- INTRODUZIONE - 
7
Nella storia del design le dimensioni funzionali ed estetiche di un progetto hanno 
primeggiato a lungo rispetto alla funzione comunicativa. La ragione è da ricercarsi 
nel ritardo con cui il mondo del disegno industriale - e non solo - si è accorto della 
possibilità di rendere un discorso attraverso l’oggetto; per molti anni il progettista 
si è preoccupato di permettere l’attualizzazione d’un prodotto quanto più pratico e 
funzionale possibile o, al massimo, in certi casi tipici come il disegno del 
packaging ha abbandonato tali dettami pragmatici per rivolgersi ad una semplice 
cura dell’aspetto estetico. Solo intorno agli anni ’80 cominciò a svilupparsi 
l’usanza di sfruttare le dimensioni simboliche e ludiche dell’artefatto - vedi 
Philippe Stark -  tuttavia all’epoca ciò non indicava una seria presa di coscienza 
concernente le reali capacità discorsive e narrative del prodotto. 
In questa sede affronteremo la questione del packaging poiché esso sembra 
magnificamente adatto all’analisi delle modalità espressive attraverso cui 
l’oggetto genera effetti di senso; lo studio del suo caso ci permetterà da un lato di 
approfondire la metodologia semiotica mediante cui riteniamo possibile progettare 
e leggere un testo tridimensionale e dall’altro lato di affrontare alcune interessanti 
sfide teoriche legate alla natura stessa di merce del packaging, prima fra tutte 
quella che ci vede impegnati contro il problema dell’omologia. 
Nel primo capitolo approfondiremo la conoscenza del nostro oggetto di studio; 
proporremo subito una definizione esaustiva di “packaging” spiegando i motivi 
per cui tale parola, mutuata dall’inglese, non dovrebbe essere utilizzata come 
sinonimo di “confezione” o di “imballaggio”, anche se poi nella letteratura 
specializzata tale dettame si trasgredisce per una questione di comodità espressiva. 
In seguito passeremo ad una descrizione funzionale del packaging mostrando 
come le due principali dimensioni dell’artefatto - quella oggettuale e quella 
comunicativa - si confondano rendendoci difficile delineare un confine preciso fra 
le rispettive funzioni. Più semplice risulta invece una classificazione basata sui 
soli aspetti pragmatici legati al trasporto, al magazzinaggio ed all’uso per cui 
distinguiamo packaging primari, secondari e terziari. Esaurito l’argomento 
descrittivo, abbiamo voluto dare un resoconto dell’evoluzione storica del 
packaging nello scenario dei consumi, ovvero raccontare come un oggetto nato 
esclusivamente per conservare e proteggere il prodotto vero e proprio sia salito 
- INTRODUZIONE - 
8
agli onori della ribalta oscurando quasi il vecchio protagonista e meritandosi 
l’appellativo di “silent salesman”. Abbiamo spiegato il fenomeno mediante due 
fattori entrambi legati allo sviluppo della società industriale: da un lato troviamo 
una ragione di carattere economico, la rapida innovazione nei sistemi produttivi e 
nelle reti distributive, mentre dall’altra parte vediamo un processo di 
spettacolarizzazione delle merci che ha abituato il cittadino a guardare oltre la 
dimensione funzionale ed estetica dell’oggetto. In conclusione di capitolo si è 
affrontato un problema molto serio concernente il rapporto del packaging con la 
tutela dell’ambiente, senza dimenticare fra l’altro di riportare al proposito una 
digressione in materia normativa. 
Il secondo capitolo vuole essere un modo molto semplice di collocare il packaging 
all’interno della vita economica della nostra società. Il suo utilizzo infatti rientra 
nelle logiche di marketing, ragion per cui abbiamo pensato di fornire al lettore 
meno esperto una definizione di questa materia così complessa comprensiva di 
una breve esposizione concernete le relative strategie e tattiche che annovera. Il 
capitolo mira però essenzialmente a spiegare l’attuale importanza della singola 
sfera comunicativa all’interno del marketing perciò illustreremo soprattutto gli 
aspetti principali di questa leva; in particolar modo parleremo del documento 
programmatico di comunicazione aziendale, del concetto di alone comunicativo e 
dell’influenza che esercita la marca sul package design. 
Il terzo capitolo apre il nostro viaggio teorico alla ricerca di quei modelli e quegli 
strumenti concettuali che ci permettano di analizzare il testo di un packaging. In 
apertura sarà ricordato il modello linguistico di Van Onck, uno dei primi tentativi 
- seppure imperfetto - venuti dall’interno stesso del mondo del design di aprire le 
proprie porte alle discipline della linguistica e della semiotica nella lettura di un 
artefatto. Preso atto della necessità sentita ad un certo punto dagli stessi 
disegnatori di svelare quei meccanismi attraverso cui l’oggetto è capace di 
generare effetti di senso, spiegheremo le ragioni per cui l’ambiente che s’è mosso 
intorno a tale problema ha individuato nella semiotica la disciplina più adatta a 
raggiungere l’obiettivo. Mostreremo perché si dice che un packaging possa 
contenere una narrazione ed adotteremo i dettami della semiotica strutturale 
generativa per analizzarne il livello semionarrativo e quello discorsivo. Al termine 
- INTRODUZIONE - 
9
di questa fase saremo pronti ad occuparci della vera e propria analisi di un testo 
packaging; da principio introdurremo alcuni strumenti concettuali quali 
l’indicalità, l’iconicità e la sinestesia, che ritroveremo nel prosieguo della 
trattazione, poi passaremo alla descrizione delle tre componenti analitiche di un 
artefatto: configurativa, tassica e funzionale; quest’ultima, dal canto suo, è stata 
ulteriormente scomposta in tre dimensioni - funzionale, mitica ed estetica - 
rispondendo ad una esigenza di dettagliare ulteriormente l’oggetto d’analisi. 
Classificati dunque gli aspetti che considereremo nella lettura di una confezione, 
proseguiremo con una rassegna di alcuni modelli analitici provenienti da diversi 
autori e diverse scuole di pensiero. Il capitolo ci vedrà poi scendere in una 
descrizione del livello discorsivo di un testo tridimensionale consistente in una 
rassegna dei singoli elementi compositivi del packaging, per ognuno dei quali 
definiremo la natura ed i meccanismi messi in atto allo scopo di veicolare 
determinati contenuti. Continueremo con una digressione di carattere teorico che 
giustifichi la scelta compiuta d’adottare un approccio semiologico di tipo 
strutturalista ma allo stesso tempo lasci le porte aperte ad una possibile 
contaminazione con la semiotica interpretativa - l’antagonista della nostra 
metodologia per quanto riguarda le applicazioni di marketing - in prospettiva di 
un lavoro sul campo in cui seguire solo le proprie esigenze di comprensione. Ciò 
vuol dire accantonare le teorizzazioni superflue, scegliere teorie e concetti 
indipendentemente dalle scuole d’appartenenza e saper costruire, all’occorrenza, 
nuove teorie e nuovi modelli d’interpretazione. Concluderemo infine 
introducendo l’omologia come limite progettuale e comunicativo del package 
design ponendo così le premesse per effettuare le considerazioni dell’ultima parte 
di questa esposizione. 
Il quarto capitolo, quindi, si occuperà del problema dell’omologazione a livello 
discorsivo di tutte le confezioni costituenti uno stesso settore merceologico; a tal 
proposito esporremo una nuova soluzione che non presenti gli stessi difetti 
attribuibili secondo noi alle misure già previste in questi casi. La nostra proposta 
costituirà un pretesto per approfondire alcuni aspetti teorici nella progettazione di 
un oggetto testo che affondino le proprie radici nel solido campo della semiologia 
e tratterà una prospettiva basata sul concetto di traducibilità transemiotica di 
- INTRODUZIONE - 
10
Jakobson; riprendendo tale nozione, data la possibilità di trasporre qualsiasi 
contenuto fra due determinati codici, riteniamo possibile applicare gli espedienti 
retorici e stilistici delle forme espressive più comuni - letteratura, cinema, pittura e 
via dicendo - ad un linguaggio nuovo e di cui non sono state ancora ben fissate le 
regole come quello degli oggetti di design. Per dimostrare ciò partiremo alla 
ricerca di un settore merceologico affetto da omologia, che troveremo mediante 
un’analisi delle maggiori marche nel settore italiano dei deodoranti stick. Il 
packaging di un settore merceologico omologato è infatti un ottimo campo di 
prova su cui applicare i dettami semiologici provenienti dalle nostre 
considerazioni; attraverso l’adozione di alcune tecniche retoriche e stilistiche - 
ricavate in particolar modo dai codici della letteratura e del cinema - proveremo 
infatti a modificare l’aspetto esteriore di un packaging senza coinvolgere il livello 
semionarrativo né sostanzialmente quello discorsivo credendo così di dimostrare 
semmai ce ne fosse ancora bisogno - oltre ad una nuova soluzione all’omologia -
la pari dignità attribuibile all’artefatto comunicativo rispetto a qualsiasi altro testo 
più comune che siamo abituati a leggere. 
Da un punto di vista pragmatico per la professione del designer, invece, va 
osservato come in virtù delle considerazioni effettuate questi, dopo aver accettato 
con un po’ di ritrosia i contributi provenienti dalla disciplina della semiotica, 
dovrà oggi avvalersi anche delle conoscenze provenienti dai campi meno affini 
della stilistica e della retorica. 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO 1 
L’OGGETTO DI STUDIO 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- L’OGGETTO DI STUDIO - 
12
 
 
 
 
 
 
 
 
1. Una disquisizione terminologica fra imballaggio, packaging e 
packing. 
 
Prima di cominciare quest’analisi, ci sembra doveroso effettuare una 
puntualizzazione circa  l’esistenza di una idiosincrasia fra i significati delle parole 
“imballaggio” e “packaging”; la ragione scaturisce dopo aver constatato come tali 
voci siano troppo spesso impiegate come sinonimi pieni quando, in realtà, ci 
troviamo a che fare con definizioni che si differenziano per alcuni aspetti 
importanti ed utili a comprendere la natura effettiva del nostro oggetto di studio. 
Consultando un dizionario d’italiano scopriamo facilmente che la voce 
“imballaggio”, di derivazione dal francese “emballage”, fa riferimento a quelle 
tecniche adottate ai fini di proteggere il prodotto nonché di facilitarne le 
operazioni di trasporto, magazzinaggio e vendita; dunque il termine rimanda a 
tutti gli aspetti funzionali dell’involucro. La voce “packaging”, altresì, è stata 
mutuata dall’inglese ed è entrata nel nostro linguaggio quotidiano (e nei nostri 
dizionari) poiché contiene nella sua accezione più comune un’estensione 
semantica di “imballaggio” che la rende insostituibile da qualsiasi parola italiana 
che sembri verosimilmente un suo sinonimo; infatti essa, a differenza di 
“imballaggio”, ha attinenza con tutte quelle modalità di confezionamento e di 
presentazione del prodotto che vengono studiate a fini informativi e persuasivi, 
rientrando fra le tattiche tipiche della comunicazione di marketing. 
Questa precisazione terminologica risulta utile se si pensa, come dice Bucchetti, 
che “[…] ci si va ad occupare di un ambito progettuale le cui origini recenti e la 
- L’OGGETTO DI STUDIO - 
13
cui evoluzione rapida non hanno consentito lo sviluppo di un solido apparato 
disciplinare” e che “entrare nel merito delle definizioni può essere […] un mezzo 
per individuare in modo più preciso gli ambiti disciplinari che convergono intorno 
al tema e per comprendere quali siano le aree della conoscenza coinvolte”.
1
 
Quando parliamo del confezionamento d’un prodotto, di fatto, vengono coinvolti 
molteplici luoghi di competenza: produttivi, tecnologici, scientifici, economico-
finanziari, di marketing, comunicativi ecc., tuttavia utilizzando correttamente uno 
dei due termini fra packaging ed imballaggio possiamo selezionare di volta in 
volta, a seconda dei casi, una precisa sfera di ruoli e funzioni dell’involucro 
rispetto alla loro totalità. 
Come dice Anceschi, “probabilmente, è […] più opportuno parlare di imballaggio 
laddove sia in questione la funzione di contenimento, di protezione, ecc., laddove 
emerga il carattere sistemico dell’intero contesto, allora si può dire che il ruolo 
principale tocca al designer industriale, che si occuperà di questioni che vanno 
dall’impilabilità alla riciclabilità, ecc. In questo contesto il ruolo esercitato dalle 
comunicazioni visive è quello di una facilitazione, di una ergonomia del flusso 
delle informazioni. Laddove invece si tratta della dialettica suasiva, del celare e 
del mostrare, quando è in causa l’arte retorica del modificare il comportamento 
dei destinatari, dovunque, ad esempio, i materiali vengano usati, aldilà delle loro 
peculiarità tecnico-funzionali, per le loro qualità sensoriali e semantiche, laddove 
a questi registri sintattici della grafica, insomma, in generale, in tutti i luoghi e i 
modi dove il prodotto va incontro all’immaginario del consumatore, allora si avrà 
un ruolo principale delle comunicazioni visive, e l’oggetto progettuale si chiamerà 
packaging”
2
. 
Sebbene a nostro avviso un simile chiarimento fosse importante per introdurre la 
distinzione dei due principali aspetti del packaging - da una parte l’oggetto 
contenitore e dall’altra l’oggetto persuasivo e seduttore - dobbiamo osservare 
come nella letteratura specifica sia pacifico che entrambe le voci vengano 
interscambiate indistintamente affidandone di volta in volta l’interpretazione del 
significato al contesto ed alle capacità analitiche del lettore; dunque, considerata 
la diffusione dei precedenti, anche la presente opera si concederà la licenza 
                                                 
1
 V. Bucchetti, La messa in scena del prodotto, F.Angeli, Milano, 1999, pag. 19.   
2
 G. Anceschi, L’involucro transitorio, Imballaggio, n. 439 (settembre), 1992, pag. 125. 
- L’OGGETTO DI STUDIO - 
14
d’interscambiare i termini intendendo indicare normalmente la funzione 
comunicativa dell’involucro. 
A tal proposito, rimanendo alla questione terminologica scaturita dalla duplice 
natura del nostro oggetto, anticipiamo che nelle prossime pagine tenteremo di 
spiegare le fasi di quel cambiamento attraverso cui si sia passati da una datata idea 
d’imballaggio a quella attuale di packaging; vedremo cioè come la funzione 
comunicativa di una confezione, da inesistente, sia arrivata a soverchiare per 
importanza il ruolo delle vecchie mansioni protettive e conservative; ciò avverrà 
quando discuteremo dell’evoluzione storica avvenuta sullo scenario dei consumi e 
di quel processo nominato “spettacolarizzazione delle merci” che ha trovato 
respiro e si è consolidato lungo tutto il Novecento. 
In chiusura di questo paragrafo, invece, vogliamo citare per completezza 
d’informazione l’esistenza di un’altra parola - seppur utilizzata meno 
frequentemente nella letteratura specifica - che il lettore inesperto rischia di 
confondere col packaging ancora più facilmente di quanto accada per il termine 
“imballaggio”; si tratta del vocabolo “packing”, il quale indica essenzialmente gli 
imballaggi adibiti al trasporto. Questo particolare imballaggio appare solitamente 
al rivenditore e non al consumatore, tuttavia può considerarsi uno strumento di 
comunicazione perché deve essere progettato e realizzato accuratamente in modo 
da sollevare un’impressione favorevole nei soggetti addetti alla vendita della 
merce. Il packing non deve peccare sia per funzionalità che per questioni 
estetiche, pena l’indebolimento della motivazione del rivenditore allo smercio del 
bene contenuto. Dentro alla denominazione di packing ricadono nondimeno i 
mezzi addetti al trasporto dei prodotti quali autoveicoli, autocarri, container ecc., i 
quali svolgono, tra l’altro, il compito comunicativo di render noto e 
successivamente richiamare alla memoria il prodotto al di fuori del suo contesto 
naturale. 
Adesso, abbandonata definitivamente la trattazione preliminare sulla terminologia 
utilizzata nell’ambito degli studi che andiamo ad affrontare, siamo pronti ad 
occuparci della conoscenza, della definizione e della descrizione delle funzioni di 
quell’artefatto oggettuale e comunicativo che richiamerà la nostra attenzione nelle 
prossime pagine, ovvero il packaging. 
- TAVOLA - 
I
Packaging per gli omogeneizzati Plasmon. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il packaging disegnato 
Per il latte Blu Premium 
Della Parmalat. 
Il packaging della 
Candeggina Ace 
Gentile. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Confezione in legno di un coltello 
Opinel. 
 
 
 
Anche la bottiglia di Jack Daniels rappresenta un packaging fortemente 
Comunicativo. 
- TAVOLA - 
II
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Casse da imballaggio 
Adibite al trasporto. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                    Mezzi per il trasporto delle merci. 
 
- L’OGGETTO DI STUDIO - 
15
2. Il packaging come oggetto di studio. 
 
2.1. Il packaging all’interno dell’universo oggettuale. 
 
Quando si vuole comprendere la natura del packaging in una prospettiva 
principalmente comunicativa e semiotica - è il nostro caso - va precisato come 
esso sia prima di tutto un oggetto al pari di tanti altri generi di manufatti; 
considerata però la vaghezza del termine “oggetto”, la cui interpretazione deve 
fare i conti con le numerose tradizioni culturali di provenienza della parola e coi 
più svariati ambiti disciplinari che la utilizzano, Ferraresi propone di fissarne una 
tipologia
3
 mediante uno strumento tipico della semiotica definito “suddivisione ad 
albero”. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
3
 M. Ferraresi, Il packaging. Oggetto e comunicazione, Franco Angeli, Milano, 2003, pag. 35. 
Oggetto del 
mondo 
naturale 
Oggetto 
costruito 
(concreto e 
concettuale)
Oggetto 
temporale 
inesteso (del 
mondo naturale)
Oggetto 
esteso (del 
mondo 
naturale) 
Oggetto 
temporale 
inesteso 
(costruito) 
Oggetto 
temporale 
esteso 
(costruito) 
Oggetto che 
contiene ed 
organizza lo spazio 
all’interno
Oggetto che dispone 
ed organizza lo 
spazio all’esterno 
Oggetto che organizza 
lo spazio interno e 
dispone lo spazio 
esterno
- L’OGGETTO DI STUDIO - 
16
La tipologia parte dalla constatazione che qualunque oggetto si prenda in 
considerazione debba appartenere al mondo naturale e debba essere sottoposto 
alle sue leggi; questa entità oggettuale, poi, si suddivide in tre categorie fra cui 
citiamo subito l’oggetto naturale esteso e l’oggetto naturale inesteso, distinguibili 
a seconda che si esprima una propria fisicità (un sasso) oppure no (per esempio i 
buchi neri dello spazio cosmico). La terza categoria riguarda invece l’oggetto 
costruito ed abbraccia sia quanto concepito dalla mente dell’uomo che i prodotti 
realizzati dal suo corpo; dunque possono far parte di tale categoria una sedia, una 
teoria, un software informatico e così via; l’oggetto costruito si suddivide a sua 
volta in oggetto costruito temporale inesteso (per l’appunto tutti i concetti) e 
oggetto costruito temporale esteso, ulteriormente distinguibile in oggetti che 
organizzano e contengono lo spazio all’interno (mobilia, scatole, automobili 
ecc.), oggetti che dispongono ed organizzano lo spazio all’esterno (utensili e 
strumenti vari, tavoli, sedie ecc.) ed oggetti che organizzano lo spazio interno  e 
dispongono lo spazio esterno (vetrine, quadri, packaging ecc.). 
Ma perché interessa una simile classificazione? Cosa può insegnarci sul 
packaging? Le riflessioni appena svolte sono importanti perché ci dimostrano 
come una parte degli oggetti del mondo naturale si differenzino dagli altri per il 
fatto di possedere “[…] una sequenza di tratti, di marche disposizionali o 
topologiche iscritte […]. Marche che organizzano lo spazio interno e lo spazio 
esterno, e che prefigurano una sorta di libretto d’uso e d’impiego dell’oggetto dal 
punto di vista del rapporto con il soggetto”
4
. Da ciò consegue che “[…] 
nell’oggetto costruito è previsto e assegnato il numero di uno o di più interlocutori 
esterni e il numero di uno o di più interlocutori interni. […] la disposizione 
spaziale di un packaging istituisce il rapporto con ciò che mostra o cura […] e il 
rapporto con il consumatore.”
5
 
Dobbiamo tenere a mente quanto appena detto, in particolare su quella categoria a 
cui appartiene il packaging perché le nozioni sopra espresse si riveleranno molto 
utili ora che ci accingeremo a definire più nello specifico il nostro oggetto di 
studio. 
 
                                                 
4
 Ibidem, pag 36. 
5
 Ibidem, pag 37. 
- TAVOLA - 
III
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La cassettiera è un oggetto che contiene ed 
Organizza lo spazio all’interno. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il tavolo è un oggetto che 
Dispone ed organizza lo 
Spazio all’esterno. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La vetrina, 
Come il 
Packaging, è 
Un oggetto che 
Organizza lo 
Spazio interno 
E dispone lo 
Spazio esterno 
- L’OGGETTO DI STUDIO - 
17
2.2. Definizione e funzioni del packaging. 
 
Oggi definire il concetto di packaging risulta più difficile di quanto potesse 
sembrare un tempo poiché l’opera deve scaturire da un’attenta osservazione e 
comprensione di quella sfera di ruoli e funzioni assunte recentemente dal nostro 
oggetto di studio, dalla fase dell’imballaggio del prodotto a quella della vendita, 
comprese tutte le forme d’interazione che la merce intrattiene coi vari soggetti 
della filiera e, più in generale, del proprio settore merceologico. Le ragioni che 
implicano l’attuale importanza della comprensione del fenomeno packaging sono 
molteplici, basti pensare a quanti prodotti perderebbero la propria identità, le 
proprie funzioni e persino il loro stesso statuto di merci se non fossero 
accompagnati da certi imballaggi; tutto ciò giustifica lo sforzo d’interrogarsi sulla 
natura di quest’oggetto. 
Dunque cos’è il packaging? Se dovessimo definirlo da un punto di vista 
essenzialmente materiale potremmo dire che sia: “Nel prodotto, tutto quanto non è 
il prodotto stesso”
6
. Dobbiamo altresì constatare che utilizzare una definizione 
simile per il packaging finisce per sminuirne la vera natura e per limitare il nostro 
campo d’analisi; potremmo obiettare, ad esempio, come tale definizione possa 
essere sconfessata dal fatto che la vista (sia pure parziale) del prodotto 
confezionato, ricavata grazie ad un involucro trasparente od al posizionamento di 
una finestrella su d’esso, debba considerarsi a pieno titolo parte integrante del 
packaging. 
Conviene allora partire da un’altra considerazione, ovvero dalla palese 
trasformazione che ha subito l’imballaggio rispetto alle proprie funzioni in seguito 
a quell’evoluzione dei moderni sistemi distributivi dovuta alla comparsa della 
grande distribuzione (GD) e della grande distribuzione organizzata (GDO). Grazie 
ad essa il packaging ha superato negli anni la propria semplice occorrenza fisica 
per diventare un mezzo di comunicazione, il primo e più importante portavoce del 
bene custodito così come ha affermato Caron
7
 nei primi anni Novanta: l’involucro 
non preserva più solo il contenuto ma vuole rivolgersi al consumatore instaurando 
un dialogo e svolgendo una narrazione che influenzino le scelte d’acquisto. 
                                                 
6
 Tale asserzione fa riferimento al testo Le Pack, BSN Emballage, 1987. 
7
 G. Caron, Un Carré noir dans le design, Dunod, Paris, 1992, pag. 176.