8
In conseguenza di questi mutamenti del loro contesto operativo, gli 
intermediari creditizi hanno sperimentato la disintermediazione, la relativa 
riduzione e la maggiore volatilità dei margini reddituali. Pertanto hanno dif-
ferenziato e diversificato la loro domanda e offerta di credito affinché fosse 
in linea con le richieste della clientela vecchia e nuova, si sono orientate 
verso nuove aree di operatività (quali i servizi e l’intermedia-zione mobilia-
re) e verso l’adozione di modelli gestionali più sofisticati, hanno elaborato 
strumenti e tecniche di copertura dal rischio di variazione dei tassi di inte-
resse e di cambio.  
Dato il ridimensionamento della redditività di gestione, gli interme-
diari si sono impegnati a modificare la loro struttura dei costi e ricavi. Non 
essendo possibile conseguire tale obiettivo nel breve periodo, hanno svilup-
pato specifiche metodologie di gestione dei rischi cui erano (e sono) esposti. 
Particolare attenzione ha quindi ottenuto la gestione del rischio derivante da 
una variazione dei tassi di interesse di mercato: il rischio di interesse. 
Questa Tesi si propone di presentare le problematiche che gli inter-
mediari creditizi e le autorità di vigilanza affrontano, seppure da punti di vi-
sta differenti, a motivo della variabilità dei tassi di interesse.  
Le aziende di credito si devono dotare di adeguate strumentazioni, 
quali i modelli quantitativi, per la rilevazione e la gestione del rischio di in-
  
 
 
 9
teresse insito nella struttura di bilancio; esse trovano nella negoziazione di 
strumenti derivati una soluzione rapida e relativamente poco costosa per la 
copertura e la gestione attiva del rischio. Con riguardo ai modelli quantitati-
vi più importanti e agli strumenti derivati esistenti si intende descrivere le 
caratteristiche salienti, le logiche e le modalità di utilizzo, le implicazioni 
gestionali.  
Le autorità di vigilanza si propongono di evitare crisi sistemiche pro-
vocate da modalità di gestione del rischio poco accorte e ricercano schemi 
di rilevazione del rischio di interesse semplici ed espressivi. Per 
l’ambiziosità di tale obiettivo le soluzioni adottate non sono ancora definiti-
ve. 
Nella prima parte di questa Tesi, si considerano le peculiarità della 
gestione creditizia, gli effetti che su di essa produce un’alta variabilità dei 
tassi di interesse e i possibili approcci di valutazione dell’esposizione al ri-
schio di tasso. 
Nella seconda parte sono sinteticamente presentate le principali me-
todologie esistenti per l’individuazione, la misurazione e la gestione di tale 
rischio. Si evidenziano inoltre i risvolti operativi derivanti dall’ado-zione di 
queste tecniche e i vantaggi e gli svantaggi che le rendono più o meno appe-
tibili per le istituzioni creditizie. 
  
 
 
 10
L’approccio adottato dalle autorità di vigilanza viene accostato a que-
sti modelli gestionali per la comune natura, anche se gli obiettivi di vigilan-
za sono diversi da quelli delle aziende di credito. 
Nella terza parte si delineano le caratteristiche di quegli strumenti de-
rivati elaborati inizialmente dagli operatori per coprirsi dal rischio di tasso e 
poi diventati, insieme alle altre operatività off-balance sheet, espressione di 
strategie attive. 
 
  
 
 
 
Parte Prima 
 
LA GESTIONE FINANZIARIA  
E IL RISCHIO DI INTERESSE 
  
 
 
 13
 
CAPITOLO I 
 
LA GESTIONE FINANZIARIA E LA GESTIONE 
INTEGRATA DELL’ATTIVO E DEL PASSIVO 
NELLE AZIENDE DI CREDITO 
 
 
I.1. - Introduzione 
 
Il contesto operativo delle istituzioni creditizie nazionali ed interna-
zionali si è progressivamente trasformato a partire dagli anni Settanta. Le 
determinanti dell’attuale scenario di riferimento degli intermediari creditizi 
si ricollegano: 
• all’accentuata variabilità dei tassi di interesse, 
• all’evoluzione dei mercati monetari e finanziari, nazionali e internaziona-
li
1
. 
 Per contenere i processi inflazionistici degli anni Settanta, le autorità 
monetarie dei principali paesi industrializzati hanno fatto ricorso, da allora 
in misura crescente, allo strumento tasso di interesse per il controllo della 
                                                           
 
1
   Sulle principali tendenze dei mercati finanziari internazionali si veda: L. DINI, 
“Mobilità dei capitali e implicazioni per il sistema finanziario internazionale”, in Rivista 
milanese di economia, n. 47, 1993, pp. 5-6. 
  
 
 
 14
liquidità del sistema. La manovra dei tassi ha consentito il finanziamento 
del disavanzo del Tesoro e una bassa crescita della base monetaria. Lo stes-
so strumento è stato pure funzionale alla stabilità del cambio, obiettivo di 
primaria importanza per le autorità dato l’avvio del processo di integrazione 
internazionale dei mercati e dei sistemi economici. 
 Gli scambi internazionali e l’interdipendenza dei mercati interni e in-
ternazionali sono stati favoriti dall’applicazione al settore del progresso tec-
nologico. L’intento di migliorare l’allocazione globale delle risorse ha gui-
dato il processo di allentamento dei controlli sui movimenti di capitale sino 
alla liberalizzazione finanziaria. 
 Per gli intermediari creditizi queste circostanze hanno significato 
l’aumento della concorrenza sui mercati monetari e finanziari, interni e in-
ternazionali. L’accentuata competitività sia nella raccolta sia nell’im-piego 
di fondi ha spinto gli operatori a rivedere le condizioni dei contratti tradi-
zionali e specialmente ad innovare l’offerta. 
 L’alta inflazione ha spostato le preferenze dei risparmiatori dalle at-
tività a tasso fisso a quelle a tasso variabile nonché ha fatto defluire il ri-
sparmio dai depositi bancari verso i titoli di Stato e verso emissioni aziona-
rie ed obbligazionarie di importanti complessi industriali. I grandi gruppi 
industriali presenti nel mercato internazionale, certi di una maggiore forza 
  
 
 
 15
contrattuale, hanno offerto i propri debiti direttamente sui mercati finanziari 
scavalcando gli intermediari. 
 Le aziende di credito hanno reagito alla disintermediazione, indotta 
sia dai portatori di surplus finanziari sia da quelli in deficit (le grandi impre-
se), riducendo i tassi attivi (anche a prescindere dalla bontà degli affidamen-
ti) e prima aumentando, ora differenziando qualitativamente i tassi passivi. 
Questa soluzione alla disintermediazione si è rivelata meno redditizia rispet-
to alla differenziazione ed all’innovazione dei prodotti offerti. La concor-
renza sui mercati monetari e finanziari continuamente ridefinisce le quote di 
mercato, i volumi intermediati e l’offerta degli istituti di credito. 
 L’innovazione finanziaria ha permesso di proteggere i margini ban-
cari non solo tramite una ricomposizione dell’attivo e del passivo, ma anche 
tramite il ricorso alle operatività off-balance sheet. Gli strumenti derivati 
sono stati elaborati dagli operatori in funzione assicurativa, per coprirsi dai 
rischi di tasso di interesse e di cambio, ma si prestano anche ad atteggia-
menti speculativi. Non sempre vengono utilizzati per chiudere delle posi-
zioni di rischio; pertanto è necessario che l’intermediario abbia un adeguato 
livello di patrimonializzazione. 
 I meccanismi di controllo dell’attività creditizia scelti dalle autorità 
non erano compatibili con l’integrazione finanziaria internazionale, poiché 
  
 
 
 16
si trasformavano in vincoli. Pertanto il processo di integrazione è stato ac-
compagnato da una graduale eliminazione dei vincoli legali, amministrativi 
e istituzionali posti al funzionamento dei mercati e dei singoli operatori. La 
deregolamentazione è strumentale rispetto all’effi-cienza e alla stabilità dei 
mercati: a livello internazionale si è tradotta nella liberalizzazione dei mo-
vimenti di capitale, a livello nazionale ha determinato il passaggio da una 
vigilanza “strutturale” che lasciava poca autonomia al management banca-
rio, ad una vigilanza “prudenziale” tendenzialmente uniforme nei diversi 
Stati. L’approccio di vigilanza è diretto a controllare l’instabilità dei mercati 
finanziari connessa alla competitività tra intermediari creditizi, alle operati-
vità in valuta e alla crescita del mercato interbancario, conseguenze queste 
dell’integrazione dei sistemi bancari.
2
 
 La diversa composizione dei bilanci bancari correnti rispetto a quelli 
anteriori ai mutamenti nelle condizioni di operatività delle aziende di credi-
to esprime le modifiche che essi hanno apportato alle loro strategie e model-
li gestionali. 
È cresciuto fortemente il peso delle poste in valuta, al punto che i 
modelli di gestione delle varie fattispecie di rischio adottati dagli interme-
diari devono essere modificati per considerare anche questo aspetto. 
                                                           
 
2
   Cfr. R. RICCI, La banca moderna, UTET, Torino, 1988, pp. 41-43.  
  
 
 
 17
I timori inflazionistici e la variabilità dei rendimenti di mercato hanno 
determinato l’accorciamento delle scadenze delle attività e delle passività; 
una soluzione più flessibile è invece rappresentata dalle operazioni a tasso 
variabile e dalla diversificazione del passivo per scadenze e rendimenti. 
 L’indicizzazione dei rendimenti sull’attivo e sul passivo ha intensifi-
cato i legami tra tassi bancari e tassi del mercato monetario e finanziario
3
, 
rendendo il margine della gestione denaro più sensibile alle variazioni dei 
tassi di interesse. Tale sensibiltà è però spiegata più correttamente dalla im-
possibilità/incapacità degli intermediari creditizi di essere dei price takers 
nei mercati finanziari interni e internazionali. 
 Il ridimensionamento strutturale di questa componente dei profitti 
bancari ha favorito sia la diffusione di prodotti finanziari innovativi in grado 
di lasciare inalterato o far crescere il margine di interesse, sia l’e-spansione 
in aree di attività non tradizionali quali l’intermediazione mobiliare e i ser-
vizi.  
 La redditività delle gestioni creditizie nell’attuale contesto operativo 
è legata da un lato all’adozione di tecniche e strumentazioni per la rileva-
zione e il controllo delle diverse tipologie di rischio cui sono esposte e 
dall’altro alla sperimentazione di nuove aree di operatività. La particolare 
                                                           
 
3
   Cfr. G. LUSIGNANI, “Il rischio di interesse nelle banche italiane: un’analisi 
empirica”, in Banca Impresa Società, n. 3, 1989, pp. 397-400. 
  
 
 
 18
attenzione che il management degli istituti di credito dedica al rischio di in-
teresse
4
, è giustificata dalla riscontrata pervasività del rischio stesso. 
                                                           
 
4
    Il rischio di interesse si concretizza nella vulnerabilità della performance di 
un intermediario finanziario alle variazioni dei tassi di interesse. 
  
 
 
 19
 
I.2. - L’equilibrio finanziario ed economico nella gestione 
finanziaria delle aziende di credito 
 
La gestione finanziaria costituisce l’attività caratteristica degli inter-
mediari creditizi. Essa è diretta a conciliare le esigenze di prenditori e pre-
statori di fondi e si esprime nell’<<armonizzazione dei vari aspetti relativi 
all’acquisizione, alla disponibilità ed all’allocazione delle risorse di capitale 
nel tempo>>
5
. 
La gestione finanziaria può essere considerata sotto due profili diver-
si: quello finanziario e quello economico
6
. Per quanto riguarda il pro-filo fi-
nanziario, esso consiste nel coordinamento (nel breve e medio/lun-go termi-
ne) della dinamica temporale dei flussi generati dal movimento degli impie-
ghi e delle fonti aziendali. Per quanto riguarda il profilo economico, esso 
consiste nel conseguimento di una vantaggiosa differenza tra costi e ricavi 
risultanti dall’acquisizione, allocazione e riallocazione delle risorse. 
L’equilibrio finanziario della gestione dipende dalla combinazione 
dei flussi finanziari positivi e negativi (entrate e uscite di cassa) che gli 
                                                           
 
5
   A. FERRARI, “La gestione finanziaria”, in P.L. FABRIZI (a cura di), La ge-
stione dei flussi finanziari nelle aziende di credito, Giuffrè, Milano, 1990, p. 206. 
  
 
6
   Cfr. P. MOTTURA, “Gestione finanziaria e gestione integrata dell’attivo e del 
passivo nelle aziende di credito”, in P.L. FABRIZI (a cura di), La gestione integrata 
dell’attivo e del passivo nelle aziende di credito, Giuffrè, Milano, 1991, pp. 7-18. Più a-
naliticamente in: A. FERRARI, “La gestione finanziaria”, cit., pp. 206-214. 
  
 
 
 20
scambi effettuati hanno originato. Qualsiasi entrata o uscita monetaria non 
compensata da un’uscita o un’entrata simultanea di pari importo ha come 
contropartita una variazione nella quantità esistente di riserve numerarie. 
Data la complessa dinamica dei flussi finanziari, è opportuno mantenere un 
dimensionamento ottimale delle riserve per minimizzare l’esposizione al ri-
schio finanziario, che consiste nell’eventualità che le ri-serve varino ecces-
sivamente rispetto a questa misura. Infatti l’eccedenza di riserve sottrae le 
risorse ad un impiego più remunerativo, dato che esse sono infruttifere o 
quasi, ed una carenza delle stesse comporta rischi di illiquidità (con effetti 
sfavorevoli sul rapporto con la clientela) e costi di tesoreria aggiuntivi per 
ristabilire l’equilibrio. 
L’equilibrio finanziario è fondamentalmente presidiato da due fun-
zioni gestionali: la gestione della liquidità e la gestione della tesoreria.  
La gestione della liquidità assume una prospettiva di medio/lungo pe-
riodo e mira a prevenire gli squilibri finanziari nel rispetto del vincolo di 
economicità. La gestione della liquidità si esprime nella possibilità di varia-
re il mix di attività e passività sulla base della posizione desiderata di reddi-
to/rischio. Il suo approccio di medio/lungo periodo la impegna a prevedere 
le dinamiche dei flussi finanziari di gestione in funzione delle operazioni 
già concluse e degli effetti che l’andamento dei tassi di interesse, 
  
 
 
 21
l’evoluzione della politica monetaria e la stagionalità e la ciclicità della do-
manda di prestiti e depositi possono determinare sulla gestione. 
La gestione della tesoreria invece assume una prospettiva di breve pe-
riodo e mira a conseguire l’equilibrio di cassa attraverso operazioni sul mer-
cato monetario. 
Il risultato economico della gestione finanziaria risulta dalla contrap-
posizione tra costi e ricavi da interessi e guadagni e perdite in conto capitale 
maturati su attività e passività finanziarie presenti in bilancio.  
Il margine di interesse dipende da: 
• i volumi delle operazioni, 
• la composizione della provvista e degli impieghi, 
• lo spread tra tassi attivi e passivi. 
Il risultato netto relativo alla negoziazione di attività e passività è le-
gato alle scelte finanziarie o economiche di ricomposizione del portafoglio 
prima della scadenza naturale delle operazioni in essere. 
Le scelte economiche non possono ignorare le problematiche finan-
ziarie avendo la soluzione di queste ultime effetti diretti o indiretti sulla 
redditività di gestione. Le decisioni relative ai volumi delle operazioni, alla 
composizione per scadenze e forme tecniche della provvista e degli impie-
ghi, al rapporto di leverage (il rapporto tra capitale di credito e capitale pro-
  
 
 
 22
prio), al livello e allo spread dei tassi attivi e passivi, al grado di rischio 
dell’attivo, creano le condizioni prospettiche di equilibrio finanziario.
7
 
Per un intermediario creditizio, la relazione esistente tra scelte eco-
nomiche e finanziarie giustifica e sollecita una gestione coordinata, o, me-
glio, integrata dell’attivo e del passivo. La cosiddetta “gestione integrata 
dell’attivo e del passivo” è una filosofia di approccio ai problemi posti dalla 
gestione finanziaria che realizza con sistematicità e formalità il processo di 
coordinamento e orientamento delle decisioni in merito alla composizione 
di fonti e impieghi. 
                                                           
 
7
   Anche l’equilibrio patrimoniale dipende dalle scelte economiche; infatti la so-
lidità patrimoniale di un intermediario è legata a: 
a) il grado di indebitamento, 
b) la rischiosità dell’attivo, 
c) la redditività della gestione.