14
 Durante gli anni “formativi” del sindacalismo internazio-
nale, tra fine Ottocento e l’inizio di questo secolo, emersero due 
tipi fondamentali di organizzazioni sindacali internazionali, 
tutt’oggi esistenti. La prima era quella composta da sindacati di 
vari paesi, secondo i vari mestieri o professioni: minatori, sarti, 
tipografi, lavoratori del cuoio, ecc. Queste associazioni divenne-
ro note come “segretariati professionali internazionali”, una de-
nominazione ancora in uso, anche se le organizzazioni che com-
pongono i segretariati non sono più formate da sindacati per sin-
goli mestieri come nel passato, ma da sindacati che rivendicano 
la propria giurisdizione su intere industrie o settori economici. 
(Una denominazione che se avesse seguito i cambiamenti avve-
nuti sarebbe quella di “segretariati industriali internazionali”). 
L’attenzione dei segretariati professionali era (ed è) concentrata 
sui problemi connessi a una particolare professione o settore e-
conomico. La seconda organizzazione fondamentale era quella 
che univa le centrali sindacali nazionali in un organismo confe-
derale, concentrando una maggiore attenzione sui problemi gene-
rali dei lavoratori, sulle tematiche sociali ed economiche e sulla 
legislazione del lavoro. Questa seconda tipologia di aggregazio-
ne portò alla nascita, alla fine della seconda guerra mondiale, 
delle tre attuali organizzazioni sindacali mondiali: la CISL Inter-
nazionale, di ispirazione socialdemocratica, la CISC (oggi 
 15
CMT), di ispirazione cristiana, e la FSM, di ispirazione comuni-
sta (quest’ultima, dal futuro incerto, dopo il crollo dell’impero 
sovietico). Dopo la seconda guerra mondiale prese inoltre corpo, 
sempre nell’ambito dell’organizzazione sindacale internazionale, 
il concetto operativo del “regionalismo”. Tale idea, come vedre-
mo nel testo, voluta in particolare dagli Stati Uniti, portò alla 
formazione, in diverse aree geografiche del mondo, di federazio-
ni regionali indipendenti, tra le quali, nel 1973, la Confederazio-
ne europea dei sindacati. Oggi, la CES riunisce quasi tutte le or-
ganizzazioni sindacali europee ed è pronta ad accogliere le cen-
trali sindacali dell’Europa orientale. Di grande importanza, inol-
tre, il ruolo che essa riveste nel processo di costruzione europea, 
per il suo inserimento, formalizzato in un protocollo allegato al 
trattato sull’Unione europea di Maastricht, nel dialogo sociale 
europeo, insieme all’UNICE, l’organizzazione europea degli in-
dustriali, e al CEEP, il Centro europeo delle imprese a partecipa-
zione pubblica. 
 A livello mondiale, le organizzazioni sindacali internazio-
nali hanno avuto nel passato, e hanno nel presente, una grande 
importanza sociale (soprattutto nei paesi del Terzo Mondo). Una 
importanza che assume un maggior rilievo in questi ultimi anni, 
in particolare, a livello europeo dove la Confederazione europea 
dei sindacati agisce per una reale rappresentanza sovranazionale 
 16
dei lavoratori, perché venga tributata una maggiore attenzione 
verso il “sociale” in Europa e, per ultimo, ma non certo come 
importanza, per costruire concretamente l’Europa unita, non solo 
a livello economico, ma anche a livello politico, sociale e dei 
popoli. Tuttavia, al sindacalismo internazionale non è mai stata 
data la sufficiente attenzione, a partire dagli stessi sindacati na-
zionali, caratterizzati da un forte provincialismo, in parte impu-
tabile al loro sviluppo storico, differente da paese a paese, ma 
ancor di più imputabile all’assenza di un sistema europeo di rela-
zioni industriali, dovuto ad un atteggiamento europeista dei go-
verni e delle parti sociali nazionali che, spesso, è tale solo “a pa-
role”, ma che raramente si è concretizzato, nelle azioni e nei fat-
ti, in una volontà positiva di fare l’Europa. Un’attenzione che il 
sindacalismo internazionale non riceve sufficientemente neppure 
a livello di istituzioni accademiche, come è stato anche eviden-
ziato da un autorevole storico delle relazioni industriali, John P. 
Windmuller, della New York State School of Industrial and La-
bor Relations presso la Cornell University, Ithaca, nel suo saggio 
Le organizzazioni sindacali internazionali (1980) (in Italia, Edi-
zioni Lavoro, 1983). 
 Il presente lavoro parte dalle premesse storiche al sindaca-
lismo internazionale nella seconda metà del secolo scorso e si 
sviluppa sino ai giorni nostri, prendendo in considerazione le di-
 17
verse organizzazioni susseguitesi, con particolare attenzione alla 
dimensione sindacale sovranazionale europea. Un prezioso aiuto 
per le fonti bibliografiche e documentali mi è stato fornito, in 
special modo, dall’archivio storico-sindacale della Fondazione 
“Vera Nocentini” di Torino, dall’archivio storico dell’UNICE, 
l’unione europea degli industriali, a Bruxelles, dall’Istituto sin-
dacale europeo di Bruxelles, e dal Segretariato generale della 
CES, la Confederazione europea dei sindacati, a Bruxelles, ai re-
sponsabili dei quali va il più sincero ringraziamento. 
 18
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO PRIMO 
 
L’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL 
MOVIMENTO OPERAIO EUROPEO: DALLE PREMESSE 
STORICHE ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE 
 
 19
 
CAPITOLO PRIMO 
 
L’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL 
MOVIMENTO OPERAIO EUROPEO: DALLE PREMESSE 
STORICHE ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE 
 
 
SOMMARIO: 1. L’Associazione internazionale dei lavoratori, o prima Internazionale, p. 
19; 2. L’Internazionale socialista, o seconda Internazionale, p. 34; 3. Il Segretariato 
internazionale delle centrali sindacali nazionali, p. 48; 4. I segretariati professionali 
internazionali, p. 58; 5. La nascita del sindacalismo cristiano, p. 60. 
 
 
1. L’Associazione internazionale dei lavoratori, o prima 
Internazionale 
 
 I primi vent’anni della seconda metà del secolo scorso se-
gnarono nella storia del movimento operaio un’epoca decisiva. 
In quel ventennio infatti, per la prima volta, la classe operaia, 
sotto la guida di intellettuali che si erano staccati dalle loro classi 
nella convinzione che soltanto una nuova rivoluzione sociale a-
vrebbe potuto assicurare all’umanità uno sviluppo pacifico, ra-
zionale ed egualitario, accelerò la propria maturazione fino a 
 20
concepire e realizzare il progetto di una organizzazione interna-
zionale in grado di coordinare gli sforzi comuni. Al tempo stes-
so, sempre in quegli anni, andarono affermandosi le maggiori 
dottrine destinate a dominare il movimento: il marxismo e 
l’anarchismo, due dottrine in profondo contrasto per i diversi 
presupposti e per le diverse strategie con cui indicavano ai lavo-
ratori i fini della loro emancipazione, ma che esprimevano en-
trambe la rivolta contro l’ordine borghese. I principi 
dell’eguaglianza fra gli uomini e il rifiuto del meccanismo di se-
lezione sociale e delle differenze di classe, stavano a fondamento 
comune delle due dottrine. Fu al chiudersi di questo periodo che 
a Parigi, per la prima volta nella storia, la classe operaia, in u-
nione con la piccola borghesia democratica, prese per pochi mesi 
nella proprie mani il potere politico
1
. 
 L’organizzazione internazionale del movimento operaio 
ebbe una sua premessa nel 1862 quando una delegazione di 
centocinquanta operai francesi, fra cui un folto gruppo di seguaci 
di Proudhon
2
, guidata dal bronzatore parigino Henry Louis 
Tolain, partecipò all’Esposizione internazionale di Londra. Qui i 
francesi presero contatto con il consiglio sindacale londinese, a 
                                                           
1
 La Comune di Parigi fu una insurrezione popolare che si svolse tra il 18 marzo e il 28 
maggio 1871, con centro nella Comune (municipalità) di Parigi, derivando da qui il 
nome. L’insurrezione, inseritasi negli sconvolgimenti politici seguiti alla guerra franco-
prussiana, costrinse il governo del Thiers (1797-1877) a riparare a Versailles. A Parigi si 
instaurò una forma di autogoverno basata sul suffragio universale e sulla gestione operaia 
dell’economia. Cadde dopo una accanita resistenza alle truppe del Thiers. Sia Marx sia 
Lenin vi individuarono la prima forma storica di autogoverno operaio e popolare. 
2
 Vedi infra in questo capitolo, nota 8. 
 21
si presero contatto con il consiglio sindacale londinese, a cui se-
guirono accordi sia per manifestare appoggio agli insorti polac-
chi per l’indipendenza dalla Russia, sia per far fronte alla crisi 
prodottasi specie nelle industrie tessili, con abbassamento dei sa-
lari e disoccupazione, in seguito agli effetti della guerra civile 
americana e alle difficoltà di importazione del cotone. Un secon-
do incontro tra inglesi e francesi avvenne, sempre a Londra, il 22 
luglio 1863, un meeting per discutere della situazione polacca. I 
protagonisti di quegli incontri furono i sindacalisti inglesi Potter 
e Odger e i francesi Tolain, Perrachon, Aubert, Murat, Cohadon 
e Bibal. Da essi scaturì l’idea della convocazione di un congres-
so internazionale, che si concretizzò grazie all’interessamento 
dei francesi Le Lubez e Lefort, in particolare quando 
quest’ultimo si recò nuovamente a Londra, nella primavera del 
1864, in occasione della calorosa accoglienza che gli operai in-
glesi tributarono a Giuseppe Garibaldi, durante la sua visita nella 
capitale inglese. Operai francesi e inglesi si incontrarono ancora 
a Londra nel settembre del 1864, ed il 28 di quel mese, alla St. 
Martin’s Hall di Londra, alla presenza delle due delegazioni e di 
invitati di altri paesi, tra cui molti rifugiati politici in esilio nella 
capitale inglese (e tra questi, Karl Marx), si costituì 
l’Associazione internazionale dei lavoratori, meglio conosciuta 
come prima Internazionale. 
 22
 L’Associazione nacque come il prodotto di una conver-
genza momentanea di interessi diversi. I sindacalisti britannici, 
pur seguendo da vicino i grandi eventi politici, come la guerra 
civile americana del 1862 e l’insurrezione polacca del 1863, era-
no interessati soprattutto ai problemi economici e corporativi, e 
consideravano quindi utile l’Associazione solo a patto che essa 
riuscisse ad impedire l’immigrazione in Inghilterra di crumiri o 
di operai stranieri, che avrebbero potuto fare una concorrenza 
pericolosa a quelli britannici in quanto retribuiti con salari più 
bassi. Quanto agli operai francesi, essi erano alla ricerca di un 
modello oscillante tra la lotta politica, in alleanza con la borghe-
sia repubblicana, contro un impero che oscillava tra 
l’autoritarismo e l’appello al popolo, e la lotta economica, contro 
un padronato preoccupato dalla nuova concorrenza inglese e po-
co preparato alla rapidità delle trasformazioni in atto 
nell’economia francese
3
. 
                                                           
3
 Fu il governo imperiale francese, che voleva ottenere l’appoggio della classe operaia dopo 
alcuni disordini accaduti, anche in seguito alle conseguenze della recessione economica 
del 1857, a finanziare il viaggio della delegazione di operai all’Esposizione di Londra. 
Già tra il 1860 e il 1862 vi erano stati degli incontri tra ambienti liberali della corte, so-
prattutto il principe Napoleone, e rappresentanti del movimento operaio, mediati da Ar-
mand Lévy, direttore del giornale ginevrino «L’Espérance» e di una serie di «opuscoli 
operai». Di argomento in argomento si può giungere così alla tesi, sostenuta dai sansimo-
niani, che l’Internazionale abbia addirittura come origine la firma del trattato commercia-
le del 1860 tra la Francia e il Regno Unito. A sua volta lo storico Boris I. Nikolaevskij ha 
sollevato il problema della funzione della massoneria nella creazione dell’Associazione 
internazionale dei lavoratori, insistendo in particolare sulla parte svolta dalla loggia dei 
Filadelfi, dipendente dall’Ordine di Menfi. La loggia era in rapporto stretto con i proscrit-
ti francesi della Commune révolutionnaire, fondata nel 1852 da Félix Pyat, Caussidière e 
Boichot, nonché con gli ambienti mazziniani e garibaldini che avevano preso l’iniziativa 
del congresso democratico tenutosi a Bruxelles nel settembre del 1863. A detta soprattut-
 23
 Fu Karl Marx a stendere l’Indirizzo inaugurale 
dell’Associazione, un documento nel quale si ritrovavano affer-
mazioni di particolare rilevanza per il movimento operaio, e già 
si poteva scorgere quella che fu la strategia di Marx e Engels 
consistente nel rendere autonomo dalla democrazia borghese il 
movimento operaio internazionale. L’Indirizzo, se pure concepi-
to con uno spirito unitario verso le correnti non marxiste, inizia-
va proprio affermando la necessità storica dell’autonomia prole-
taria. 
 
Considerando che l’emancipazione degli operai deve essere 
compiuta dagli stessi operai; che gli sforzi degli operai per 
conseguire la loro emancipazione non devono tendere a costi-
tuire nuovi privilegi ma a proclamare diritti uguali e uguali 
doveri per tutti; che la soggezione dell’operaio al capitale è la 
sorgente di ogni servitù politica, morale, materiale; che perciò 
l’emancipazione economica degli operai è il grande scopo al 
quale deve essere subordinato ogni movimento politico; che 
tutti gli sforzi sinora fatti sono andati a vuoto per mancanza 
di solidarietà tra gli operai delle diverse professioni nello 
stesso paese e per mancanza di unione fraterna tra gli operai 
dei paesi diversi; che l’emancipazione degli operai non è già 
un problema solamente locale o nazionale, ma è un problema 
che tocca gli interessi di tutti i paesi civili, essendone la riso-
luzione necessariamente subordinata al loro concorso, sia nel 
campo delle idee, che in quello della pratica; che il movimen-
to che si effettua tra gli operai dei paesi più industrializzati 
d’Europa, aprendo l’adito a nuove speranze, dà un grande av-
                                                                                                                                                    
to del belga César de Paepe e del tedesco Johann Philipp Becker, che vi parteciparono, 
sarebbe stato l’antenato più diretto della prima Internazionale. Cfr. J. Droz, Storia del so-
cialismo: dalle origini al 1875, Roma, Editori Riuniti, 1973, vol. I, p. 715 e ss., e W. A-
bendroth, Storia sociale del movimento operaio europeo, Torino, Einaudi, 1977, (quarta 
ed.), p. 39 e ss. 
 24
vertimento a ciò che non si ricada nei vecchi errori e consiglia 
di combinare tutti questi sforzi ancora isolati; per queste ra-
gioni i sottoscritti membri del consiglio, eletti dall’assemblea 
tenuta il 28 settembre 1864 nella St. Martin’s Hall in Londra, 
hanno preso i necessari provvedimenti per fondare 
l’Associazione internazionale dei lavoratori. Essi dichiarano 
che questa Associazione internazionale, come pure tutte le 
società e gli individui aderenti ad essa, riconosceranno per 
base della loro condotta, la giustizia, la morale, senza distin-
zioni di colori, credenze o nazionalità. Essi ritengono che o-
gni persona ha il dovere di reclamare i diritti dell’uomo e di 
cittadino non soltanto per sé, ma anche per chiunque compia 
il proprio dovere. Non diritti senza doveri; nemmeno doveri 
senza diritti
4
. 
 
 
 Marx, inoltre, mise in primo piano la necessità che il 
proletariato organizzato si desse una concreta e rivoluzionaria 
politica estera. Al centro di questa doveva esservi la lotta, lo 
smascheramento e la denuncia costante contro le politiche 
aggressive e di guerra degli stati europei e della Russia zarista. 
 
Se l’emancipazione delle classi operaie esige il loro concorso 
fraterno, come possono esse compiere questa grande 
missione, quando la politica estera non persegue che disegni 
criminali, e , sfruttando i pregiudizi nazionali, non fa che 
sprecare il sangue e i tesori dei popoli in guerre di rapina?
5
. 
 
                                                           
4
 Il testo del preambolo dello statuto dell’Internazionale è tratto da R. Michels, Storia 
critica del movimento socialista italiano. Dagli inizi fino al 1911, Firenze, Società An. 
Editrice «La Voce», 1926, p. 19 e ss. 
5
 Cit. in G.M. Bravo, Karl Marx, Milano, Franco Angeli, 1986, p. 46. 
 25
 Accanto ai problemi “di classe” dell’autoemancipazione e 
dell’azione politica del proletariato, si pose l’obiettivo 
dell’«unione fraterna» fra i lavoratori dei diversi paesi, in quanto 
fu stabilito che «l’emancipazione della classe operaia, non es-
sendo né un problema locale né nazionale, ma sociale, abbraccia 
tutti i paesi nei quali esiste la società moderna, e per la sua solu-
zione dipende dal concorso pratico e teorico dei paesi più pro-
grediti»
6
. Secondo Marx, si doveva dar vita a un «centro di col-
legamento e di cooperazione fra le società operaie esistenti nei 
diversi paesi, che aspirino al medesimo scopo, e cioè: il mutuo 
soccorso, il progresso e l’affrancamento completo della classe 
operaia»
7
. 
 L’Associazione internazionale dei lavoratori, all’inizio, fu 
soprattutto un ente coordinatore di società di lavoratori o mutua-
listiche, di circoli, di individui singoli al di sopra dei confini de-
gli Stati. La sua vita fu, comunque, tutt’altro che facile. Da un la-
to essa rispondette infatti alla raggiunta coscienza dei lavoratori 
che il loro movimento doveva coordinarsi internazionalmente; 
dall’altro rispecchiò l’esistenza di concezioni diverse e su molti 
punti opposte presenti nelle sue file. Coagulando nel corso della 
sua storia seguaci delle trade-unions inglesi, di tendenza riformi-
                                                           
6
 Ibidem. 
7
 Ibidem. 
 26
sta; seguaci francesi di Proudhon e di Blanqui, gli uni sostenitori 
di una concezione anarchico-mutualistica, gli altri dell’idea di 
una dittatura proletaria preparata da élites di cospiratori
8
, seguaci 
dell’anarchismo rivoluzionario del russo Bakunin; seguaci del 
radicalismo democratico non socialista di Mazzini; seguaci infi-
ne del “socialismo scientifico” di Marx e Engels, 
l’Internazionale doveva inevitabilmente andare incontro ad aspre 
lotte di corrente. Fra il 1866 e il 1869 i congressi 
dell’Associazione videro una aperta polemica fra i proudhoniani 
e Marx, che riuscì infine a affermarsi e giunse ad imporre la tesi 
che i lavoratori dovevano ricorrere, per la difesa dei loro diritti, 
alla lotta di classe e allo sciopero; servirsi della propria forza per 
strappare miglioramenti delle proprie condizioni; intervenire 
nell’arena politica; mirare alla conquista finale del potere politi-
                                                           
8
 Auguste Blanqui (1805-1881), francese, si collega al filone più radicale della rivoluzione 
francese, a Saint-Just, Babeuf, Buonarroti. Secondo Blanqui il proletariato, paria della 
società borghese, doveva conquistare il potere politico per stabilire una «dittatura del 
proletariato». Preparare l’insurrezione era il suo compito principale; compito che cercò di 
perseguire attraverso le cospirazioni preparate da società segrete in cui si raggruppavano 
le élites rivoluzionarie.  
 Pierre Joseph Proudhon (1809-1865), francese, fu un’importante figura di riformatore 
sociale. Distinse la proprietà come rendita parassitaria dalla proprietà come possesso dei 
mezzi di produzione, auspicando la generalizzazione di questa a tutti i lavoratori, in un 
sistema sociale capace di conciliare libertà individuale e armonia sociale, capitale e 
lavoro. (Che cosa è la proprietà, 1840). Per Proudhon, lo Stato doveva essere abolito e 
sostituito da un centro economico di coordinamento, la cui funzione principale era quella 
di garantire a titolo gratuito il credito necessario alle società cooperative in libera 
concorrenza fra loro. Proudhon accusava il socialismo di essere centralizzatore e 
burocratico, a cui contrapponeva una società antiautoritaria senza tutele politiche, 
l’anarchia, fondata sul federalismo e la decentralizzazione. Marx lo accusò di essere un 
piccolo borghese che, con le sue idee anarchiche e cooperativistiche, altro non esprimeva 
se non la reazione dei piccoli proprietari e degli artigiani agli sviluppi 
dell’industrializzazione. 
 27
co quale premessa per la socializzazione dei mezzi di produzio-
ne
9
. Proprio il riconoscimento del movimento sindacale e dello 
sciopero avvennero nel primo congresso dell’Internazionale, a 
Ginevra, nel 1866, dove vennero anche proposte delle misure po-
litico-sociali in favore delle donne e dei bambini, e la limitazione 
della giornata lavorativa a otto ore. Il sindacato, secondo Marx, 
non aveva da svolgere una funzione rivoluzionaria, ma si presen-
tava come elemento di aggregazione della classe operaia, di for-
mazione della coscienza, con obiettivi limitati ma in grado di 
fornire la base di massa per una più ampia aggregazione politica, 
che si sarebbe poi identificata con il partito politico. 
 
                                                           
9
 Le posizioni di Marx all’interno dell’Associazione internazionale dei lavoratori erano 
appoggiate soprattutto dalle trade-unions inglesi e dalle delegazioni dei paesi 
industrializzati, mentre nelle delegazioni dei paesi a economia prevalentemente agricola 
(a quel tempo Italia, Spagna e, in un primo tempo, anche la Francia) o dei territori nei 
quali era preponderante la piccola impresa artigianale (la Svizzera francese), prevalevano 
le concezioni proudhoniste, fino alla Comune di Parigi del 1871, poi le concezioni 
bakuniniste. Un contrasto che, come evidenzia Abendroth (op. cit., p. 43), per quanto 
concerne le sue basi sociali, continuò a sussistere anche cent’anni dopo, nella resistenza 
spagnola antifranchista della Federazione anarchica iberica e del sindacato anarchico 
CNT.