Introduzione
In questo studio sperimentale, svolto in collaborazione con il Politecnico di 
Milano e lo staff della nazionale di Rugby, abbiamo voluto focalizzare 
l’attenzione sull’interazione tra scarpa, piede e terreno nel movimento di 
traslazione antero-posteriore che avviene nella spinta del giocatore di rugby 
durante la mischia. Infatti ai fini di una spinta ottimale è necessario non solo avere 
una forza muscolare estremamente sviluppata, ma anche un’interfaccia piede-
terreno che permetta di esprimere la massima forza di traslazione. Per questo 
motivo abbiamo indagato sulla scarpa da rugby, attraverso un’analisi sperimentale 
in cui abbiamo confrontato la capacità di trazione di diversi modelli di scarpe da 
rugby e da calcio ai fini di valutare l’importanza della lunghezza e la disposizione 
dei tacchetti nell’interazione col terreno. Si è visto, infatti, in letteratura che 
l’incidenza degli infortuni può essere correlata anche alla lunghezza e allo 
spessore dei tacchetti oltre che a fattori ambientali. Minimizzare dunque qualsiasi 
dispendio di energia o movimento patologico dovuto a fattori esterni come le 
calzature può permettere perciò di ottimizzare il movimento di spinta della 
mischia, permettendo di ridurre il numero di infortuni e di esprimere al meglio 
uno dei momenti più entusiasmanti di questo sport, in cui forza muscolare e 
spirito di collaborazione concorrono insieme al conseguimento del risultato.
Capitolo I
Struttura e funzione delle giunzioni articolari del piede
Possiamo definire il piede come quel complesso anatomico, atto a consentire la 
stabilità durante la statica e la dinamica, e al contempo come produttore stesso del 
movimento, in sinergia con le strutture più prossimali. Per questo motivo è 
considerato un complesso funzionale, oltre che strutturale, di un valore 
inestimabile. Esso a differenza delle altre specie animali, grazie alla sua 
complessa quanto singolare architettura, permette lo spostamento del corpo in 
maniera efficace e rapida, adattandosi a vari tipi di terreno in situazioni di precario 
equilibrio. E’ infatti evidente, come la nostra superficie d’appoggio in stazione 
eretta, sia minore rispetto a quella di qualunque altra specie. La sua sviluppata 
struttura neuro-funzionale, la grande quantità di meccanismi di adattamento 
attraverso micromovimenti di aggiustamento e la sua elevata sensibilità, permette 
di affrontare, oltre ai normali movimenti quotidiani, anche le più ardue prestazioni 
fisiche e sportive in cui le capacità di adattamento sono rese ancor più evidenti.
E’ chiaro allora come in uno sport come il rugby non possa essere messa in dubbio 
l’importanza dell’integrità morfo-funzionale del piede il quale, pur avendo 
elencato molte qualità, ha il difetto di essere una struttura delicata e al contempo 
molto esposta ad infortuni.
Per capire come funziona il piede durante la spinta in fase di mischia così come 
nei movimenti più semplici dobbiamo osservare e approfondire la sua anatomia.
Il piede è costituito dall’insieme di 26 ossa, 22 muscoli, 21 articolazioni, più un 
numero notevole di legamenti. I soli numeri suggeriscono la sua complessità.
Ciò che ci interessa dell’anatomia del piede per questo studio sono soprattutto le 
articolazioni e il loro meccanismo di movimento.
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1.1   Articolazione Tibiotarsica
Comprende prossimalmente le superfici articolari distali del perone e della tibia, 
di forma cava e distalmente la puleggia dell’astragalo di forma concava, 
costituendo il così detto mortaio tibio-peroneo-astragalico (fig.1.1). 
L’articolazione tibiotarsica è una troclea, ciò significa che consente movimenti 
angolari di gamba e piede perpendicolarmente all’asse intermalleolare. La 
dorsiflessione è il movimento di avvicinamento 
del dorso del piede alla superficie anteriore di 
gamba, mentre la plantarflessione è il suo 
allontanamento. In dorsiflessione il movimento 
può raggiungere 30°, in plantarflessione 50 °; per 
una normale deambulazione sono necessari 
almeno 10° di dorsiflessione, mentre il 
movimento di plantarflessione è trascurabile, 
eccetto che nell’attività sportiva. Durante la 
plantarflessione il piede è più instabile, perché 
l’astragalo, andando da anteriore a posteriore, si assottiglia, pertanto la puleggia 
astragalica non mantiene costantemente la massima congruenza col mortaio tibio-
peroneale . Considerato che in fase di mischia la spinta al suolo è data col piede in 
posizione equina, il rugbista è chiamato ad allenare la muscolatura estrinseca del 
piede, non solo per garantire la massima forza di spinta, ma anche la massima 
stabilità di caviglia, evitando così possibili infortuni. Per questo scopo, oltre al 
rafforzamento muscolare, è importante praticare dei continui esercizi di stretching 
e di propriocezione. Lo stretching fa sì che il muscolo tricipite della sura si 
allunghi e che vada, quindi, incontro a minore probabilità di lesione, e inoltre 
permette un aumento di forza, potenza e velocità che non si sviluppa dopo una 
singola seduta di stretching o “stretching acuto”, ma si verifica con un 
allenamento programmato di varie sedute nel tempo, “stretching cronico”. Gli 
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Fig. 1.1
mortaio tibio-peroneo-astragalico
esercizi propriocettivi servono, oltre ad evitare infortuni, anche a potenziare 
ulteriori aspetti importanti per il rugby: 
- sollecitano il gruppo muscolare nel suo insieme
- migliorano l’equilibrio
- affinano il gesto tecnico
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L’asse dell’articolazione tibio-tarsica è leggermente inclinato rispetto ai tre piani 
cardinali: 8°-12° rispetto al piano trasverso e 12°-18° rispetto al piano frontale. La 
sua direzione va da posteriore, plantare, laterale ad anteriore, dorsale, mediale. 
Questo significa, che col movimento di plantarflessione avremo una leggera 
adduzione e inversione del piede, mentre con la dorsiflessione avremo 
l’abduzione e l’eversione.
La stabilità articolare è data da mezzi di fissazione come la capsula articolare, e 
una serie di legamenti. Nel comparto laterale troviamo tre legamenti: legamento 
peroneo-astragalico anteriore; legamento peroneo-calcaneare; legamento peroneo-
astragalico posteriore. L’insieme di questi legamenti  limita il movimento di 
inversione del piede, ostacolando così il meccanismo più comune di distorsione di 
caviglia. Il  legamento peroneo astragalico anteriore è solitamente il primo a 
essere lesionato ed è quello meno robusto, di seguito osserviamo il legamento 
peroneo-calcaneare, che riveste una certa importanza nella stabilità, oltre che 
dell’articolazione tibiotarsica, anche di quella dell’articolazione sottoastragalica, 
tra astragalo e calcagno. Per finire il legamento peroneo-astragalico posteriore, il 
quale viene lesionato più raramente rispetto ai precedenti.
Nel comparto mediale osserviamo il legamento deltoideo. Un robusto legamento 
suddivisibile in quattro fasci diversi: fascio tibio-astragalico anteriore, tibio-
astragalico posteriore, tibio-calcaneare e tibio-navicolare.
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1
	
  	
   Marshall	
  J.,	
  Flexibility	
  for	
  Rugby	
  Players,	
  2008
1.2   Articolazione sottoastragalica
È l’articolazione “fulcro” dell’appoggio podalico. La forza peso viene trasmessa 
attraverso femore, tibia, astragalo sul calcagno. Quest’osso  è il primo a toccare il 
terreno, e dal momento che si articola prossimalmente con l’astragalo, l’appoggio 
sarà mediato dal movimento di queste due ossa l’una su l’altra.
Il calcagno si articola con l’astragalo per mezzo di tre faccette articolari: 
sottoastragalica posteriore, media e anteriore; quella posteriore è separata da 
quella media dal seno del tarso, ovvero un foro costituito dall’unione del solco del 
talo e il solco del calcagno, dotato di un elevato numero di recettori sensitivi e 
propriocettivi oltre che di un fascio vasculo-nervoso. L’articolazione 
sottoastragalica è molto complessa per via non solo della sua struttura e posizione, 
ma soprattutto per la 
biomeccanica, e ciò la rende 
unica nel suo genere. La 
sottoastragalica posteriore è 
rivestita da una propria capsula, 
ed è quindi un’articolazione a 
parte ed è classificabile come un 
trocoide, in quanto la superfice 
articolare calcaneare è di forma 
ovalare e convessa, mentre quella 
astragalica è pure ovale, ma concava. Quella invece media e anteriore costituisce 
l’altra “metà” della art. sottoastragalica ed è rivestita anch’essa da una capsula 
propria, mentre le faccette articolari sono di forma pianeggiante.
Il movimento risultante è dato dall’insieme dei movimenti della sottoastragalica 
posteriore e media-anteriore, che sviluppano un movimento chiamato di prono-
supinazione, ovvero un movimento dato dall’insieme di dorsiflessione, abduzione, 
eversione (pronazione) e di plantarflessione, adduzione e inversione (supinazione) 
(Fig. 2.1). Ciò è permesso in quanto l’asse della sottoastragalica è inclinato 
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Fig. 1.2
movimento tra astragalo e calcagno di eversione-
inversione
rispetto ai tre piani cardinali e come quello dell’articolazione tibiotarsica 
anch’esso parte da posteriore, laterale, plantare e si dirige in direzione anteriore, 
mediale, dorsale. La differenza con l’articolazione tibiotarsica è che oltre ad avere 
superfici articolari molto diverse, l’inclinazione rispetto ai tre piani è più evidente: 
16° rispetto al piano sagittale e 42° rispetto al piano trasversale. Ciò si traduce in 
un maggior componente di eversione-inversione, in quanto l’asse ha una maggior 
inclinazione rispetto al piano frontale.
Bisogna fare una distinzione tra questo movimento se eseguito in carico o in 
scarico, perché l’astragalo, che è l’unico osso del nostro corpo in cui non risiede 
alcun inserzione muscolare, si muove per mezzo di movimenti dettati dai 
segmenti circostanti, per cui in carico seguirà la direzione della gamba. 
All’intrarotazione della gamba conseguirà la plantarflessione e l’adduzione 
dell’astragalo, mentre all’extrarotazione della gamba conseguirà la dorsiflessione 
e l’abduzione. Il calcagno in questo momento è vincolato al terreno, perciò avrà 
solo la possibilità di muoversi sul piano frontale, compiendo movimenti di 
eversione-inversione .
Se invece ci troviamo in scarico l’astragalo resta nella sua posizione insieme alla 
gamba e fa da perno al calcagno che sarà libero di muoversi su di esso. I 
movimenti del calcagno sono di plantarflessione, inversione e adduzione 
(supinazione) e di dorsiflessione, eversione e abduzione (pronazione).
La pronazione e la supinazione sono quindi due movimenti fisiologici del piede, 
purchè la prima rappresenti 1/3 della seconda. Per un cammino ideale sono 
richiesti 4° - 6° in supinazione e 4° - 6° in pronazione per un range articolare 
totale di 8° - 12°.
1.3  L’articolazione mediotarsica
Chiamata anche articolazione del tarso o Chopart è composta, così come 
l’articolazione sottoastragalica, da due articolazioni: astragalo-scafoidea e 
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calcagno cuboidea. Sono delle artrodie quindi è consentito un movimento di 
scivolamento tra le superfici articolari. Possiede non uno, ma due assi di 
movimento: l’asse longitudinale, inclinato rispetto al piano sagittale e traverso 
rispettivamente di 9° e 15°, e l’asse obliquo inclinato rispettivamente di 57° e 52°
(Fig. 1.3.1; Fig. 1.3.2). Entrambi gli 
assi hanno una direzione che va da 
posteriore, laterale e plantare ad 
anteriore, mediale e dorsale. Ciascun 
asse dell’articolazione mediotarsica 
permette il movimento solo su un 
piano (un grado di libertà), ma poiché 
ciascun asse forma un angolo con i tre 
piani cardinali, si produce un 
movimento triplanare. Sull’asse 
longitudinale ci sarà una maggior 
componente di eversione-inversione, mentre sull’asse obliquo il movimento 
maggiore è di ab-adduzione e di flessione plantare e dorsale. Il movimento finale 
clinicamente rilevante è di eversione-inversione dell’avampiede, mentre il 
movimento sugli altri piani è trascurabile. Il 
ROM intorno all’asse obliquo non è conosciuto, 
mentre intorno all’asse longitudinale è di 4°- 6° 
e permette di compensare i 4°-6° di eversione 
dell’articolazione sottoastragalica. Il range 
articolare, inoltre, cambia in base alla posizione 
dell’articolazione sottoastragalica: la prono-
supinazione aumenta quando l’articolazione 
sottoastragalica è pronata e diminuisce quando 
questa è supinata. In un piede con 
un’articolazione mediotarsica normale a fondo 
corsa pronatoria e l’articolazione sottoastragalica 
6
Fig. 1.3.1
Visione sul piano sagittale dell’asse obliquo e 
dell’asse trasverso dell’articolazione mediotarsica
Fig. 1.3.2
Visione sul piano trasverso dell’asse 
obliquo e dell’asse trasverso 
dell’articolazione mediotarsica