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Introduzione: dalla crisi finanziaria 
all’importanza del rischio reputazionale 
1. La crisi finanziaria internazionale: due anni dopo 
Sono trascorsi poco più di due anni da quando, nell’estate del 
2007 nei mercati finanziari internazionali, è esplosa la crisi del 
credito originata dai mutui subprime statunitensi. Gli effetti della 
crisi si manifestano ogni mese con maggiore severità1: c’è chi la 
ritiene la peggiore dopo la grande depressione degli anni trenta 
del secolo scorso e chi ritiene che il peggio debba ancora 
manifestarsi.  
Ovviamente, se sorgono delle difficoltà per le previsioni 
future, più semplice appare l’analisi retrospettiva della crisi, delle 
sue cause e delle lezioni che da essa si possono trarre, da un lato 
per il management delle istituzioni finanziarie, quelle 
maggiormente coinvolte nella crisi, dall’altro per gli organi di 
vigilanza, ai quali è demandata la tutela della stabilità finanziaria. 
 
                                                 
1
 Arcucci F., Una crisi finanziaria per tutti, ma più grave per alcuni paesi, Banche e 
Banchieri 2/2009 
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2. Origine di una crisi inattesa 
Per comprendere appieno le cause alla base della crisi del 
credito occorre esaminare, innanzitutto, le condizioni che 
caratterizzavano il contesto macroeconomico, non solo 
americano ma anche europeo, del periodo che precede la crisi. In 
pratica, vi era una situazione caratterizzata da: tassi di interesse 
estremamente ridotti, favoriti da politiche monetarie espansive e 
da basse aspettative di inflazione; una crescita economica 
relativamente sostenuta, favorita in modo particolare dallo 
sviluppo delle economie asiatiche (Cina e India); tassi di 
insolvenza (sia nel mercato obbligazionario internazionale, sia in 
quello dei prestiti bancari) ai minimi storici e in ribasso; spread 
creditizi anch’essi a livelli molto ridotti, nettamente inferiori ai 
valori medi storici. Vi era, dunque, una situazione in cui i 
governi e le banche centrali, di fronte alle prime avvisaglie della 
crisi, erano costretti ad interventi sempre più straordinari per 
dimensioni, durata, tipologie di strumenti finanziari; cominciano 
a concedere credito alle banche a piene mani, “pompando 
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liquidità in meccanismi inceppati”2, prendendo a garanzia anche i 
titoli più rischiosi, abbassando i tassi di interesse praticamente 
fino a zero, nazionalizzando grandi banche in difficoltà e 
“iniettando capitale” in elevate quantità nelle principali banche. 
Queste condizioni hanno determinato un contesto 
particolarmente favorevole che a sua volta ha favorito lo sviluppo 
di un elevato grado di liquidità nei mercati finanziari 
internazionali. Vi era una situazione in cui l’offerta di fondi da 
parte delle diverse categorie di investitori eccedeva la domanda, 
ma a differenza di quanto sia logico attendersi, ossia che 
all’aumentare dell’offerta di un bene (in questo caso il dollaro) il 
suo prezzo diminuisce, invece il dollaro continuava a rivalutarsi.  
In una situazione del genere non stupisce che l’eccesso di 
liquidità conduca ad un incremento significativo della leva 
finanziaria; ovvero di fronte alla facilità di ottenere finanziamenti 
ad un costo relativamente contenuto, le imprese hanno 
accresciuto in maniera rilevante il proprio grado di 
indebitamento, gli individui hanno incrementato gli investimenti 
                                                 
2
 Onado (2009), I Nodi al pettine. La crisi finanziaria e le regole non scritte, Editori 
Laterza 
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immobiliari e consumi sempre attraverso il ricorso 
all’indebitamento bancario, conducendo ad una situazione in cui 
molte famiglie consumavano più di quanto guadagnavano, in 
pratica vivevano al di sopra dei propri mezzi. 
In un contesto in cui la cessione di prestiti originati diviene la 
prassi, emerge un problema di incentivi che può essere definito di 
moral hazard; ovvero la banca che origina il credito dovrebbe 
valutare con attenzione il merito creditizio e dunque la qualità del 
debitore, tuttavia, non ha incentivo a fare questa valutazione in 
quanto consapevole che il rischio generato non resta sul proprio 
bilancio, ma verrà sopportato da un altro soggetto, che ha 
acquistato gli attivi ceduti dalle banche, in virtù della ripartizione 
di responsabilità ed oneri, mentre la responsabilità di analizzare il 
rischio spetta ancora alla banca che origina il credito. 
3. Crisi dei mutui subprime  
La scintilla che ha dato origine all’esplosione della crisi si è 
manifestata dapprima nel mercato dei mutui immobiliare: un 
cambiamento del contesto macroeconomico, che ha visto, da un 
lato, un aumento dei prezzi delle materie prime, il quale a sua 
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volta ha favorito una ripresa delle pressioni inflazionistiche, e 
dall’altro, una flessione dei prezzi degli immobili. In questo 
contesto di caduta dei prezzi degli immobili e il rialzo dei tassi di 
interesse, numerosi debitori si sono trovati in una situazione di 
“negative equity”, ossia con un valore dell’immobile di proprietà, 
inferiore al valore del proprio debito, e in presenza di rate del 
mutuo da pagare in crescita a causa del rialzo dei tassi. In una 
simile situazione, l’insolvenza diviene una strategia 
economicamente conveniente: per cui a fianco alle insolvenze 
legate all’effettiva incapacità di adempiere agli impegni assunti, 
si sono diffuse le cosiddette “strategic default”: insolvenze 
guidate dalla convenienza economica. Questa aspettativa, 
diffusasi nel mercato, di incapacità di adempiere alle 
obbligazioni contrattuali, ha generato una crisi di liquidità nel 
mercato dei mortgage backed Securities (MBS), facendo di fatto 
scomparire i potenziali acquirenti. 
In pratica, di fronte all’incremento dei tassi di insolvenza 
relativi ai prestiti sottostanti alle operazioni di titolarizzazione, 
gli investitori hanno abbandonato il mercato, privandolo della 
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liquidità alla quale tutti erano da anni abituati: in assenza di 
acquirenti, i prezzi sono inevitabilmente crollati. 
Tuttavia le recenti turbolenze dei mercati, originate dai 
prestiti subprime americani, hanno posto in luce ulteriori 
elementi di complessità che discendono dalle modifiche del 
modello di intermediazione delle banche, soprattutto dei grandi 
operatori, cioè il passaggio da uno schema del tipo «buy and 
hold» ad uno «originate and distribuite», nel quale le banche 
assumono posizioni di rischio che poi vengono distribuite ad altri 
operatori attraverso operazioni di cartolarizzazione e altre 
tecniche di trasferimento del rischio. 
Tale modello, che ha il pregio di rendere più liquido e 
flessibile il bilancio bancario, accrescere il volume dei 
finanziamenti e favorire la distribuzione dei rischi, può tuttavia 
avere ricadute negative sugli incentivi a controllare la qualità del 
credito e, può alimentare rischi legali e reputazionali. 
4. I rischi messi in evidenza dalla crisi 
Il secondo pilastro di Basilea 2, costituito dal processo di 
controllo prudenziale, rappresenta uno degli aspetti più 
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innovativi della riforma del sistema di adeguatezza patrimoniale. 
In aggiunta ai requisiti patrimoniali del primo pilastro, infatti, la 
banca è tenuta ad effettuare una valutazione interna di 
adeguatezza del capitale (principio 1 -  Internal Capital 
Adequacy Assesment Process - ICAAP) in relazione a tutti i 
rischi affrontati dall’impresa  e quindi non solo quelli per i quali 
è prevista un’apposita copertura patrimoniale nel primo pilastro: 
per cui oltre al rischio di credito (e quello collegato di 
controparte), operativo e di mercato, le istituzioni indicano gli 
ulteriori rischi da tenere in considerazione, quali il rischio di 
concentrazione, di tasso d’interesse, di liquidità, il rischio residuo 
derivante dall’inefficacia delle misure di attenuazione del rischio  
prese ai sensi del primo pilastro, il rischio derivante da 
cartolarizzazione, rischio strategico e rischio di reputazione.  
Lo svolgimento di tale valutazione, inoltre, comporta anche 
una valutazione sull’adeguatezza organizzativa dell’ente circa la 
sua capacità di gestione del rischio. La valutazione interna, poi, è 
sottoposta a verifica da parte dell’autorità di vigilanza (principio 
2 – Supervisory Review and Evalutation Process – SREP), da cui 
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deriva la possibilità di imporre ulteriori misure patrimoniali in 
relazione al complessivo profilo di rischio dell’intermediario 
(principio 3) oltre alla possibilità di adottare pronte misure 
correttive, laddove il profilo di rischio assunto superi il livello di 
compatibilità con la dotazione patrimoniale dell’intermediario 
(principio 4).  
Come emerge dalla lettura dei paragrafi precedenti, la recente 
crisi ha mostrato proprio la rilevanza di alcuni dei rischi messi in 
evidenza dal secondo pilastro di Basilea 2; ha mostrato, infatti, la 
rilevanza del rischio di liquidità e l’opportunità di includere 
anche questa categoria tra i rischi che assorbono capitale; ma ha 
permesso di focalizzarci, anche, su un altro aspetto che, assume 
particolare rilevanza per la stabilità del sistema e dunque per gli 
organi di vigilanza: il rischio di concentrazione. Com’è noto il 
nuovo Accordo sul capitale disegnato dal Comitato di Basilea 
(Basilea 2), ha volutamente trascurato questa componente di 
rischio, attribuendo il medesimo requisito patrimoniale ad una 
data esposizione creditizia indipendentemente dal grado di 
concentrazione che caratterizza il portafoglio della banca che lo 
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ha originato. La crisi recente ha chiaramente messo in evidenza 
come il rischio di concentrazione assuma particolare rilevanza 
nelle istituzioni finanziarie; per esempio il motivo per cui Bear 
Stearns e Northern Rock non potevano essere lasciate fallire 
riguarda proprio l’elevata concentrazione delle esposizioni nei 
confronti di un numero limitato di altre istituzioni finanziarie 
attive nello stesso mercato. 
Infine queste vicende, in particolare, hanno posto in luce la 
rilevanza del rischio reputazionale, che ha portato le banche 
esposte nei confronti di hedge funds controllati o speciali 
strutture di investimento da essi promosse e a loro collegate, note 
come conduit o Siv’s, a prestare sostegno finanziario in varie 
modalità o addirittura a coprire le perdite anche al di là delle 
obbligazioni legali assunte; quindi la crisi recente ha posto in 
evidenza un problema relativamente trascurato dalle banche e 
dagli organi di vigilanza: il rischio reputazionale. Accanto alle 
obbligazioni contrattuali esistono, dunque, obblighi reputazionali 
che le banche non possono eludere pena il restare senza 
finanziatori.