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PREFAZIONE 
 
 
Il lavoro dei minori è senz‟altro un tema molto delicato e, per certi 
versi, “scottante” sotto moltissimi aspetti. Si deve, infatti, sgomberare il 
campo da molti pregiudizi prima di poter condurre un‟analisi di questo 
fenomeno, e questo soprattutto nel momento sociale e politico attuale in 
cui sembra prevalere una sorta di “sensazionalismo” che danneggia e 
pone in difficoltà l‟operatore che voglia adottare un approccio 
scientifico più critico e consapevole, il solo in grado di aiutare a 
enucleare e risolvere i problemi specifici legati a questa fattispecie. La 
ricerca delle cause del lavoro dei minori, la classificazione delle forme 
in cui questo si esprime nel concreto e la definizione di soluzioni e 
suggerimenti migliorativi non può quindi prescindere da una 
preliminare opera di ricognizione chiarificatrice, che depuri il dibattito 
da convinzioni fallaci. 
Una prima opinione, tanto diffusa quanto errata, relega il lavoro dei 
minori, in particolare dei fanciulli e dei bambini, esclusivamente nelle 
aree geopolitiche del Terzo e del Quarto Mondo. Non si vuole certo 
negare che la realtà di questi Paesi conosca una diffusione anomala e 
malsana dell‟impiego di manodopera minorile, ma è necessario 
prendere coscienza della dimensione intra moenia del fenomeno: anche 
negli Stati economicamente più benestanti, che vantano un ordinamento 
giuridico consolidatosi intorno alla tutela dei diritti fondamentali della
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persona umana, il lavoro minorile ha una diffusione non marginale e 
spesso si declina nella pratica come sfruttamento criminale di soggetti 
particolarmente indifesi. 
Una seconda opinione errata da rimuovere riguarda la valutazione etica 
del lavoro dei minori. Si assiste oggi, infatti, a un sempre più diffuso 
atteggiamento di condanna apodittica, che non tiene conto di fattori 
fondamentali per un giudizio corretto e consapevole, quali la specificità 
del background sociale e culturale di provenienza del minore e, sotto il 
profilo più specificamente tecnico e giuridico, le motivazioni 
dell‟impiego (sia del datore, sia del minorenne lavoratore) e il tipo e la 
qualità delle mansioni affidate. È assolutamente deprecabile, infatti, lo 
sfruttamento dei bambini di stampo ottocentesco nei cunicoli delle 
miniere, nelle fabbriche, addirittura nelle attività del crimine 
organizzato (il noto romanzo di Charles Dickens “Oliver Twist” 
propone un impietoso spaccato di una realtà ancora più impietosa), 
eventi tragici che hanno scritto le pagine peggiori della società 
“moderna”. Tuttavia, l‟impiego di manodopera minorile ha valenza 
perfino positiva se viene pensato, coordinato e inserito in un percorso 
organico e attentamente disciplinato di formazione che affianchi la 
teoria scolastica alla pratica del mondo del lavoro. L‟estremismo, anche 
in questo caso, non aiuta e, anzi, danneggia proprio il soggetto che si 
pretenderebbe ti tutelare, perché gli nega in radice un‟opportunità di 
maturazione e di crescita, quando invece sarebbe sufficiente un efficace 
meccanismo di controllo della legalità e del rispetto dei diritti 
fondamentali. 
Chi si vuole confrontare con il tema del lavoro dei minori con 
correttezza di metodo deve, inoltre, prendere pienamente 
consapevolezza della dimensione ampia e interdisciplinare del
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fenomeno stesso. Il problema, infatti, è troppo complesso e ramificato 
per poter essere affrontato esclusivamente sotto un profilo specifico ad 
esclusione di ogni altro. Sotto l‟aspetto scientifico generale, il giurista 
deve dialogare con il sociologo per conoscere le cause culturali e 
l‟impatto sociale del ricorso al lavoro minorile, e solo in un secondo 
momento potrà con cognizione di causa separare le cause lecite (la 
formazione e la crescita) da tutelare e regolamentare, da quelle illecite 
(risparmio sui costi di manodopera e sfruttamento) da reprimere. Fra 
giuristi, poi, è essenziale il confronto continuo tra il diritto del lavoro e 
il diritto penale, allo scopo di perfezionare la definizione delle diverse 
fattispecie in cui si declina il lavoro minorile e, quindi, di conferire la 
massima efficacia alle norme di repressione contro le condotte di 
maltrattamento, sfruttamento, riduzione in schiavitù, ... Parimenti 
ineludibile è l‟attenzione al diritto internazionale e il dialogo fra i 
diversi ordinamenti giuridici, alla ricerca di soluzioni comuni o, 
comunque, concordate che possano fare efficacemente fronte alla 
dimensione sovranazionale del problema della tratta e dello 
sfruttamento dei minori (anche) a scopo di lavoro. 
Infine, non può dirsi completo un esame del lavoro minorile che non dia 
conto dell‟approccio in concreto adottato dall‟ordinamento giuridico, 
anche per il tramite delle autorità amministrative preposte al controllo 
del rispetto dei valori essenziali della legalità e dei diritti primari. In 
questo campo, cooperano vari uffici pubblici con compiti settoriali, ma 
essenziali, fra cui la scuola, i servizi sociali e la polizia giudiziaria. 
Nella nostra materia, comunque, il protagonista in questo ambito è 
senz‟altro l‟ispettore del lavoro in virtù delle sue specifiche mansioni di 
vigilanza e di consulenza, estese dal decreto legislativo n. 124/2004 
ambiziosamente a tutto l‟ambito giuslavoristico, ivi includendo i profili
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legislativi, amministrativi, contrattuali e anche penali. 
È soprattutto per questo motivo che ho scelto di occuparmi di un tema 
così settoriale e per certi versi “dimenticato”, perché nella mia qualità 
anche di ispettore del lavoro questo tema mi si pone come una sfida di 
civiltà, una scommessa sul futuro che chiede di essere vinta.
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CAPITOLO I 
 
L'evoluzione del diritto minorile come tutela del minore 
nell'ordinamento giuridico italiano e internazionale 
 
 
1. Premessa storica: l’origine storico-sociale del lavoro minorile 
dalla Rivoluzione industriale 
 
Il "lavoro minorile
1
" è nato con l‟uomo, ha seguito la storia, 
l'evolversi della società, le modifiche del nucleo familiare. Essendo un 
fenomeno così antico e radicato nella cultura e nella società fino 
neppure due secoli fa, la consapevolezza della sua intrinseca negatività 
ha avuto modo di svilupparsi solamente quando la sensibilità verso 
l'infanzia non è stata più connotata solo in termini affettivi, ma , a fronte 
di un più largo benessere delle moderne e contemporanee società del 
“primo mondo”, è divenuta coscienza delle caratteristiche specifiche del 
bambino come persona, e quindi delle sue particolarità e delle sue 
esigenze fisiche, intellettuali e psicologiche.  
La chiave di volta culturale è data, infatti, dalla presa di coscienza 
della sua identità di persona in sé, completa, con i suoi diritti. Il 
problema del lavoro minorile nasce, non a caso, nell'epoca moderna e 
presso le società più attente ai diritti individuali inviolabili, non perché 
prima i giovani e i bambini non lavorassero, ma perché il loro lavoro era 
semplicemente soggetto a regole e principi diversi sotto il mero profilo 
privatistico / contrattuale, coerenti con la diversità delle strutture 
                                                 
1
 CASTELVETRI L., “Il Diritto del lavoro delle origini”, Milano, Giuffre, 1994; CENDON (a 
cura di) “I bambini e i loro diritti”, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 33; Ghera E., “Diritto del 
Lavoro. Il rapporto di lavoro”, Bari, Cacucci, 2006, p. 161-173;
10 
sociali
2
. 
E‟ con l'avvento dell'era industriale che inizia il problema 
dell'impiego della manodopera giovanile, quale lo si conosce oggi, e, 
più in generale, del necessario intervento dello Stato a protezione delle 
categorie più deboli. 
Con il passaggio dall'economia artigiana e contadina a quella 
capitalistica, caratterizzata dalla divisione e, più tardi, 
dall'organizzazione scientifica del lavoro, specialmente nei primi tempi, 
non occorrono lavoratori specializzati, poiché la prestazione di lavoro 
richiesta per la condotta ed il controllo delle macchine si rivela 
connotata da una estrema semplicità e ripetitività delle mansioni, 
puramente materiale e quindi adatta anche all'impiego delle "mezze 
forze", cioè donne e soprattutto bambini. Così i minori si trovano a 
lavorare, senza preparazione né istruzione alcuna, appena hanno forza 
sufficiente, in ambienti ben diversi da quelli della bottega artigiana, in 
un'organizzazione in cui è sempre più estranea ogni misura umana a 
vantaggio esclusivamente della massimizzazione della produzione e del 
profitto
3
. 
      Già sin dai primordi del processo di industrializzazione, iniziato in 
Inghilterra nella seconda metà del 1700
4
, si capì subito quale profitto 
potesse venire dall'impiego della manodopera infantile, a causa 
                                                 
2
 MERLINO, C., Il lavoro minorile, Sistema previdenza, 2006, p. 109-121. 
3
 La catena di montaggio vera e propria venne applicata su larga scala per la prima volta da 
Henry Ford nella sua fabbrica di Dearborn (Michigan) il 7 ottobre 1913. Il primo studio 
teorico, contenuto in L’organizzazione scientifica del lavoro,  si deve a Frederick Taylor e 
risale a due anni prima, ma riprende e porta a compimento le prassi di sfruttamento già in 
essere nei grandi opifici. 
4
 BALLESTRERO M.V. "Tre proposte ottocentesche per la disciplina legale del lavoro dei 
fanciulli", in Materiali per una storia della cultura giuridica, Bologna, Il Mulino, 1978; 
Beghè, Loreti A. (a cura di), “La tutela internazionale dei diritti del fanciullo” Cedam, 
Padova, 1995, p. 347-376;
11 
dell‟assenza di legislazioni speciali a tutela dei bambini e dei minori e, 
anzi, addirittura in applicazione dei principi civilistici (ultraliberisti) 
allora vigenti, in base ai quali era perfettamente logico e naturale che un 
lavoratore fisicamente più debole dovesse accettare una decurtazione 
della sua paga a parità di mansioni svolte; così i bambini furono 
costretti a lavorare nelle fabbriche, in ambienti malsani, senza 
possibilità di ribellarsi, senza nessuno che difendesse i loro diritti. 
All'inizio del XIX secolo i riformatori sociali cercarono di 
ottenere restrizioni legislative per ovviare agli aspetti più negativi del 
lavoro minorile, ma con risultati molto scarsi sia per l‟arretratezza 
culturale delle società protoindustriali, che per la ferma opposizione, 
anche politica, dei gruppi di potere costituiti dai grandi industriali 
capitalisti. Basti pensare che nel Regno Unito, patria della Rivoluzione 
industriale, la prima legislazione ad affrontare il fenomeno, con il serio 
proposito di limitarlo (non di eliminarlo) entrò in vigore solamente nel 
1878, quando fu vietato il lavoro minorile nell‟ambito delle fabbriche 
definite “pericolose” e l'età minima d'impiego fu portata a dieci anni. La 
normativa richiedeva ai datori di lavoro di ridurre comunque l'utilizzo di 
fanciulli tra i dieci ed i quattordici anni e di ridurre anche il numero 
massimo di ore di lavoro giornaliere per i lavoratori bambini. Tuttavia, 
la legge non conobbe una significativa applicazione pratica. Spesso con 
l'approvazione dei dirigenti politici, sociali e religiosi, quindi, si 
continuò a lungo a consentire l‟impiego dei fanciulli in mansioni 
pericolose, come quelle tipiche delle miniere. I risultati furono 
l'analfabetismo, l'ulteriore impoverimento delle famiglie operaie già 
misere, la creazione di generazioni di operai non qualificati e quindi 
senza sbocchi di crescita umana e professionale, nonché facilmente e 
immediatamente sostituibili, e una moltitudine di fanciulli ammalati e
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invalidi.  
Lo sviluppo del sistema industriale si mosse su coordinate 
pressoché identiche in tutti i Paesi occidentali e, quindi, generò anche in 
queste altre nazioni – Francia e Germania su tutte – uno sfruttamento 
del lavoro minorile simile a quello che si verificò in Gran Bretagna. 
La prima Conferenza internazionale del lavoro, tenutasi a Berlino 
nel 1890, segnò la data in cui per la prima volta si prese coscienza della 
dimensione sovranazionale dello sfruttamento lavorativo minorile e 
costituì il primo tentativo internazionale concertato per elaborare delle 
norme sull'impiego dei minori. Anche se la Conferenza non riuscì a 
produrre un testo normativo vincolante, essa va ricordata perché 
dimostra come il problema del lavoro infantile si sia posto all‟attenzione 
sociale con molto ritardo rispetto alla diffusione 
dell‟industrializzazione. 
 
 
2.  Premessa economica: le cause del lavoro minorile nel mondo  
 
La comprensione delle cause che stanno alla base del fenomeno 
del lavoro   minorile è essenziale per poter delineare le possibili linee di 
intervento nel settore. 
Chiaramente, data la complessità del problema, la risposta precisa 
non può prescindere da un'analisi specifica realizzata Stato per Stato. 
Tuttavia uno sguardo su quelle che sono le principali cause può offrire 
spunti interessanti, seppur di carattere generale. 
La risposta alla domanda "Perché i minori lavorano?" non è 
semplice né immediata, in quanto il fenomeno del lavoro minorile non 
può essere ascritto a cause facilmente individuabili e rimovibili, ma ad