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intento di cercare di comporre la lite nell’ambito della stessa 
Amministrazione in via extragiudiziale; ciononostante 
impongono la necessità di un minimo di contraddittorio, anche 
se, ad onor del vero, occorre sottolineare che l’autorità 
decidente, svolgendosi il procedimento in questione al di fuori 
dei tradizionali schemi giurisdizionali,  non è sicuramente 
giudice imparziale, poiché è la stessa amministrazione che ha 
emanato l’atto, con ciò violando manifestamente il noto 
principio nemo iudex in causa propria. 
A tale proposito, una delle tesi più accreditate individua il 
fondamento della competenza dell’amministrazione di decidere i 
ricorsi amministrativi nel principio secondo cui  esso 
risiederebbe nella più generale potestà di controllo che la 
pubblica amministrazione ha nei confronti degli atti di sua 
emanazione.  
Questo potere si esplica sotto tre differenti forme, a cui 
possono venire ricollegati i tre tipi di ricorso amministrativo: 
 ξ  un riesame dell’atto ad opera dello stesso organo che lo 
ha emanato; questa è la forma più elementare del potere 
di autotutela della Pubblica Amministrazione, che viene 
riconosciuta nello ius poenitendi, e sta alla base del 
ricorso in opposizione; 
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 ξ  un’attività di controllo che scaturisce da un rapporto di 
supremazia gerarchica, il quale determina l’assorbimento 
della volontà dell’organo inferiore in quella del superiore;  
tale forma di potere, che costituisce il fondamento  del 
ricorso gerarchico, garantisce una maggiore imparzialità  
di riesame dell’atto rispetto a quella precedente, poiché 
l’organo chiamato a decidere sul ricorso non è lo stesso 
che lo aveva emanato; 
 ξ  infine un potere generale di supervisione e di revisione 
dell’operato di ogni organo della Pubblica 
Amministrazione, in ragione della salvaguardia dell’unità 
dell’interesse pubblico; a questo va ricondotto il ricorso 
straordinario al Capo dello Stato, che può essere esperito 
solo per motivi di legittimità, a differenza degli altri due, i 
quali possono essere fatti valere anche per questioni di 
merito. 
La teoria si iscrive nell’ampio quadro del concetto di autotutela 
quale attività con cui la Pubblica Amministrazione provvede a 
risolvere i conflitti, potenziali o attuali, insorgenti con i soggetti 
privati, in relazione ai suoi provvedimenti o alle sue pretese. 
Pertanto la decisione dei ricorsi amministrativi persegue lo 
scopo di risolvere i conflitti insorti con gli altri soggetti per 
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effetto di un atto o di un rapporto preesistenti. La conseguenza 
di questo modo di intendere la natura dei rimedi amministrativi 
sta nella considerazione che essi costituiscono strumenti utili 
tanto al cittadino quanto, sia pure attraverso un procedimento 
non spontaneo, all’apparato amministrativo mediante l’esercizio 
della cosiddetta “autotutela indiretta”. 
Questa considerazione ci porta a mettere in luce la natura dei 
ricorsi amministrativi e, interpretando la logica dell’ordinamento 
prima che intervenisse la riforma del 1971, fornisce una chiara 
rappresentazione dell’istituto in esame e rende possibile 
comprendere la ratio del precedente obbligo di esperire 
preventivamente il ricorso amministrativo in vista di quello 
giurisdizionale; esso era fondato sull’individuazione di un 
interesse della Pubblica Amministrazione a rivedere i propri atti 
e i propri comportamenti, che è anche interesse pubblico di non 
pervenire alla fase giurisdizionale del conflitto. 
Il fatto che prima della riforma la pretesa dell’interessato, prima 
di giungere innanzi al giudice, dovesse passare attraverso il 
vaglio del potere di decisione dell’amministrazione, induce a 
pensare che il potere di decidere e l’esercizio dell’autotutela ad 
esso correlato fossero annoverabili tra le funzioni della Pubblica 
Amministrazione. 
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Con l’entrata in vigore del nuovo sistema quel potere è rimasto 
solamente una pura eventualità ed è ora esercitabile 
dall’amministrazione solo nelle ipotesi in cui sia il privato a 
volerlo. 
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Capitolo II 
 
Il ricorso gerarchico: 
considerazioni generali 
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Così come l’opposizione e il ricorso straordinario, il ricorso 
gerarchico è compreso tra i ricorsi amministrativi perché la 
decisione sulla sua proposizione è attribuita ad una autorità 
amministrativa. 
L’area di operatività che la legge prevede per questo mezzo di 
impugnazione  è  delineata  con  una clausola generale: 
riguarda  cioè  tutti  gli  atti   emanati  da  autorità  collegate  
ad  altre,  tramite  una  relazione  di gerarchia; esso quindi si 
caratterizza per il fatto di venire rivolto ad un organo specifico, 
gerarchicamente sovraordinato a quello che ha emanato l’atto 
che si intende impugnare; in questo senso è assolutamente 
corretta la definizione dello Zanobini: “è l’istanza diretta a 
ottenere il riesame del provvedimento di una autorità 
gerarchicamente dipendente, rivolta all’autorità 
gerarchicamente superiore”.* 
Inoltre, tra gli altri rimedi che la legge ha predisposto a tutela 
dei cittadini contro gli atti della Pubblica Amministrazione, il 
ricorso gerarchico si distingue per la immediatezza della sua 
applicazione,  la  velocità  del  procedimento  e la semplicità del 
 
                                                
* Zanobini, “Corso di diritto amministrativo”, vol. II, pag. 103. 
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suo proponimento, per il quale non è neppure previsto come 
obbligatorio il patrocinio di un legale, con evidente notevole 
risparmio di tempo e di denaro da parte del cittadino. 
E’ un ricorso ordinario, quindi  esperibile avverso atti non 
definitivi: caratteristica quest’ultima che lo ha portato ad 
essere, per lunghissimo tempo, il principale mezzo di 
impugnazione degli atti della Pubblica Amministrazione, 
essendo questi, in massima parte, sforniti di detto requisito 
della definitività; ed ha carattere generale, in quanto, come 
dispone l’art.1 d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, può essere 
fatto valere sia per motivi di legittimità che di merito. 
Esso è inoltre proponibile in unica istanza all’autorità 
gerarchicamente superiore a quella che ha emanato l’atto 
impugnato, ossia, come chiaramente evidenziato nel disposto 
dell’art. 1 citato, consta di un unico grado. 
La nuova normativa ha infatti sicuramente abrogato quelle 
precedenti, che prevedevano la percorrenza della interra scala 
gerarchica per ottenere la definizione del ricorso; inoltre, nelle 
disposizioni finali e transitorie, sancisce: ”i ricorsi già esperibili 
in più gradi, continuano ad essere ammessi secondo le norme 
anteriori, qualora siano proposti o il relativo termine di 
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proposizione sia ancora in corso alla data di entrata in vigore 
del presente decreto”.* 
Con ciò si vuole chiaramente statuire che in ogni altra 
circostanza d’ipotesi non è ammessa l’esperibilità in più gradi; 
alla luce di questo, possiamo perciò affermare che, nei casi in 
cui la legge stabilisca che i gradi della gerarchia sono in numero 
superiore ad uno, il ricorso gerarchico può essere proposto una 
sola volta, e soltanto nei confronti dell’organo immediatamente 
superiore a quello da cui proviene l’atto che si assume lesivo. 
Questo contrariamente a quanto avviene nel campo militare, 
dove si possono avere tanti ricorsi quanti sono i gradi della 
gerarchia militare; nella sfera civile, invece, il ricorso va 
indirizzato al grado superiore e non oltre. La decisione 
conseguente è quindi considerata provvedimento definitivo 
anche nel caso in cui l’autorità decidente abbia per suo conto 
superiori gerarchici. 
E’ opportuno infine precisare che cosa si intenda, o più 
precisamente  cosa  il  legislatore  abbia  voluto  definire,  con il  
 
                                                
* d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 16, comma 1. 
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termine di gerarchia: in astratto, si ha rapporto di gerarchia 
quando un organo – in questo caso della Pubblica 
Amministrazione – ha poteri di controllo sull’operato di un altro 
organo della stessa amministrazione e, se crede, può sostituirsi 
ad esso nell’esecuzione di un provvedimento. 
Questa definizione ricalca il concetto di “gerarchia propria”, ed è 
quella su cui è incentrato l’istituto del ricorso gerarchico; ma nel 
nostro ordinamento trova posto un ulteriore concetto di 
gerarchia, che va espandendosi anche a seguito della 
riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche, ed è quello 
della cosiddetta “gerarchia impropria”, che implica, invece, una 
relazione tra una autorità interna ed una esterna, nel senso che 
la prima non può sostituirsi alla seconda, ma riveste in qualche 
modo un ruolo generico di preminenza o di vigilanza. 
Essa dà luogo ad un altro genere di ricorso gerarchico, che ha 
carattere eccezionale e particolare, in quanto non può aver 
luogo se non nei casi stabiliti dalla legge e dinanzi ad organi 
indicati dalla legge stessa. Per questo motivo, tale figura di 
impugnazione viene chiamata ricorso gerarchico improprio o 
atipico e la parte può far valere solo vizi di legittimità.