Introduzione: 
 
 La regia lirica in Italia è un fenomeno relativamente recente. Sono infatti passati meno di 
sessant‟anni dalle leggendarie messinscena scaligere di Luchino Visconti con le quali si dà 
simbolicamente avvio a questa prassi artistica. 
L‟introduzione di un ruolo fondamentalmente estraneo al sistema produttivo secolare del 
teatro lirico ha causato, però, una serie di problematiche che sono tuttora oggetto di dibattito. 
Innanzitutto viene analizzata la questione relativa all‟incompatibilità di alcune caratteristiche 
intrinseche al genere lirico e al suo sistema produttivo con la natura stessa della regia. Si tratta 
principalmente dell‟autonomia di creazione registica che viene castrata dal modello di produzione 
industriale del teatro lirico e dal linguaggio prescrittivo della musica. In secondo luogo viene 
approfondito il divario concettuale che separa le tendenze consolidatesi a partire dalla seconda metà 
del XX secolo. Da una parte si consolida la regia come riproposta storica e tradizionale della 
messinscena originale dall‟altra emerge la regia come adattamento alla sensibilità contemporanea 
che a sua volta può declinarsi in manifestazione delle verità dell‟opera o nel manifesto della 
personalità artistica personale del regista. Queste problematiche si acuiscono nel teatro lirico 
nostrano dove sono ancora praticate le antiquate convenzioni della produzione lirica e dove vige 
una concezione della regia come mera visualizzazione della storia narrata.  
Il testo affronta l‟entità di questi problemi nel contesto italiano analizzando le circostanze 
storiche, teoriche e pratiche che hanno portato alla loro costituzione. In particolare, i termini del 
dissenso fra le tendenze registiche tradizionali e quelle contemporanee sono studiati a partire dalla 
polemica che si è consumata sulle pagine del “Corriere della Sera” nell‟estate del 2008 in cui due 
storiche figure del teatro lirico, il direttore d‟orchestra Lorin Maazel e il regista Franco Zeffirelli, 
hanno preso posizione nei confronti degli allestimenti moderni di registi quali Robert Carsen e 
Graham Vick1.  
L‟obiettivo è approfondire le ragioni di questa polemiche per capire in quale situazione si 
trovi la regia lirica e quali possano essere le prospettive future attraverso un esame delle peculiarità 
e delle differenze che intercorrono fra le varie tendenze registiche sia dal punto di vista 
dell‟impostazione interpretativa sia da quello della resa scenica. Per questo motivo la tesi si 
compone di due parti. La prima espone una trattazione teorica sul ruolo, storico e attuale, della regia 
lirica in Italia frutto di una ricerca sulle opinioni consolidate in letteratura, per la sezione più 
prettamente storica, e sulle riviste specializzate, quotidiani, pubblicazioni e saggi online per la parte 
inerente all‟attualità; la seconda parte illustra i risultati di un‟analisi sulla realizzazione scenica di 
                                                 
1
 Per gli articoli si rimanda il lettore all‟Appendice del testo. 
  
tre regie liriche condotta attraverso le informazioni datemi dai teatri produttori degli spettacoli in 
forma di programmi di sala, rassegne stampa e interviste ai protagonisti dell‟evento scenico. 
La prima parte della tesi corrisponde al capitolo primo in cui vengono ripercorse brevemente 
le tappe storiche che hanno portato all‟introduzione della regia nel teatro lirico per poi analizzare le 
problematicità che questa incontra, il suo adattamento e le tendenze che si sono affermate. Il 
capitolo si chiude con l‟esposizione della polemica nata in seno all‟ambiente artistico fra le 
differenti tendenze registiche riguardo la legittimità delle loro interpretazioni.  
La seconda parte, alla quale coincidono il secondo e terzo capitolo, si propone l‟intento di 
comprendere come queste tendenze registiche si declinino nella resa scenica di uno spettacolo 
attraverso l‟analisi dell‟allestimento di un‟opera lirica diretta da tre differenti registi. Il secondo 
capitolo espone brevemente le tappe storiche della composizione, la sinossi accompagnata dal 
commento musicale, le fonti, la struttura e l‟esegesi del testo lirico su cui si basano le regie che 
verranno analizzate nell‟ultimo capitolo. Si è scelto, come spettacolo da analizzare, il melodramma 
italiano per antonomasia, La Traviata di Giuseppe Verdi, perché in quanto opera del repertorio essa 
subisce inevitabilmente le pressioni della tradizione rappresentativa, quel coacervo di abitudini e 
convenzioni su cui si sostiene il teatro lirico, che comportano enormi difficoltà nell‟esecuzione di 
una eventuale resa scenica innovativa. Inoltre, la notorietà universale di cui gode quest‟opera ha 
fissato in maniera indelebile l‟immagine ideologica nel pubblico tanto da rendere arduo una 
qualsiasi realizzazione registica che differisca dall‟allestimento tradizionale. L‟immagine 
stereotipata che il pubblico melomane ha di quest‟opera, e che desidera rimanga intatta, continua 
tuttora ad influire sulla scelta delle realizzazioni sceniche. Il capitolo dedicato a quest‟opera cerca di 
creare le basi metodologiche per comprendere le scelte registiche che verranno analizzate nel 
capitolo successivo. 
Il terzo capitolo analizza gli allestimenti di tre regie contemporanee della Traviata allestite 
da registi che per la loro produzione, stile e poetica possono essere annoverati come i rappresentanti 
delle linee di tendenza inquadrate nel primo capitolo. La prima regia è quella di Franco Zeffirelli, 
commissionata dalla Fondazione Arturo Toscanini di Parma e presentata al Teatro Verdi di Busseto 
nel 2002, che aderisce alla linea realista/storicista, un‟interpretazione basata, nell‟insieme, sulla 
rappresentazione originaria alla quale vengono apportati gli opportuni cambiamenti perché possa 
essere apprezzata anche dal pubblico contemporaneo. Le altre due regie, la Traviata di Graham 
Vick, prodotta dal Festival Arena di Verona nel 2004 e quella di Robert Carsen, prodotta dal Teatro 
La Fenice di Venezia nel medesimo anno, si oppongono alla linea realista/storicista per la volontà di 
attualizzare e modernizzare i valori presenti nell‟opera individuando dei legami tra questi e la 
contemporaneità. Tuttavia i risultati scenici a cui pervengono si dimostrano assai divergenti.  
  
L‟analisi si concentra sulla comprensione delle differenze che intercorrono fra questi tre 
allestimenti tenendo conto del diverso percorso artistico intrapreso dai registi per poi valutare le 
interpretazioni che i registi hanno dato al testo come queste si rapportano una all‟altra e come 
vengono realizzate scenicamente. A tal proposito è stato condotto uno studio sistematico e puntuale 
dell‟evento scenico attraverso lo scandaglio dei principali codici teatrali come l‟elaborazione della 
scenografia e dei costumi, l‟impianto illuminotecnico, la caratterizzazione dei personaggi principali 
e una comparazione della realizzazione di scene paradigmatiche. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 1 
 
1 Sistema di Produzione nel teatro lirico 
 
L‟attività di programmazione e produzione lirica è svolta in Italia dai Teatri di 
Tradizione, da altre Istituzioni quali Enti con personalità giuridica pubblica o privata, Enti 
locali, Enti no profit, dai Festival ma principalmente dalle Fondazioni lirico sinfoniche2. 
Tali Fondazioni sono il risultato della trasformazione dei grandi teatri d‟opera, tramite il 
Decreto Legislativo n.134 del 23 aprile 1998, in Fondazioni di diritto privato. Tali 
istituzioni hanno, oltre ad altri fini come la formazione professionale e l‟educazione 
musicale della collettività, lo scopo principale di diffondere, senza scopo di lucro, l‟arte 
musicale. Ogni  Fondazione è regolata tramite uno statuto privato che determina “i soggetti 
pubblici o privati che ad essa concorrono; i criteri in base ai quali altri soggetti, pubblici o 
privati, possono intervenire; i diritti a questi spettanti; le procedure di modificazione; la 
destinazione totale degli avanzi di gestione agli scopi istituzionali, con il divieto di 
distribuzione di utili od altre utilità patrimoniali durante la vita della fondazione; i criteri di 
devoluzione del patrimonio ad enti che svolgono attività similari e a fini di pubblica utilità, 
in sede di liquidazione”3 e  la composizione, le competenze, i poteri dei suoi organi: 
l‟Assemblea, che è presieduta dal Presidente della Fondazione e “nomina e revoca i 
componenti del Consiglio di Amministrazione, ferme restando le riserve previste dalla 
legge e dallo Statuto; attribuisce la qualità di Fondatore a terzi successivamente all'atto di 
trasformazione; esprime pareri in merito a modifiche dello statuto; esprime pareri in merito 
al bilancio; esprime pareri su ogni argomento che le venga sottoposto dal Consiglio di 
Amministrazione; può proporre che il Consiglio di Amministrazione eserciti azione di 
responsabilità nei confronti di amministratori, indicandone i motivi”4, il Consiglio 
d‟Amministrazione, che “approva il bilancio di esercizio; nomina e revoca il 
Sovrintendente; approva le modifiche statutarie; approva, su proposta del Sovrintendente, 
con particolare attenzione ai vincoli di bilancio, i programmi di attività artistica; ha ogni 
potere per l‟amministrazione ordinaria e straordinaria della Fondazione o che non risulti, 
per legge o per statuto attribuito ad altro organo; nomina il Vice Presidente, su proposta del 
Presidente; nomina il Revisore Contabile e designa, salvo diversa disposizione di legge, un 
componente del Collegio dei Revisori; approva e modifica regolamenti istitutivi di altre 
                                                 
2
 Cfr. Alberto Bentoglio, L‟attività teatrale e musicale in Italia. Aspetti istituzionali, organizzativi ed 
economici, Carocci, Bologna, 2003; Cecilia Balestra e Alfonso Malaguti, Organizzare la musica. 
Legislazione, produzione, distribuzione, gestione nel sistema italiano, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2006. 
3
 Cfr. Decreto legislativo, 29 giugno 1996, n.367, art. 10. 
4
 Sergio Chiamparino, Presidente del Teatro Regio di Torino, Antonio Maria Marocco, Notaio, Statuto 
Fondazione Teatro Regio di Torino, Torino, 13 febbraio 2006, art. 6.1. 
 2 
 
figure di soggetti sovventori che collaborano alla Fondazione in forma diversa da quella di 
Fondatore”5, il Collegio dei Revisori a cui è “demandata la funzione di controllo all‟interno 
della Fondazione lirico sinfonica, richiamandosi le regole disposte in merito a detta attività 
dal Codice Civile per le Società per Azioni”6 e il Sovrintendente7 che ha il compito di 
tenere i libri e le scritture contabili; predisporre il bilancio d‟esercizio, nonché i programmi 
di attività artistica da sottoporre alla deliberazione del consiglio di amministrazione; 
dirigere e coordinare in autonomia, nel rispetto dei programmi approvati e del vincolo di 
bilancio, l‟attività di produzione artistica della fondazione e le attività connesse e 
strumentali; nominare e revocare, sentito il consiglio di amministrazione, il Direttore 
Artistico, i cui requisiti professionali sono individuati dallo statuto; partecipare alle 
riunioni del consiglio di amministrazione di cui è membro per diritto. Il Sovrintendente è 
coadiuvato nella programmazione dal Direttore Artistico o Musicale, che sono scelti in 
base alla specifica esperienza artistica fra i musicisti più rinomati e di comprovata 
competenza teatrale o musicologo. Il ruolo del Direttore Artistico nelle Fondazioni è, 
quindi, di tipo consultivo rispetto, invece, al Sovrintendente che detiene il potere 
decisionale. La collaborazione fra le due personalità è volta a mantenere una coerenza ed 
identità culturale tra la programma di una stagione e l‟altra. Dunque, per quanto riguarda 
l‟iter di produzione le due figure di riferimento sono il Sovrintendente di concerto con il 
Direttore Artistico che insieme costituiscono la Direzione dalla quale parte l‟esigenza di 
produzione artistica. 
Prendiamo come esempio il percorso produttivo di una Fondazione Lirico 
Sinfonica di lunga tradizione come è il Teatro Regio di Torino. “La Direzione decide di 
produrre uno spettacolo in conformità con la tematica della stagione di riferimento. 
Successivamente, in base all‟affinità fra quell‟idea e le caratteristiche vocali di un‟artista, 
la Direzione vaglia una serie di eventuali cantanti”8. Una volta definiti le preliminari linee 
guida, la struttura della Direzione dell‟Area Artistica, procede ad attivare concretamente le 
prime azioni produttive necessarie ed indispensabili. In particolare, si comincia a contattare 
i cantanti ed a esaminare eventuali vincoli come impegni precedenti degli artisti o 
condizioni economiche non conformi al bilancio preventivo. In questa fase della 
produzione, il Sovrintendente e il Direttore Artistico si rivolgono ad un regista che, 
                                                 
5
 Ivi, art. 8.1. 
6
 Cecilia Balestra e Alfonso Malaguti, Organizzare la musica. Legislazione, produzione, distribuzione, 
gestione nel sistema italiano, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2006, p. 113. 
7
 Cfr. Decreto legislativo, 29 giugno 1996, n.367, art. 13. 
8
 Intervista de me effettuata a Loredana Rozzo, ufficio produzione del Teatro Regio di Torino, 21 settembre 
2009. 
 3 
 
informato sulle caratteristiche preminenti dell‟idea artistica, procura alla produzione un 
progetto di regia. Questo documento contiene una serie di informazioni sul modello di 
spettacolo, tra cui le più importanti sono la nota di regia, l‟elenco dei collaboratori, “lo 
scenografo e il costumista sono scelti a discrezione del regista, ma capita spesso che il 
regista lirico incarni entrambe le figure”9, la progettazione scenotecnica e i figurini dei 
costumi. Il regista viene confermato in base alla valutazione positiva, da parte della 
Direzione, del progetto di regia. 
La produzione di uno spettacolo generalmente si svolge nelle tre settimane 
precedenti il debutto. Le prime due settimane sono incentrate sulla costruzione degli 
impianti scenici, “per gli allestimenti nuovi la scenografia viene costruita ex novo dai 
laboratori del teatro che sono interni all‟edificio in modo tale da poter in qualsiasi 
momento rimediare a possibili errori o danni”10; sulla imbastitura dei costumi che invece 
“possono essere recuperati da spettacoli precedenti grazie alla loro maggior facilità di 
adattamento. In base alle misure dell‟artista vengono allargati o stretti”11; sullo 
svolgimento delle prove che si distinguono in prove musicali per i cantanti, per l‟orchestra 
e per il coro presiedute dal Direttore d‟Orchestra, dal Maestro del Coro e, eventualmente, 
maestri collaboratori che sostituiscono in alcune circostanze i primi due; prove di scena in 
cui vengono apprese e sperimentate le impostazioni interpretative del regista. Questa 
tipologia di prove “avviene in una sala, denominata sala di regia, clone del palcoscenico in 
modo tale da non impedire il normale svolgersi della stagione e in cui vengono segnati gli 
ingombri della scenografia così da rendere il luogo il più simile possibile a quello dello 
spettacolo ultimato”12. L‟ultima settimana viene impiegata per il montaggio dell‟impianto 
luci e per le prove in assieme in cui vengono assemblati i veri elementi preparati in 
precedenza. I cantanti, il coro, l‟orchestra provano sul palcoscenico con la scenografia 
definitiva e i costumi. In questa settimana deve essere modificato qualsiasi elemento che 
potrebbe costituire un potenziale problema, per cui vengono collaudate anche delle prove 
tecniche di posizionamento e verifica. Al termine della settimana si mette in scena la 
generale in cui viene provato integralmente lo spettacolo.  
La realizzazione di uno spettacolo lirico si poggia su un modo di produzione che 
integra,  in maniera organica grazie all‟introduzione della regia nella seconda metà del XX 
secolo, la costituzione dei vari elementi in modo da minimizzare i tempi e gli sforzi. 
                                                 
9
 Ibidem. 
10
 Ibidem. 
11
 Ibidem. 
12
 Ibidem. 
 4 
 
Questa prassi esecutiva, celere e funzionale, risponde ad alcune caratteristiche peculiari del 
sistema lirico, come l‟alta mobilità degli interpreti principali, che si sono costituite col 
radicarsi, nel tempo, di una serie di abitudini e convenzioni. 
 
1.1 Premesse storiche che hanno portato all’attuale prassi produttiva 
 
Le consuetudini e convenzioni su cui poggia la prassi produttiva attuale del teatro 
lirico non sarebbero pienamente comprensibili senza un esame sommario delle premesse 
storiche che le hanno create.  
L‟opera trae origine in ambito umanistico da un gruppo di nobili intellettuali, la 
Camerata dei Bardi13, che si è posto come  intenti artistici e letterali quello di recuperare lo 
stile drammatico delle antiche tragedie classiche: il recitar cantando. La prima opera 
interamente cantata è l‟Euridice musicata da Jacopo Peri sul testo dell‟omonima egloga 
pastorale del poeta Ottavio Rinuccini composta in occasione dei festeggiamenti delle nozze 
di Maria de‟Medici e Enrico IV, re di Francia, a Firenze nel 1600. L‟opera diviene uno 
spettacolo di corte allestito in occasione di feste e autocelebrazioni della corte stessa e del 
Principe. Dunque, è una forma d‟arte inizialmente riservata ad una élite di aristocratici ed 
intellettuali.  
Quando lo sfarzo dello spettacolo di corte incontra l‟imprenditoria degli impresari 
veneziani l‟opera acquista carattere d‟intrattenimento. Con l‟apertura dei teatri pubblici, il 
primo è il Teatro San Cassiano nel 1937 a Venezia, si diffonde fra le diverse classi sociali, 
anche al di fuori dell‟ambito cortigiano, e si radica nelle abitudini del popolo italiano con 
stupefacente rapidità. “Il teatro d‟opera nella sua forma imprenditoriale trovò nell‟Italia del 
medio Seicento un terreno assai recettivo su cui attecchire. Dal punto di vista del pubblico, 
esso rappresentò una risposta efficace al fabbisogno socialmente condiviso di spettacolarità 
e teatralità, più che mai forte in una cultura urbana di massa e guidata dall‟alto come quella 
seicentesca. A differenza del teatro de comici, l‟opera in musica in quanto veicolo di idee 
non destabilizzanti bensì espressione dell‟ideologia dominante non incontrò severi 
problemi di censura, e semmai divenne strumento di governo ed esca di consensi”14. 
L‟espansione del fenomeno operistico è condizionato da un fattore geografico peculiare 
                                                 
13
 Camerata dei Bardi, o Fiorentina o semplicemente Camerata è un gruppo di nobili intellettuali che si 
riuniva per discutere su temi di arte e scienza nella Firenze del La prassi produttiva attuale del teatro lirico 
poggia su una serie di XVI. Il nome trae origine da Giovanni Bardi nella cui abitazione ospitava le riunioni 
della Camerata. 
14
 Franco Piperno, Il sistema produttivo, fino al1780, in Lorenzo Bianconi e Giorgio Pestelli (a cura di), 
Storia dell’opera italiana, voll. IV, Edizioni di Torino, Torino, 1987, p. 17. 
 5 
 
dell‟Italia che influisce anche sulle caratteristiche strutturali e sulla prassi esecutiva del 
teatro lirico: il policentrismo. L‟Unità politica, infatti, si raggiunge molto tardi, nel 1861. 
Prima l‟Italia è divisa in tanti piccoli staterellli con diverse forme di governo. I vari dialetti 
sono la lingua corrente ai quali si accosta l‟italiano, che è una lingua matura e moderna, ma 
ancora utilizzata al solo scopo letterario. Anche le usanze e tradizioni folcloristiche 
differiscono tanto da incidere notevolmente sui gusti spettacolari. Questa frantumazione 
politica e civile è “condizionante, sia per le spinte centrifughe ch‟essa ha impresso sul 
sistema operistico nazionale, sia per la vicendevole compensazione che l‟apporto di una 
moltitudine di centri periferici gli ha assicurato”15.  
La predilezione del pubblico verso l‟opera lirica come spettacolo e la scissione 
politica del territorio influiscono sull‟aumento dei teatri pubblici italiani. Intorno al 1650 
“il fenomeno operistico investe una dozzina abbondante di Stati, e prima della fine del 
Seicento sono una quarantina le città sedi di teatri più o meno stabili”16. In poco più di un 
secolo il numero delle città con uno o più teatri è quintuplicato. Infatti sono un centinaio le 
sedi di teatri importanti, ma “se si tenesse conto dell‟intera serie dell‟Indice17”, dal 1764 al 
1823, il numero totale delle città italiane interessate supererebbe di molto le duecento. 
(Inoltre l‟Indice registra sempre alcuni sedi estere più o meno strettamente collegate con il 
circuito operistico italiano)”18. Ma la tendenza all‟espansione è lontana dall‟arrestarsi. 
Tanto è vero che durante il periodo della Restaurazione, dopo il Congresso di Vienna del 
1815, con i governi reazionari avviene un ulteriore incremento dell‟edilizia teatrale che si 
arresta solo dopo il 1848 con la contrazione del mercato dovuta ai moti rivoluzionari, alle 
crisi economiche e alle politiche della sinistra contraria ad una tipologia di spettacolo 
notoriamente dispendiosa ed elitaria. 
L‟incremento spropositato di teatri, fra il 1650 e il 1848, è accompagnato dalla 
richiesta di nuovi spettacoli. “Non si vuol rivedere né un‟opera, né un balletto, né una 
scena, né un attore che sia stato già visto l‟anno prima”19. Per riassorbire i costi di 
produzione, “i tempi di assorbimento ed esaurimento nel circuito nazionale si aggirano sui 
                                                 
15
 Lorenzo Bianconi, Il teatro d’opera in Italia, Bologna, il Mulino, 1993, pp.11-12. 
16
 Ivi, p.12. 
17
 Indice de’ teatrali spettacoli era un periodico teatrale ad ampia diffusione in cui venivano presentate 
schede informative su  opere ed esecutori divise per città. L‟intera collezione è stata pubblicata all‟interno de 
Roberto Verti a cura di, Un almanacco drammatico. L’Indice de’ teatrali spettacoli. (1764-1823), vol. III, 
Fondazione Rossini, Pesaro, 1996. 
18
 Lorenzo Bianconi, Il teatro d’opera in Italia, cit., p. 12 
19
 Charles de Brosses, Viaggio in Italia. Lettere familiari, Laterza, Bari, 1973, p. 519. 
 6 
 
dieci quindici anni”20, le partitura operistiche nuove debuttano nelle capitali tra cui 
Venezia che mantiene il primato produttivo e solo in un secondo momento arrivano nei 
teatri minori o di provincia rafforzando la graduale differenziazione dei circuiti teatrali. 
Raramente, però, ci sono novità effettive. “L‟impresario di un teatro minore, subalterno a 
quelli delle principali piazze, preferirà invece inserirsi nei circuiti attraverso i quali un 
allestimento, integralmente o solo in alcune delle sue componenti, viene riciclato”21. La 
prassi diffusa è di rinnovare le scene, la compagnia, i balli e persino la musica di 
allestimenti precedenti. “È più facile comporre partiture nuove che inventare drammi 
sempre diversi. Ben presto si ricorre all‟espediente di musicare di fresco libretti di 
collaudata efficacia teatrale, spesso ritoccandoli e magari dissimulandone l‟identità sotto 
un titolo rifatto ad arte”22. Così si consolida un assortimento di soggetti drammatici che 
fungono da paradigma a cui rifarsi. “Per un secolo e mezzo, comunque, l‟Italia aveva 
prodotto suppergiù una cinquantina di partiture operistiche nuove all‟anno: moltissime non 
duravano dopo il primo allestimento, le altre entravano nel giro teatrale attraverso i bauli 
dei cantanti (che volevano brillare nelle parti predilette) o dei maestri di cappella (che 
volevano massimizzare i profitti minimizzando gli sforzi), o attraverso i rapporti d‟affari 
tra impresari”23. Il ritmo produttivo è sostenuto grazie ad un solido corredo di convenzioni 
produttive e stilistiche che “consentono al librettista e all‟operista di intendersi celermente, 
economizzando il tempo e lo sforzo da dedicare alla progettazione dell‟opera e alla stesura 
del testo verbale come di quello musicale”24.   
La pluralità della programmazione causata dall‟incremento della richiesta di 
spettacoli lirici comporta la “progressiva industrializzazione del genere”25. Con questo 
termine si indica un modo di produzione che si pone l‟obiettivo di realizzare un elevato 
numero di spettacoli impostando il lavoro in maniera quanto più organica possibile. Chi 
produce lo spettacolo è un‟impresa privata che agisce nella logica del profitto e tornaconto 
economico. Lo spettacolo non è più autocelebrazione come nella corte ma è un prodotto 
con costi elevati. Si passa “dal concetto di rappresentazione come evento unico e 
irripetibile, all‟abitudine della replica degli spettacoli: in tal modo il teatro come ogni altra 
merce, se prodotto in serie, se capace di un numero di copie bastevoli a soddisfare un 
                                                 
20
 Lorenzo Bianconi, Il teatro d’opera in Italia, cit., p. 26. 
21
 Franco Piperno, Il sistema produttivo, fino al1780, cit., p. 53. 
22
 Lorenzo Bianconi, Il teatro d’opera in Italia, cit., p. 26. 
23
 Ivi, p.23. 
24
 Ivi, p.24. 
25
 Gerardo Guccini, Direzione scenica e regia, in Lorenzo Bianconi e Giorgio Pestelli (a cura di), Storia 
dell’opera italiana,  vol. V, Edizioni di Torino, Torino, 1988, p. 133. 
 7 
 
numero di acquirenti danarosi, porta un incasso sufficiente non solo a coprire le spese di 
produzione – lavoro umano e materie prime – ma capace di guadagnare un surplus 
soddisfacente sia per l‟organizzatore/ideatore di tutta l‟operazione che per l‟investitore 
primo, in genere il facoltoso proprietario della sala adibita a teatro”26. I profitti, per cui, 
devono riassorbire le spese ed essere tali da soddisfare impresario e proprietario del teatro. 
La precarietà del sistema “esige l‟adozione di criteri organizzativi e gestionali 
particolarmente oculati, che vanno dall‟utilità del reimpiego del materiale scenico e 
musicale alla creazione di circuiti teatrali dove riciclare il prodotto, alla scelta di strategie 
teatrali che incontrino i gusti del pubblico e prevengano la concorrenza”27. La prassi 
produttiva che risulta più funzionale ad economizzare tempi e sforzi è la parcellizzazione 
del lavoro “che affida le parti dello spettacolo (le scene, le macchine, le coreografie, le 
musiche, i ruoli drammatici) a giurisdizioni professionali indipendenti, il cui grado di 
importanza non si traduceva nell‟autorità di una sull‟altra, ma implicava un maggiore o 
minore numero di diritti o, secondo la terminologia settecentesca, di convenienze”28.  
Per prima cosa l‟impresario crea un preventivo di bilancio che ripartisce fra le parti 
dello spettacolo e passa poi alla scrittura di autori, esecutori ma soprattutto degli interpreti. 
Le canterine e gli evirati rappresentano l‟elemento di attrazione principale per il pubblico e 
di conseguenza la variabile che determina il successo di uno spettacolo. “L‟interesse per i 
cantanti fece sì che ruotasse attorno ad essi la macchina complessiva dello spettacolo 
operistico”29. In Italia, il cast di un‟opera lirica è “il frutto di un negoziato condotto 
virtualmente da zero ad ogni nuovo allestimento”30. L‟abbondante quantità di teatri 
garantisce, infatti, ai cantanti di essere scritturati per ogni stagione teatrale delle varie città. 
“La numerosità dei teatri d‟opera e la concomitanza dei rispettivi periodi d‟attività 
(soprattutto la stagione del carnevale) determinarono, in particolare per i cantanti, 
l‟incremento della domanda e la competizione fra i vari impresari per accaparrarsi le 
migliori voci del momento”31. È proprio lo scambio di partiture, drammi ed artisti a 
rendere vitale il sistema “che in tanto può reggersi e prosperare in quanto assicura 
compromessi efficaci nel soddisfare aspettative molteplici, in quanto compensa a vicenda 
                                                 
26
 Lamberto Trezzini e Paola Bignami, Politica & Pratica dello Spettacolo. Rapporto sul Teatro Italiano, 
Bonomia University Press, Bologna, 2007, p. 22. 
27
 Franco Piperno, Il sistema produttivo, fino al1780, cit., p. 27. 
28
 Gerardo Guccini, Direzione scenica e regia, cit., p. 131. 
29
 Franco Piperno, Il sistema produttivo, fino al1780, cit., p. 30. 
30
 Lorenzo Bianconi, Il teatro d’opera in Italia, cit., p. 19. 
31
 Franco Piperno, Il sistema produttivo, fino al1780, cit., p. 43. 
 8 
 
risorse e limiti di una committenza ch‟è comunque atomizzata ed angusta”32. La varietà 
artistica, quindi, è assicurata anche dalla mobilità del cast. La configurazione della 
compagnia, che considera le specialità canore e drammatiche e il numero e la gerarchia 
delle parti (la quantità di pezzi assolo o concertati viene spartita in base alle convenienze 
teatrali), è un elemento fondamentale per il librettista ed il compositore che scelgono il 
soggetto e lavorano adeguandosi alle caratteristiche della compagnia. Musica e libretto 
sono, dunque, “più che un organismo letterario autonomo, una struttura predisposta in 
modo da consentire ai professionisti ingaggiati di dispiegare le rispettive abilità”33. A 
partitura e testo compiuti i vari professionisti, lo scenografo, il coreografo e i cantanti 
realizzano autonomamente il loro lavoro “l‟azione drammatica, la parte musicale, i 
cambiamenti di scena e gli effetti spettacolari venivano coordinati fra loro nel corso di una 
sola prova generale”34 senza avvertire la necessità di un‟autorità artistica. È, quindi,“un 
sistema produttivo che connette ed integra reciprocamente gli apporti di tutta una serie di 
ruoli. La loro omogeneità culturale esclude il prodursi di forti divergenze e consente tanto 
la nascita quanto la conservazione delle tradizioni interpretative”35. Spetta poi al maestro o 
direttore di scena il controllo materiale dell‟allestimento e l‟organizzazione di quei 
particolari elementi come l‟azione drammatica del coro e delle comparse che non rientrano 
in nessuna giurisdizione predefinita. 
 
1.1.1 Il direttore di scena 
 
Sin dalle origini dell‟opera lirica si sente l‟esigenza di un responsabile unico che 
diriga tutte le fasi di produzione scenica. In un trattato anonimo del 1630 Il corago o vero 
Alcune osservazioni per mettere bene in scena le composizioni drammatiche, 
probabilmente composto dal figlio di Ottavio Rinuccini, Pierfrancesco, viene delineata 
questa necessità che trova soluzione nella figura, appunto, del corago. Egli deve 
“sovrintendere alla costruzione del palco e del teatro, istruire e scegliere gli interpreti36 
sulla base della loro pertinenza all‟azione rappresentata, le fogge degli abiti, gli scenari, 
(…) provare insieme con gli strumenti i gesti e i passeggi delle masse corali e dei 
                                                 
32
 Lorenzo Bianconi, Il teatro d’opera in Italia, cit.,  p.17. 
33
 Gerardo Guccini, Direzione scenica e regia, cit., p. 134. 
34
 Ivi, p. 138. 
35
 Ivi, p. 157. 
36
 Paradossalmente questo non avviene neanche oggi; i cantanti vengono scelti dal Sovrintendente e dal 
Direttore artistico. 
 9 
 
protagonisti”37. Accanto a queste mansioni, al corago sono affidate anche “tutte quelle 
minute incombenze che avrebbero garantita la riuscita tecnica della rappresentazione”38. Il 
corago, dunque, è una figura di centralizzazione che cerca di unificare gli apporti dei vari 
artisti che creano lo spettacolo. Ma le premesse artistiche che stanno alla base di questa 
figura sono legate all‟ambiente di corte in cui l‟autore, l‟interprete, il maestro di scena sono 
il più delle volte ricoperti dallo medesimo uomo di cultura. La trasformazione dell‟opera in 
industria del divertimento rende superfluo il ruolo di responsabile unico proprio per le 
caratteristiche strutturali della prassi esecutiva stessa. L‟unica figura di autorità nel 
processo produttivo che riunisce tutti gli elementi dello spettacolo è l‟impresario o il 
committente. Questi detengono potere creativo in quanto decidono a chi commissionare 
musiche, testo, coreografie, scene e macchine e incidono sulla realizzazione finale 
attraverso la divisione del budget tra i diversi elementi che compongono lo spettacolo. 
Inoltre i vari professionisti riconoscono all‟impresario “contrattualmente l‟autorità 
sull‟impresa con l‟implicito patto che se ne servisse per far rispettare le rispettive 
convenienze”39. Ciononostante, in alcuni libretti della seconda metà del Seicento si attesta 
l‟intervento di un direttore o maestro di scena. Inizialmente questo più che un ruolo 
specifico è un‟occupazione generica anche suddivisibile fra le varie giurisdizioni 
professionali. Probabilmente fra i compiti attribuiti si annoverano il controllo dei 
macchinari, il coordinamento delle uscite ed entrare e l‟orchestrazione delle scene 
d‟insieme. Incarichi svolgibili da qualsiasi membro della produzione. Tuttavia, già dai 
primi del Settecento si impone la figura del direttore di scena che accorpa tutti quegli uffici 
che non rientrano in nessuna professione specifica. Sono generalmente interventi 
riconducibili ad una funzione di controllo complessivo del corretto svolgimento dello 
spettacolo come stabilire i movimento dei cori e delle comparse, gestire l‟illuminazione 
generale e compensare alle insufficienze teatrali del direttore d‟orchestra e alle carenze 
istrioniche dei cantanti. “Insegnava a pronunciare correttamente le parole, a pausare le frasi 
secondo il senso grammaticale, a tenere un comportamento regale o eroico, a muoversi e a 
conferire all‟espressione un senso conforme a quello della frase”40e durante lo spettacolo 
supervisiona gli attori nelle entrate ed uscite e controlla che le posizione assunte siano 
corrette. Spesso il ruolo del direttore di scena è svolto dal poeta di teatro che aggiunge così 
anche la composizione o rifacimento dei libretti all‟insieme vario dei suoi compiti. 
                                                 
37
 Gerardo Guccini, Direzione scenica e regia, cit., p. 128. 
38
 Ibidem. 
39
 Ivi, p. 134. 
40
 Ivi, p. 139. 
 10 
 
Il direttore di scena, soprattutto il poeta di teatro, avrebbe la supremazia artistica 
per imporsi ma non modifica il modo di produzione frammentario e, quindi, non acquisisce 
quell‟autorità fondamentale per subordinare sotto si sé i vari elementi dello spettacolo. 
 
1.1.2 Il responsabile della mise en scène 
 
L‟assenza di un responsabile unico dello spettacolo determina un sistema di 
produzione basato sul principio della divisione del lavoro in specifici ruoli e sullo 
scrupoloso rispetto di rigidissime convenzioni. Con questa procedura la parte drammatica 
dello spettacolo è gestita in maniera semi-autonoma dagli attori e quella lirica dal 
compositore e librettista. Questa prassi esecutiva rimane immutata fino a quando non si 
modifica la consuetudine di determinare la fisionomia dell‟opera rappresentata in base 
all‟allestimento scenico.  
Dalla fine del Settecento si assesta definitivamente la pratica di rappresentare opere 
già composte causa e conseguenza del maggior potere contrattuale dell‟autore che gli fa 
guadagnare oltre alla dignità artistica anche l‟autonomia delle opere rispetto agli interpreti. 
“Fenomeno complementare a questa nuova centralità ed autorità del compositore è la più 
intensa e duratura circolazione di singole partiture (in Italia e all‟estero) che sostituisce la 
prassi precedentemente preferita della reintonazione del medesimo testo. (…) L‟apporto e 
la figura del compositore appaiono vieppiù incisivi sulla struttura complessiva dello 
spettacolo; il suo operato non si presenta più come quello di un più o meno oscuro tecnico 
specializzato nella stesura di partiture musicali, bensì come quello di un professionista 
affermato la cui prestazione è fortemente personalizzata, individuale, unica ed originale”41. 
La metodologia di produzione si modifica gradualmente. Viceversa, ora sono gli 
allestimenti scenici ad essere determinati dall‟opera scritta a cui si collega una relativa 
omogeneizzazione degli spettacoli a dimensione nazionale. Il cambiamento è innescato da 
alcuni concetti introdotti da Giuseppe Verdi, l‟autorità del compositore e l‟intangibilità 
dello spartito. L‟autorevolezza di Giuseppe Verdi, comunque, è tale da modificare i vincoli 
all‟interno del teatro lirico ridistribuendo le forze in gioco a favore dei compositori al quale 
spetta il diritto di dettare le proprie condizioni economiche, di imporre l‟esecuzione 
integrale dello spartito e il rispetto delle condizioni economiche. “Con Verdi, il consolidato 
reticolo di convenzioni compositive e allestitive (...) si spezzò per sempre. (...) Verdi, 
                                                 
41
 Franco Piperno, Il sistema produttivo, fino al1780, cit., p. 55. 
 11 
 
assunto il controllo dell‟intero percorso produttivo, integrò lungo uno stesso asse 
processuale argomento, scenario, libretto, partitura e spettacolo, avendo cura che ogni 
successivo livello di formalizzazione risultasse organico e funzionale all‟evento 
conclusivo, il cui svolgimento veniva prefigurato ai livelli dello scenario e del libretto, ed 
espresso a quello della partitura, che porgeva agli attori e alle maestranze sceniche un 
modello spettacolare implicito al quale adeguarsi”42. Lo schema a cui attenersi per allestire 
lo spettacolo è riassunto nelle disposizioni sceniche. La pratica di stilare un documento per 
la messa in scena nasce durante il XIX secolo in Francia, quando si afferma il gusto per la 
spettacolarità. La realizzazione materiale diviene sempre più importante tanto da rendere 
funzionale ad essa il testo. Si afferma il grand opéra, un genere di spettacolo in cui 
l‟elemento visivo è predominante. Scene di massa con un numero elevatissimo di 
comparse, balletti spettacolari e sontuosi effetti scenici sono le caratteristiche peculiari di 
questo tipo di spettacolo che rendono indispensabile, dal primo ventennio dell‟Ottocento, 
l‟utilizzo dei livrets de mise en scéne. Questi opuscoli descrivono le impostazioni sceniche 
scelte per l‟allestimento di un determinato spettacolo per regolarne e fissarne la mise en 
scéne. La fortuna del genere influenza anche l‟opera italiana e Verdi stesso che vede nei 
livrets de mise en scéne un modo per garantire l‟integrità delle sue opere ed evitare che 
cantanti o direttori d‟orchestra rielaborino la sua musica. “Io voglio un solo creatore, e 
m‟accontento che si eseguisca semplicemente ed esattamente quello che è scritto; il male 
sta che non si esegue mai quello che è scritto. (...) Io non ammetto né ai Cantanti né ai 
Direttori la facoltà di creare”43. Verdi arriva addirittura a tutelarsi per evitare qualsiasi tipo 
di modifiche. Nel contratto con Ricordi, Verdi inserisce una clausola per dissuadere dalle 
alterazioni: “resta proibito di fare del suddetto spartito qualunque intrusione, qualunque 
mutilazione (…) sotto la multa di 1000 franchi”44. Nel 1855 Louis Palianti stila la prima 
mise en scéne verdiana, I vespri siciliani. Ricordi pubblica la traduzione italiana 
dell‟opuscolo di Paliati inaugurando la serie di disposizioni sceniche verdiane che 
descrivono l‟actio scenica sia in prospettiva dell‟organizzazione: le posizioni, i movimenti, 
i costumi, indicazioni preliminari per i balletti, ecc... sia in quella dell‟interpretazione: la 
coerenza storica, la condizione e psicologia dei personaggi, ecc... .  
                                                 
42
 Gerardo Guccini, Verdi regista: una drammaturgia fra scrittura e azione, in Jean-Jaques Nattiez (diretta 
da), Enciclopedia della musica: Storia della musica europea, vol. IV, Einaudi, Torino, 2004, p. 938. 
43
 Lettera a Giovanni Ricordi Londra 20 maggio 1847, in Gaetano Cesari e Alessandro Luzio (a cura di), I 
copialettere di Giuseppe Verdi, Stucchi Ceretti, Milano, 1913, p. 255. 
44
 Clausola penale del contratto fra Giuseppe Verdi e Giovanni Ricordi. Gaetano Cesari e Alessandro Luzio 
(a cura di), Lettera a Giovanni Ricordi Londra 20 maggio 1847, in I copialettere di Giuseppe Verdi, Stucchi 
Ceretti, Milano, 1913, p. 255. 
 12 
 
La prassi che si consolida prevede che la realizzazione spettacolare per la prima 
rappresentazione si svolga “sotto il diretto controllo del compositore e per quanto riguarda 
l‟attrezzeria scenica, i costumi e i movimenti delle masse viene predisposta dal librettista 
che non di rado è lo stesso responsabile del teatro per l‟allestimento”45. Il librettista 
successivamente archivia in un documento di mise en scéne gli attrezzi, i figurini, le 
scenografie, i costumi, i movimenti dei cori e di tutti i figuranti. Queste informazioni erano 
usate principalmente dal direttore o maestro d‟opera che provvedeva alla loro realizzazione 
e sono usate in un secondo tempo per gli allestimenti successivi nei quali le mansioni sono, 
“qualora non si fosse deciso di ricorrere al compositore o al librettista dell‟opera”46, svolte 
dalla direzione scenica che riprende fedelmente le indicazioni scritte nelle note della mise 
en scéne. Questa idea di allestimento come fedele riproduzione di un modello prefissato 
“non modificò in profondità le abitudini realizzative, che continuarono a riferirsi, piuttosto 
che a un allestimento unico, al generico ed elastico insieme di formule, soluzioni e 
precedenti portato dalla tradizione”47. Le disposizioni sceniche alterano, però, il ruolo del 
direttore di scena che conquista una “autonomia operativa, ma non estetica. Egli è un 
realizzatore, non un creatore”48. Diviene il garante, per l‟autore, della corretta realizzazione 
dello spettacolo pur mantenendo anche le precedenti mansioni, quali “l‟obbligo di porre in 
scena l‟opera, cioè istruire i cori e le comparse, non che gli artisti, in tutto quello che può 
concernere la messa in scena drammatica (…)ma deve anche prestare ogni e qualunque 
assistenza al palco scenico, trovarsi presente … molto prima dello spettacolo, per 
sorvegliare a tutto e svolgere inoltre mansioni di assistente e buttafuori”49. Il direttore di 
scena rimane, comunque, un ruolo caratterizzato da incertezza sia nelle competenze sia 
nelle applicazioni professionali la cui, però, attività principale si canalizza nella 
supervisione scrupolosa del rispetto delle convenzioni.  
Lo spettacolo continua, nonostante le introduzioni delle disposizioni sceniche, ad 
essere allestito dai vari professionisti che si trovano, ora, ad oscillare fra indicazioni 
prestabiliti e diretto influsso sulla determinazione dello spettacolo. In questo modo non si 
può che “realizzare spettacoli convenzionali, poiché proprio le convenzioni e tradizioni 
sono la condizione del loro lavoro insieme”50. Ma l‟inadeguatezza di questa prassi è 
                                                 
45
 Gerardo Guccini, Direzione scenica e regia, cit., p. 147. 
46
 Ibidem. 
47
 Gerardo Guccini, Direzione scenica e regia, cit., p. 151. 
48
 Emilio Sala, Dalla mise en scéne ottocentesca alla regia moderna: problemi di drammaturgia musicale, in 
“Musica/Realtà”, Lucca, 2008, p. 50. 
49
 Gerardo Guccini, Direzione scenica e regia, cit., p. 148. 
50
 Ibidem.