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mentali o di basso status socio-economico (Walker, 1999). Nella quasi 
totalità dei casi di intimate partner violence i maltrattamenti vengono agiti 
da parte dell’uomo nei confronti della partner, sebbene sia possibile 
riscontrare alcuni casi più rari in cui la violenza è attuata dalla donna 
sull’uomo o all’interno di coppie omosessuali maschili e femminili. Il 
problema della violenza domestica sulla donna è quindi una questione di 
genere che rende evidente lo squilibrio di potere tra uomini e donne, 
mantenuto nella relazione di coppia attraverso i maltrattamenti di natura 
fisica, psicologica, sessuale ed economica (WHO, 2002). 
La comprensione del problema può essere resa più chiara dall’analisi   
dell’interazione dei diversi fattori socio-culturali, relazionali ed individuali 
che contribuiscono alla creazione del contesto in cui avviene la violenza 
domestica sulla donna. Per tale motivo si rivela particolarmente utile 
l’adozione di un modello teorico ecologico, come quello di Bronfenbrenner 
(1979), che permette di analizzare i differenti livelli dell’ambiente coinvolti 
nella promozione e nella trasmissione dei valori, dei ruoli, delle norme e 
delle aspettative determinanti il comportamento maschile violento nei 
confronti della partner. 
L’adesione rigida al modello maschile tradizionale promosso da una 
cultura patriarcale ed appreso attraverso la socializzazione di genere svolge 
un ruolo fondamentale nel condizionare la costruzione dell’identità del 
genere maschile e le sue modalità di relazionarsi con quello femminile 
(Badinter, 1992; Bourdieu, 1998). La violenza domestica sulle donne è in 
tal senso una violenza di genere, espressione del dominio e del controllo 
 7
che gli uomini continuano ad esercitare sulle donne, nonostante i 
cambiamenti sociali avvenuti a favore dell’uguaglianza dei due sessi. 
Gli effetti del genere però non sono esaustivi al fine di comprendere la 
complessità del fenomeno che infatti non riguarda tutta la popolazione 
maschile. Diventa necessario concentrare l’attenzione anche sui fattori 
individuali che influenzano gli esiti relazionali adulti, ovvero occorre 
focalizzarsi sulle esperienze precoci di attaccamento alle figure 
significative. Le relazioni oggettuali negative, spesso vissute nell’infanzia 
da parte del partner violento, e le esperienze dirette o indirette di violenza 
nella famiglia d’origine, condizionano infatti le modalità adulte di vivere 
l’intimità nella relazione di coppia (Dutton, 1995; 1998; Dutton, Golant, 
1995). 
La intimate partner violence risulta quindi essere un problema 
maschile che provoca notevoli danni sia sulla vittima che sull’autore degli 
abusi. Gli interventi istituzionali volti a fermare le violenze devono 
comprendere diverse attività che includano, oltre alla prioritaria tutela ed 
assistenza delle vittime, iniziative di prevenzione terziaria dirette 
specificatamente al cambiamento degli uomini che usano violenza sulla 
partner. Attualmente esistono a livello internazionale, ma non in Italia, 
alcuni programmi d’intervento per i maltrattatori e nella maggior parte dei 
casi si tratta di gruppi rieducativo-terapeutici di stampo pro-femminista e 
tecnicamente di orientamento cognitivo-comportamentale (Creazzo, 
2000a). 
Il presente lavoro prende in esame una rassegna della letteratura 
riguardante la violenza maschile sulla donna all’interno della relazione di 
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coppia, al fine di rendere conto della complessità del fenomeno, di 
facilitare la comprensione del comportamento violento maschile e 
dell’esigenza di intervenire sugli uomini, autori degli abusi. 
La trattazione del tema è suddivisa in quattro capitoli. Nel primo si 
definisce il fenomeno della intimate partner violence e se ne descrivono le 
principali caratteristiche. Si presentano inoltre dei cenni storico-giuridici 
che dimostrano come le leggi nel corso della storia abbiano spesso 
legittimato le violenze sulle donne, soprattutto nell’ambito familiare e siano 
state modificate grazie all’azione delle organizzazioni femminili. Infine 
viene adottata una prospettiva internazionale che dimostra l’universalità del 
fenomeno, descrivendo la situazione socio-culturale relativa alla violenza 
domestica in tre Paesi geograficamente e culturalmente molto diversi tra 
loro: la Russia, il Giappone ed il Cile.   
Nel secondo capitolo vengono illustrate le principali teorie 
psicologiche e sociologiche utili alla comprensione del fenomeno. Gli 
approcci presentati comprendono teorie più o meno riduttive nella 
spiegazione delle violenze maschili sulla partner e si rivelano alquanto 
limitati se adottati singolarmente. Le teorie psicobiologiche infatti non 
riescono a spiegare la specificità delle violenze che vengono agite 
solamente sulla donna e nel contesto privato mentre la teoria sociobiologica 
e quella sociologica femminista non sono applicabili alla popolazione 
maschile non-violenta. Le differenze individuali sono maggiormente 
considerate dalla teoria dell’apprendimento sociale e da quelle 
psicodinamiche; viene infatti evidenziato il modellamento del 
comportamento violento nel processo di socializzazione e l’influenza delle 
 9
esperienze precoci nel determinare i meccanismi di difesa e lo stile di 
attaccamento che caratterizzano le relazioni adulte dei maltrattatori. Il 
capitolo termina con la teoria di Dutton (Dutton, Golant, 1995; Dutton, 
1998) che, integrando le spiegazioni delle teorie presentate 
precedentemente con alcuni studi sull’organizzazione borderline della 
personalità e sui sintomi da stress post-traumatico, giunge alla 
formulazione del concetto di personalità violenta. 
Il terzo capitolo è finalizzato all’analisi dei diversi livelli del contesto 
che favorisce la violenza domestica sulla donna e nel quale avviene la 
socializzazione di genere. Mediante l’adozione della teoria ecologica di 
Bronfenbrenner e del suo adattamento formulato da Corsi (Corsi, Dohmen, 
Sotés, Bonino Méndez, 1995), viene presentato innanzitutto il modello 
maschile tradizionale della cultura patriarcale ed il modo in cui influenza la 
costruzione dell’identità maschile; in seguito si analizza il ruolo delle 
diverse agenzie di socializzazione, come la scuola, la famiglia ed i mass 
media, nel favorire le disuguaglianze tra i generi e l’adesione rigida e 
stereotipata alla mascolinità che si riflette nelle principali caratteristiche 
cognitive, emotive, relazionali e comportamentali dei partners violenti. 
Il quarto ed ultimo capitolo è riservato alla descrizione dei principali 
programmi d’intervento per i maltrattatori presenti sulla scena 
internazionale e si conclude con l’illustrazione della situazione italiana 
riguardo le iniziative finalizzate a fermare e prevenire la violenza 
domestica sulle donne.        
 
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 11
CAPITOLO PRIMO 
INTIMATE PARTNER VIOLENCE : LA VIOLENZA NELLE 
RELAZIONI DA PARTE DEL PARTNER 
 
1. Definizione e caratteristiche del fenomeno 
La violenza agita dal partner è un fenomeno che interessa tutti i Paesi 
e le comunità umane a prescindere dalla cultura di riferimento e dalle 
condizioni socioeconomiche delle popolazioni. 
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), all’interno del 
Rapporto mondiale su violenza e salute (WHO, 2002), descrive la Intimate 
Partner Violence (IPV) come una delle forme di violenza sulle donne più 
ricorrenti ed include nella definizione comportamenti di abuso e 
maltrattamento fisico, psicologico, sessuale ed  economico messi in atto 
all’interno di una relazione intima, nella maggior parte dei casi da soggetti 
di sesso maschile nei confronti delle donne. 
Il Rapporto, evidenziando l’estensione del problema della violenza 
nel mondo e le relative conseguenze negative sulla salute delle 
popolazioni, focalizza l’attenzione sulla ricerca delle cause, dei fattori di 
rischio e di quelli  che possono modificare il fenomeno attraverso 
interventi specifici. 
La violenza viene così inquadrata come un problema di salute 
pubblica da affrontare in un’ottica multidisciplinare e scientifica che 
permetta di sperimentare strategie di prevenzione, promuovere l’attuazione 
degli interventi che hanno mostrato maggior efficacia e l’adozione di un 
sistema standardizzato di valutazione degli stessi. 
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I dati del Rapporto riguardanti la IPV sono ricavati da 48 indagini 
campionarie svolte in vari Paesi del mondo, rappresentativi delle sei aree 
mondiali definite dalla OMS e rivelano che la percentuale delle donne che 
sono state vittima di violenza da parte del partner, almeno una volta nella 
vita, oscilla tra il 10 e il 69%. Il fenomeno assume toni ancor più 
drammatici, se si considera che la IPV è responsabile di un numero 
significativo delle morti per omicidio di persone di sesso femminile, che 
varia dal 40 al 70% ed inoltre provoca conseguenze a breve ed a lungo 
termine sulla salute come: lesioni fisiche, depressione, disturbi sessuali, 
suicidio, malattie veneree, HIV/AIDS, sindrome da affaticamento cronico, 
disturbo da stress post-traumatico. 
Le statistiche in ogni caso danno una visione limitata del problema e 
ne sottostimano la frequenza a causa della scarsa visibilità pubblica del 
fenomeno. Il contesto familiare in cui avvengono i maltrattamenti, 
l’intimità della relazione che lega l’aggressore alla vittima e gli effetti 
psicologici della violenza sulla donna, fanno sì che il problema emerga 
difficilmente agli occhi della società, restando confinato nel privato, così 
come avviene per altre forme di violenza domestica, quali il child abuse e 
la violenza sugli anziani. La maggior parte dei dati provengono dunque 
dalle statistiche giudiziarie e dalle organizzazioni non-governative di 
donne  che si occupano della tutela delle vittime, escludendo in tal modo 
tutti quei casi di violenza domestica in cui la paura e la vergogna 
impediscono alle vittime di denunciare la violenza e chiedere aiuto. 
A nascondere il problema ed a considerarlo un fatto privato in cui non 
è lecito intromettersi, svolgono un ruolo essenziale, oltre alla violenza 
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stessa che danneggia l’integrità e l’identità personale della vittima, le 
norme socio-culturali che definiscono i ruoli di genere e conseguentemente 
i rapporti tra uomini e donne. È questo il motivo per cui si parla di violenza 
di genere, esercitata dall’uomo sulla donna, “ […] di una violenza da 
inscrivere nella relazione tra due generi in cui uno ricorre a modalità 
violente di esercitare il proprio ruolo all’interno di quel rapporto e le cui 
ragioni sono molteplici [...].” (Ventimiglia, 2002, pag. 17).
 
La violenza è perpetrata nel corso di lunghi periodi di tempo e può 
essere dei seguenti tipi: 
 - fisica: ogni forma di intimidazione o azione che mina l’integrità 
fisica della persona. Sono compresi i comportamenti quali il picchiare, lo 
schiaffeggiare, lanciare oggetti contro la persona, strappare i vestiti, privare 
la persona di cure mediche, etc. 
 - psicologica: ogni messaggio e atteggiamento diretto a svalutare la 
persona. Si manifesta attraverso critiche, denigrazioni,  insulti, umiliazioni, 
limitazione della libertà personale e di movimento, ricatti, minacce, 
controllo della gestione della vita quotidiana. Questo tipo di violenza 
prepara sempre ed accompagna spesso il maltrattamento fisico e si insinua 
gradualmente a livello profondo causando perdita di autostima e 
dell’identità. 
 - sessuale: ogni forma di imposizione di pratiche sessuali non 
desiderate. Trattandosi del partner, quindi di una persona in cui si ripone 
fiducia, è molto difficile per le donne che subiscono questo tipo di violenza 
pensare di raccontare ciò che è successo ed essere credute senza attribuirsi 
una parte di responsabilità. 
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 - economica: ogni forma di controllo dell’ autonomia economica del 
partner. È caratterizzata dal non dare denaro, ostacolare la ricerca o il 
mantenimento del lavoro, intestare tutti i beni a nome proprio, non pagare 
gli assegni di mantenimento, esigere un rendiconto per ogni minima spesa, 
etc. 
 
Gli episodi di violenza sono ripetitivi nel tempo e possono seguire  
uno schema comportamentale variabile, basato su una strategia di 
controllo, che la Walker ha definito ciclo della violenza (Walker, 1979). È 
caratterizzato da tre fasi: crescita della tensione, esplosione della violenza e 
luna di miele. 
Nella prima fase l’uomo inizia ad avvertire una tensione diffusa, è 
agitato, teso, percepisce che qualcosa non va ma non sa dire cosa. Lo stato 
di malessere viene incrementato da pensieri ossessivi, spesso di gelosia, 
relativi ad una “fantasticata” infedeltà della partner o rimproveri 
colpevolizzanti, che provocano ostilità ed anticipano l’aggressione vera e 
propria. Inizia nella donna lo stato di allerta. 
La seconda fase è il momento in cui la tensione accumulata 
precedentemente esplode nella violenza, con atti sempre più gravi e in 
rapida escalation, fino a che l’aggressore non ha liberato tutta la sua ira. La 
tragicità degli episodi suddetti si alterna ad episodi di calma, in cui l’uomo 
violento si sente in colpa, si pente, teme reazioni da parte della donna e si 
giustifica, prova a dare spiegazioni del suo comportamento, promette di 
cambiare e cerca il perdono della donna; tutto ciò avviene nella terza fase, 
la luna di miele. 
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L’uomo che mette in atto i comportamenti sopra descritti non è 
sempre un malato mentale o un alcolista, come molte stereotipi lo 
descrivono, allontanando così la possibilità dei “normali” di compiere 
simili atrocità; il gruppo di chi esercita violenza verso il partner è 
eterogeneo (APA, 1996). Vi appartengono uomini di tutte le classi sociali, 
professioni, età, nazionalità anche se possono essere individuati dei fattori 
di rischio che aumentano la probabilità per un uomo di essere l’autore di 
atti di violenza domestica. L’elenco dei fattori che l’OMS ha individuato 
(WHO, 2002) è il seguente: 
 - giovane età; 
 - basso reddito; 
  - comportamenti aggressivi o delinquenziali nell’adolescenza; 
 - basso livello di istruzione; 
 - storia di violenza domestica nella famiglia d’origine (essere stato 
testimone di violenze del padre sulla madre o essere stato vittima di 
abuso); 
 - uso eccessivo di alcool o altre droghe (l’uso non causa la violenza 
ma può esacerbarla); 
 - fattori di personalità (bassa autostima, insicurezza, disturbo 
antisociale di personalità…). 
Allo stesso modo è molto più probabile per una donna divenire 
vittima di violenza domestica in quelle società in cui esistono rigidi ruoli di 
genere, marcate disuguaglianze e squilibrio di potere tra uomini e donne, 
norme culturali che supportano e giustificano il diritto dell’uomo di 
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infliggere atti di violenza sulle donne, per i quali vengono quindi prescritte 
deboli sanzioni.  
È importante sottolineare il fatto che non deve essere assolutamente 
stabilito un nesso di causalità lineare tra gli elementi suddetti e lo sviluppo 
di  un  comportamento violento verso la partner, in quanto la IPV è un 
problema la cui complessità può essere compresa solo attraverso un 
approccio ecologico che consideri l’interazione di molteplici fattori 
individuali, relazionali, sociali e culturali. Al riguardo, l’utilizzo della 
teoria ecologica dello sviluppo umano di Bronfenbrenner (1979) può 
essere efficace nella comprensione della violenza maschile all’interno della 
coppia, naturalmente adattandola alla specificità del fenomeno trattato. 
Jorge Corsi (1995), psicoterapeuta argentino, da anni si occupa dello studio 
e della riabilitazione degli uomini violenti, basandosi sull’adozione di un 
modello sorto dall’adattamento della teoria di Bronfenbrenner; l’approccio 
ecologico alla IPV permette di considerare fattori del macrosistema (valori 
culturali relativi alla mascolinità), dell’eso e del mesosistema (mass media, 
istituzioni educative, lavorative e del tempo libero che rinforzano nei 
maschi i meccanismi di competizione e soluzione violenta dei conflitti) e 
del microsistema (modelli di relazioni interpersonali nella famiglia di 
origine). Una trattazione più approfondita dell’argomento sarà presentata 
nel capitolo terzo.  
L’OMS, infine, conclude la parte del Rapporto sulla IPV chiarendo 
l’esigenza di combattere e prevenire il problema attraverso l’azione dei 
centri di aiuto e rifugio per le vittime e dei programmi d’intervento per i 
partners violenti, la promozione di riforme legali nei Paesi in cui non esiste 
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una legislazione specifica sulla violenza domestica, la formazione adeguata 
delle forze dell’ordine e degli operatori sanitari che entrano in contatto con 
i casi di abuso, l’educazione dei giovani nelle scuole sui ruoli di genere e 
sulle  relazioni sane ed infine la collaborazione delle diverse agenzie che si 
occupano del problema al fine di avere una conoscenza unificata. 
   
2. Cenni storico-giuridici sulla violenza contro le donne 
“La violenza di genere - violenza di uomini contro donne e bambine - 
è stata quasi invisibile fino a tempi molto recenti: non perché fosse tenuta 
nascosta, tutt’altro, ma perché era talmente connaturata con la tradizione, i 
valori dominanti e le leggi da passare inosservata, quasi fosse un evento 
naturale” (Romito, 2000, pag. 9).
 
La devianza o la normalità di un comportamento non sono dati 
oggettivi, bensì l’esito di un giudizio sociale formulato sulla base di criteri 
che dipendono dal contesto socio-culturale, il quale è caratterizzato da 
norme che sanciscono ciò che è lecito da ciò che non lo è, separano il sano 
dal patologico, il reo dall’innocente. Per tale motivo è utile accennare a 
come le leggi, nel corso della storia abbiano legittimato la violenza 
domestica sulle donne e siano cambiate in seguito ai mutamenti sociali 
della condizione femminile, riservandole più rispetto e più diritti. Le norme 
legali sulla violenza contro le donne riflettono la visione che la società ha 
del rapporto tra i generi e dei comportamenti attesi dall’interazione tra 
uomini e donne.