Introduzione 
  
Trattare diffusamente di un argomento come l’informazione al consumatore 
non è impresa facile e scontata come ad un primo approccio potrebbe 
apparire. 
Questo per due ordini di ragioni; da un lato la vastità dell’argomento porta 
ad una dispersione delle informazioni utili, tale da ricomprendere nel 
contesto ogni argomento che, anche indirettamente, al “consumatore” possa 
essere ricondotto. 
Dall’altro perché, in società ad economia avanzata, come quelle che sono 
state prese in considerazione nell’analisi svolta nelle pagine seguenti, ossia i 
Paesi membri della CE e, relativamente alle normative recepite, il nostro 
ordinamento interno, è difficile individuare il consumatore strettamente 
inteso e poterlo distinguere da altri soggetti che si collocano nel settore del 
commercio, dell’industria o dei servizi, come parti di un rapporto. 
In ogni tipo di relazione commerciale, infatti, vi sono necessariamente parti, 
costituite da entità (fisiche o giuridiche), che, una volta o l’altra, 
rappresentano il soggetto “debole”, vale a dire colui che necessita di un 
servizio o di un bene e che sottostà alle condizioni dettate da colui che, in 
quel momento rappresenta il produttore, il fornitore o il rivenditore. 
Per poter quindi svolgere un’analisi chiara e, per quanto possibile, esaustiva, 
bisogna cercare di delimitare la categoria “consumatori”, ad una cerchia di 
soggetti, non chiusa, ma facilmente individuabile. 
Introduzione 
  
Cercare di dare una risposta a questi interrogativi è l’obiettivo, per la verità 
un po’ pretenzioso, che mi sono prefissata di raggiungere nella prima parte 
di questa tesi. 
Ho cercato, mediante un’analisi scandita nel tempo, di individuare il 
momento a partire dal quale “il consumatore” ha iniziato ad avere una 
propria autonomia e ad assumere un certo spessore ed una certa importanza. 
Da quel momento in poi, comparando le varie teorie prospettate da dottrina 
e giurisprudenza, ho cercato di estrapolarne la definizione che meglio si può 
adattare alle esigenze del nostro ordinamento in questo momento storico. 
Superato il primo problema, sempre che l’analisi porti ad una soluzione 
inequivoca, rimangono da analizzare i provvedimenti, di varia natura, che 
interessano il consumatore; può trattarsi di regole generali, lo sono 
soprattutto quelle comunitarie, che stabiliscono i diritti fondamentali, ma 
può trattarsi anche di disposizioni limitate alla regolamentazione determinati 
settori e che tuttavia non possono essere trascurate. 
Personalmente ritengo che nel concetto di informazione, largamente inteso, 
vi sia spazio per la maggior parte delle leggi interne o di recepimento, 
perché anche la determinazione di comportamenti specifici imposti ai 
produttori o ai fornitori, ha lo scopo di consentire un’adeguata informazione 
ed una possibilità di scelta a più ampio raggio. 
Il suesposto vasto concetto di informazione però, pur incidendo su tutti gli 
aspetti del ciclo produzione – vendita non è, di per sé, sufficiente ad offrire 
Introduzione 
  
garanzie di effettivo rispetto delle prescrizioni imposte se non è 
accompagnato da validi strumenti idonei a farle rispettare. 
È questo il contenuto della terza parte che espone quali siano le possibilità 
di tutela offerte ai “consumatori” in caso di eventuali inadempienze od 
inottemperanze. 
Si può già da ora anticipare che la tutela è la fase che ha subito le maggiori e 
più significative innovazioni negli ultimi anni; è stata introdotta, a fianco 
della tradizionale tutela individuale una forma di tutela collettiva, concessa 
ad organizzazioni con requisiti di legge. Questo tipo di tutela garantisce 
ovviamente maggior incidenza, nonché maggiore disponibilità di mezzi, 
anche economici, perché rappresenta un’esigenza “superindividuale”, 
ricompresa nel concetto di “interesse diffuso”. 
Dovrà essere fatto, alla fine della trattazione che segue, un bilancio sulla 
chiarezza e sull’idoneità della legge italiana, a tutelare il cittadino in questo 
complesso settore, avendo la consapevolezza che “consumatore” è 
soprattutto colui che quotidianamente supporta ed incrementa l’economia di 
un Paese. 
   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PARTE   PRIMA 
 
 
IL     CONSUMATORE 
   
 
 
CAPITOLO  I 
 
DEFINIZIONI 
 
 
1.1 LA  NOZIONE DI CONSUMATORE 
 
I “consumatori”, come raggruppamento sociale, e il consumo, come 
categoria di analisi specifica, cominciano ad assumere una posizione di 
rilievo nella ricerca socioeconomica solo nei primi decenni del Novecento in 
concomitanza con lo sviluppo della produzione di massa negli Stati Uniti e 
con la collegata espansione dei consumi. 
Ovviamente il consumo come attività è sempre esistito rappresentando il 
naturale complemento della produzione di beni e, già nell’antichità, 
specialmente nelle città, una componente significativa dei consumi non 
derivava dall’autoproduzione, ma dagli scambi. 
L’espansione dei consumi è resa possibile dalla crescita del reddito 
disponibile per le famiglie, a sua volta collegata all’aumento della 
produttività nelle attività lavorative, ma si accompagna ad evoluzioni dei 
comportamenti e dei valori sociali che modificano man mano il ruolo del 
consumo e i valori ad esso associati. 
Fino a che, per gran parte della popolazione, i consumi erano ancorati alla 
pura sopravvivenza e la scarsità di reddito disponibile rendeva di fatto 
impossibili scelte discrezionali, l’analisi dell’attività di consumo mantiene 
una priorità piuttosto bassa. E’ dunque l’enorme crescita della produzione 
legata alla rivoluzione industriale che pone le premesse per l’aumento 
d’importanza dei consumi.1  
                                                 
1
 Marco Gambaro , Consumo e difesa dei consumatori   pag. 7 
                   
La nozione di consumatore 
 7
La scoperta del “consumatore”, termine utilizzato correntemente nel 
linguaggio giuridico, e non, ma non ancora compiutamente decodificato2, è 
quindi piuttosto recente; essa è un dato tipico della società opulente, e 
avviene gradualmente in tutti i paesi occidentali, via via che si raggiungono 
gli stadi del capitalismo avanzato. Alla scoperta del consumatore non fa 
seguito, tuttavia, l’adozione immediata di misure legislative a sua difesa. 
Occorre un lungo periodo di tempo per sensibilizzare l’opinione pubblica e 
richiamare l’attenzione dei legislatori sui problemi dei consumatori. Non è 
un caso che l’indirizzo che vi manifesta attenzione, o consumerism, abbia 
origine negli Stati Uniti d’America. In questo paese si radica, infatti, prima 
che altrove, e nelle forme più intense, il capitalismo monopolistico e 
oligopolistico. Negli anni sessanta questo movimento si estende anche nei 
paesi europei: sorgono associazioni private, talvolta sollecitate dagli stessi 
organismi governativi; si stampano riviste, opuscoli, articoli in difesa dei 
consumatori e nascono organismi amministrativi in loro favore in Francia, 
Olanda, Inghilterra. e Svezia. Unica eccezione è l’Italia, dove esistono solo 
alcune associazioni con diversi intenti e con diversa immagine pubblica 
(l’Unione nazionale consumatori; il Comitato difesa dei consumatori; il 
Movimento dei consumatori, la Federconsumatori). 
E’ però chiaro che i consumi non sono più un fatto privato, ma un fatto 
pubblico; la tutela del consumatore non è più preoccupazione di pochi, ma è 
diventata esigenza generalizzata. 
Anzi nasce una vera e propria “industria” del consumerism. 
Questo nuovo orientamento da luogo però a varie strumentalizzazioni 
soprattutto di natura economica; le imprese, attraverso le ricerche di 
marketing possono conoscere meglio i “gusti” dei consumatori e adeguare 
ad essi la loro produzione. Non è detto, però, che questa strumentalizzazione 
abbia effetti esclusivamente negativi. Si registrano talvolta alcuni importanti 
                                                 
2
 Vincenzo Zeno Zencovich, Enciclopedia giuridica Treccani Vol. VIII  
 
La nozione di consumatore 
 8
fatti nella produzione di beni; ad esempio, la fabbricazione di prodotti più 
sicuri, meno pericolosi, meno dannosi per la salute e per l’ambiente che ne 
sono l’effetto immediato. Tutti questi effetti però, pur positivi, sono solo 
indirettamente rivolti a proteggere il pubblico; in realtà, possono essere 
oggetto di facili campagne pubblicitarie che elevano l’intento di tutela del 
consumatore a vero e proprio strumento di persuasione all’acquisto. Il 
consumerism può essere altresì oggetto di strumentalizzazioni di tipo 
diverso, come accade quando associazioni e “istituti” di varia natura celano 
dietro formule equivoche gli accordi raggiunti con le imprese produttrici; e 
nascono attività parastatali che non avrebbero ragione di esistere se gli 
apparati burocratici funzionassero a dovere. Un esempio sintomatico di 
questo fenomeno è offerto dall’esperienza francese3, dove da tempo opera 
un’associazione, L’AFNOR ( Association Francaise de Normalisation) che 
ha il compito di accertare se i prodotti immessi sul mercato siano di buona 
qualità. Si tratta di un’iniziativa privata, che ha lo scopo di operare un 
raffronto tra gli standard adottati dall’impresa e gli standard prescritti dal 
legislatore. Accertata la rispondenza alle prescrizioni di legge, sul prodotto 
controllato si pone il marchio di buona qualità: in tal modo, il consumatore 
viene invitato ad acquistare i prodotti contrassegnati dal marchio, e a 
scartare gli altri. E’ evidente che se gli organi di controllo statale fossero 
efficienti, non sarebbe necessario ricorrere a ulteriori accertamenti; ma, al di 
là di queste considerazioni che riguardano pur sempre un’attività 
pienamente lecita, e anzi auspicabile se operata con l’intento di indurre, 
attraverso una efficace azione di deterence, le imprese a seguire le 
prescrizioni legislative, i compiti assolti dall’AFNOR non sembrano 
particolarmente lodevoli, se è vero che l’associazione “contratta” con le 
imprese gli standard qualitativi, compie discriminazioni tra prodotti non 
sempre dettate da ragioni di utilità collettiva, pretende dalle imprese un 
                                                 
3
 V.G. Alpa, strategie d’impresa e tutela del consumatore. Per una critica del fenomeno “consumerism” 1974 pp. 
494 sgg. 
La nozione di consumatore 
 9
contributo per il controllo espletato, che ovviamente rende più alti i costi di 
produzione e distribuzione e quindi finisce per essere trasferito sul pubblico. 
Questo esempio lascia chiaramente intendere che occorre operare una 
attenta analisi degli strumenti, dei modi, degli interessi che stanno alla base 
dei programmi di tutela del consumatore, prima di poter dare piena adesione 
a ogni iniziativa assunta in questo settore.4 
L’ampia trattazione del problema della tutela del consumatore da parte della 
dottrina italiana ha messo in luce il primo ostacolo ad una esatta 
comprensione della questione : il vocabolo “ consumatore” vorrebbe 
indicare una categoria di soggetti portatori di interessi meritevoli di tutela da 
parte dell’ordinamento senza però, che sia possibile desumere con certezza i 
limiti di questa “classe”. Si sono così, variamente, individuati i destinatari 
della tutela nei ceti meno abbienti, nei lavoratori dipendenti, nell’acquirente 
e così dicendo. Per questa sua genericità non sono mancate le critiche di 
coloro che ritengono questo termine infruibile e quindi pericoloso.5 
L’incertezza deriva, essenzialmente, dalla genesi più sociologica che 
giuridica del termine e quindi scarsamente preoccupata di questioni di 
legittimazione processuale; così “consumatore” si connota soprattutto come 
“un’etichetta” senza dubbio di forte valenza semantica e di successo, dietro 
la quale raggruppare e considerare una serie di istanze individuali e sociali 
prima neglette. E’ evidente l’insufficienza di una trasposizione di questa 
qualificazione nel mondo del diritto. Si tratta quindi, preliminarmente di 
comprendere se al termine possa attribuirsi un’autonomia non meramente 
lessicale ma giuridica. 
Se infatti si considerano i diversi testi normativi con cui il nostro paese ha 
cominciato a dare attuazione alle direttive comunitarie rivolte alla tutela dei 
consumatori, si registrano diverse definizioni di “consumatore”, via via 
                                                                                                                            
 
4
 G. Alpa  il diritto dei consumatori  
5 Tarello, Sullo stato dell’organizzazione giuridica Bologna, 1980, 131 
Mazzoni, Contro una falsa categoria: i consumatori. 
La nozione di consumatore 
 10
ritagliate sulla specifica fattispecie normata: nelle vendite a domicilio, nella 
circolazione di messaggi pubblicitari, nel credito al consumo e così via, il 
consumatore è definito come il soggetto che opera per il consumo proprio o 
della propria famiglia, e cioè non nell’ambito della sua attività 
professionale, ma per fini privati. 
Definizioni di questo tenore sono necessariamente parziali. Esse pongono, 
tra gli altri , due problemi al giurista italiano: 
a) il problema dell’indagine sui motivi dell’acquisto del prodotto o del 
servizio; poiché i motivi sono irrilevanti, occorrerà che l’interprete tenga 
conto delle circostanze oggettive in cui l’acquisto è avvenuto; in altri 
termini, l’operazione economica deve essere strettamente connessa con 
la soddisfazione di un bisogno proprio o della famiglia, e non con 
un’attività economica svolta dall’acquirente del prodotto o del servizio; 
b) il problema della unificazione del codice civile e del codice di 
commercio. Non a caso, la definizione di consumatore risente della 
definizione – esattamente simmetrica – di commerciante, e l’atto di 
acquisto (atto di consumo) risente della definizione di “atto di 
commercio”. Queste due definizioni sono proprie di quegli ordinamenti 
in cui sopravvive, accanto al codice civile, un codice di commercio, 
ovvero una disciplina dei rapporti commerciali separata da quella che 
regola i rapporti tra privati. 
 
 
Indeterminatezza della categoria 
 11
1.2 INDETERMINATEZZA  DELLA  CATEGORIA 
 
Tornando all’interrogativo precedentemente posto, non sembra – allo stato – 
possibile attribuire un’autonomia giuridica alla categoria dei “consumatori” 
e ciò per un duplice ordine di ragioni. Da un lato l’assenza – a differenza 
che in altri paesi – di un’organica disciplina che in qualche modo manifesti 
la volontà dell’ordinamento italiano di considerare il consumatore come un 
soggetto a priori individuabile e destinatario di una normativa in qualche 
modo differenziata. Anzi, i pochi e sparsi richiami alla figura del 
“consumatore”, denotano un’estrema vaghezza se non gravi confusioni. In 
assenza di un’individuazione ricollegabile ad elementi naturali (ad es. il 
minore, la donna) o a disposizioni normative (il pubblico ufficiale, la 
persona giuridica, il lavoratore dipendente) il “consumatore” non costituisce 
un soggetto giuridicamente autonomo nell’ordinamento italiano, ma una 
figura rappresentativa di istanze – meritevoli della massima attenzione, 
senz’altro – che si estrinsecano de iure condendo e in sede di politica del 
diritto. 
La seconda ragione consiste nell’oggettiva ambiguità- o, almeno, 
indeterminatezza- del termine, che a volte appare restrittivo, altre ripetitivo. 
Restrittivo perché se ci si ferma al “consumatore” stricto sensu si escludono 
dall’ambito di un’eventuale tutela quei soggetti che nel sistema di common  
law vengono definiti bystanders, termine che solo approssimativamente si 
può tradurre con “astanti” e che connota quanti, pur non acquirenti o 
consumatori, subiscono un danno da un prodotto di consumo. Ripetitivo 
perché già contenuto – con maggiore pregnanza e sostanza giuridica, però – 
in altri termini quali “acquirente” o “danneggiato”. 
Si comprende pertanto perché non appaiono condivisibili le individuazioni 
prima riportate a mo’ di esempio e le quali si pongono come parametri 
determinanti gruppi o classi sociali: la trasparente ed esplicita connotazione 
ideologica di tali letture finisce – all’atto pratico – per ingenerare 
Indeterminatezza della categoria 
 12
un’ingiustificata disparità di trattamento escludendo dall’ambito della tutela 
taluni soggetti non rientranti in quelle categorie (l’imprenditore assume la 
veste di consumatore in relazione all’altrui prodotto). 
 
I beni e servizi di consumo 
 13
1.3  I  BENI E SERVIZI DI CONSUMO 
 
Il criterio soggettivo si rivela pertanto inidoneo a delimitare un sistema 
coordinato di norme che abbiano come destinatario il “consumatore”. La 
visione prospettica va quindi spostata dai soggetti all’oggetto considerando 
non la riferibilità di diritti e obblighi, bensì la finalità della disposizione. 
Nei limiti in cui le definizioni possono svolgere un ruolo di qualche utilità si 
può circoscrivere l’ambito della materia nei seguenti termini: la tutela del 
consumatore comprende quel complesso normativo – di diverso livello 
gerarchico – volto a tutelare l’integrità fisica, la salute e il patrimonio della 
persona da conseguenze negative derivanti dall’immissione sul mercato di 
beni o servizi di consumo. 
Con tale definizione vengono operate alcune opzioni che occorre esplicitare: 
il principale criterio discretivo è quello del “bene o servizio di consumo”, 
cioè di larga diffusione destinato a costituire oggetto di un negozio giuridico 
di diritto privato. Un’attività produttiva su scala industriale sarà 
generalmente presente, anche se non sarà indispensabile, dovendosi tutelare 
il consumatore anche da prodotti realizzati da strutture meno organizzate; si 
tratterà comunque di un bene o servizio, in misura maggiore o minore, 
standardizzato ovverosia suscettibile di regolamentazione nelle diverse fasi 
che vanno dalla produzione alla vendita. La destinazione contrattuale serve 
inoltre a distinguere – per quanto possibile – il “consumatore” dal 
“contribuente”, termine con il quale si indica un soggetto legato alla P.A. da 
un rapporto tributario e che – secondo taluni autori – diventerebbe perciò 
titolare di particolari pretese giuridicamente assistite. 
L’inclusione dei servizi fonde nella categoria quella “dell’utente”, altro 
termine mutuato da esperienze straniere e discipline non giuridiche; esso 
rileva soprattutto – nel nostro paese – per la fornitura da parte della P.A. di 
servizi di vario genere che altrove sono oggetto di iniziativa imprenditoriale 
privata. La distinzione appare utile in quanto la qualità del soggetto che 
I beni e servizi di consumo 
 14
presta il servizio non influisce sulla sua potenziale “pericolosità” e 
d'altronde in molti di questi rapporti la P.A. agisce iure privatorum  
In sintesi; si può affermare che con il termine “consumatore” si intendono 
gli interessi della collettività nel suo complesso considerati sotto il 
particolare profilo degli svantaggi che essi possono subire dalla crescente 
circolazione di beni e servizi di consumo. 
Così inquadrato il problema, è possibile individuare le due fasi in cui si può 
ripartire la tutela : preventiva, anteriore alla traslazione del bene o al 
verificarsi dell’evento negativo; successiva, posteriore al verificarsi delle 
conseguenze pregiudizievoli. Questa seconda fase, peraltro, non manca di 
influire sulla prima giacché ogni sanzione svolge di per sé anche una 
funzione general-preventiva. Nella prima fase prevalgono gli aspetti di 
regolamentazione amministrativa, nella seconda, invece, i tradizionali 
rimedi civilistici nonché diverse disposizioni penali. 
Quanto ai modi attraverso i quali si estrinseca la tutela si possono 
individuare una serie di forme tipiche, che si collocano nei diversi stadi 
dell’attività produttiva: 
a) il divieto di impiego di talune sostanze e/o l’obbligo di seguire taluni 
procedimenti di fabbricazione; 
b)  i requisiti soggettivi per poter svolgere l’attività di produzione o 
vendita; 
c)  obblighi attinenti alla pubblicizzazione del bene o del servizio ed alle 
informazioni che devono essere fornite ai potenziali utilizzatori/fruitori; 
d)  la regolamentazione dei punti di vendita; 
e) la disciplina del contratto sotto i suoi diversi aspetti: l’offerta, la 
trattativa, le condizioni, il prezzo, la conclusione; 
f) il sistema di responsabilità in base al quale imputare ad alcuni soggetti 
appartenenti allo stadio produttivo/distributivo le conseguenze negative 
subite dal “consumatore”.