la fonte collettiva: per cui, 
se i contratti collettivi hanno previsto, ad esempio, una certa percentuale di maggiorazione 
per il lavoro straordinario, o un orario normale di lavoro settimanale, non si potranno 
concordare, in sede individuale, trattamenti deteriori per il lavoratore. Opera in tal caso il 
meccanismo della sostituzione automatica della clausola individuale con la clausola 
collettiva, previsto dal già citato art. 2077 c.c., convalidato dalla attribuzione del carattere 
della inderogabilità alle “disposizioni… dei contratti o accordi collettivi” statuita, ai fini 
della disciplina delle rinunzie e delle transazioni, dall‟art. 2113 c.c., nella versione riformata 
dalla legge n. 533 del 1973. 
Ne risulta che il contratto individuale, al pari del potere di determinazione del datore di 
lavoro, è sottordinato sia alla legge che alla contrattazione collettiva
2
. 
Resta da vedere quale sia il rapporto tra le due fonti superiori. Qui il discorso diventa più 
complicato. In linea generale si può dire, richiamando le disposizioni del c.c. citate in 
apertura, che anche la fonte collettiva è sottordinata a quella legislativa, nel senso che la 
norma imperativa di legge prevale su tutte le altre fonti di disciplina. In origine esiste quindi 
                                                           
2
 Assanti C., Corso di diritto del lavoro, Padova, Cedam, 1981.
9 
 
una gerarchia tra fonti. Questo schema si è tuttavia parecchio alterato e complicato nel 
tempo. Comunque, è bene sottolineare che tra le due fonti in oggetto esiste una diversità 
strutturale, che non dipende solo dai loro distinti meccanismi di formazione e legittimazione 
ma anche dalla differente intensità giuridica dei loro prodotti normativi. Infatti allo stato 
attuale del nostro ordinamento, i contratti collettivi non hanno efficacia generale, ma vanno 
ancora ricondotti, in genere, al diritto “comune”: la loro vincolatività, sul piano giuridico, 
resta collegata alla dimensione associativa, poiché essi obbligano solo gli iscritti alle 
associazioni stipulanti. Da ciò derivano ulteriori complicazioni che verranno in seguito 
analizzate
3
. 
Quanto detto fin qui rappresenta una enunciazione volutamente schematica della complessità 
del gioco delle fonti nel diritto del lavoro. Per intendere le molteplici varianti, in termini di 
risultato, di tale interazione si può raffigurare il contenuto del rapporto individuale di lavoro 
come un piccolo pianeta illuminato da diversi soli, ciascuno circondato da un proprio 
sistema: il sistema legislativo (composto, come si è visto, da una pluralità di livelli 
normativi), il sistema della contrattazione collettiva (anch‟esso articolato in una serie di 
sottosistemi), il contratto individuale e il potere del datore di lavoro
4
. 
 
          1.2  Il contratto collettivo 
  
     Nel diritto giudiziario degli anni ‟50, quella “funzione paralegislativa” del contratto 
collettivo – mutuata dalla concezione corporativa di tale contratto come “legge” della 
categoria professionale – non riesce ad alterarne la natura formalmente negoziale. 
                                                           
3
 Ghera E., Le fonti del diritto del lavoro, Bari, Cacucci, 1985. 
4
 Mariucci L.,Le fonti del diritto del lavoro,ed agg.,Giappichelli, Torino, 2003.
10 
 
Il contratto collettivo di diritto comune, a differenza di quello corporativo, rimane fedele al 
nomen iuris: esprime cioè il potere di autonoma regolamentazione dei propri interessi, 
riconosciuto ai privati dall‟art. 1322 c.c. con la sola peculiarità che questi interessi, almeno 
dalla parte dei lavoratori, sono appunto “collettivi”. E‟ scontato che, mediante la libera 
iscrizione all‟associazione sindacale, o la semplice adesione a un gruppo (anche spontaneo), 
il singolo lavoratore demanda all‟autonomia collettiva la gestione della propria “debole” 
autonomia individuale. 
La principale conseguenza è che la sfera soggettiva di efficacia del contratto resta limitata ai 
soli aderenti alle associazioni stipulanti: è principio generale, stabilito nell‟art. 1372, 2° 
comma,c.c., che il contratto tipico o atipico, non produca effetti per i terzi se non nei casi 
previsti dalla legge; e poiché non c‟è alcuna norma che prevede l‟estensione ultrapartes del 
contratto collettivo, è chiaro che in un contesto giussindacale basato sulla rappresentanza 
volontaria, si considerano “terzi”, rispetto al contratto collettivo, tutti i soggetti (datori e 
lavoratori) che, non avendo con l‟iscrizione conferito alcun mandato alle rispettive 
associazioni stipulanti, restano giuridicamente estranei all‟attività contrattuale. In sostanza, 
mancando una norma che espressamente ed inequivocabilmente preveda tale espressione, 
contrasta con la logica privatistica (sottesa al contratto collettivo di diritto comune) che un 
soggetto estraneo alla stipulazione del contratto, perché non iscritto all‟associazione 
contraente, ne risulti in qualche modo vincolato. Le contraddizioni racchiuse in questa 
posizione giurisprudenziale, sulla quale si impernia tutta la ricostruzione del sistema 
contrattuale post-corporativo, sono molteplici e si avvertono sia dentro lo stesso ordinamento 
statuale, sia nel rapporto tra ordinamento statuale e ordinamento intersindacale. 
In una rilettura della dottrina in tema di contratto collettivo sembra possibile ed opportuno 
tracciare una suddivisione in tre grandi periodi;
11 
 
Il primo periodo, quello precorporativo, ha visto nascere l‟oggetto di studio ed ha portato ai 
primi, quasi timidi studi su una materia che si andava sviluppando nella realtà dei rapporti 
sociali e che necessitava di una ricostruzione dogmatica. 
Il secondo periodo, quello corporativo, vede negata la libertà sindacale e di conseguenza 
alterato l‟assetto contrattuale ed alla originaria impostazione del contratto collettivo come 
espressione di autonomia privata, individuale o di gruppo, si sovrappone lo studio del 
contratto collettivo come fonte di diritto obiettivo. 
Il terzo periodo, infine, è collegato ad un capovolgimento - benché non sempre nitido e privo 
di contraddizioni - della visione fascista dei rapporti di produzione ed al ritorno ad una 
contrattazione di natura privatistica. 
Nonostante la profonda diversità del regime politico e del quadro giuridico complessivo di 
riferimento nei tre periodi, appaiono notevoli segnali di continuità nel pensiero giuridico, 
probabilmente dovuti al fatto che la scienza giuridica, come ogni altra scienza, procede 
attraverso continui arricchimenti e ripensamenti
5
. 
I primi scritti sul contratto collettivo, in Italia, risalgono all‟inizio di questo secolo e furono 
occasionati da alcune decisioni probivirali. I collegi dei probiviri, infatti, decidendo secondo 
equità in una materia che in qualche modo si può definire a quel tempo ancora vergine 
rispetto ad interventi dogmatici, accesero il dibattito tra i giuristi, abituati, invece, ad 
interpretare la realtà secondo le ferree regole di diritto. 
Così Ascoli, un primo commentatore dell‟operato dei probiviri, quasi scandalizzato, si è 
trovato ad accusare una giuria probivirale di avere completamente trascurato i “principi del 
diritto contrattuale italiano” nell‟aver dichiarato un datore di lavoro vincolato al rispetto di 
un concordato stipulato da una mutua della quale lo stesso imprenditore non era socio. Nella 
ricostruzione del contratto collettivo operata dall‟autore, esso è infatti definito come “il 
                                                           
5
 Bortone R., Il contratto collettivo tra funzione normativa e funzione obbligatoria,Cacucci, Bari, 1992.
12 
 
contratto di tutti i singoli soci, la cui opera si obbliga o sulla mercede dei quali si pattuisce”; 
“il contenuto stesso della contrattazione, che è sempre una locazione d‟opera personale”, non 
può che riferirsi ai singoli e la lega dei lavoratori o l‟associazione degli industriali agisce 
come diretto rappresentante dei singoli, sia che questi siano già parti di un contratto di lavoro 
al momento della stipulazione collettiva sia che ne diventino parti in seguito; in questa 
ricostruzione al contratto collettivo di “collettivo” resta molto poco, giacchè esso si confonde 
con una serie indeterminata di contratti individuali
6
. 
Come è noto, in Italia il primo tentativo organico di ricostruzione giuridica del fenomeno del 
contratto collettivo è quello di Messina
7
 e particolarmente interessante sembra ricostruire il 
pensiero di questo autore che, in un certo senso, ha segnato tutta la dottrina successiva. 
Numerosi sono i riferimenti contenuti nel saggio di Messina che ci fanno pensare a quello 
che oggi conosciamo come ordinamento intersindacale; innanzitutto si riconosce la tendenza 
del sindacato a regolare i rapporti di lavoro non solo nei confronti dei suoi aderenti, ma nei 
confronti dell‟intera categoria e cioè la tendenza del “regolamento autonomistico a 
trasformarsi da figura di diritto subiettivo in norma giuridica obiettiva, ad elevarsi da regola 
intra partes in precetto supra partes”; indubbiamente l‟attenzione maggiore di questo giurista 
è rivolta alla cd. parte normativa del contratto: egli dichiara infatti, che, in relazione alle 
finalità ed alla funzione del concordato, costituiscono l‟elemento essenziale di esso le 
clausole relative alla disciplina dei rapporti individuali di lavoro: quelle sull‟orario di lavoro, 
sulle pause ed i riposi, quelle sui processi industriali da impiegarsi nel lavoro, sull‟ambiente 
e sulla diligenza richiesta, quelle sui modi di risoluzione delle controversie individuali di 
lavoro, quelle sul salario e così via. Sarebbe però riduttivo ritenere che, secondo Messina, la 
funzione del contratto collettivo coincida con la regolamentazione dei rapporti individuali di 
                                                           
6
 Una critica in questo senso è in Galizia, Il contratto collettivo di lavoro, L.Pierro, Napoli, 1907,32 ss. 
7
 Messina,I concordati di tariffa nell‟ordinamento giuridico del lavoro, in Riv.dir. com.,1904,I,511 ss