2 
Il suo caso (letterario) mi affascinava e allo stesso mi paralizzava, e più mi avvicinavo 
alle sue opere, più mi sforzavo di capirle e di interpretarle e più queste mi ferivano. 
Perché? La ragione è  - lo capirete in questo mio lavoro -, che i suoi testi hanno il potere 
di risucchiarti, di mangiarti non tanto il corpo quanto l’anima. E quando la Kane ti ingoia 
è la fine. Non più c’è scampo. “Love or kill me”, diceva nel terzo dramma, Cleansed, 
amarla o ucciderla, un aut aut deciso, una dichiarazione biunivoca direzionata che ho 
condiviso, e che mi ha spinto a battere entrambe le strade. Ricordo le parole di 
un’attrice che ha recitato recentemente in uno degli ultimi allestimenti di 4.48 Psychosis. 
Jo McInnes aveva sostenuto che i drammi di Sarah Kane vanno prima sentiti, e 
“sometimes you feel that Sarah Kane’s having a dialogue with you. Sometimes you can’t 
analize her but just a feeling”
1
. E il nodo è proprio questo: i suoi lavori comunicano in 
modo talmente diretto che spesso le persone s’innamorano dei suoi testi perché li 
collegano direttamente con le proprie emozioni. Così, io ho vissuto un tempo - che mi 
pareva dilatato -, imprigionata dentro una stanza che mi ha divorato, alla ricerca di una 
chiave che aprisse la porta della stanza di Sarah Kane. E nello sforzo incessante di 
capire, sia attraverso le sue fonti e influenze letterarie, sia documentandomi sulla sua 
biografia, sia leggendo recensioni degli spettacoli, sia ascoltando i pareri di attori e 
registi che avevano messo in scena i suoi testi, e in questo bombardamento continuo e 
confuso, non mi ero accorta che in realtà io mi trovavo già in quella stanza insieme alla 
Kane, specchiandomi in lei io rivedevo me stessa. L’unica soluzione non era uscire ma 
riuscire a restare dentro mantenendo lo sguardo all’infuori, dentro ma fuori. La 
condizione necessaria era il momento del distacco, la meta da raggiungere solo 
attraverso un percorso dentro se stessi: oltrepassando la soglia e acquisendo sicurezza 
e consapevolezza per poter dominare le emozioni, mantenendo una distanza e una 
neutralità per affrontare criticamente, con una giusta sensibilità, un corpus di opere di 
una giovane un’autrice di fine secolo. In questo senso, la dimensione temporale è stata 
fondamentale. La capacità di parlarne ora si articola come giusto distacco rispetto non 
solo a me stessa ma alle stesse valutazioni e alle osservazioni iniziali degli studiosi; e 
allo stesso tempo possiamo procedere finalmente all’elaborazione di un pensiero critico 
                                   
1
 Graham Saunders, About Kane: the playright & the work, Faber and Faber, Londra, 2009, p. 
111  
 3 
alla luce di nuove prospettive d’analisi, nuove ricerche, nuove interpretazioni e nuovi 
spunti che negli anni si sono accumulati. Solo ora posso spiegare Il rovescio della mia 
mente. Viaggio in cinque stanze del male di vivere di Sarah Kane, una giovane di fine 
secolo. Il mio studio su Sarah Kane è un viaggio a tappe, cinque per l’esattezza, come 
le sue opere. È uno stationem drama, un percorso in cinque stanze che inizia con 
Blasted (1995), opera prima dell’autrice che aveva scatenato, ai tempi, una vera e 
propria controversia mediatica. Il linciaggio della stampa e della critica inglese si era 
scagliato contro una giovane ventitreenne che esordiva con un testo violento e 
provocatorio, dagli effetti scenici e verbali scurrili e disgustosi: scene di stupro, di 
masturbazione, fellatio, petting, defecazione, orinazione, cannibalismo, che avevano 
superato il limite di ciò che era non solo moralmente ma psicologicamente o fisicamente 
ritenuto accettabile. La stanza d’albergo dove una donna e un uomo si erano incontrati 
era stata intesa come una camera di torture inscenata per scioccare e nulla più. 
Un’opera che, secondo molti, apparteneva ai quei nuovi movimenti teatrali formatosi a 
partire dagli anni novanta, che fondavano la loro poetica su spettacoli sanguinolenti, 
terrificanti, macabri, sconci, spietati e sporchi, che avevano sbigottito i critici e atterrito il 
sistema teatrale inglese. Autori poco più che ventenni erano stati gli artefici di una 
corrente artistica d’avanguardia che veniva definita con gli epiteti di  ‘New Brutalists’, 
‘Britpack’ e ‘Theatre of Urban Annui’, o più semplicemente in-yer-face theatre, un teatro 
manifestamente aggressivo e provocatorio, votato ad esaltare gli eccessi, che voleva 
scuotere e rivitalizzare un malessere generale nel teatro britannico, una crisi di nuove 
produzioni e nuovi autori. La Kane, pur negando quelle etichette, aveva provocato un 
putiferio, sfidando i precetti del linguaggio teatrale e della scrittura, la logica narrazione 
lineare, sovvertendo le forme drammatiche canoniche del naturalismo e del realismo per 
sperimentare una nuova via nel teatro. La Kane ricevette un’immediata solidarietà da 
Edward Bond e Harold Pinter, - e scopriremo le ragioni -, ma dal resto della critica non 
fu capita. Pochi capirono il nesso causa-effetto, la violenza privata, quella di Cate, che 
diventava la violenza sulle donne dell’ ex-Jugoslavia.  
Gli orrori della guerra e della pulizia etnica entrano in una stanza e poi, quando la 
stanza stessa esplode, lo spazio privato, il microcosmo intimo viene contaminato dallo 
spazio collettivo, dal macrocosmo della guerra e in senso lato dalla storia. Questa era la 
 4 
chiave di lettura e la grande metafora dell’opera che la critica aveva denigrato. Tuttavia, 
l’esplosione della stanza di Blasted, era stato sì un espediente scenico, ma al contempo 
un’ esplosione dal forte valore simbolico, che voleva anche demolire le fondamenta 
della letteratura teatrale del Novecento del suo paese. In quest’ opera, la Kane lasciava 
trasparire i segni di un malessere profondo che l’affliggeva, vivendo fino in fondo una 
condizione esistenziale giovanile, generazionale che vedeva la vita come un fardello, un 
mondo senza futuro e senza speranza. Un male di vivere che riecheggia la melancolia 
d’Amleto (che, come vedremo sarà citato in Crave) l’umor nero, come era detta allora 
ogni sindrome di natura depressiva: 
 
AMLETO: Da un po’ di tempo, non so neppure io per quale ragione, ho perduto tutta 
la mia allegria, dimenticato i miei svaghi abituali; e sono arrivato a un tale punto di 
depressione e di pesantezza che questa grandiosa costruzione che è il mondo mi 
sembra uno sterile promontorio, questo splendido baldacchino che è il cielo, 
guardate, questo superbo firmamento sospeso, questo maestoso soffitto decorato di 
fiammelle d’oro, ecco, mi appare come un immondo e pestilenziale aggregato di 
vapori. Che opera d’arte è l’uomo! Com’è nobile nella sua ragione, infinito nelle sue 
capacità, agile e bello nella forma e nei movimenti, angelo nell’azione, dio nel 
pensiero: la bellezza dell’universo, il paragone degli animali e con questo? Che 
cos’è, per me, questa quintessenza di polvere? L’uomo non mi incanta
2
. 
 
Nel 1996 la Kane ritornava sulla scena londinese con Phaedra’s Love, un adattamento 
in chiave contemporanea tratto da Fedra di Seneca che la vedeva anche nei panni di 
regista. Il protagonista è un giovane principe pigro e depresso, incapace di provare 
emozioni, negando il sesso e l’amore trattandolo come cibo precotto. Ippolito, chiuso in 
una stanza, subisce analoghe torture fisiche e esistenziali, scandendo il passare il 
tempo nell’amara attesa che qualcosa possa dare senso alla sua vita. La sua 
melanconia e il suo disgusto per il mondo ci ricordano i soliloqui di Amleto di 
Shakespeare, ma allo stesso tempo sembrano sintomi di una malattia ben più 
contemporanea, il male di vivere. Se la Kane con Blasted aveva sentito su di sé il peso 
                                   
2
 William Shakespeare, Amleto, Atto II scena II, nella traduzione di Cesare Garboli, trascritto dal 
copione dell’allestimento del Teatro dell’Elfo  per la regia di Elio De Capitani. 
 
 5 
del mondo, ora con Phaedra’s Love diventava una patologia? E poi, l’artista come riesce 
con giusta consapevolezza a trascendere la sua condizione, o ad usarla, per lo 
scrivere? Due anni dopo, la Kane scrive Cleansed, che ambienta in cinque stanze dove 
si consumano un quadrato di storie e dove si distrugge e perseguita il legame amoroso. 
Nell’opera, la Kane concretizza in una visione da incubo un campus universitario che 
sottende l’universo dei campi di sterminio – che da ciò che afferma, sembra risuonare 
nella sua coscienza – e allo stesso tempo una struttura ospedaliera fatta di corsie e di 
stanze infernali. La questione da sollevare era in che misura la percezione della realtà di 
Sarah Kane fosse quella di un’artista ipersensibile o di una persona molto provata 
malattia – anche per l’esperienza terribile di plurimi ricoveri in cliniche psichiatriche -  
provata al punto di amplificare la dispercezione del reale in un una contorsione 
paranoica?  
Qualche mese dopo scrive un nuovo dramma che si intitola Crave. L’opera si 
distanziava interamente dal precedente teatro di Sarah Kane e venne percepito come 
una rottura col passato recente, fatto di sangue, sesso e paura. Crave parlava della 
sfiducia nell’amore e della sua perdita, servendosi di un linguaggio sperimentale, basato 
sulla musicalità, sul flusso di coscienza come tecnica di scrittura, sul ritmo delle parole. 
La struttura  sperimentale del dramma mi porterà, in questa tesi, ad un tentativo di 
analisi che articolerò in quattro strategie di lettura, che aiuteranno a comprendere la 
genesi e il senso nascosto dell’opera. Infine arriverà 4.48 Psychosis, da tutti inteso 
come un testamento, non a caso rappresentato postumo nel 2000. È l’opera più 
radicalmente sperimentale della Kane – soprattutto nel contesto del teatro inglese - che 
costituisce il culmine della sua ricerca. Il contenuto, a prima vista piuttosto ermetico, 
risulta alla fine assai più chiaro e decodificabile: include dialoghi tra paziente e terapista, 
appunti e battute sul dolore, angoscia mentale e sofferenza psicologica, resoconti 
caustici dell’uso terapeutico di farmaci per curare la depressione, autoanalisi e 
autoritratti d’artista, giudizi morali, descrizioni di stati di alterazione della mente durante 
lunghe insonnie, invettive.  
Vedremo anche dagli allestimenti di allora e di oggi, come il dramma rappresenti la 
dichiarazione di uno stato di malattia senza via d’uscita, l’ espressione fortissima del 
male di vivere che l’autrice si sforza di trascendere nella scrittura.  
 6 
Queste cinque tappe, conducono necessariamente a soste obbligate che permettono di 
aprire finestre – involontariamente resto all’interno della metafora della stanza – per 
riflettere sulla poetica di Sarah Kane, sul rapporto tra arte e violenza, sulla relazione tra 
letteratura e disturbi mentali, sugli influssi letterari e su come abbiano agito o meno 
sull’elaborazione delle sue opere. Il viaggio di Sarah Kane è lungo e complesso, ma 
ogni passaggio è propedeutico all’altro, aiutandoci a far luce su una voce del teatro della 
sua generazione, su una giovane scrittrice di fine o inizio secolo. 
 
 
   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 7 
1. Uno sguardo sul mondo  
 
 
 
 
 
 
“È un fenomeno strano: sono nato nel 1929, 
cresciuto nella Germania prima del 1933 e poi nella DDr. 
Alla fine la DDR è semplicemente implosa, sparita in fondo 
senza violenza. Da un momento all’altro il passato diventerà 
il futuro. Una strana sensazione di vertigine: era di nuovo 
nella mia infanzia. Naturalmente in una infanzia molto 
americanizzata. Si può descrivere il muro di Berlino come 
un muro del tempo, ma era anche una barriera tra due 
diverse velocità. All’Est c’era il tentativo di fermare un certo 
processo storico, quindi un rallentamento. All’ Ovest si 
assisteva invece ad un’accelerazione crescente. 
L’eliminazione della barriera ha fatto sì che le due velocità 
precipitassero l’una nell’altra formando un vortice che 
produce la sensazione che il terreno che non sia fermo, che 
nulla sia più stabile”  
     Heiner Müller, L'invenzione del silenzio, (1996) 
 
 
 
 
1.1 Gli anni novanta 
 
Il 1989, il crollo del Muro di Berlino è la data quasi mitica che segna il confine tra due 
epoche storiche. Con il crollo indolore del muro, cade la Cortina di ferro, si scioglie il 
Patto di Varsavia l’esercito sovietico lascia incredulo i confini conquistati nel 1945, i 
 8 
confini di un impero, e di lì a poco anche  l' Unione delle Repubbliche Socialiste 
Sovietiche si sfalda, crollando insieme a Gorbaciov, l’uomo che aveva sognato una 
transizione alla democrazia senza gettare assieme all’acqua sporca del totalitarismo le 
ragioni umanitarie del socialismo originario. Gorbaciov fallisce e un colpo di stato di 
caritidi del vecchio fa il gioco dell’ala opposta, quella di Eltsin, spazzando via in un 
lampo il Partito Comunista e i sogni di una sua possibile riforma.  Esplodono i 
nazionalismi, che si credevano sradicati con la forza da Stalin,  e  l’erede di quel che 
resta del grande impero, – e non è poco –  la Federazione Russa attuale, convertendosi 
alla velocità della luce al modello capitalista attraverso l’appropriazione dell’apparato 
militar-energetico-industriale da parte di astuti uomini del regime dell' entourage 
eltsiniano, che produrrà poi l’avatar perfetto e poi anche ribelle Vladimir Putin, allevato, 
come in un film americano di fantascienza, in un orfanotrofio del KGB, temutissima 
polizia politica e servizio segreto dell’era sovietica.  La nuova Russia di Eltsin – ma Putin 
cercherà in tutti i modi di rimontare la china - aveva dovuto subito pietire aiuti 
all’occidente, per evitare lo sfascio economico e l’anarchia, e di conseguenza ha dovuto 
veder ridimensionato il suo ruolo politico, lasciando campo ad un'unica superpotenza 
mondiale: gli Stati Uniti d’America, che per un lungo attimo si credono padroni del 
mondo, varando il sogno della destra neo-con del Nuovo secolo americano, rinato in 
epoca Reagan/Tatcher, solo un poco sopito nella parentesi clintoniana, e che esploderà 
negli anni di Bush.  Ma qualcuno avvertiva il rischio che l’illusione, il nuovo secolo 
americano riservasse le stesse brutte sorprese che il secolo passato aveva riservato al 
grande impero coloniale inglese. Una dottrina troppo semplice per un mondo 
complesso. Già nel 1979, con l’imponente rivoluzione in Iran, che scacciò dal trono lo 
Scià e instaurò a furor di popolo la repubblica islamica, l’angelo della storia aveva 
ricominciato a muovere le sue pesanti ali e segnare con un crollo e una nascita il nuovo 
orizzonte che avrebbe messo in pesante crisi la dottrina del nuovo secolo americano e 
la sua politica estera contraddittoria. Che del nuovo mondo la superpotenza non capisse 
nulla lo dimostra il libro Diplomacy di Herny Kissinger. Scritto nella forma di un 
voluminoso dizionario dello scibile diplomatico indispensabile per capire la storia 
dell’agire real-politico dal seicento ad oggi, è talmente poco sensibile alle novità da 
omettere la voce  religione: era il 1994 e chi si è formato sulla cultura che sottintendeva 
 9 
quel libro, mostrava di non capire l’aspetto determinante della politica dal medio oriente 
- e anche del mondo intero - non degli anni a venire, ma forse di tutto il Novecento.  
Gli Stati Uniti capivano addirittura meglio la Cina comunista – che aveva sparso sangue 
senza batter ciglio per liberarsi della rivolta dei giovani di piazza Tein An Men tra aprile e 
giugno di quel ribollente 1989. La Cina si avviava verso un ibrido mostro molto efficace,  
capitalismo senza democrazia, bruciando ogni tappa dello sviluppo con una scorciatoia 
che la porta dal medioevo al futuro di potenza mondiale competitiva su tutti i piani con il 
colosso dai piedi d’argilla USA. 
Per beffa del destino, crolla anche Margaret Thatcher, in sella dal 1979, paladina  
determinatissima assieme a Reagan del nuovo approccio neo-liberista ispirata dai 
Chigago boys del vate economico Milton Friedman, radicalissimo nel suo rifiuto verso 
qualsiasi intervento dello Stato nell'economia ed il suo sostegno convinto dell’assoluta 
autoregolamentazione del libero mercato. La lady di ferro inglese cade nel 1990, per 
una vera e propria rivolta popolare con la celebre poll-tax, una tassa uguale per tutti che 
puniva i più deboli: cadde assieme al suo nemico odiato, l’URSS e per essersi opposta 
in tutti i modi alla nascita di un’Unione Europea e di una moneta unica, ottenendo forti 
divisioni anche nel suo partito, oltre che una sempre più fredda accoglienza in Europa. 
Sarah Kane è figlia degli anni della Thatcher, anni in cui ognuno doveva imparare a 
cavarsela da solo e il mondo degli adulti per le giovani generazioni aveva il volto di 
quella donna arcigna e autoritaria, per nulla materna e poco condiscendente con la 
sofferenza altrui: gli adulti in Sarah Kane spesso sono così. 
Il mondo cambia in fretta in quegli anni e in Sudafrica Nelson Mandela viene liberato 
dalla prigionia e le nuove elezioni che lo eleggono presidente decretano la fine della 
segregazione razziale dell’apartheid. Ma nuove migrazioni di massa - da est a ovest e 
da sud a nord - cominciano a diffondere il virus del razzismo in occidente. Del resto 
l'ultimo balzo in avanti nei sondaggi del partito conservatore in Gran Bretagna ci fu in 
 seguito ad un’intervista della Thatcher che affermò “gli inglesi sono davvero spaventati 
che questa nazione possa essere sommersa da persone con una cultura differente”. 
Nel frattempo in medioriente il conflitto israeliano-palestinese conosce una nuova fase 
con la nascita del movimento radicale islamista Hamas (1987) proprio mentre grande 
scalpore e simpatia suscita nel mondo la sollevazione popolare nei territori chiamata 
 10 
Intifada, che usa tattiche di disobbedienza civile e strumenti di lotto volutamente 
primitivi, come il lancio di pietre, per opporsi ad uno degli eserciti più potenti del mondo. 
Il successo dell’Intifada produsse gli accordi di Oslo e la nascita della Autorità Nazionale 
Palestinese per un governo ad interim di una parte del territorio palestinese. La pace 
sembrava a portata di mano, ma il futuro produsse in una degenerazione imprevista, di 
cui segnale simbolo fu l’uccisione di Itzhak Rabin nel 1995, da parte di un ebreo 
ultraortodosso. Ancora una volta la religione detta l'agenda alla politica e con il sangue. 
Ma il medioriente, già sconvolto da anni di guerra Iran-Iraq (1980-1988) esplose di 
nuovo, con uno degli episodi storici che più hanno segnato gli sviluppi successivi: la 
prima Guerra del Golfo. Il mondo cambia e la politica estera americana pesca nel 
torbido in medioriente: l’ articolo apparso sul "New York Times" il 17 agosto 2002 
contiene le dichiarazioni di ex ufficiali dei servizi segreti americani e secondo il loro 
racconto, l’ambasciatrice americana April Glasbie incontra Saddam Hussein, e gli lascia 
credere che gli Usa non sono intenzionati a reagire in difesa del Kuwait. Invece scatta la 
trappola; Saddam Hussein, fautore della distensione e dell’amicizia tra Iraq e Usa, 
gendarme e pedina degli interessi americani in medioriente, ora per gli Stati Uniti e i loro 
satelliti si avviano a diventare con immemore rapidità "il nuovo Hitler". Gli Stati Uniti, nei 
sei mesi successivi, riescono a raccogliere intorno a sé una vasta coalizione 
internazionale di circa cinquanta stati e colgono l’occasione per affermare la propria 
leadership di unica superpotenza mondiale sull’Europa, sul Giappone e sui resti 
dell’impero sovietico. Proprio mentre la massiccia coalizione internazionale attacca l’Iraq 
e lo sconfigge in pochi giorni Saddam Hussein nel febbraio 1991 con l’operazione 
Desert Storm, un altro fronte si apre in Europa: quello della Jugoslavia e della sua 
destabilizzata federazione, che segue il destino del crollo dell’URSS (26 dicembre 1991) 
seguite alle dimissioni di Gorbaciev  e alla elezione di Boris Eltsin. La crisi in Jugoslavia 
esplode progressivamente, prima con la brevissima guerra dei dieci giorni seguita alla 
dichiarazione di indipendenza slovena nel 1991, poi con l’esplosione ben più violenta 
del conflitto in Croazia (1991-1995) e in Bosnia (1992-1995) e l’appendice altrettanto 
drammatica del conflitto in Kosovo (1996-1999) a cui pose fine l’intervento militare della 
NATO contro la Serbia. Questa guerra sarà l’avvenimento più violento, sanguinario e 
feroce accaduto in territorio europeo dalla fine della Seconda guerra mondiale. 
 11 
Questo era il mondo che appariva a pranzo nelle case di tutto il mondo in quegli anni: un 
mondo di violenza inconcepibile che sembrava non aver imparato che lezioni negative 
delle esperienze tragiche dei sessanta milioni di morti della guerra e dello sterminio 
scatenati da Hitler, che contagiarano il mondo intero. La vicenda della ex-Jugoslavia, le 
stragi a scopo di pulizia etnica e gli stupri di massa colpirono a tal punto la giovane 
Sarah Kane da segnare una svolta definitiva nella scrittura del suo primo testo, così che 
un soldato universale, ma il cui nome nelle prime stesure era Vladek, irruppe nella 
stanza di un albergo di Leeds, creando un corto circuito tra violenza privata della stupro 
di Cate da parte di Ian e la violenza pubblica della guerra. 
Ma abbiamo corso troppo in avanti, altre cose accadono negli anni novanta, la storia 
macina  ad una velocità impressionante di fatti spesso segnati di sangue. Mentre la 
Kane stava per lanciare il suo grido contro la violenza nel mondo (12 gennaio 1995, 
prima di Blasted al Royal Court) e stava per  subire una pioggia di critiche per la 
violenza del suo testo, assieme a importanti consensi per il suo sguardo sulla violenza 
del mondo, nel 1994 in Ruanda si stava compiendo il più impressionante genocidio della 
seconda metà del secolo:  l’eterno scontro tra Hutu e Tutsi esplode per l’ennesima volta 
e i capi della comunità maggiorataria Hutu lanciano un piano di sterminio contro i 
secolari nemici la piccola minoranza più ricca e privilegiata dei Tutsi, coinvolgendo nello 
sterminio anche le coppie miste, gli Hutu moderati o pacifici in una mattanza 
generalizzata a colpi di machete, sotto sguardo per molto tempo indifferente del mondo.  
In Messico scoppia la rivolta zapatista per la difesa dei diritti dei popoli indigeni. In Gran 
Bretagna muore John Smith  e Tony Blair diventa il capo di un rinnovato Partito 
Laburista. L’IRA annuncia un cessate il fuoco incondizionato al fine di avviare trattative 
di pace. In Sudafrica Nelson Mandela vince le elezioni mentre la Russia lancia la sua 
prima offensiva in Cecenia. Nel 1995 Austria, Finlandia e Svezia diventano membri 
dell’Unione Europea. Nell' ormai Ex-Jugoslavia l’esercito serbo-bosniaco bombarda la 
città di Srebrenica massacrando migliaia di civili. La Nato inizia i RAID  contro le 
postazioni serbe in Bosnia. In novembre a Tel Aviv, come abbiamo detto, viene 
assassinato da un estremista il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin. Poi, a  Parigi i 
presidenti, della Bosnia, Croazia e Jugoslavia firmano l'accordo di pace. 
Nel 1996 in Europa scoppia l’emergenza “mucca pazza” dopo le segnalazioni giunte 
 12 
dall’Inghilterra provocando un crollo nelle vendite delle carni bovine. Il conflitto militare 
tra la Cecenia e la Russia è ancora in atto ma viene firmato un armistizio prima che 
Boris Eltsin venga eletto presidente. Con un colpo di stato in Burundi, si insedia alla 
presidenza Pierre Buyoya che successivamente in agosto fonda un Governo d'unità 
nazionale allo scopo di pacificare il paese. La violenza etnica si diffonde sino ai confini 
dello Zaire scatenando una guerra civile mentre in Afghanistan Kabul viene occupata, 
dopo un lungo assedio, dai talebani. Bill Clinton viene rieletto presidente degli Stati Uniti. 
Nel 1997 il governo laburista di Tony Blair vince le elezioni con una significativa 
maggioranza. In Albania si scatena una rivolta popolare di massa contro il presidente 
della repubblica Salì Berisha in seguito al crollo delle piramidi finanziare. Il 30 giugno 
Hong Kong torna alla Repubblica Cinese dopo essere stata per 99 anni sotto il controllo 
britannico. L'11 dicembre viene firmato da più di 160 paesi il protocollo di Kyoto per 
contenere l'effetto serra. 
Nel 1998 Giovanni Paolo II si reca a Cuba e viene ricevuto da Fidel Castro. In quest' 
occasione il Papa condanna l'embargo americano. Intanto negli USA il presidente 
Clinton viene coinvolto nello scandalo definito "Sexgate". Nella ex-Jugoslavia Belgrado 
invade la provincia del Kosovo, operando una politica di pulizia etnica contro la 
maggioranza albanese. Al fine di fermare il genocidio in atto nel Kosovo e di rovesciare 
il governo di Sloban Milosevic, tra il marzo e il giugno del 1999, la Nato con l'appoggio 
degli USA e alcuni paesi europei tra cui l'Italia ma senza un mandato dell'ONU attacca 
la Serbia attraverso pesanti raid aerei. La Nato riesce nel suo intento a scapito di molte 
vittime tra i ci civili. Nello stesso anno, l'Euro entra in vigore nell'Unione Europea, 
sebbene non ancora sottoforma di contante. Prodi viene eletto Presidente della 
Commissione Europea mentre nasce e si diffonde nel mondo il movimento No Global. Il 
1999 si chiude con l'ordine da parte di Vladimir Putin, nuovo presidente dell'URSS, di 
effettuare attacchi contro la Cecenia.                                                    
Il 20 febbraio di quell’anno era morta suicida Sarah Kane. Aveva compiuto 28 anni il 3 
febbraio. In quattro anni aveva scritto cinque testi impressionanti e assai diversi tra loro. 
La storia mondiale non entrerà direttamente nel suo lavoro ma lo segnerà 
profondamente. 
 
 13 
 
1.2 In- yer- face theatre. Ribelli con stile  
 
All’inizio degli anni novanta molti critici s’interrogarono sullo stato di salute della 
drammaturgia inglese. Molti di loro accusarono la mancanza di nuovi testi, di nuovi 
autori, ma soprattutto accusarono la totale assenza di quell’energia, di quel coraggio 
sperimentale e di quella forza innovativa di cui il teatro inglese aveva bisogno. Un’ultima 
stagione d’oro sembrava risalire agli anni cinquanta, in particolare a quella corrente di 
opposizione e di contestazione giovanile denominata Angry young men, che ebbe come 
capofila il commediografo John Osborne (1929 – 1994) con Look Back in Anger (1956). 
Il nome del gruppo derivava dal titolo del testo aubiografico dello scrittore Lesley Allen 
Paul (1905-1985), Angry young men (1951), che entrò in uso solo dopo la messa in 
scena dell’opera di Osborne al Royal Court Theatre inaugurando così “un atteggiamento 
di protesta contro l'establishment sociale e culturale”
3
, contro il conformismo e l’ipocrisia 
della società inglese diventando il simbolo del “rinascimento” teatrale degli anni 
cinquanta e sessanta.  
Questo perché quello era il periodo dei fatti d'Ungheria e della crisi di Suez, “due episodi 
dai quali l'Inghilterra usciva fortemente ridimensionata nel suo prestigio di grande 
potenza internazionale”
4
.  
Al gruppo dei “giovanotti arrabbiati" furono associati Kingsley Amis, John Wain, John 
Braine, Alan Sillitoe e in seguito anche artisti come Harold Pinter
5
 (1930 – 2008), John 
Arden (1930), Arnold Wesker (1932) ecc. Il successo di Look Back in Anger spinse 
nuovi giovani autori a scrivere le proprie opere, e avviò una collaborazione con attori e 
registi più anziani ma affermati, con reciproco beneficio (ad esempio la collaborazione 
tra Osborne e Olivier). Il movimento si esaurì nel breve termine: non seppe e non volle 
trovare un preciso indirizzo ideologico né una riconoscibile forma espressiva, se si 
esclude l'influsso del teatro francese dell'assurdo e l'ironica predilezione per le forme 
gergali della più banale quotidianità (che saranno poi più proprie in Pinter). Ebbe una 
                                   
3
 http://www.girodivite.it/antenati/xx3sec/900ceng.htm 
4
 Ibidem 
5
 Premio Nobel per la Letteratura 2005. 
 14 
sua funzione nella lotta al conformismo del pubblico teatrale e contribuì a riavvicinarlo 
alla realtà del paese
6
. 
Alla luce di questo, quando nel dicembre del 1994 Osborne morì, il dibattito sulla crisi 
della nuova drammaturgia tornò a galla e si fece sempre più acceso. Quell’atmosfera di 
malessere “teatrale” che si era diffusa in Inghilterra era stata determinata in parte da: 
contesto storico; dai tagli alle sovvenzioni per le attività artistiche; da una certa carenza 
di nuove compagnie di produzioni; da un panorama di proposte piuttosto sterili, di 
riadattamenti tediosi e scarsità di autori emergenti.  
Il punto di svolta negli anni novanta fu l’avvento di un nuovo stile teatrale che dominò 
per tutto il decennio risollevando la drammaturgia britannica: in-yer-face theatre. Giovani 
autori sconosciuti diventarono ben presto i protagonisti di un movimento d’avanguardia 
caratterizzato da opere dal linguaggio esplicito e scurrile che trattava di argomenti 
osceni a sfondo sociale con personaggi violenti e sgradevoli. Erano spettacoli che 
scandalizzavano poichè si fondavano su abusi sessuali, su mutilazioni e  torture, su 
nudità e fellatio, e su atti verbali offensivi.  
Erano giovani cresciuti negli anni ottanta, figli della Thatcher, che scrivevano opere 
implicitamente politicizzate offrendo da vari punti di vista un quadro della società 
contemporanea. Era un teatro della provocazione che tentava di scuotere il pubblico allo 
scopo di ottenere da loro delle reazioni impiegando talvolta vere e proprie tattiche d’urto! 
Il rapporto tra attori e spettatori veniva messo in discussione perché l’intento era di 
trasmettere un forte senso di minaccia territoriale e di vulnerabilità dello spazio del 
pubblico; il senso di sicurezza era perciò in bilico durante uno spettacolo in-yer-face in 
quanto vi era la possibilità  - reale o simulata - che gli attori potessero ferirsi tra loro o 
coinvolgere gli spettatori stessi. Era un teatro che turbava e che creava disagio 
infrangendo i tabù e le convenzioni perché nella messa in scena ignorava ciò che era 
proibito e ciò che non lo era. Infatti,  Aleks Sierz
7
 indica la definizione del New Oxford 
                                   
6
 http://www.girodivite.it/antenati/xx3sec/900ceng.htm 
7
 È giornalista, commentatore radiotelevisivo, critico teatrale del Tribune, editorialista del 
TheatreVoice.com e docente all’università di Boston.  
 15 
English Dictionary (1998) dell’espressione in your face che si riferisce a qualcosa di 
“manifestamente aggressivo o provocatorio, impossibile da evitare o ignorare”
8
.  
Il miglior teatro in-yer-face permetteva di attraversare vari stadi emotivi dallo 
sbigottimento al terrore, dal disgusto all’indignazione, dall’imbarazzo al turbamento. Era 
un tipo teatro esperienziale che conduceva in un viaggio emotivo portando a riflettere su 
concetti e sentimenti dai quali si tendeva a rifuggire perché troppo dolorosi e terrificanti. 
Questi giovani autori usarono come “espedienti” atti violenti, il sangue e materiali 
espliciti per indagare e rivelare sentimenti di disperazione, di rabbia, e stati di 
confusione: “il loro modo di vivere e di essere”
9
. Infatti, al centro di queste 
rappresentazioni vi era l’esplorazione dello spazio privato: l’individuo nel suo rapporto 
con sé e con l’altro, con il quotidiano e con la società portato all’eccesso, esasperato. 
Questo perché la rappresentazione della vita reale può avere talvolta un impatto più 
forte rispetto a situazioni della vita stessa, soprattutto se inserita in una cornice teatrale 
non tradizionale; anche se ciò è strettamente legato al grado di sensibilità di ognuno e 
alle loro esperienze pregresse. 
L’etichetta in-yer-face venne usata per descrivere “una nuova estetica più esplicita, 
aggressiva e conflittuale”
10
, “attraverso l’esplorazione di nuove aree d’espressione e la 
proposta di nuovi e audaci esperimenti”.  
Quest’ondata di giovani scrittori riformulò così le regole e le strutture drammatiche 
dando vita, a fine secolo, ad un nuovo linguaggio teatrale.  
Ma chi faceva parte di questa nuova generazione di autori? E quale spettacolo decretò 
la nascita di questo filone drammatico? 
Alcuni dei principali teatri inglesi avevano tentato un piano per riavviare e ravvivare la 
nuova drammaturgia. Nel 1990 al Bush Theatre fu nominato Dominic Dromgoole
11
 come 
nuovo direttore artistico che si orientò verso una politica teatrale tesa ad incoraggiare 
giovani talenti e nuovi linguaggi. 
                                   
8
 Aleks Sierz, In-Yer-Face Theatre. Teatro britannico contemporaneo, Editoria & Spettacolo, 
Roma, 2006, p. 17   
9
 Ivi, p. 49 
10
 Ivi, p. 13 
11
 Dal 2006 è direttore artistico del Shakespeare’s Globe di Londra, una ricostruzione del teatro 
elisabettiano.